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Capo I.
Un trionfo cattolico.

1. A Lione ed a Parigi. — 2. La mia grammatica amarico-galla. — 3. A Roma. — 4. Il P. Domenico da Castelnandary a Roma. — 5. I tre nuovi Missionarj dei Galla. — 6. Vita laboriosa del Missionario in Africa. — 7. Vocazione all’apostolato. — 8. Tentazioni da vincere. — 9. Una commissione ed una proposta. — 10. La consacrazione della chiesa di Nostra Signora della Guardia a Marsiglia. — 11. Arrivo ed accoglienze a Marsiglia. — 12. Apparecchi per la festa. — 13. I protestanti e la Madonna della Guardia. — 14. Riflessioni a proposito. — 15. Tre giorni di festa.

partenza da Alessandria 9.4.1864 A.Rosso Partito da Alessandria d’Egitto nei primi d’Aprile del 1864, dopo un viaggio abbastanza felice, giunsi a Marsiglia. Gli affari più urgenti, per cui erami recato in Francia, doveva trattarli a Lione ed a Parigi, anzichè a Marsiglia; poichè colà trovavansi i due Consigli della propagazione della Fede, il Superiore Provinciale dei Cappuccini, che aveva spedito alla Missione Galla i tre sacerdoti, di cui si è parlato nel volume precedente; là finalmente gli ufficj governativi e le persone, con cui doveva abboccarmi, per esporre le loro idee ed i desiderj dell’imperatore Teodoro. Per la qual cosa, affidati i due giovani abissini ai Fratelli delle scuole cristiane di Marsiglia, lasciai quella città e partii subito per Lione e per Parigi.

In queste due città rividi, dopo circa quattordici anni, tanti cari amici e benefattori, e segnatamente i membri dei due Consigli della Propagazione della Fede, che nei bisogni della Missione mi si erano mostrati sempre benevoli e generosi. In Parigi poi, consegnati al Ministero le lettere e gli /6/ altri scritti, che al Governo francese mandava Teodoro, parlai lungamente coi signor Faugère, capo dell’Uffizio per gli affari d’Oriente; e dovendo il Ministro esaminare le carte da me consegnate, si stabilì di avere un altro abboccamento, quando sarei ritornato in quella città. Trovai pure il Provinciale dei Cappuccini, e ci mettemmo d’accordo sulla destinazione dei tre Missionarj spediti nei paesi galla, e sulla scelta di altri sacerdoti, che la provincia monastica appresso avrebbe mandati. Intanto, sbrigate le più urgenti faccende, ritornai con sollecitudine a Marsiglia, dove mi aspettavano i due giovani abissini, i quali, in paese straniero e fra gente che ignorava la loro lingua, si trovavano confusi e scoraggiti.

Armand-Prosper Faugère 1810-1887 “sous-directeur du Cabinet des relations extérieures au Ministère des affaires étrangères”. Autore nel 1851 di un opuscolo De la Propagande musulmane en Afrique et dans les Indes

2. Fra i manoscritti, che perdetti a Kaffa, eravi un paziente lavoro sulle due lingue abissina e galla, ch’erami costato non poca fatica, e che intendeva poscia coordinare per comporre una grammatica amarico-galla, la quale servisse ai nuovi Missionarj, che sarebbero venuti in Africa. Ed erami proposto di scriverla in latino, non solo per renderla comune al clero di qualsiasi nazione, ma affinchè, studiandola anche i giovani indigeni, che avviavamo al sacerdozio, imparassero nel tempo stesso alquanto meglio la lingua della Chiesa. Intanto, non possedendo più quel prezioso manoscritto, e volendo ad ogni costo provvedere i Missionarj di un sì necessario manuale di lingue, risolvetti rifarmi da capo, affidandomi interamente alla memoria. In tutto il tempo che passò dall’esilio di Kaffa al mio arrivo alla costa non potei mettere in carta neppure un parola; sia perché mancavami il necessario per iscrivere, sia per le nuove peripezie sofferte, e per le occupazioni spirituali e materiali, che dovunque trovava; sia finalmente per la malattia, che presi al Tallarè, e che non mi lasciò sino a Massauah. Giunto in questo luogo, e rimessomi alquanto in forze, cominciai a scrivere; e tanto nel viaggio di mare quanto in quello per l’Oriente, continuai ad impiegarvi il poco tempo libero, che restavami dall’esercizio del sacro ministero. E veramente di tempo libero ne aveva ben poco, poichè, o viaggiando o stando fermo, riputava sempre mio primo e principale dovere l’occuparmi della salute dei miei fratelli in Gesù Cristo, ed aiutarli al conseguimento dell’eterna loro fine. E del bene se ne trovava a fare da per tutto; perché nei deserti, in paesi popolati, per le vie, sui piroscafi, in mezzo a pagani, eretici, protestanti, cattolici, vi sono sempre anime da salvare, e fratelli da istruire ed incamminare per la diritta strada. Nel viaggio per mare, di fatto, poco potei scrivere, ed anche poco nel tempo che mi fermai in Oriente; perché sui piroscafi mi trovava in mezzo a gente, che, non sentendo quasi mai la parola di Dio, riputava /7/ una fortuna passare alquanti giorni con un ministro del Signore, e sentire la voce del conforto e della speranza. In Oriente poi, a causa della scarsità del clero, l’arrivo di un Missionario o di qualsiasi sacerdote forestiero è salutato con gioja, non solo dalla buona popolazione cattolica, ma dai Pastori solerti e zelanti, sì per sentire una voce nuova che parli di Dio, sì per aprire con maggior confidenza il proprio cuore, e ricevere salutari consigli. Ma se poco potei scrivere in quel viaggio, giunto in Europa, sbrigati nelle varie città gli affari più importanti, mi occupai esclusivamente di quel lavoro.

