/23/

3.
Tedla-Gualu. Arrivo di P. Felicissimo.
Eccidio degli Zellan. Timore del Vaiuolo.

il nuovo conquistatore ritorna in Gogiam padrone assoluto del paese;
parte senza lasciare un’armata;
Il nuovo Ras Kassa ritornò in Gogiam colla sua preda, e col ricco bottino che portava con se [ritornò con] uno dei predatori famosi dell’abissinia [e] con tutti i suoi valorosi soldati. Ras Kassa ritornò in Gogiam [da] vero padrone del paese, avendo disfatto i due pretendenti; ma siccome egli non aveva ancora finito le sue conquiste, non volendo diminuire il suo formidabile esercito per lasciarci un sufficiente presidio, dati ordini provisorli per il mantenimento dell’ordine, e per assicurare i tributi, lasciò il Gogiam naturalmente fortificato dal Nilo, per non possederlo mai più, per quanti sforzi abbia in seguito fatto.

principii di Tedla Gualu. Lascio qui il vincitore Ras Kassà, perché sarà indispensabile ritornare a lui in questa mia storia, e prima di continuare la storia del Gudrù, [e] parlo brevemente di Tedla Gualù, il quale ci servì di barriera e di scudo per più di dieci anni in seguito.

Due erano le linee [dei] precedenti padroni del Gogiam, una era quella di Degiace Gosciò ucciso, e di Berrù preso prigioniere. Berrù non lasciava figli, Gosciò suo Padre lasciava Tessamà, il quale si mise al servizio del nuovo conquistatore; questa linea però non contava che due generazioni di possesso usurpato; si trovava come nascosto un rampollo dell’antica [p. 1] [dell’antica] e legittima dinastia regnante nel Gogiam. Era questi Degiace Tedla figlio di Gualu cognato di Degiace Zaudiè.

conoscenza con Tedla Gualu Nel mio viaggio a Ras Aly del 1849. io ho avuto la fortuna di conoscere e di trattenermi con Degiace Tedla, il quale allora trovandosi perseguitato dai due cugini regnanti, se ne stava al servizio di Ras Aly, da cui riceveva una modica pensione, appena sufficiente per vivere. Fu allora che Tedla Gualu mi raccontò tutta la storia politica del Gogiam, e dei proprii diritti a quel principato stato usurpato al suo Padre Degiace /24/ Gualu dal suo cognato Zaudiè padre di Degiace Gosciò; storia che per causa di brevità non posso qui riprodurre. (1a)

principio di Tedla Gualu Ora, appena il nuovo Ras Kassà ebbe lasciato il Gogiam, Degiace Tedla fece un’appello al popolo gogiamese, e si trovò presto con un’armata sufficiente per mantenervi l’ordine, e far fronte a qualsiasi rivolta interna del Gogiam; il suo carattere pacifico poi lo rese ben tosto padrone di tutti i cuori nel suo paese. la forteza di Gibellà Egli, abbandonata la fortezza di Somma, situata al Sud-Est del Gogiam, si fortificò invece sulla fortezza di Gibellà, [p. 2] situata anche essa sulle sponde del Nilo al Sud Ovest del Gogiam, vicino al gran mercato di Basso, e di fronte al Gudrù, dove si trovava, e dove io aveva nuovamente stabilita la missione. Il carattere pacifico di questo principe novello, col quale già io era in conoscenza, dava un non so che di lena al nostro ministero, e la fortezza di Gibella fornita di aqua, e quasi inaccessibile, p[r]esentava una [una] certa fiducia sulla stabilità del governo novello del Gogiam (1b). Ciò posto, è ormai tempo di ritornare all’interrotta storia della missione nostra in Gudrù, ma prima debbo riferire una seconda notizia, la quale portò la costernazione a tutti i giovani conquistati venendo, i quali erano l’anima della nuova casa che si stava costruendo in Gudrù.

