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42.
Arrivo di p. Leone. Lezione di missiologia.
Conversione di un giovane musulmano.
arrivo del p. Leone a Lagamara
[21.6.1859];
sua lettera
[ago. 1859].
Mentre si stava in Afallo fra le grandi occupazioni del ministero, mi arriva un corriere da Lagamara, era il P. Leone des Avançer cola arrivato. Ne ho ringraziato il Signore del gran regalo fatto alla missione molto bisognosa di operai apostoli. Questo Padre mi scriveva una lettera molto curiosa. Dopo tanti mesi di penosissimo viaggio, che io le racconterà poi viva voce, diceva egli, eccomi finalmente poi arrivato alla famosa missione di Lagamara. Appena arrivato qui io credeva di trovare una bella chiesa, invece ho trovato un’antro ricettacolo di serpenti e di sorci. Io intanto mi riposo un poco qui, ed aspetto gli ordini da V.[ostra] E.[ccellenza] per venire presso di Lei.
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mia risposta al p. Leone
[18.8.1859].
Come il corriere era pagato per la venuta ed il ritorno colla condizione di passare in Ennerea da Monsignore Cocino; così io ho sospeso i miei lavori apostolici per un momento, e risposi subito al P. Leone, tanto più che i forestieri fra le altre debolezze hanno per lo più ancora quella della premura, come se fra i selvagi si trovassero le strade ferrate ed i telegrafi. Caro P. Leone, risposi io, siate il benvenuto; Iddio vi tenga conto di tutte le pene sofferte venendo, ed unite a quelle che già vi aspettano qui, non fosse altro per il contatto della mia persona fatta troppo alla semplice ed alla grossa maniera, potrete essere certo di procaciarvi un vero tesoro per il cielo. In quanto alla chiesa materiale io aspettava appunto la vostra abilità ed il vostro zelo per farla; Roma ha aspettato tre secoli per averne, e quando la Roma Cristiana riempiva le catacombe, e lo spirito di Dio bolliva sotto le fondamenta dei grandi monumenti pagani, fù allora che Costantino designò le prime chiese per darne l’impulzo al mondo cristiano; noi non siamo ancora [arri] arrivati là. Vorrei bene che tutti i serpenti ed i sorci si ritirassero in chiesa e lasciassero in pace i miei poveri galla! Io sono poi impaziente di vedervi, come potete imaginarvi, ma pensando che cotesta cristianità di Lagamara, e di Gudrù da me abbandonate ad tempus, e lasciate ad un Sacer-
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dote indigeno, il quale, benché zelantissimo, è ancora novizio nel ministero, prima di venire [d]a me desidero che voi, accompagnato da Abba Joannes le vediate tutte quante,
[p. 680]
e rinfrescatele un poco col vostro fervore, verrete in Ennerea presso Monignore Cocino, dove troverete nuove istruzioni per l’avvenire vostro. Sopratutto bramerei che faciate conoscenza con Gama Moras Principe del Gudrù, ma per andarvi non mancate di lasciarvi guidare da Abba Joannes, perché sarete obligato a fare la strada che ho fatto io di Gobbo, Giarri, e Gombò, e non [passare] per quella di Nunnu, dove Plauden e Bel hanno versato sangue, e noi siamo risponsabili...
Vi abbracio nel s. crocifisso, e benedicendovi sono ecc.