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3. In Marsiglia mi trattenni alquanti giorni, per visitare gli amici, e per trattare presso persone autorevoli dell’impianto di un collegio etiopico in quella città; disegno, che da più tempo io andava formando nella mia mente. Intanto, collocati provvisoriamente i due giovani abissini nel convitto dei Fratelli delle scuole cristiane, m’imbarcai su di un piroscafo della Messaggerie per Civitavecchia, donde, a Roma 24.4.1864 A.Rosso in poche ore di strada ferrata mi recai a Roma. Giunto nell’eterna città, ringraziai il Signore di aver trovato quella popolazione tranquilla e contenta; il Santo Padre, libero nel suo palazzo, amato e benedetto da tutti; e lo Stato della Santa Sede custodito dai soldati della figlia primogenita della Chiesa.

Arrivato alla città dei Papi, la prima cosa fu di ringraziare Iddio di aver trovato il santo padre tranquillo in casa sua, guardato dai soldati francesi, epperciò sicuro, come è sicura la pecora in casa del mercante che aspetta il suo giorno. Memorie Vol. 4° Cap. 22 p. 191.

Il collegio delle Missioni cappuccine, aperto sin dai tempi antichi nel convento generalizio dell’Immacolata Concezione di Roma, non poteva ricevere che un numero limitato di giovani. Impiantandosi poi nuove Missioni, e crescendo il bisogno di Missionarj, era stato trasportato in una casa più grande ai Quattro Cantoni. Laonde io, invece di prendere alloggio a Piazza Barberini, come prima aveva fatto, mi recai alla nuova casa, ed ivi dimorai per tutto il tempo che mi trattenni a Roma. Intanto, fatte le visite di dovere al Santo Padre, ai Superiori di Propaganda e del mio Ordine, ed anche quelle di convenienza a benefattori ed amici, mi chiusi in collegio per attendere esclusivamente al lavoro della grammatica, che erami proposto dare alla stampa prima di ritornare in Africa.

Il Convento dell’Immacolata Concezione si trova in Via Veneto 27. La chiesa fu fatto costruire da Urbano VIII in onore del fratello, Cardinale Antonio Marcello Barberini, cappuccino, che vi è sepolto. In Via dei Quattro Cantoni 36 vi è oggi la Casa Generalizia delle Suore Missionarie dell’Immacolata

Il Collegio dei quattro cantoni era troppo ristretto, e si comprò poi un vasto terreno alle Sette Sale, dove si fabricò un nuovo collegio. Anche questo preso poi dal governo si fabricò in un terreno comprato vicino ai Santi quattro Coronati, dove esistono attualmente gli aspiranti alle missioni. Memorie Vol. 4° Cap. 22 p. 191.

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4. In quei giorni ebbi una gradevole sorpresa: il P. Domenico da Castelnaudary, che la Sacra Congregazione di Propaganda aveva mandato in Africa Viceprefetto della Missione Galla, e che non aveva potuto raggiungermi né alla costa, né per il Mar Rosso, si presentò all’improvviso nella povera mia celletta, mentre io attendeva a radunare e confrontare vocaboli galla ed abissini. Abbracciatici con fraterno affetto, cominciammo a rivolgerci l’un l’altro domande sul viaggio fatto, sulle vie prese, e sui motivi che impedirono tutti e due d’incontrarci. Egli mi raccontò che, giunto /8/ in Aden e prese le necessarie informazioni, si era diretto con i suoi due compagni alla costa orientale dell’Africa, con la speranza di poter entrare da quella parte nei paesi della Missione. Ma ricevute, dopo tre mesi di inutili tentativi, le lettere, che io gli aveva scritto dall’Egitto, nelle quali lo avvisava del mio ritorno in Europa, e gli manifestava il desiderio di vederci e di parlare delle cose nostre prima ch’egli entrasse nella Missione, era ritornato tosto in Aden; e lasciando ivi i due compagni, era partito col primo piroscafo per l’Egitto. Ma dopo sì notevole ritardo, non trovandomi in alcun paese dell’Oriente, e sentendo che aveva fatto vela per la Francia, mi era corso appresso; e non avendomi raggiunto neppur colà, aveva preso la via di Roma, dove, come ho detto, finalmente trovommi.

Père Dominique de Castelnaudary ... 1814-1890

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5. Messo da parte il mio lavoro, passai quei giorni in continua conversazione col suddetto Missionario; poichè uguale premura ed ansietà avevamo, egli di raccontare ed io di sentire le relazioni dei viaggi fatti, delle impressioni ricevute e delle disposizioni all’apostolato di tutti e tre quei nuovi inviati. Naturalmente da quelle conversazioni non tardai a formarmi un esatto concetto dei tre Religiosi, e dell’utilità, che quella scelta avrebbe apportato alla Missione.