arrivo del p. Felicissimo in Gudrù
[mar. 1853]
narra la sua prigionia in strada
Mentre si stavano facendo le campagne di Degiace Kassà contro Degiace Gosciò e contro Abygaz Berrù inviati dal Ras, come già sopra si è riferito, il missionario nostro P. Felicissimo da Cortemilia, il quale dopo il suo ritorno dallo Scioha, e dopo la disfatta, o esilio di Tedba Mariam, era disceso a Massawah in cerca dei miei ordini, avendo colà inteso che io era entrato in Abissinia dalla parte del Sennaar, e del Dembea [p. 3] partì subito in compagnia di Abba Hajlù Michele (anti- /25/ camente Deftera Abebaju scrivano di d’Abbadie, divenuto monaco (1c) e sacerdote) da Massawah, ed arrivarono in Marzo in Gudrù, [4.12.1851-6.2.1852] dopo aver passato due mesi in catene nella casa di Abba Salama vescovo eretico, il quale, ingannato da falsa spia, l’aveva fatto legare credendo che egli fosse Monsignor Massaja, e lo mise in libertà dopo essersi acertato che non lo era.

consolazioni interrotte dal pianto L’arrivo del P. Felicissimo, e di Abba Hajlù Michele fu una vera festa per tutta la casa, ed io in particolare, sentendo tutti i detagli del suo viaggio, e le loro tribolazioni, non lasciava di ringraziare Iddio vedendomi coll’arrivo dei medesimi, arrichito di due sacerdoti di più. Ma le consolazioni dell’apostolato sono, e non devono essere complete: lascio un momento i forestieri per fare un giro nell’interno della casa, e trovo da una parte tutti i miei proseliti fatti in viaggio che stavano piangendo dirottamente; cosa è? cosa non è? domando, e mi si dice che Maquonen, il mio padron di casa d’Iffagh, padre del più grande fra i cinque giovani proseliti del mio viaggio, uno dei più zelanti e fer[ven]ti giovani [p. 4] di casa, il padre suo in Iffagh, era stato ucciso dai soldati di Kassà: povero mio Padre, egli diceva, voi siete dunque morto nell’eresia, e con tutto quel capitale di mondo [ch’era] nel vostro cuore, epperciò perduto per sempre; povera mia madre! dove sarete oggi?

Era questa una grande afflizione per quel giovane, ed a lui facevano eco gli altri quattro compagni, cioè i due [nipoti] di Abba Desta, ed i due che ci seguirono dal Nilo; questo però non era per tutti quei giovani il maggior dolore: narrazione di una strage i servi del P. Felicissimo avevano portato un’altra notizia ancor più grave, per la quale io stesso ho dovuto prendere la più viva parte nel pianto con quei poveri giovani. [I soldati del]L’armata vincitrice di Kassà inseguendo alcune truppe fuggitive di Alygaz Berrù si innoltrarono al Nord-est del lago di Tsana, [apr. 1853] e gettatesi sopra una tribù di Zellan per un[a] razia, passarono a fil di spada tutti quei pastori pagani, perché cercarono di difendere le loro mandre. Benché la notizia non fosse abbastanza circostanziata, sia rapporto alla tribù stata vittima, sia riguardo alle persone che vi morirono, pure dalle circostanze del luogo, e da alcuni altri segni doveva essere la cara tribù [p. 5] di Zellan da me evangelizzata pochi mesi avanti; per me la memoria di quella prima campagna apostolica era troppo fresca, ed un’argomento il più tenero delle mie sollecitudini. Frà tutti, i giovani della casa, il solo figlio di Maquonen, già abbastanza afflitto dalla morte del suo Padre, /26/ era il solo stato presente a tutta quella tenera storia di conversioni; ma siccome serviva a lui di argomento quotidiano per incoraggire e corroborate i suoi compagni, aveva impresso nella loro immaginazioni le più circostanziate circostanze, e nei loro cuori i più sensibili tratti: guai, io diceva fra me stesso, se questi giovani sentiranno una tale notizia, e per impedirla stava già parlando con uno di quei servi venuti, ma fù troppo tardi, perché egli già l’aveva sentita in quello stesso momento, gran pianto per la supposta morte del giovane Melak. ed un grido spaventevole sortito dal più profondo del cuore del giovane di Iffagh dava il segno al più lugubre pianto di tutta la casa: oh Melak! oh caro Melak sei tu morto o vivo? come sei tu morto quando a te io debbo la vita? come sei morto senza gustare il Kurban (eucaristia) che tanto desideravi e mi facevi desiderare?

