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Fregio

PP. Agatangelo da Vendome e Cassiano da Nantes Miss. Capp.
Martirizzati in Gondar Abissinia nel mdcxxxviii

Capo XI.
Orrori ed errori.

Memorie Vol. 1° Cap. 10.
Dicembre 1848 - maggio 1849
Massauah e dintorni

1. Motivi e rumori di altra guerra. — 2. Fuga della popolazione a Massauah; discesa delle truppe. — 3. Consiglio presso il Governatore di Massauah. — 4. De Jacobis acconsente di essere consacrato. — 5. Pericoli di ribellione in Massauah; nostre precauzioni. — 6. Singolarità della funzione. — 7. Fuga a Dahlak — 8. Stragi in Umkùllu; danni e pericoli dell’Agente francese. — 9. Gli Abissini in Arkìko e loro fuga. — 10. Orrori dopo la guerra. — 11. Scopo e conseguenze di questa guerra. — 12. Errori della politica europea in Oriente. — 13. L’abolizione della tratta è una menzogna. — 14. Seguono gli errori, e segue la rovina dell’Abissinia. — 15. Nostro ritorno a Massauah. — 16. Monsignor De Jacobis dopo la consacrazione. — 17. Un attacco di artritide. — 18. Una cura stravagante, ma efficace.

Capolettera B

Benchè vi fosse un po’ di calma, tuttavia un uragano minacciava desolare quelle nostre allora pacifiche contrade. Ismail Effendi, quel Governatore egiziano, che mi aveva fatto atterrare la casa, era persona intraprendente, anche in cose che non erano di sua potestà; e fra gli altri passi arditi, ne aveva dato uno, che aveva offeso i dritti dell’Abissinia sulla costa. Erasi, cioè, fatto lecito di erigere due fortezze, l’una in Arkìko, e l’altra in Umkùllu, tenendovi presidio di soldati egiziani. Ciò offendeva i dritti dei Nahib, i quali in tutti i tempi erano stati riputati come dipendenti dalla sola Abissinia; ed i Turchi medesimi non avevano mai oltrepassato l’isola di Massauah, e molto meno tenuta forza militare sulla costa. Il Nahib di Arkìko, irritato da questa prepotenza, se ne richiamò con Degiace Ubiè. Intanto eravamo in principio di Dicembre del 1848, e rumori di prossima guerra cominciavansi a sentire /95/ per quelle parti; i quali rumori facevansi più certi e minacciosi per essere quel mese la stagione propria, in cui la forza militare abissina può discendere alla costa (1). Gli abitanti pertanto di quella regione erano in gran timore, e noi con essi. 23.12.1848; 3.3.1849 A.Rosso Accelerammo perciò le Ordinazioni, a fin di rimandare gli Ordinati ai loro paesi, prima che scoppiasse la guerra; dappoichè, cominciata la rottura, nessun Abissino poteva dirsi sicuro sul littorale.

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2. Crescevano ogni di più le voci di guerra, e dicevasi che le ostilità erano cominciate. Laonde, partiti gli alunni, neppur noi ci fidammo di rimanere più oltre in Umkùllu; e, lasciando di celebrare colà le feste del santo Natale (2), risolvemmo di ritirarci nell’isola di Massauah. Trasportati prima tutti gli oggetti di casa e di chiesa, partimmo pur noi; ed anche il popolo lasciò il villaggio, e si ritirò nell’isola. Solamente l’Agente Consolare rimase colà, sia per non accrescere il pubblico timore, con danno del commercio, e sia perchè egli, come amico dell’Abissinia, pensava che non sarebbe stato molestato, e nel caso avrebbe potuto far le parti di conciliatore. Ma, 3-4.1.1849 A.Rosso passate le feste del santo Natale, secondo il rito latino, l’Abissinia cominciò a moversi, ed i soldati a discendere. Quando si seppe che già erano accampati ad Ajlàt, luogo di sorgenti minerali calde (3), e che dovunque passavano, facevano man bassa di tutto e di tutti, allora anche il signor Degoutin mise in salvo la sua famiglia e qualche cosa più preziosa della casa, rimanendo tuttavia egli in Umkùllu, con la speranza sempre che gli Abissini avrebbero rispettata la bandiera francese.