Il P. Domenico era un’eccellente ed impareggiabile persona; dotato di fede viva, di carattere dolce, di volontà ferrea e di costituzione forte, nulla mancavagli per riuscire un valente e perfetto Missionario. Ma al nostro Padre, adorno di tutte queste doti, necessarie a chi si addice all’apostolato tra gl’infedeli, mancava la principale per le Missioni dell’Africa, cioè, la gioventù. Il P. Domenico aveva già varcati i 50 anni: ed a quell’età come imparare le difficili lingue africane? Come assuefarsi a quei climi, a quei cibi, a quegli usi, ed a tutte le diverse costumanze, spesso strane e pesanti, di una vita nuova? Come adattarsi a viaggi di più mesi sopra cammelli o su muli, per deserti infocati o montagne scoscese, con poche provviste di legumi, e talvolta con una misurata quantità d’acqua dentro otri? Un giovane sacerdote, che parta con vera vocazione all’apostolato, ben facilmente si adatta ad ogni patimento, che incontra per quella dura e penosa via: ma chi cominciò a scendere la curva della parabola della vita, non si cimenti all’impresa; che, con tutta la buona volontà, fatti pochi passi, sarà costretto tornare indietro scoraggito.

Degli altri due compagni, il P. Felice era presso a poco della stessa età del Viceprefetto, benchè meno pingue, e quindi più leggiero e spedito di lui. Il P. Esuperio, giovane di molta intelligenza, robusto, ardito e pieno di zelo, era l’unico che avrebbe potuto riuscire nella Missione; principal- /9/ mente se si fosse trovato con Padri provetti, che ne avessero moderato il carattere vivo ed un po’ precipitoso.

P. Felice n. 8.12.1823; P. Esuperio n. 10.2.1837 A.Rosso

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6. Accennando al P. Domenico queste difficoltà, da religioso di fervente zelo mi rispose che la buona volontà e la grazia del Signore avrebbero supplito all’infermità materiale dell’uomo, anche di avanzata età; molto più ch’essi non di proprio capriccio, ma per volere dei Superiori eransi accinti all’opera dell’apostolato.

— Non nego, soggiunsi io, l’efficacia della divina assistenza e la forza della buona volontà: ma se possiamo sperare e confidare nell’una e nell’altra, non dobbiamo però tenerle come certe e sicure. I Superiori, nello sceglier voi, pensarono a trovare Religiosi di spirito, di eletta intelligenza, e dotati di tante altre belle qualità. Ma questa scelta, eccellente per una Missione in paesi e tra popoli quasi inciviliti, dove si arriva dopo pochi giorni di navigazione, dove si trova una chiesa, una parrocchia, una cristianità già bella e formata, come in quasi tutte le Missioni d’Oriente, delle Indie, dell’America e dell’Oceania, non è stata davvero giudiziosa per le Missioni africane. Essi non possono conoscere ciò che non hanno mai veduto, né immaginare qual vita in Africa si meni, quali ostacoli materiali e morali s’incontrino, quali lotte bisogna sostenere con la natura e con gli uomini.

/10/ — L’apostolato fra i Galla, come fra gli Abissini, e quasi in tutte le regioni africane, è difficile e penosissimo; e chi vi è chiamato, dev’esser disposto ad una eroica abnegazione, ed a contrarietà e pene indicibili. Ve ne accenno solamente alcune. Spesso si è costretti restare anche un anno e più in viaggio, quasi senza esercizio del sacro ministero, eccetto quel poco che il fervente Missionario trova da fare qua e là con persone private, e più o meno direttamente. Nei viaggi poi il Missionario bisogna che prescelga di camminare a piedi (e, s’intende, scalzo); poichè l’andare sui cammelli e sui muli, e con seguito di servi per regioni senza strade, e con piccoli e poveri villaggi, è un viaggiare incomodissimo, e procura sempre disturbi e questioni. Dormire inoltre quasi sempre sulla nuda terra, o sopra una pelle conciata, dentro capanne sporche e piene di schifosi insetti; non trovare talvolta neppure l’acqua per dissetarsi, e doversi contentare di un po’ di latte e di un po’ di pane, cotto sulla bragia; vedersi esposto a continui pericoli della vita, sia da parte degli uomini, sia da parte delle bestie feroci; non avere, in caso di malattia, a chi ricorrere per consigli e conforti spirituali e corporali, in Africa son cose ordinarie, ed alle quali il Missionario dev’esser disposto. Nelle stesse case della Missione le privazioni abbondano: miserie nel vitto, nelle vesti, negli oggetti più necessarj alla vita; mancanza di vino, non solo per bere, ma spesso per celebrare la Messa; cibi e bevande che un Europeo mai gustò, e che appena gli si rendono meno sgradite dopo un lungo e paziente uso; ecco ciò che trova il Missionario in Africa.