tutti i nostri giovani inconsolabili [p. 6] Io ho cercato di raffreddare quella [quella] scena di pianto con far loro osservare che le notizie venute non erano poi ancora certe, ed anche supponendo certa la storia nella sostanza, sempre ancora potevamo sperare che, almeno qualcheduno, sarà fuggito, e salvo dalla morte. Ho avuto bel dire, ma nulla ho guadagnato sul cuore di quei poveri giovani afflitti; P. Felicissimo accorso anch’egli [fece] tutto il suo possibile, ma nulla ottenne; il giovane d’Iffagh il giovane d’Iffagh, lasciato da una parte il pianto per la morte del suo padre, era divenuto come furioso per la supposta disgrazia e morte avvenuta ai proseliti della tribù dei nostri Zellan pastori.

un bel ragionamento suo in prova Che la distrutta sia proprio la tribù dei nostri proseliti, egli diceva, eccone le ragioni: i demonii antichi padroni di quella gente, sono entrati nel cuore dei soldati, e si vendicarono di loro. Che poi nessuno di quei giovani si sia salvato, ecco la mia ragione: io conosco più di lei, diceva a me, tutti quei giovani; Melak ed il suo fratello prima della loro conversione erano giovani perduti, e lasciati tutti gli interessi della casa e delle mandre non pensavano che a divertirsi non tanto colle loro schiave, quanto colle pecore e colle capre; invece, dopo la loro conversione non conoscevano più altro [p. 7] che Dio, l’interesse dell’anima loro, ed i doveri di famiglia personificati nella volontà del loro padre, e della loro madre; non solo i due fratelli, la pensavano così, ma tutti i schiavi e schiave della casa erano tutti di questo sentimento pendenti tutti dalla volontà del più giovane detto Melak. Per questa ragione all’avvicinarsi dei soldati, tutti d’accordo han dovuto battersi per salvare il loro gregge, e tutti sono rimasti vittima (1d). Allora cercando io di /27/ attaccarmi ad un piccolo appiglio per consolargli, ebbene sia, dissi, almeno le schiave saranno state risparmiate: allora egli più che mai in furia, sì, disse, fossero morte, sarebbe stato molto meglio per loro, ma sono rimaste per essere vittima del peccato, e per diventare il divertimento dei soldati, e così dannarsi eternamente.

stupori del p. Felicissimo Il P. Felicissimo al sentire tutte queste risposte così animate restò attonito, ed a me rivolto: Monsignore, disse, la mia fede vecchia e nodrita di tante grazie e sacramenti è ancora una fede bambina in facia alla fede di questi giovani, i quali contano appena alcuni mesi [p. 8] dacche sono nati a Dio, ed hanno appena gustata la divina parola, e la grazia dei sacramenti.

rispondo al p. Felicissimo Caro P. Felicissimo mio, voi siete stupito di tutte queste belle risposte or sentite, e vi assicuro che io sono più stupito di voi; voi però non conoscete ancora la storia ed il primo annello delle misericordie di Dio, dove incomminciò la catena che condusse alla mia sequela tutti questi giovani. Io mi trovava in Iffagh città di commercio e di gran movimento, dove poteva facilmente scoprirsi il mio incognito, e dovendo passar colà la stagione delle pioggie, più per allontanarmi da quel centro che per evangelizzare in un luogo, dove non avrei potuto restare, ho preso il titolo di bere un poco di latte presso i Zellan pastori mi sono congedato dagli amici, e vi sono andato con una semplice raccomandazione del mio padrone di casa Maquonen, il quale mandò lo stesso suo figlio per accompagnarmi, e gli ho raccontato tutta la storia colà arrivata, che qui mi dispenso di ripetere, perché già sta scritta a suo luogo.