il passato e l’avvenire. Scritta questa lettera, e spedito il corriere a Monsignore Cocino, io sono ritornato alla vita apostolica di Afallo; prima però di riprendere il filo del ministero, mi sia permessa qui una piccola digressione. Io ho riprodotto sopra in Roma nel 20. febbr. 1882. uno schizzo di una lettera ricevuta dal P. Leone futuro missionario di Ghera, scritta da lui nel 1859., come pure uno schizzo di [una] mia risposta al medesimo nello stesso anno, cioè 23. anni dopo; chi avrebbe pensato solamente, che [† 2.8.1879] questo stesso missionario 22. anni dopo sarebbe stato sepolto in quel luogo stesso, dove io esercitava il ministero, soggetto della storia presente, coll’assistenza di due viaggiatori italiani, spediti dalla Società geografica italiana, [† 5.10.1879] Giovanni Chiarini, morto anche egli, e sepolto nello stesso luogo qualche mese dopo, e Capitano Ciecchi, di ritorno oggi da Ghera, testimonio dello stato attuale di quella missione, che attendo a giorni in Roma... che slanci di epoche, e di fatti storici...! quanti esilii miei, quante vicende dei suddetti quì framezzo...! massime per i viagiatori. l’europeo venuto i quei paesi quasi nomadi stenta [a] farsi un’idea di quei popoli quasi barbari, idea delle loro miserie, idea delle loro passioni per poterle maneggiare e dominare. Da ciò ne avviene che certe operazioni, o non riescono, oppure riescono anche male colla perdita delle gran spese fatte, e ciò che [p. 681] più importa delle persone stesse inviate; i capi dicastero che spediscono non devono spedire in certi luoghi persone difficili, sia per motivi di scienza, sia per speculazioni politiche oppure di semplice commercio, persone senza conoscerle adattate, le quali [non] siano di un genio particolare, e di una forza morale tale da poter fare sacrifizii personali. Fra i barbari non vi è strada di mezzo, o andare colla forza che sia sufficiente per vincere, oppure andare in modo da non sollevare le passioni, oppure [i] sospetti; alcuni fucili oppure rivoltelle invece di servire alla difesa propria serviranno come istromento micidiale, o come oggetto invidiato che si vuole ad ogni costo, anche di /384/ fare o far fare certi colpi fatali, oppure per l’abuso che se ne può fare, perché ucciso, o anche solamente ferito qualcheduno avrete tutto il paese contro di voi per la legge del taglione universale in simili luoghi. L’indigeno, ancorche Re è sempre povero in facia all’europeo ricco per pretendere; ma poi nel paese suo è anche ricco per dare a chi sa presentarsi umile e povero. Bisogna conoscere bene il paese prima di entrarvi, e non si deve entrare senza essere disposto a grandi sacrifizii; chi va in mare deve essere disposto al caso di sacrificare le cose anche più care per salvare la propria vita. Ciò sia detto per i viaggiatori.
avvertimenti al missionario. Il missionario cattolico che si risolve di andare nelle missioni fra i barbari in paesi che vivono fuori del diritto delle genti, di necessità deve supporsi disposto a soffrire ogni contrarietà e miseria, e la morte stessa per Cristo, epperciò il già detto a lui costa molto meno. [p. 682] ma il missionario ha poi di soprapiù altre cose dalle quali dipende l’esito del suo divino e sublime ministero. 1. Il missionario non va fra i barbari per passarvi solamente, ma per restarvi. 2. Deve considerare il paese dove e mandato come paese suo, amarlo come patria sua, e fare per lui tutto quello che può per la via del giusto e dell’onesto. 3. Se il paese sarà buono nel suo clima e nei suoi usi ne ringrazii Iddio; se sarà cattivo lo soffra con Gesù sul calvario, disposto anche a morirvi. 4. Tutti gli abitanti devono essere considerati da lui come figli proprii; pensi a rendergli migliori nel loro cuore in ordine alla salute; se saranno cattivi od anche nemici, gli soffra, gli compatisca, e preghi per loro; pensi alle parole di Cristo: non veni vocare justos sed peccatores; dica nel suo cuore[:] se fossero buoni cristiani non avrebbero bisogno di me, ma son venuto per farli buoni; epperciò non si disgusti di loro, e gli ami sempre più a misura che ne hanno più bisogno. 5. Al missionario sarà sempre più utile la povertà di Cristo che la richezza; se il missionario abunda di mezzi [di mezzi] temporali non gli lascii conoscere, perché altrimenti sarà uno scandalo se non darà in proporzione; venendo poi il caso di non poter donare non si persuaderanno ma si irriteranno. 6. L’indigeno anche principe è sempre povero per domandare in facia all’Europeo ricco; all’opposto l’indigeno sarà sempre abbastanza ricco per dare all’europeo povero, tanto più missionario umile, e sobrio in tutto. 7. Il sistema di dare non soddisfa le passioni dell’indigeno, ma le accresce; soventi [è] anche causa delle invidie micidiali. Il barbaro ricevendo suol ricevere come un tributo, e suole inorgoglirsi invece di essere riconoscente; il solo Vangelo nobilita il cuore del uomo e lo dispone alla riconoscenza, [p. 683] ma dall’indigeno senza Cristo e senza vangelo non si può supporre altro che pretenzioni ed orgoglio; l’europeo /385/ perciò che da al potente dei paesi barbari non fa che prepararsi una piaga insanabile senza speranza di trovare compassione quando non ne avrà più. La sola prudenza potrà regolare questo bisogno, nel solo caso opportuno.