Ajlàt ዓይለት ʿAylät circa 40 km a ovest di Massauah, importante mercato sulla carovaniera che dalla costa conduceva all’interno

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3. Si trovavano allora in Massauah due viaggiatori francesi, i signori Vissier ed Arnoux, di ritorno da una spedizione scientifica nell’Arabia Felice, e propriamente sulle rovine di Saaba, ed erano diretti ad Akxum, per confrontare con alcune antiche iscrizioni etiopiche, colà esistenti, i caratteri di altre iscrizioni trovate in Saaba. Il Governatore di Massauah, vedendosi alle strette, radunò a consiglio gli Europei che si trovavano nell’isola, eccetto i Greci, e ci tenne questo discorso: — Sapete, signori, /96/ che il Governatore mio predecessore eresse queste fortezze in terra ferma, senza averne avuto ordine dal Governo, ed avete visto che, con questo suo capriccio, turbò la pace tra Massauah e l’Abissinia: il che pregiudica grandemente gl’interessi di ambe le parti; poichè Massauah vive dell’Abissinia, come questa vive da Massauah (1). Ed è appunto questo il motivo, onde sono discesi i soldati abissini; soldati indisciplinati, i quali faranno molto male in questi dintorni. È certo che, se si verserà sangue dagli Abissini, questa popolazione cercherà di vendicarsi contro i cristiani, che qui si trovano; ed io non ho soldati abbastanza per custodire le fortezze, che si trovano fuori, e mantenere l’ordine nell’interno. Inoltre, l’isola è piena di gente oltre al solito; e se gli Abissini s’impadroniranno di Umkùllu e di Arkìko, noi non avremo più acqua dolce nell’isola; poichè le cisterne del Governo non potranno darne che per pochi giorni, e neppur il pane potrà bastare a lungo per tanta gente. Che fare adunque? Io son d’avviso di mandare oggi una deputazione al campo abissino con proposte di pace, e prego di assumersi questa incombenza i Monsignori Massaja e De Jacobis. Se i nemici accetteranno, noi vi guadagneremo; se no, io subito penserò a salvare gli Europei da ogni pericolo, apprestando le mie barche per condurli in Dahlak. — Per ragioni facili ad intendersi, Monsignor De Jacobis ed io non credemmo conveniente di accettare quell’ambasciata, ma riputammo più opportuno spedire Abba Emnàtu con un altro sacerdote indigeno; ed, approvata dal Governatore la proposta, partirono subito con lettere ed istruzioni. Frattanto si presero tutte le disposizioni per rifugiarci in Dahlak, nel caso di un rifiuto.

La narrazione di questa guerra tra Ubiè e gli egiziani (1846-1849) è particolarmente confusa, come in realtà era confusa la situazione all’epoca. Il governo egiziano tentava non solo di subentrare ai turchi nel possesso della Provincia turca dell’Abissinia, che di fatto si limitava alla sola Massauah; ma anche di estendere il proprio controllo sulla terraferma, ai danni degli Abissini (cioè di Ubiè) e dei nahib.
Ubiè pensava di poter contare sull’appoggio delle potenze europee, ma fu deluso; di qui il rancore verso il rappresentante consolare francese, e verso i missionari.

Abba Emnatu: sacerdote indigeno ordinato dal Massaja nel 1847, e poi da lui impiegato in diverse delicate missioni presso i potenti locali. In seguito E. si legò a P. Stella, allontanandosi dall’obbedienza cattolica; infine divenne un collaboratore di W. Munzinger. Fu poi implicato in un torbido tentativo di uccidere lo svizzero, e fu incarcerato.

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4. In mezzo a questi trambusti io mi lasciai sfuggire qualche parola di rimprovero verso Monsignor De Jacobis, per la sua ostinazione a non volersi consacrare; laddove, acconsentendo a suo tempo, egli avrebbe potuto restar tranquillo in mezzo al suo gregge, ed io sarei libero di partire per la mia Missione. Mi accorsi che queste parole lo commossero, e mostrossi dispiacente di essersi così regolato. Allora gli dissi: — Noi siamo ancora in tempo, e, se vuole, la faremo prima di partire, o pure, /97/ in Dahlak. — Ed egli mi rispose che, se i suoi cristiani non partivano tutti per Dahlak, era risoluto di restare con essi e morire in Massauah; e che perciò presceglieva di essere consacrato ivi prima di partire. Non vi era tempo a perdere; feci riportare subito il pontificale e gli altri oggetti sacri, che erano già stati riposti nella barca, e stabilii di fare la funzione la notte stessa, cioè, innanzi giorno; di modo che, prima del levar del sole, noi, in caso di bisogno, potessimo partire. Era la vigilia dell’Epifania.