prosegue il ragionamento al medesimo. Quel gettarmi per due volte frammezzo ad un postribolo di ragazzi nel momento di un cattivissimo atteggiamento e battergli, voi non dovete certamente approvarlo, [p. 9] sia per il naturale ribrezzo, di vedere ciò che [non] è neanche lecito [di] pensare; più ancora il battergli, in un paese, dove non aveva ancora abbastanza piantato le radici, per non espormi ad essere scaciato da quei selvaggi: io conosco di aver agito contro tutte le regole della prudenza, e direi quasi della gravità sacerdotale, e confesso d’aver fatto ciò contro ogni mia persuasione, spinto da una forza che io stesso non sapeva darmene conto, eppure debbo con- /28/ fessare che è di là che incomminciò un ministero di quasi un mese in cui non ebbi più un momento di riposo. (1e)

descrizione del fatto di Melak Senza di questo fatto organizzato forse dalla providenza, io nella risoluzione e sistema di contentarmi di un ministero blando di far conoscere il cristianesimo a misura che si sarebbero presentate le circostanze, attesa la mia qualità di esiliato, avrei detto sempre qualche cosa, ma forze senza frutto; invece dopo quella collisione mi sono trovato obligato, anche per diffendermi, di battere la questione a parte a quei giovani, e poi la sera a tutta quella numerosa famiglia che contava più [p. 10] di trenta persone, non contate le sessioni lontane. Se la questione, o collisione in questione fosse stata sollevata sopra un punto di legge positiva, oppure di semplice rivelazione, forze [non] avrebbe fatto nulla, oppure anche innasprito gli animi, e gli avrebbe allontanati per sempre dalla verità; trattandosi invece di un disordine toccante la legge naturale, il mio ragionamento entrava nel cuor loro come in casa sua, ed il mio zelo gli atterriva, la collera di Dio, e la pena dell’inferno erano per loro la più grande di tutte le mie minacie. Fu appunto dopo queste minacie, che [fu] vinto Melak secondo genito e disse = io fin qui sono stato un caprone, ma prometto che non lo sarò più =, e dopo di Melak prese la parola il vecchio padre, e disse = io sono vecchio, ed assicuro che [non] ho mai sentito cose simili; bisogna dire che Iddio vi ha mandato = (1f)

diversità tra il nomado ed il civilizzato. /29/ Non è che montando per questi gradini, e sopra questo piedestallo che io ho potuto stabilire la mia cattedra in tutta quella tribù di pastori pagani detti Zellan. Io diceva frà me stesso: cosa vuol dire che nei nostri paesi cristiani queste stesse minacie sortite dal- [p. 11] la bocca di predicatori zelantissimi, e sopra le stesse materie concernenti la legge naturale, ben soventi non producono lo stesso effetto? a questa mia difficoltà non trovava risposta più giusta e più semplice di quella surriferita data dal vecchio Padre di quella numerosa famiglia. Quei poveri pastori, benché corrotti in molte cose, si dovevano considerare come un terreno vergine, dove ancora non era arrivata la zappa del ministero evangelico, epperciò alla loro corruzione non avevano aggiunto il peccato di aver calpestato la parola e la grazia di Dio.

disceso l’angelo nella probatica... Così stabilito io colà, una volta i loro cuori sollevati, e disceso l’angelo nella piscina tutte le malattie sono state guaribili, ed io ho potuto istruire quella gente in tutte le specialità della fede cristiana, perché tutto era ben ricevuto.

Non voglio poi dire con ciò che l’evangelizzare i pagani ed i barbari sia sempre una cosa molto piana e facile, e tanto meno che il sistema suddetto sia l’unico raccomandabile, riconoscendo io benissimo che la storia indicata sia o possa essere una di quelle vie straordinarie con cui la divina misericordia [p. 12] suole chiamare a se certe anime che vuole salvare, oppu[re] incoraggire qualche novello e debole missionario.

modo [da usarsi] coi pagani. Rapporto ai pagani per via ordinaria la loro conversione è più o meno difficile a misura che il loro paganesimo è più o meno organizzato in forma di religione, oppure più o meno prevenuto contro il cristianesimo, per scandali del medesimo, oppure per circostanze di vicinanza, quando la religione diventa un’argomento politico, o antigenio di razza, come suole accadere. Questo argomento però è troppo vasto per aver luogo in questo corso di storia.