avvertimenti diretti al ministero. Fin quì gli avertitnenti toccano piuttosto il governo esteriore del missionario, ma non toccano direttamente il suo ministero divino ed apostolico, il quale ne è principale [scopo]; ed ecco perciò gli avvisi particolari a ciò diretti. 1. ciò che si è detto sopra, cioè che il missionario cattolico deve considerarsi nel paese come paese suo, ciò non si verificherà fino a tanto che non ha fatto figli proseliti della sua fede; epperciò giorno e notte il suo cuore, ed i suoi sforzi devono tendere là, e costantemente deve domandare ciò a Dio. 2. Il suo esempio e le sue parole siano l’espressione vivente della sua fede alle persone che lo avvicinano, massime giovani; ottenuto questo non sarà più solo a predicare, perché la convinzione propria diventerà subito convinzione altrui, ed il bisogno di esprimerla è già una predicazione. 3. Fino a tanto che non ha figli della sua convinzione non pensi a farsi chiesa esterna, perché la sua fatica sarebbe inutile, e la sua Chiesa sarebbe vuota; pensi prima invece a fare tempii allo Spirito Santo, cioè cuori di uomini fedeli alla sua fede; allora non sarà [p. 684] più solo per farsi una Chiesa proporzionata al numero dei suoi fedeli; altrimenti si espone ad esaurire le sue forze, e i suoi mezzi di sussistenza forze inutilmente e con pericolo di ingerire sospetti, oppure di dare di se un’idea troppo ricca fuori di tempo; fino a tanto che non ha fedeli la sua, casa sarà una cappella per la celebrazione privata. 4. Un tempio publico è un tributo di una società cristiana padrona di se, al suo Dio, non di un uomo solo o di alcuni suoi compagni di apostolato. continuazione degli avisi. 5. Certi missionarii, nati e cresciuti in paesi dove la fede regna, abituati a vedere chiese di lusso si sentono portati a far chiese prima di far cristiani; è questo un grande errore, massime fra i popoli barbari; la chiesa è fatta per i cristiani, e non questi per la Chiesa materiale. Ogni cosa ha il suo tempo, [per voler] essere troppo precoci si stancano i benefattori dei nostri paesi, si rubano i mezzi ad altre missioni più bisognose, e forze si creano passioni troppo vaste nel campo del suo apostolato. 6. Anche dopo che incommincia [a] esistere una cristianità, la Chiesa sia proporzionata alla medesima; il lusso della Chiesa [è] in proporzione del paese più o meno povero. Il sublime della Chiesa di Cristo sta appunto nel sapersi far piccola quando deve essere piccola, e grande quando deve essere tale. Gli eretici senza spirito di Cristo lasciano di celebrare se non trovano tutte le formalità di uso; la vera Chiesa di Cristo sa distinguere l’essen- /386/ ziale dall’accidentale. 7. I divini misteri sono per se abbastanza sublimi e nobili per rendere grande una Chiesa anche povera. continuazione. Cristo celebrando la prima volta [p. 685] sopra il calvario ha eclissato il sole, e noi abbiamo bisogno di illuminare le nostre chiese con quantità di lumi materiali per supplire alla nostra debole fede. Nei nostri paesi medesimi, mentre s’indebolisce la fede [lo] stancare i popoli con dei templi suntuosi superiori alle forze di un paese non è sempre buona cosa. Le formalità esterne devono moltiplicarsi a misura del bisogno, e non per ubbidire ad una moda, o per farsi un nome. Il lusso esterno del culto deve essere cercato dai popoli a misura che la loro fede cresce, e cresce con la fede la forza vitale dei medesimi; il ministro di Dio segua la corrente in ciò ma non [la] preceda, con pericolo di rendere la stessa fede odiosa. Il patrimonio principale del ministro di Dio sta nella vivacità del suo ministero, massime della parola; di qui nascono tutte le sue richezze. Indebolito il ministero, tutto s’indebolisce, e minacia di diventare un corpo senza anima. Finisce quì la mia digressione per ritornare in Afallo al mio ministero.