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5. La risposta della deputazione non era ancora giunta, ma già dal pubblico si sapeva negativa, onde i mussulmani dell’isola erano furiosi contro i cristiani. Noi quindi per celebrare tranquillamente la funzione, avevamo bisogno di soldati, che custodissero e difendessero la nostra casa. Essa da un lato metteva sul mare, dove, armati dentro barche, stavano gli Europei, e questi mi assicuravano di non temere nulla da quella parte. La porta d’ingresso dava nella città, ed era abbastanza forte: ma faceva bisogno almeno di una dozzina di soldati per custodirla. Li domandai al Governatore, e me li promise. consacrazione di Dejacobis iniziata la sera di domenica 7.1.1849 A.Rosso Noi intanto lavorammo sino a mezzanotte per apparecchiare la cappella nella sala più grande, che metteva sul mare, e per istruire i due preti indigeni, che mi dovevano assistere, i quali non sapevano nemmeno servire la Messa latina. Era mezzanotte, ed andammo a prendere un po’ di riposo, avvertendo le guardie di chiamarci prima delle tre. Ma che riposo! Monsignor De Jacobis non fece altro in quelle due ore che pregare e piangere, io, a pensare come cavarcela in quel pericoloso trambusto. Alzatici dunque, diedi le necessarie disposizioni. Fra Pasquale, l’unico che avrebbe potuto ajutarci nel servizio della funzione, doveva attendere alla guardia della casa: ed era curioso vederlo girare di qua e di là con due pistole al fianco, e nel tempo stesso apparecchiarsi per la Comunione, e prestare attenzione alla Messa per soddisfare il precetto, giacché era il giorno dell’Epifania.

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6. Ma come, dirà il lettore, una consacrazione entro una sala, e senza altari? Ecco come. La improvvisata cappella era una stanza larga tre metri e lunga quattro. L’altar maggiore pel consacrante venne alzato con tre casse soprapposte l’una sull’altra; l’altarino del Consacrando, alla distanza di un metro, con due altre casse parimenti l’una sull’altra, e due altre casse, coperte di rosso, servivano di sedie ai due Pontefici. Quattro piccoli candelieri da tavola erano posti sull’altare maggiore, e due sull’altarino. Dopo le tre adunque si cominciò la funzione: il Consacrando teneva per lo più nelle mani il pontificale, che andava rileggendo, /98/ affinchè fossero osservate esattamente tutte le rubriche; e me lo porgeva quando io ne aveva bisogno, di modo ch’ei faceva anche da cerimoniere. Avevamo tre mitre, ma un solo pastorale; e perciò alla fine, per fare il giro benedicendo, e per l’intronizzazione, Monsignor De Jacobis, prese il mio, ed io ne restai senza.

E poichè egli non aveva croce, nè anello, trovandomene io una seconda molto semplice, ed un anello di argento con pietra falsa, gliene feci regalo: ed il sant’uomo, finchè visse, si tenne sempre preziosi quei due oggetti. L’anello poi, dopo la sua morte, passò nelle mani del suo confratello Monsignor Spaccapietra, il quale lo teneva come una reliquia; e morendo, lo consegnò al suo Segretario, affinchè lo mandasse al Superiore generale dei Lazzaristi. Ecco la pomposa consacrazione di Monsignor De Jacobis: ma per quanto fu semplice e povera, altrettanto riuscì commovente, e per noi e per gli astanti. Al sublime Prefazio io non potei trattenere le lagrime, e più di me il Consacrato. I due viaggiatori francesi, che si erano dal mare arrampicati alla finestra per vedere qualche cosa, piansero anch’essi, benchè persone non molto spirituali. Insomma la grazia dello Spirito Santo, principalmente pel Consacrato, non discese meno abbondante in quel tugurio, che nelle più sontuose basiliche, ed in mezzo allo splendore dei doppieri e degli apparati.

Consacrazione di Monsignor De Jacobis
Consacrazione di Monsignor De Jacobis.

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7. Terminata la funzione, fu subito disfatta la cappella, e legati gli oggetti, Fuga a Dahlak 8.1.1849 A.Rosso si calarono dalla finestra nella barca, dove in fine scendemmo anche noi, compresa la famiglia di Monsignor De Jacobis. Ma egli non volle venire, ed amò meglio rimanere in Massauah. Il Governatore però, per mettere in sicuro la sua persona, gli assegnò una barca, a fin di prendere il mare con i suoi cristiani al menomo pericolo. Prima di separarci prendemmo insieme il caffè sulla barca, e poi via a Dahlak. Così fini per noi quella memoranda giornata, ma ben altrimenti per gli abitanti della costa!