P. Felicissimo racconta il suo arresto. Ripiglio ora il mio corso di storia, e dico prima di tutto che l’arrivo del P. Felicissimo col P. Hajlù Michele mi ha levato una gran pena che mi rodeva il cuore. Prima ancora di arrivare in Gudrù già aveva inteso dai mercanti che questo Padre, [24.11.1851]
[4.12.1851]
partito da Massawa col suddetto, erano stati legati dal Vescovo Salama, come sopra già ho notato, epperciò il mio cuore non era tranquillo. Al suo arrivo ho inteso da lui tutta la storia: [14.2.1852] il poveretto fù sciolto per ordine di Degiace Ubiè, ma fu [p. 13] obligato di retrocedere e ritornare a Massawah. Colà giunto il valoroso missionario non si scoraggì, ma non potendo più ritornare dalla parte di Adoa e del Tigrè, strada da lui tenuta per venire a forza di maneggiarsi trovò la maniera di ripartire prenden- /30/ do il levante del Tigrè trà i confini di esso e quello dei Taltal; (1g) passò l’Enderta, arrivò a Sokota, e di là, passati gli Agau, discese verso Devra Tabor, e quindi senza perder tempo camminò verso Mota, attraversò il Gogiam, ed arrivò in Gudrù prima del cangiamento del governo, e delle guerre surriferite.

il suo arrivo fu un vero trionfo Il suo arrivo fù un vero trionfo, perché così io non era più solo, ma la missione nostra contava già tre sacerdoti, ed il P. Cesare che doveva venire a giorni da Basso, avrebbe fatto il quarto. All’arrivo del P. Felicissimo la cappella già era terminata, e due o tre altre case, o meglio capanne stavano in costruzione. L’operazione nostra, tanto nello spirituale che nel temporale camminava a vele gonfie; i giovani erano tutto zelo, sia per lavorare che per imparare.

[p. 14] Come mancavamo ancora di abitazione commoda, anche per la moralità dei giovani, sia studenti, sia puramente servi, e delle poche donne che di necessità vi erano per la farina e per il pane, le donne andavano a dormire la notte in casa di Gama-Moras. si stabilisce un orario provvisorio Si fece subito un’orario provisorio: la mattina si celebrava la S. Messa di notte, dopo la quale si faceva la preghiera publica, ed il catechismo; un’ora e mezza di scuola, dopo la quale tutti restavano liberi per i lavori materiali delle nostre case. Per questi lavori Gama Moras aveva anch’egli dato ordini alla casa sua per farci aiutare.

Assandabo luogo di gran mercato. Il luogo dove avevamo stabilita la prima casa in Gudrù si chiama Assandabo, luogo di gran mercato, dove correvano da tutte le parti dei paesi Galla del Sud i mercanti colle loro mercanzie d’asportazione, e venivano da Basso altri mercanti per il cangio con altri oggetti venuti dal mare, come rame rotto, verroterie di Venezia, tele nere, filo rosso, ed alcune telerie di smercio nel paese.

timore del vaïvolo. La mia casa era già abbastanza numerosa di giovani, di schiavi, ed anche di schiave attempate [p. 15] per il servizio della casa; un gran pensiero perciò mi occupava, ed era il timore del vajvuolo in casa, cosa molto da temersi per l’affluenza dei forestieri, e cosa che spaventa frà quei poveri barbari, i quali temono molto il vajvuolo, e sogliono condannare la casa attaccata ad un’isolamento orribile, massime per perso- /31/ ne straniere; io perciò mi sono determinato di vaccinare tutti quegli indigeni. (1h)

Io aveva portato da Roma una quantità di vaccina; un’altra quantità me ne diede Clot Bey in Egitto; il Dottore Pené medico in capo del Sennar me ne somministrò della più fresca recentemente venutagli. ho vaccinato la mia casa e non prese. Senza nulla dire cosa fosse per non dar motivo a prevenzioni e sospetti frà gli indigeni, ho incomminciato a vaccinarne tre dei più affezionati e meno timidi, ma tutto fù inutile, perché [l’inoculazione] non diede il menomo segnale di vita. Dopo altri 10. giorni ne ho vaccinato altri tre, ma fu vana pure la mia operazione, e dopo altri dieci giorni ho voluto tentare anco[ra] una terza [p. 16] inutilmente, perché nulla ho ottenuto. Non so ancora a cosa attribuire questa paralisìa della vaccina, se al calore della strada venendo, oppure al troppo tempo che vi vuole per arrivarvi, fatto sta che io ho perduto ogni speranza sulla vaccina venutami dall’Europa.