esame dei catecumeni. Prima di procedere al compimento dei Sacramenti da amministrare Abba Hajlù ha voluto che io assistessi ad un’esame sul catechismo imparato. Fra i giovani chi importò la palma fu Camo figliozzo di Gabriele, il quale si era prefisso d’imitarlo, come fece difatti, persino nella morte prematura; anche egli cinque anni dopo la sua conversione; tutti però sapevano bene il piccolo catechismo da poterlo anche insegnare nella loro famiglia; gli adulti sempre un poco più [p. 686] difficili, pure [ap]presero molto bene tutto il piccolo catechismo ed anche le preghiere, sopra tutto le madri di famiglia.
molti sacramenti. Essendo così abbiamo passato tre o quattro giorni amministrando battesimi, e cresime. Alla fine si è fatta una gran funzione, nella quale si benedirono ancora parecchi matrimonii, e si fecero più di cento comunioni. un matrimonio fallito. Restava ancora l’affare dell’antico prete Abba Arassabo, un vero mostro, perché aveva tutto il naso mangiato dalla sifilide, e la carie faceva gran progresso nell’osso della base. Sarebbe stato il caso di fare il matrimonio, ma si sollevarono delle grandi difficoltà. La moglie avrebbe desiderato di fare la comunione, come desiderava anche il marito, ma [di] aggiungere legami matrimoniali con una persona così ammalata di sifilide essa non acconsentiva. Avendo esaminato il vincolo naturale nel suo principio pareva anche dubbioso, perché si unirono da principio in semplice concubinato. Come il prete godeva tutta la sua libertà con altre donne, essa pure ha fatto sempre lo stesso, e non si vergognava di dire che i figli non erano figli del Prete. Per queste ra- /387/ gioni non si poté conchiudere il matrimonio, ed ho dovuto sospendere l’Eucaristia, a tutti [e] due sino ad un giudizio più completo. Si rinnovò il battesimo sub conditione, e si confessarono. I due figli però erano molto ferventi, ecco tutto.
gran funerale al giovane Gabriele
[set. 1859].
Arrivò finalmente il giorno trigesimo della morte del giovane Gabriele. I cristiani comprarono un bue, il quale venne scannato nel giorno medesimo. Tutti prepararono pane, idromele e birra nelle loro case e portarono [ogni cosa] alla Chiesa.
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I giovani prepararono il giorno avanti il catafalco sopra il sepolcro medesimo non lontano dalla cappella, catafalco fatto con tele nere abbastanza bello. Quattro candelabri con grossi ceri fatti in paese colla cera vergine del paese. I candelabri di semplice legno non lavorati, ma vestiti di tela nera, come se fossero stati candelabri preziosi vestiti. La mattina si celebrò la messa da requiem del giorno trigesimo, nella quale vi furono circa cento comunioni. Dopo io in piviale nero con mitra e pastorale, Abba Hajlù in dalmatica, e dieci chierici con cotta, e croce inalberata si fece la processione al sepolcro. Dai chierici si cantò il Libera me Domine, e si fece tutta l’assoluzione; finita la quale, io ho fatto un discorso patetico, il quale eccitò le lacrime di tutti, mossi dalla storia in gran parte dai fedeli stessi veduta, e dato un poco di sfogo alle lacrime, io con un’extra rubricam ho intonato l’in paradisum... pezzo molto simpatico agli indigeni, e che impararono molto bene, e che i chierici ripeterono due volte con un canto molto patetico; così finì [la funzione], e la processione ritornò in Chiesa. Tutto il giorno quei cristiani in lingua del paese [gridarono:], viva in eterno il nostro Santo giovane Gabriele, fa in modo che ci arriviamo ancor noi... edde nu barsise nu ghessi [= come fu maestro, così sia protettore] fu il voto dell’intiero giorno. Dopo si passò a mangiare.