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8. I soldati abissini non sono nè stipendiati, nè vettovagliati dal Governo; l’unica loro retribuzione è il saccheggio in terra nemica, quando possono invaderla: anzi il maggior bottino, come di schiavi, buoi, cavalli e muli, devono dividerlo col Re. Gettati una volta sopra un povero paese tali soldati, non conoscono nè legge, nè disciplina: prima di tutto si danno a rubare, poi ammazzano chiunque si oppone, e ciò che non possono portar via, abbruciano. Ora, strage a Umkullu, assalto alla casa del Console e bandiera francese bruciata 6.1.1849 A.Rosso entrati essi quella stessa giornata in Umkùllu, fecero man bassa su tutto e su tutti. Il signor Degoutin, che ancora non conosceva il modo di guerreggiare degli Abissini, quando li vide arrivare, si ritirò in casa, sbarrò le porte, ed inalzò la bandiera /99/ francese. Ma a nulla valsero queste precauzioni: assaltarono la casa, abbruciarono la bandiera, e stavano per metter fuoco anche al fabbricato. Ma poichè la sua casa era l’unica in Umkùllu, che fosse costruita a muro, resistette, ed egli potè difendersi con i fucili; e più d’un soldato stese a terra. Ma in fine avrebbe dovuto cedere, se fortunatamente alcuni dei Capi, avendo saputo ch’egli era il rappresentante della Francia, non avessero fermato i soldati. Si capitolò, e fu scortato con i suoi due servi a Massauah. Ma la casa con tutto quello che vi era dentro andò predata od in fiamme. Essendo io stato qualche giorno prima a casa sua, computai che si ebbe un danno almeno di quindici mila lire. Le mura di mattoni restarono in piedi, ma tutto il resto con i cavalli, muli, mobili e mercanzie, fu rubato od incendiato.

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9. Dopo aver messo a ferro e fuoco Umkùllu, i soldati abissini passarono in Arkìko. Ma qui la fortezza era più solidamente costruita, e la guarnigione provvista di buoni fucili e di due cannoni, che il Governatore vi aveva mandati la notte precedente. I soldati egiziani vedendo venire gli Abissini, ed avutili a tiro, spararono contro di loro il cannone, e molti ne stesero a terra. Gli Abissini, non ancora assuefatti a quel fragore infernale, si spaventarono e fuggirono, prendendo la via di Ajlàt. Così terminò quella campagna, dopo però tre altri giorni di stragi /100/ e di rapine nei dintorni di Massauah. Se gli Abissini avessero avuto Capi intelligenti, avrebbero potuto impossessarsi anche di Massauah: ma temevano il cannone; timore però che oggi hanno deposto, e con esso anche il timore di noi Europei.

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10. I mussulmani di Massauah, come si era previsto, avevano tentato una sollevazione contro i cristiani il giorno stesso della nostra partenza: ma non avendo trovato nessuno nell’isola, perchè tutti eravamo o fuggiti o nascosti, si ritirarono. Girando però per le coste del continente, si diedero a commettere stragi ed orrori senza numero. Da per tutto si trovò poscia distruzione e vittime, trucidate nella più barbara maniera. Alcuni erano ancor vivi, altri solamente evirati (solita vendetta di quelle selvagge soldatesche). Molti di questi infelici poi guarirono mediante sollecite cure: cure però prestate, non per ispirito di carità, ma per interesse; poichè l’eunuco in Turchia è una merce preziosissima. E qui voglio notare l’errore di molti in Europa, i quali credono che questa barbarie non si pratichi più dai mussulmani. Ma donde vengono gli eunuchi dei serragli e delle grandi famiglie? Io conosco Pascià, che glieli provvedono, e so anche dove si trovano le officine di questa iniquità, ed i serbatoj di tali infelici. Non si parli adunque di incivilimento fra i mussulmani, e non si presuma di conoscere l’Oriente dopo avervi fatto una corsa, o per aver lette artificiose narrazioni di viaggiatori da romanzo: ma piuttosto si lasci parlare, e si ascolti il Missionario cattolico, che con ammirabile abnegazione ne va ad affrontare la incurabile e mostruosa barbarie, ed a consumarvi le forze e la vita!