ho cercato la vaccina delle vacche, e non la trovai. Ho voluto tentare ancora un’altra operazione: sono andato a passare qualche tempo nella casa di un gran ricco del Gudrù per nome Negus-Sciumi, persona conosciuta dall’Ill.mo Commendatore Antoine d’Abbadie, il quale passò qualche mese in casa sua nel suo ritorno dall’Ennerea; questo ricco Galla possedevi milliaja di vacche; ho passato una piena giornata a cercare la vaccina, guidato da certe cognizioni imperfette avute in Europa, ma debbo confessare che anche qui non sono stato fortunato, perché ho messo alla prova quel tanto che mi parve vaccina [e] nulla ha prodotto.

La questione della vaccina in tutti quei alti piani dell’Etiopia è ancora una questione non abbastanza osservata. Non mi risulta che altri europei fra i molti da me conosciuti abbiano vaccinato ed ottenuto un ri- [p. 17] sultato colla vaccina d’Europa. sforzi di Piquignol per trovarla alcuni francesi, fra gli altri, un certo Leone Piquignol aveva creduto un momento di aver trovato la vaccina indigena in Scioha nel 1878., ma mi risulta che messa in opera non riuscì. Anche nel caso che la vaccina d’Europa potesse servire, la gran difficoltà di averla fresca costringe in prattica a rinunziarla fino a tanto che le communicazioni non saranno un poco più facili.

/32/ mi r[i]solvo d’inoculare;
anche in ciò gravi difficoltà.
In quanto a me, atteso il grave bisogno di assicurare la mia casa ho risolto subito di attaccarmi al sistema d’inoculazione, prendendo il virus dagli ammalati stessi del vajvolo. Ma anche per questo in quei paesi di grandi pregiudizii vi sono delle gravi difficoltà. In Abissinia, ed in tutti quei paesi la malattia del vajvolo è considerata come un’essere che ha del sopranaturale superstizioso, e direi piuttosto come un genio, a cui fanno sacrifizii ed oblazioni per renderlo favorevole. Per questa ragione i parenti dell’ammalato non lasciano avvicinare una persona che non conoscono; [p. 18] ma anche nel caso che lasciassero l’europeo deve essere cauto, perché in caso di morte potrebbe nascergli qualche grave difficoltà da comprometterlo, nei paesi massime dove non esiste un governo che lo assista.

Come dovrò di nuovo ritornare sopra questa materia dopo un’anno, quando la mia casa [fu] colta all’improvviso da questa malattia, [e] ho potuto allora solamente mettere in pratica il mio piano d’inoculazione; così per ora basti.


(1a) Il Gogiam in tempo dell’impero fù sempre immediatamente soggetto all’imperatore, come paese centrale, e non conosceva una dinastia particolare. Dopo che i Ras si emanciparono, anche il Gogiam si ribellò al Ras, come molti altri paesi. Fu allora che incomminciò una dinastia, la quale fù sempre in guerra col governo centrale del Ras. Aveva scritto un poco di storia di quel paese, ma fù perduta in Kafa nel 1861. [Torna al testo ]

(1b) La fortezza di Givellà si può dire che communica con un’altra fortezza chiamata Mottarà circa un kilometro al Nord, col mezzo di una bassa cresta secca quasi inacessibile. Mottarà è tutta vicina all’alto piano di Basso, ma abbastanza staccata da potersi chiamare una fortezza di secondo ordine la quale può servire di appoggio a Givellà, la quale è di primo ordine, cioè imprenabile coi mezzi indigeni. Essa si eleva ad un’altezza straordinaria quasi tutta a picco, ed accessibile dalla parte nord per una porta, alla quale si arriva sopra la cresta suddetta dai due lati tagliata a picco, con un sentiero largo mezzo metro. Essa si trova in mezzo ad un deserto, a quattro kiometri dal Nilo, visibile dal Gudrù. Il suo alto piano non conta un kilometro di circolo. E sufficiente per qualche centinaio di persone. Un cannone di Egibié arriverebbe alla fortezza. [Torna al testo ]