... la nostra missione è di un carattere tutto diverso, e direi quasi l’unica, con dei bisogni tutti particolari, e diversi dalle altre. Il nuovo missionario destinato per il nostro Vicariato deve essere disposto: 1. a restare anche un’anno, ed anche più in viaggio, quasi senza esercizio del ministero, come sono rimasto io per molti anni, all’infuori del poco ministero, che il fervente missionario può quasi sempre esercitare in viaggio più o meno direttamente e publicamente, secondo i luoghi e le circostanze. 2. Deve essere disposto e preparato a viaggiare qualche volta anche a piedi, oppure con cavalcature di cameli o muli molto incommode; come pure a dormire sulla nuda terra, sopra una semplice pelle. 3. Disposto ad esporsi a pericoli della vita, sia dalla parte degli uomini, sia dalla parte di bestie feroci. 4. Deve essere disposto a dormire male, nelle capanne, dove vi sono pulci, cimici ed altri simili insetti. 5. Deve essere disposto, poi anche a sopportare la miseria; sia nel vitto che nel vestito, principalmente nei viaggi; ed anche in gran parte nelle case della missione già stabilite; nei viaggi molte volte, o non si trova pane, o si trova pane cattivo, cotto economicamente alla meglio come si può, o sopra le bragie, oppure sopra una piatta forma di ferro, o di terra cotta. Anche nella missione, privazione assoluta di vino, compensata da una cattiva birra, oppure da un poco d’idromele nelle solennità. Tutte queste, e tante altre privazioni, non sono conosciute, ne dai superiori che mandano, ne dai missionarii che vi vanno. Il certo si è, che il missionario galla essendo obligato ad una vita di gran sacrifizio, deve non solo essere fornito di vocazione speciale, come è, chiaro, ma deve avere ancora un’età ed una salute da potersi abituare, e piegare. Memorie Vol. 4° cap 22 p. 193.

— Ora, tutti questi e tanti altri disagi e difficoltà non sono conosciuti né dai Superiori che mandano, né dai Missionarj che a quelle regioni si avviano. Intanto, se il Missionario africano è destinato ad una vita sì disagiata e faticosa, potrà egli sostenerla se non vi porta un’età ed una salute da abbracciarla con coraggio, e da potervisi poco a poco assuefare? —

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7. Il P. Domenico, sentendo quanto io candidamente gli esponeva sulla laboriosa vita dei Missionarj Galla, scoraggito soggiunse: — E se così è, chi potrà aspirare a quell’apostolato? Un tal quadro di vita faticosa e di patimenti toglierà la vocazione a chicchessia di darsi a quella santa impresa. —

— No, caro mio, risposi; la conoscenza delle difficoltà, che in quella Missione si troveranno, toglierà la vocazione a chi l’ebbe superficialmente o per metà, ed a coloro, di cui testè vi ho parlato. Ed è bene che chi non si sente le forze per sostenere quel peso, si risolva e si ritiri dall’impresa poma di mettersi in viaggio; poichè, mutando pensiero per istrada /11/ o quando sarà giunto alla Missione, renderà infruttuose le grandi spese, che questa avrà fatte per lui, e quel tornare indietro sarà per i suoi compagni causa di dispiacere e di scoraggiamento. Al Cappuccino poi, la conoscenza di quelle fatiche e di quei patimenti dovrà piuttosto servire come stimolo di maggior fervore; poichè là, più che in convento, avrà occasione di meglio osservare l’altissima povertà e la vita austera, che professò. Ed io vi assicuro che in mezzo a quell’estrema penuria di ogni cosa, ed alla giornaliera mancanza delle più comuni comodità, mi reputava non solo fedele seguace degli Apostoli, ma vero figlio di S. Francesco.

... il conoscere tutte queste cose farà passare la vocazione a chi non l’ha, oppure, l’ha solamente per metà. In questo caso di vocazione dubbia o finta, meglio che essa si manifesti prima di partire, che manifestarsi poi in strada dopo che il missionario ha già costato un monte di spese e di sacrifizii alla povera missione, e manifestarsi poi là sul campo di battaglia con scandalo dei compagni, i quali si scoraggieranno. È anzi bene che resti indietro chi non è chiamato; il vero missionario invece di scoragiarsi prende anzi maggior coragio, perché Iddio moltiplica i suoi lumi e le sue grazie a misura che l’impresa è più difficile. Non parlo dei sacrifizii materiali sopra riferiti, perché sono certo che questi faranno anzi coragio al vero missionario cappuccino, perché trova il conto suo cercato da lui nella sua vocazione, la croce e la mortificazione annessa alla povertà di S. Francesco da lui bramata, la vera perla evangelica scoperta dal nostro gran pescatore Serafico che noi tanto cerchiamo di seguire; da questo lato io sono là per assicurare i miei missionarii d’aver trovato la vera vita cappuccina voluta dal nostro Santo Padre più nella missione galla, che non in Convento, perché là è tagliata ogni via alla superbia mondana, ed alla sensualità corporale. Memorie Vol. 4° cap. 22 pp. 193-194.