Ciò fatto sono partito per Ciala, onde organizzare il mio viaggio per Kafa, e congedarmi dal Re. Abba Tabacco mi accompagnò per trattare [per trattare] gli affari dei Busassi, e per conchiudere alcune cose relativamente al terreno della Missione, di cui egli era l’esecutore dell’ordine regio. [p. 688] Appena il Re conobbe il nostro arrivo l’indomani ci fece subito chiamare e domandò [del]l’affare del terreno, il quale fù acettato, inscritto nei registri, e fatto publicare. Il Re, benché mussulmano, pure [ci] teneva molto di avere la missione per i Busassi, i quali erano i miglior soldati di Ghera, incaricati di custodire le frontiere verso Kafa. parlata del re; Fu allora che il Re mi disse queste parole = il mio Padre voleva farsi cristiano, e si consultò con Abba Dimtu, il quale si fermò quì quando andò a Kafa, ma questo prete fu egli che consigliò mio Padre a farsi mussulmano, come religione più commoda; ecco la ragione per cui io /388/ sono mussulmano con tutta la mia casa; senza di questo non vi avrei lasciato partire; oggi solamente conosco i cristiani; ma comunque fate capitale di me e della mia parola = Si presero ancora alcune intelligenze, fra le quali, gli ho domandato di lasciare venite a Kafa la guardia o Baldarabà, perché contava di farlo mio corriere per qualsiasi affare che sarebbe occorso in seguito con lui. E[l]gli acconsentì, benche dubitasse che quel ragazzo inclinasse a farsi cristiano. Così, finiti i nostri affari, partirete, disse, coi miei Lemy, i quali vi consegneranno al Re di Kafa; così dicendo ci siamo congedati. Ciò acadde la mattina di S. Gennaro, e la mattina seguente 20. Settembre siamo ritornati ad Afallo, perché l’indomani giorno di S. Matteo era il giorno in cui dovevamo prendere solenne possesso del terreno.
Nel poco tempo che mi rimaneva libero la seta stessa del nostro arrivo in Afallo ho voluto ascoltare il giovane datoci dal Re come guardia o baldarabà, e che doveva seguirmi a Kafa, perché instava dal giorno avanti per parlare con me. Sono sortito con lui a fare due passi nei contorni [p. 689] e passando vicino al sepolcro [di Gabriele] ci siamo seduti vicino al medesimo; pareva che questo giovane avesse qualche mistero [d]a dirmi, forze, dissi, [vuoi parlarmi] sul viagio di Kafa. Ebbene, figlio mio, sei tu contento di venire a Kafa con me? il Re cosa ti ha detto? prima di rispondermi s’inginocchiò, e prostratosi così pregò: oh Gabriele, per amor di Dio, [fa] che io possa dire tutto al mio Padre! e baciato il sepolcro, baciò i miei piedi, e poi con certi preamboli d’incertezza esternava molta pena per esprimersi, ma cosa hai tu da dirmi? [incalzai;] forze il Re non ti ha dato la facoltà di venire a Kafa? No no no, Padre mio, [rispose,] il Re mi ha dato tutte le facoltà, persino quella di farmi cristiano secretamente per non sollevare certe questioni coi nostri mussulmani. Dunque, caro mio, [ripresi,] cosa hai che ti fa tanta pena? ecco realizzati tutti i tuoi desiderii, figlio mio, come dunque sei in pena?