(1c) Monsignor Dejacobis in Massawah a mia istanza aveva ordinato sacerdote questo giovane Abebaju in tempo del mio viaggio in Europa nel 1850. [Torna al testo ]

(1d) La notizia di quella strage fu poi in seguito confermata da alcuni soldati del fu Degiace /27/ Gosciò fugiti dopo la disfatta del loro padrone, e ritornati in Goggiam loro patria. Ma siccome questi non avevano precedenti conoscenze di quella tribù, nulla di circostanziato poté arrivare sino al Gudrù. Alcuni anni più tardi si sentirono alcuni detagli da schiave state fatte in quella catastrofe, e venute in Goggiam coi loro padroni; ma furono semplici parole passate nel volgo, ma poco o nulla di positivo si poté raccogliere. [Torna al testo ]

(1e) Chi avrebbe potuto raccogliere detagli di questa storia sarebbe [stato] il nostro Padre Giusto da Betlemme [dove risiedeva], ma i torbidi della guerra in quella circostanza bastarono per conturbarlo, obligato di pensare anche per se. [26-30.4.1855] Più tardi egli stesso obligato a lasciare il paese dal Vescovo eretico Salama, e ripararsi in Roma gli divenne come impossibile. Ritornato poscia [in missione], [† 21.9.1856] e morto in Kartum quasi all’improwiso [assalito) da una febbre quasi fulminante, i suoi manoscritti furono mandati alla S. C. di Propaganda. Arrivato io a Roma nel 1880., ed obligato a scrivere dai miei superiori, ho calcolato sempre sopra questi manoscritti; ma chi il crederebbe? non ho avuto tempo: fatto il mio calcolo, [io] vecchio, ed infranto di forze, ho dovuto pensare a tessere una storia di 35. anni con poca speranza di vivere lungo tempo; pensai quindi meglio a scrivere lasciando anche da una parte l’esame di detti manoscritti per salvare il capitale della storia. Altrimenti non l’avrei più finita. [Torna al testo ]

(1f) Ho citato queste parole di Melak e di suo Padre, venutemi nel momento in cui scriveva, ma quante altre sentenze io non ho sentito in quel frattempo? Esse sono destinate ad essere sepolte per mancanza di tempo. Bisogna confessare che i fasti dell’apostolato sono sublimi, e ben soventi innesplicabili agli stessi apostoli stati istromenti dell’operazione divina. Io stesso ho dovuto confessare questa verità più volte nelle mie meditazioni. Se io stesso mi veggo obligato a confessare questa verità in cose accadute a me, cosa non si deve pensare della storia evangelica dei tempi apostolici? Secondo il mio poco intendimento, questa è la ragione per cui Iddio ha sepolto tanti misteri concernenti l’incarnazione del Verbo eterno, sopra Maria SS., e [i] suoi [pro]genitori, che noi ci vediamo oggi obligati a venerare. Sono tutte operazioni divine che l’uomo materiale non può tanto facilmente capire, e tanto meno maneggiare colle sue mani ingolfate di fango. [Torna al testo ]

(1g) La strada percorsa dal P. Felicissimo è una strada tutta nuova, non percorsa dai mercanti. Con una buona guida Soho egli tenne la costa fra le tribù nomadi, ed arrivò ad Alitienà, dove, presa un’altra guida, seguitò [a percorrere] le stesse tribu a levante dell’Abissinia e degli Azzabu Galla; lasciò l’Enderta all’ovest, e poté arrivare a Sokota. Credo questa poco presso la stessa strada fatta oggi 1884. dal viaggiatore Gustavo Bianchi nel suo ritorno dal Gogiam verso la costa. [Torna al testo ]

(1h) Fra gli Horro Galla nell’ovest del Gudrù, poco prima del nostro arrivo, essendo entrato il vaïvolo in una famiglia [successe questo]: di notte tempo fù appiccato il fuoco alla casa in modo che nessuno poté salvarsi. Questa notizia gettò lo spavento in tutta la casa nostra, benché in Gudrù non avesse a temersi simile barbarie, come paese di commercio, epperciò un poco più civilizzato. [Torna al testo ]