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8. — Laonde, caro Padre, il Cappuccino non deve spaventarsi pensando alle sofferenze, che nella Missione l’aspettano; anzi, se da vera vocazione è mosso, e la vigoria delle forze fisiche lo assistono, vi correrà allegro ed animoso. Sapete quale tentazione io temo che piuttosto scoraggirà il fervente Missionario? Quella di non trovare campo disposto all’esercizio pratico ed indefesso dell’apostolato. In Europa, e segnatamente in Italia, in Francia ed in altri regni cattolici il sacro ministro trova una corrispondenza al fervore del suo zelo nei molti uditori, che ascoltano ed acclamano la sua predicazione; nei penitenti, che accorrono numerosi al suo confessionario; nelle tante anime elette, che guida per la via della perfezione. In Africa invece, segnatamente da principio, sia per l’ignoranza delle lingue, sia per la mancanza dei convertiti, si è costretti stare anche parecchi anni senza far nulla, od assai poco. Io parlo per esperienza; perché, non un anno, ma quattro ne passai prima di entrare nella Missione affidatami: ed in tutto quel tempo poco o nulla potei fare di bene alle anime. Partito d’Europa, non vedeva l’ora di giungere sul campo delle sacre conquiste, e per via non sognava che predicazione, conversioni, chiese da costruire, cristianità da formare e reggere, insomma una vita interamente dedicata al sacro ministero, non dissimile da quella degli Apostoli e dei primi discepoli del Redentore, tanto nella fatica, quanto nel frutto. Invece, sia prima di metter piede nella mia Missione, sia dopo entrato nei paesi galla, dovetti contentarmi di far quel che si poteva, e non quello ch’era nei miei disegni e ferventi desiderj. E quante volte, stando inoperoso intere settimane ed anche mesi, pensando al molto bene che avrei potuto fare in Europa, vennemi la tentazione di tornare indietro, e correre a coltivare altri campi, meno sterili ed infecondi? Ma, grazie a Dio, tenni sempre fermo; ed il diavolo, questo scaltro nemico dell’apostolato fra i barbari, restò scornato e vinto. Poichè erami sempre presente alla mente il pensiero che anche i barbari erano stati ricomprati col sangue /12/ di Gesù Cristo, come gli Europei; e che, se fossi giunto a salvare anche solo dieci anime, avrei adempito il mio dovere, e mi sarei meritato un compenso.

— Manifestata questa tentazione nel 1850 ad un venerando ecclesiastico di S. Sulpizio, che voi forse conoscete, mi rispose: «Se gli Apostoli, dopo aver gustato le dolcezze dello Spirito Santo nel Cenacolo, avessero ivi fabbricato un monastero per menarvi vita ritirata, attendere alla propria perfezione, e guidare tutto al più per la via della salute un qualche Nicodemo e poche Maddalene penitenti, il mondo sarebbe stato convertito? Roma, Parigi, noi che cosa saremmo? Parta dunque per la sua Missione, ed accresca la gloria di Dio con moltiplicare il gregge dell’ovile di Gesù Cristo. E si contenti anche di poche pecorelle; poichè colà uno convertito vale cento dei nostri cattolici; e quell’uno col tempo diventerà mille, e forse un milione.»

Alla sentenza di questo Venerando ecclesiastico di S. Sulpizio, che voi forze avrete conosciuto, o caro P. Domenico mio, io vi aggiungo un’altro fatto in risposta alla vostra difficoltà: trovandomi in Gudrù io ho ricevuto dentro un piego di lettere venutomi dalla costa nel 1853 una patata, della quale ne ho fatto cinque pezzi, i quali seminati diventarono cinque kilò di patate; questi cinque kilò fecero altri cento kilò, coi quali si sparzero le patate in tutti i paesi galla di quei contorni, a segno che nell’epoca della mia partenza ultima, le patate in tutti quei contorni erano divenute uno dei principali raccolti per l’uso domestico. Ora veniamo al significato, sia dell’ipotesi, sia della patata suddetta, che già voi, o caro P. Domenico, avete compreso senza che io ve lo spieghi. In quanto a voi lasciatevi guidare da me, e quando sarà arrivato il suo giorno io vi significherò la volontà del Signore; ma voi dovete occuparvi indefessamente a cercarmi missionarii. Già si è deciso che i due rimasti in Aden debbano ritornare in Francia; voi conoscete certamente, tanto il P. Felice, quanto il P. Esuperio, e saprete per cosa spenderli; le conferenze fatte fin qui vi hanno certamente istruito sulle qualità indispensabili che si ricercano nei nuovi missionarii dei quali abbiamo bisogno. Memorie Vol. 4° cap. 22 pp. 194-195.

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9. — Lasciatevi pertanto, caro Padre, guidare da me; che a suo tempo vi manifesterò la volontà del Signore. Quanto al P. Felice ed al P. Esuperio, rimasti in Aden, potreste scriver loro che ritornino in Francia. A voi, che li conoscete, tornerà facile occuparli in uffizj adatti alla loro età ed intelligenza, e dove potranno servire fruttuosamente la Chiesa. Recandovi inoltre nella vostra provincia, ed abboccandovi con quei Superiori, esponete loro quanto da me avete sentito, e cercatemi Religiosi che possano spedirsi fra i Galla, adorni di quelle qualità, che nelle conferenze, in questi giorni tenute, io vi ho chiaramente accennate. Affinchè, presa una volta la santa risoluzione, ed entrati nel campo dell’apostolato, non abbiano a pentirsi, o darsi alla malinconia, con danno della Missione e di loro stessi. Io intanto spero condurre presto a fine il lavoro, che ho per le mani; e stampata la grammatica prima della loro partenza, troveranno in essa un grande ajuto per imparare quelle difficili lingue. Sto pure compilando un catechismo ed apparecchiando altri manuali d’istruzione, che agevoleranno grandemente l’esercizio del loro sacro ministero fra quei popoli.