una tentazione del diavolo. Io posso esser cristiano [e] il Re non mi proibisce, [continuò il giovane,] purché la cosa sia secreta, anzi io vorrei esserlo subito, se tale è la volontà di Dio, ma posso io esserlo? ah! Padre Ella non sa che io sono un gran birbo[ne], oh se Ella sapesse chi sono io! oh se sapesse tutto ciò che ho fatto, [p. 690] se sapesse quello che ho fatto a voi stesso! se sapesse come vi ho mentito! oh quella notte! o se sapesse ciò che facio ancora tutti i giorni! come posso essere io cristiano! come posso essere io suo figlio! Qui vi è una gran tentazione del diavolo, dissi fra me, andiamo adagio. Caro mio, dissi, ciò che hai fatto a me, se avesti ben /389/ cercato di uccidermi, tu non devi dirmelo, ed io non voglio sentirlo, perché nel caso tutto sarà finito col battesimo. Del passato non parliamone, anche delle tue bugie che mi hai detto, perché tutto questo finirà col battesimo. Ma vuoi tu sinceramente essere cristiano? Deo gratias, sono sogni Sì lo voglio, e lo desidero, rispose, ma e quello che facio ancora tutti i giorni? orsù, dissi allora, questo voglio saperlo; ebbene sappia, [continuò,] oh Gabriele mio! ebbene sappia, che tutte le notti io seguito sempre a fare quello che faceva: appena sono corricato per dormire ed incommincio a riposare, eccoti venire un bel giovane, egli s’impadronisce di me, e fa di me tutto quello che vuole. Ma dimmi conosci tu questa persona? [domandai:] Sei tu inteso con lui? no, no, no, non la conosco, [rispose,] non sono inteso vuoi sapere chi è, figlio mio? dissi io, ebbene sappi che quel bel giovane è il diavolo tuo padrone, caro mio, il diavolo vuole impedire di farti cristiano, e fa tutto queste manovre quando tu dormi, non è vero? no, non è quando dormo [p. 691] ma quando sono svegliato, perché mi ricordo di tutto quello che mi ha detto e tutto quello che gli ho promesso. Dopo che ha fatto tutto quello che ha voluto di me, egli se ne va, lo cerco, e non lo trovo più; e resto desolato e piango... gli scopro il mistero Figlio mio, fatti coragio, [conclusi;] eccoti il mistero: il diavolo prima era tuo padrone, e tu facevi tutto quello che egli voleva, perché eri tutto suo, allora tu facevi queste cose non solo di notte, ma anche di giorno, perche eri al suo comando; oggi non è più così, benché non sii ancora battezzato, pure la sola risoluzione di ricevere il battesimo, di essere di Cristo e no più di Maometto, ciò ha bastato, non sei più suo; prima stava tutto il giorno nel tuo cuore, perché era come [a] casa sua; oggi non è più padrone, e non può più venire di giorno, ma viene di notte come tutti gli altri ladri, e viene mentre dormi, perché altrimenti è sicuro di essere caciato. Ma non temere, ciò che accade quando tu non sei padrone di te dormendo, questa non è opera tua, ma tutta opera del diavolo; fatti coragio e non pensarci più; anzi ti dirò che questo è buon segno.
manovre del diavolo per impedire il battesimo. Il povero giovatie non aveva ancora un’idea chiara della morale cristiana, e tanto meno delle battaglie riservate ai cristiani anche Santi per aumento di merito, epperciò stentava [a] tranquillizzarsi, e non lasciò d’instare ancora; ma intanto, mi diceva, [e] il male [p. 692] che ho fatto? io temo ancora che voi non mi abbiate capito; voi mi dite che non lo [ho] fatto che è il diavolo, ma pure io posso assicurare che l’ho fatto, perché ho provato gli stessi effetti; tranquillizzatevi, caro mio, io non dico che non siano seguiti gli stessi effetti, ma dico che non l’avete fatto colla vostra volontà; quando non vi è la volontà non vi è peccato. /390/ Ma è poi certo che quel giovane sia proprio il diavolo? [riprese il ragazzo:] egli parla anche male di voi, dice che vi conosce, e che va a trovarvi soventi. Per finire questo diverbio, allora, gli dissi, certamente che mi conosce, e se ritorna mandatelo da me, solamente siate tranquillo. Ancora una cosa [replicò]: mi ha fatto promettere di non lasciarmi battezzare, perché altrimenti non sarebbe più venuto, ed io sarei morto. Io gli ho promesso tutto, perché in quel momento io voleva che venisse sempre. Ora per liberarmi da tutte queste cose io bramerei di essere battezzato presto, meglio morire che tornare a fare queste cose; vedremo, figlio mio, [conclusi,] guarda d’istruirti e ti battezzerà presto. Si sa che questi spettri venuti nel sogno possono essere anche cose naturali, effetti di idee o passioni inveterate, ma