— Avendo inoltre intenzione di fondare in Francia un collegio per educare ed istruire i giovani galla, desidero che ne parliate col Provinciale e con i vostri colleghi Definitori; affinchè anch’essi esaminino e maturino questo mio disegno, a loro ben noto. Quanto alla scelta della città in cui impiantarlo, ed ai mezzi per metterlo in opera, ne parleremo quando verrò in Francia: ma desidero che si cominci a fare qualche cosa prima della mia partenza. —

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/13/ 10. In quell’anno la città di Marsiglia si apparecchiava a celebrare una grande festa religiosa in onore della Vergine, cotanto venerata in quella città ed in tutta la Francia sotto il titolo di nostra Signora della Guardia. Eletta una Commissione di ragguardevoli persone, questa con pubblico manifesto aveva invitato il popolo cristiano francese e forestiero ad assistere alla consacrazione della nuova chiesa, dedicata a nostra Signora della Guardia, ed al solenne trasporto della statua miracolosa della Vergine dalla cattedrale alla suddetta chiesa. Volgendosi inoltre al Santo Padre Pio IX, lo aveva pregato di mandarvi da Roma quanti Vescovi potesse, e di permettere ad altri, residenti nelle diocesi, di potervisi recare. Ed il Santo Padre, avendo a cuore anch’esso che quell’onore alla Madre di Dio riuscisse solenne e splendidissimo, annuì al pio desiderio; e quanto ai Vescovi che dimoravano in Roma, lasciò liberi di andarvi tutti quelli, che non avevano incombenze ed obblighi speciali, e segnatamente i forestieri, che si trovavano colà di passaggio. Nel manifesto poi pregavansi i Vescovi che volevano intervenirvi, di darne prima conoscenza alla Commissione della festa; la quale avrebbe spedito a ciascuno un invito speciale, indicando nel tempo stesso il giorno della partenza, e la casa dove sarebbe stato ospitato.

Notre-Dame de la Garde, également appelée localement «la Bonne Mère» (en provençal: Boueno Mèro) est une des basiliques mineures de l’Église catholique romaine. Elle est située sur un piton calcaire de 149 mètres d’altitude au sud du Vieux-Port de Marseille, surélevé de 13 mètres grâce aux murs et soubassements d’un ancien fort...” (Wikipédia)

Io pertanto, desiderando rivedere i due giovani, che aveva lasciati nel convitto dei Fratelli delle scuole cristiane, risolvetti tosto d’intervenirvi. E pregato il P. Domenico, che in quella città aveva molti amici, di darne conoscenza alla Commissione, mi affrettai a sbrigare i principali affari che mi trattenevano in Roma, a fin di trovarmi pronto a partire nel giorno che sarebbe stato fissato.

Com’era mio dovere, mi recai pria di tutto dal Santo Padre, per manifestargli quella mia risoluzione e chiedere una speciale benedizione. Nel congedarmi mi disse che, dopo le feste di Marsiglia, sarebbe stato conveniente fare una visita a Torino ed alla mia patria; poichè colà molte persone, dopo tanti anni di assenza, desideravano vedermi. Ed io, accettando quel consiglio come un comando, scrissi ad alcuni amici di Torino che, se fossero andati anch’essi a Marsiglia per la festa, ritornando, avremmo fatto il viaggio insieme.

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11. Avvicinandosi il giorno della partenza, dalla Commissione stabilito, col P. Domenico lasciai l’eterna città, e mi avviai a Civitavecchia. Ivi trovammo pronto un piroscafo francese, venuto espressamente per trasportare a Marsiglia le persone, che dovevano intervenire alla festa; e poche ore prima di levare l’ancora, c’imbarcammo. Eravamo circa venti Vescovi, molti Prelati ed un grande numero di Signori romani; di Cardinali veniva /14/ solamente l’Eminentissimo Pitra. Il piroscafo era sì carico di passeggieri, e quasi tutti ragguardevoli, che molti non potettero avere una cabina separata. Fortunatamente eravamo nella buona stagione; cosicchè anche quelli che prescelsero, o per amore o per forza, di restare sul ponte, non solfrirono né freddo, né altri disagi.

Jean-Baptiste-François Pitra 1812 – 1889 Carinale dal 1863. Fu studioso di patristica, nel 1861-62 a Propaganda Fide supervisionò la redazione dei libri liturgici di rito orientale.

Giunti a Marsiglia, trovammo una popolazione immensa, che aspettava al porto l’arrivo dei Prelati e dei devoti romani; ed una gran quantità di carrozze per condurli ai loro alloggi, tra le quali molte di Patrizj marsigliesi, cui era toccato l’onore di ospitare un qualche Vescovo o Prelato. A me era stata assegnata la casa di madamigella Buissiè, religiosissima signora, nubile e ricca, e già conoscente del P. Domenico. Ed anch’essa, accompagnata da sua sorella Madama Filipponi, era venuta con due carrozze a prenderci e condurci al palazzo.

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12. La città di Marsiglia in quel tempo rappresentava l’immagine di una grande e nobile casa, già vicina a solennizzare il matrimonio di un suo membro. Mancavano tre giorni alle nozze della bonne Mère (così in Francia il popolo chiama la Madonna della Guardia), e non solo la città, ma tutta la Francia era in insolito movimento. Le strade ferrate ed i piroscafi conducevano da ogni parte devoti pellegrini; le locande, i palazzi, le umili case riempivansi di forestieri; gli artisti, gli operai erano tutti occupati chi a dipingere tele e stendardi, chi ad inalzare archi di trionfo, chi a costruire palchi, chi a formare baracche e case provvisorie. La collina, su cui elevasi il santuario, era stata trasformata in una nuova città, che, guardata da quei che venivano dal mare, appariva un fantastico anfiteatro, e faceva la più gradevole impressione.

Marsiglia, città di mare, di gran commercio e popolarissima, accoglieva fra le sue mura molti protestanti ed eretici, anche orientali: ebbene, sembrava che in quei giorni tutti quanti appartenessero alla gran famiglia cattolica, e professassero la più sincera devozione a Maria. Il nome della bonne Mère era sulla bocca di tutti, la gioja su di ogni volto, la premura di onorarla più solennemente che si potesse, in ogni classe e condizione di persone. Un protestante ricco e ragguardevole, che io aveva conosciuto in Oriente dicevami: — Ogni affare in questi giorni è messo da parte, non si pensa, non si parla, non si opera che per onorare la bonne Mère a la quale sono rivolti i cuori di tutti; oh, solo il cattolicismo può darci questi meravigliosi spettacoli! Noi protestanti siam tenuti per nemici della Madonna e pure in Marsiglia una forza irresistibile ci costringe ad amare la bonne Mère, e tutti sentiremmo pena se altri parlasse male di essa. Poveri /15/ seguaci del protestantesimo! In paradiso non troveremo certo favorevoli a noi né questa buona madre, né parenti, né amici. —

— Voi avete detto, risposi, una grande verità; ma sareste stato più coerente a voi stesso non nominando il paradiso: poichè, separandosi i protestanti dalla Chiesa Cattolica, lo hanno volontariamente rinunziato. Quanto ai parenti ed amici celesti nel senso cattolico, voi non ne avete né in questo mondo né nell’altro; non ne avete in vita, né ne avrete dopo morte. Non volendo prestare alcun culto alla Madre di Dio, né venerazione ai Santi, fedeli e gloriosi seguaci della legge di Gesù Cristo, non potete riporre in loro alcun affetto e speranza. E lo stesso Gesù Cristo, secondo i protestanti, non è quell’uomo Dio, che scese dal cielo, redense l’umanità, insegnò la legge, ne stabili i ministri ed i giudici, e ritornò al cielo: ma un personaggio storico, grande, se volete, quale può essere conosciuto dalla ragione. E quantunque i protestanti tengano alla Bibbia, pure il Cristo rivelato è foggiato da loro in mille diverse forme; poichè la rivelazione, la parola ispirata presso i protestanti ha solamente quel senso e valore, che le dà il giudizio privato di ciascuno. —

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13. In casa di madamigella Buissiè tutte le nostre conversazioni versavano sempre sulle grandi solennità che si celebravano, sul fervore straordinario della popolazione marsigliese e forestiera, e sui vantaggi spirituali /16/ ed anche materiali, che quella festa avrebbe apportato. Naturalmente io riferii il colloquio avuto col protestante, poco fa accennato, soggiungendo che la bonne Mère, non avrebbe lasciato passare quell’occasione senza spandere largamente speciali grazie, massime di conversione, tra i dissidenti.

— Caro Monsignore, prese a dire quella signora, il tempo è breve, ed il chiasso e le occupazioni di questi giorni non ci permettono di fare quel che vorremmo; altrimenti la condurrei a vedere gli ex voto, appesi alle pareti del santuario, e le farei leggere gli annali, che colà si conservano, per convincersi dei favori straordinarj che la nostra Madonna elargisce ai suoi devoti, ed a chi a Lei si rivolge. Vedrebbe inoltre che un grande numero di quegli ex voto sono stati offerti da protestanti, non solo della città, ma di ogni parte del mondo, venuti per mare. E potrei farle conoscere taluni di questi dissidenti, che, dopo avere offerto qualche dono per grazie ricevute, vanno ogni settimana al santuario a visitare la bonne Mère. Fra gli altri favoriti da essa, vive ancora una signora, la quale, non potendo sgravarsi, perché il feto presentavasi irregolarmente, fu consigliata dalla levatrice di recitare nove Ave Maria alla bonne Mère. Accettata con fiducia la pia proposta, appena finì la recita delle nove preghiere, il bambino mutò posizione, e la madre partorì felicemente. Essa ora è cattolica, ma segretamente, poichè motivi di famiglia le impediscono di far nota la sua conversione. Cessati questi, si dichiarerà pubblicamente figlia della nostra Chiesa. —

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14. Ho accennato questi fatti, per mostrare che l’entusiasmo religioso di quei giorni verso la Madre di Dio, anche da parte degli eterodossi, non è una mia esagerazione. Né in quell’occasione della festa il popolo era mosso da mire materiali, e dal guadagno, che quel grande numero di forestieri avrebbe portato alla città. La devozione, l’amore alla Madonna della Guardia erano sinceri, e talmente forti, che la popolazione sentivasi attratta da forza irresistibile verso la cima di quella collina; ed è certo che nessuno in quei giorni si privò del santo piacere di salire quella vetta, per onorare una madre, cotanto popolare e benefica.