intanto certi dialoghi che mi raccontò, come fatti con simili spettri, potevano essere anche un lavorìo dello Spirito maligno, epperciò ho raccomandato ad Abba Hajlù di terminare presto la sua istruzione per battezzarlo. Difatti Abba Hajlù avendomi assicurato che era sufficientemente istruito nella notte del dì seguente è stato battezzato, e così si tranquilizzò affatto, e mai più ebbe a soffrire simili atacchi notturni, più dell’ordinario che possono arrivate a tutti. [p. 693] Vedendo che questo giovane era molto esaltato per la paura della notte, gli ho permesso di dormire in piccolo spazio che si trovava tra il mio letto, e quello di Abba Hajlù, prevenendo questi di aver l’occhio, sopra di lui, massime dopo la mezza notte, perché prima l’avrei custodito io. Vi volle molto tempo per addormentarsi a segno che io ho avuto molto tempo per le mie preghiere. esorcismi contro il diavolo. Due volte si alzo per dirmi che temeva molto; gli ho fatto un breve esorcismo colla croce, e poco dopo m’accorsi che si addormentò. Restò tranquillo un quarto d’ora circa e poi si alza, come per andare [via], e mi alzo anche io per seguirlo, ed intanto gli facio un breve esorcismo colla mano diritta alla croce, e tenendo la sua mano colla mia sinistra; al pronunziare le prime parole dell’esorcismo si sveglia e si accorse che io lo teneva per la mano; trovandosi in piedi restò come [come] confuso. non l’ha veduto, mi disse, era là che mi chiamava, ma se ne fuggì indispettito. Benché la casa fosse abbastanza chiara, pure io [non] ho veduto nulla. Allora egli stesso si persuase che era un sogno, ma ancora l’esaltazione non era cessata, ed incomminciò a persuadersi che il demonio gli faceva questo giuoco mentre dormiva. Quando fù un poco più calmo, allora mi raccontò tutto: tutte le altre volte che venne, egli veniva sempre a me tutto nudo; oggi, perché [stò] vicino a voi non ha osato venire, e mi sono sentito come preso e costretto [ad] andare da lui, quando all’improvviso indispettito se ne fuggì; allora voi colla vostra preghiera mi avete aperto gli occhj; ancora adesso io tremo, ma pure sento ancora il /391/ bisogno di vederlo; ah Padre mio spero nel battesimo, altrimenti non posso più andare avanti. Io avrei creduto che risvegliandosi [in] questo ragazzo avrebbe cessato subito l’esaltazione, o direi forze meglio, vera passione per questo spetro, ma tutto all’opposto, egli mi ringraziava per averlo liberato, [p. 694] ma pure durò ancora un bel tratto sotto la pressione della passione suscitatagli dallo spirito maligno; il poveretto sentiva da una parte tutta la ripugnanza del male che lo minaciava, e dall’altra la passione per il medesimo. Avendolo esortato a coricarsi, egli ricusò per timore di favorire di più il prestigio non ancora estinto. gli feci fare qualche preghiera con me, e dopo un poco mi disse tutto contento che il pericolo era passato. Il poveretto non comprendeva ancor bene i limiti dell’atto morale e peccaminoso. Avendolo esortato a corricarsi, amò meglio restarsene seduto a pregare per timore che lo spettro non ritornasse. misteri in questa storia. Questo fatto fù per me stesso un vero spettacolo; questa crisi si svegliò in lui dal giorno che tagliò corto contro ogni coruttela di questo genere, e che nel suo cuore risolvette di farsi cristiano. Ho veduto in lui uno stato veramente violento da minaciarlo anche nella salute sua. Ho risolto perciò di amministargli subito il s. battesimo per tagliare ogni speranza al diavolo. Bisognava dire che il diavolo vedesse in lui una gran preda che gli fuggiva, ed un gran nemico che, si preparava contro di lui. Oltre il diavolo questo povero giovane doveva incontrare ancora una gran caterva di nemici nell’islamismo di tutti quei principati del Sud, dove era conosciuto in tutte le corti; per metterlo in sicuro, dovetti poi mandarlo in Lagamara, dove fece molto bene, e dove sgraziatamente morì prima di arrivare al Sacerdozio. Ho voluto scrivere al minuto questa storia, come molto rara, e che avrebbe potuto essere molto utile a Sacerdoti, molti dei quali passano la loro vita senza trovare fatti di questo genere. È quello il primo mussulmano convertito, e posso dirlo convertito [p. 695] per una combinazione di circostanze tutte particolari, che hanno del miracolo. In questa storia si vede, come il diavolo stesso ha messo fuori tutte le sue industrie, e [e] tutta la sua forza per impedirla [quella conversione].