Intanto, se la Madre di Dio mostravasi in quel luogo sì larga di favori e di grazie, anche con gli eterodossi, ci è lecito supporre ch’essa con quei mezzi e con quei tratti di misericordia non mirava che a giovare ed al corpo ed all’anima loro; disponendoli ed incoraggiandoli alla conversione. E di fatto, secondochè mi si riferiva, non solo la signora sopraddetta, ma tanti altri dissidenti, dopo alcune grazie ricevute, si erano risolti ad abbracciare la vera fede. Quanto poi all’accorrere degli eterodossi verso i /17/ nostri santuarj ed alla protezione di Maria, si spiega benissimo riflettendo al gran vuoto che il protestantesimo forma nel cuore dei suoi seguaci, ed al bisogno che ha l’uomo del soprannaturale, e di volgere e dedicare i suoi affetti ad essei, che le virtù ed i meriti resero grandi in questo inondo, ed elevarono ad una gloria che non si trova sulla terra. E di questi fatti quanti non se ne vedono nei paesi, dove dimorano protestanti e cattolici? E non è forse cosa frequente vedere protestanti ricorrere per favori e consigli con più confidenza e fiducia ai preti cattolici, anzichè ai proprj pastori, e le loro donne chiedere a quelli e non a questi una benedizione?

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15. Intanto, compiti i grandiosi apparecchi, cominciarono i tre giorni delle solenni feste alla Madre di Dio. Non mi trattengo a descriverne tutte le particolarità, sia perché una tale narrazione sarebbe estranea allo scopo di queste mie Memorie, sia perché ne parlarono tanto giornali ed opuscoli, che il pubblico francese ed anche straniero ancora le ricorda. 5 giugno 1864 Il primo giorno fu dedicato alla consacrazione della nuova chiesa, alla quale assistevano circa cinquanta Vescovi e tutti i Prelati francesi e stranieri che si trovavano a Marsiglia. Nel secondo giorno si fece la solenne processione del trasporto della statua della Madonna dalla cattedrale di S. Martino al santuario. Descrivere l’effetto meraviglioso, che quella interminabile fila di sacre coppie ascendenti la collina, faceva su quanti da vicino e da lontano guardavano, non è possibile. Sembrava che la Regina degli Angeli si avviasse maestosamente a quella vetta per ispiccare il volo tra le armonie ed i trionfi verso le regioni del cielo.

La nuova statua della Madonna in argento, realizzata tra il 1829 e il 1834, sostituì quella mandata in fonderia durante la Rivoluzione.

Giunti sul piazzale della chiesa, i Vescovi, i Prelati, il clero, le coppie della processione vi si schierarono in bell’ordine, e cantate alcune preghiere, si diede la solenne benedizione alla città. Che momento commovente ed ammirabile! Nel pendìo della collina, per tutta la pianura, che dalle faldi si stende sino alla città, sugl’innumerevoli legni che coprivano il porto ed il mare di Marsiglia, un immenso popolo in ginocchio e con gli occhi rivolti alla vetta del santuario riceveva, versando lagrime di consolazione, la benedizione della bonne Mère. Sinanco le finestre, i balconi e le terrazze delle case e dei palazzi di Marsiglia erano gremiti di devota gente con gli sguardi fissi alla sacra funzione, che su quella sacra vetta si compiva.

Ricordo ancora che, partendo la processione dalla cattedrale, il cielo si coprì di nuvoloni sì densi e neri, che sembrava dovesse scaricarsi da un momento all’altro una dirottissima pioggia. Tutto il popolo guardava in alto con trepidazione; poichè, anche un breve acquazzone avrebbe disor- /18/ dinato la festa, e danneggiato i sontuosi apparati sparsi per la città e per la collina. Tutti però, volgendo uno sguardo alla statua della Madonna, con confidenza ripetevano: — No, la nostra buona Madre non permetterà che sieno disturbati i devoti ossequj de’ suoi figli. — Una loggia di massoni, cui quelle solennità erano un pruno negli occhi, gongolava nel vedere che il tempo avrebbe mandato in fumo ciò che alla setta non era riuscito d’impedire, e cominciava a ridere sulla potenza della bonne Mère. Ma i poveretti restarono delusi e scornati. Per tutto il giorno quell’ammasso di nubi servì qual padiglione a riparare la moltitudine dai raggi del sole; e la sera, finiti i fuochi, quando il popolo stava per darsi a baldorie (non sempre moderate e lecite, come nelle grandi feste suole accadere) una dirotta pioggia costrinse tutti a ritirarsi alle proprie case.

Il terzo giorno finalmente fu dedicato alle solenni funzioni, che si dovevano celebrare nella nuova chiesa del santuario; e tutto riuscì splendido e degno della gran Madre di Dio. Dopo le funzioni del mattino i Vescovi intervenuti alla festa, e le altre persone ragguardevoli particolarmente invitate, sedettero a lauto banchetto, offerto loro dalla Magistratura della città.