presa di possesso del terreno. L’indomani all’ora assegnata dall’Abba Korò ci siamo recati sul terreno per la presa del possesso. Trovammo, là radunati molti capi di famiglia, non solo Cristiani, ma anche Galla. Abba Korò portò la parola del Re Abba Magal, e la publicazione già fatta in Ciala. Aveva già fatto avvertire tutti i proprietarii consorti di questo terreno affinché si trovassero, e facessero conoscere non solo i confini del terreno, ma i diritti di ciascheduno che potevano essere contrastati. Si fece il giro di tutto il terreno, e finito questo l’Abba Korò dichiarò che questo terreno, antica- /392/ mente di un’altro proprietario, il Re l’aveva dato alla missione rappresentata da Abba Messias. In virtù di questa donazione i frutti già in via di raccolta appartengono al primo possessore, tutti gli altri poi al nuovo padrone. Fatto questo passo Abba Tabacco nella sua qualità di mio procuratore con alcuni uomini muniti d’istromenti agricoli fecero alcune operazioni come segno di possesso. Ciò finito l’Abba Korò domandò se non vi erano riclami per parte di diritti o questioni di qualunque genere. Nessuno essendosi presentato dichiarò consummato il possesso libero da ogni aggravio. Io poi ho dichiarato Abba Tabacco mio procuratore sia per il terreno, sia ancora per le nuove costruzioni [p. 696] che si dovevano fare sopra il terreno medesimo. Così terminò l’atto, e ciascuno ritornò alla propria casa. Noi poi abbiamo passato il giorno a disporre il nostro viaggio di Kafa per l’indomani, giorno fissato per l’arrivo dei Lemy di Abba Magal, i quali dovevano accompagnarci sino a Kafa.
Per il trasporto del bagaglio il Re aveva mandato una quantità di schiavi, di asini, e di muli sino al Gogieb fiume che separa i confini di Kafa e di Ghera. Abba Tabacco doveva ricevere la consegna degli effetti, e pensare al trasporto dei medesimi sino al confine di Kafa, dove, un’impiegato spedito da quel Re doveva riceverne la consegna da lui. distribuzione delle famiglie per Ghera e Kafa. Una cosa ancora rimaneva, ed era quella di regolare il personale che doveva partire, e quello che doveva restare in Ghera. Ho lasciato in Ghera una famiglia di dieci persone. La casa di Ciala doveva restare aperta, ed il Re s’incaricava di mantenerla. Il giovane Paolo antico alievo di Padre Sturla in Aden, egli doveva restare in Ghera con Abba Fessah, quattro catechisti, due schiavi, e due schiave, in tutto dieci persone, da dividersi in due famiglie, una in Ciala, e l’altra in Afallo. Il giovane Paolo, divenuto monaco e sudiacono, fu capo dei catechisti, [p. 697] e doveva pensare al catechismo, perché Abba Fessah ancora non possedeva abbastanza la lingua; egli doveva [doveva] pensare a radunare il popolo per le preghiere, massime in giorno di festa, ed istruirlo. Abba Fessa[h] non celebrando la Messa doveva pensare agli ammalati per i Sacramenti in caso di bisogno.