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11. La discesa delle truppe abissine sulle coste non ebbe in quell’occasione altro scopo, che di protestare contro il Governo egiziano, il quale per la prima volta aveva avuto ardire di esercitare atti di possesso in terra ferma: laddove la Turchia sino a quel tempo non aveva avuto che un certo dominio sulla sola isola di Massauah; cedutale dall’Abissinia per amor di pace e di sicurezza dei mercanti arabi, che trafficavano sulla costa. Intanto la distruzione della casa dell’Agente Consolare, e più l’insulto alla bandiera francese, suscitò, com’era naturale, una questione politica da parte della Francia contro l’Egitto e contro l’Abissinia. Ma l’Egitto si difese col rispondere che Degoutin, vedendo Umkùllu abbandonato dai soldati egiziani, avrebbe dovuto ritirarsi con essi a Massauah, per evitare gì insulti di quelle indisciplinate soldatesche. L’Abissinia poi neppure se ne fece intesa; poichè essa non bada alle note politiche, ma, come i ragazzi, teme soltanto la sferza. E la Francia, che in quel tempo aveva legate /101/ le mani, non fece altri passi; mandò giù l’affronto e assopì la questione. Compensò in qualche maniera l’Agente Consolare; ma lo biasimò di avere esposta la bandiera ai nemici, e più tardi gli tolse l’ufficio.

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12. Se la politica europea, invece di frivoli interessi e di fanciulleschi puntigli, si fosse occupata del vero bene e del risorgimento dell’Africa, non avrebbe mai dovuto permettere alla Turchia quel possesso a danno dell’Abissinia; ma piuttosto cacciarla da tutte le coste del Mar Rosso. E così avrebbe più facilmente esteso in quelle parti l’incivilimento europeo, e chiuse le porte con più serietà alla tratta degli schiavi, intorno a cui da più anni si affatica invano. Con la stessa mira di abolire questa tratta, non sulla carta, ma sulla costa dell’Africa, ed aprire la via a più utile commercio, dovevano i nostri uomini politici pensare soprattutto all’educazione ed al miglioramento dell’Abissinia cristiana. Punto interessante questo, che fece dire e scrivere tante belle cose, ma che in concreto non si concluse nulla. Di qui dovevasi cominciare, per purgare una volta l’Oriente dell’infame commercio di carne umana, che degrada tanto chi compra, quanto chi vende (1).

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13. Ma l’abolizione della tratta degli schiavi non era in verità che un fine secondario, anzi un pretesto per coprire certi maneggi, e giustificare certe prepotenze e conquiste poco gloriose. Laonde i legni di ronda di quelle stesse Potenze, che facevano più chiasso contro la tratta, mentre oggi sequestravano una barca negriera, dimani passavano vicino ad un gran mercato di schiavi senza nulla dire: ed i rappresentanti delle medesime Potenze, residenti nei luoghi stessi del commercio, guardavano indifferenti, o fingevano di non vedere il vile traffico. E l’Abissinia non tardò ad imparare dall’Europa incivilitrice questa vergognosa tattica; poichè nei trentacinque anni che vi dimorai, vidi pubblicarsi quasi altrettante leggi e decreti contro il commercio degli schiavi; ma intanto accadeva /102/ che quei Governi, i quali oggi li promulgavano per contentare le insistenze dell’Europa, dimani si presentavano ai mercati per riscuotere i dazj sulle vendite di schiavi: anzi essi stessi vendevano quelli fatti per rappresaglia o bottino, o li scambiavano con altre merci.

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14. Intanto il littorale dell’Africa orientale, che mai appartenne alla Turchia, nè all’Egitto, oggi è sotto il loro dominio sino al capo Guardafui. E l’Abissinia, che si voleva incivilita e rispettata nella sua autonomia, perchè paese cristiano, è stata abbandonata alla scimitarra turca, ed al furore dei partiti, che la dilaniano e dissanguano. Ella cammina a gran passi verso la sua totale rovina, per difetto di principio vitale e di ordine sociale. Il principio vitale, che consisteva nella religione cristiana, si va sensibilmente estinguendo, per opera dell’eresia e della propaganda mussulmana: e l’ordine sociale, senza la religione, si è mutato in dispotismo brutale, che senza ritegno, distrugge e divora quelle misere popolazioni.

Il Capo Guardafui è l’estremità orientale del Corno d’Africa, in Somalia.

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15. Ritornando ora alla nostra narrazione, pare che l’uragano erasi dileguato. Le milizie abissine non possono sostenere lunghe campagne per difetto di provviste: nè grosse provviste possono fare, perchè formate in gran parte di povera gente. Nei paesi alti vivono di ruberie; ma nei paesi bassi, non essendovi seminati, non trovano di che vivere. I pochi bestiami che vi si potrebbero trovare, le popolazioni nomade li portano altrove al loro appressarsi, e quindi nulla resta da predare. Onde dopo tre giorni di dimora in Dahlak, ci venne la notizia che ogni pericolo era scomparso, coll’allontanarsi degli Abissini. La stessa barca che ci recava tal notizia, era destinata dal Governatore di riportarci nell’isola. ritorno a Massauah 12.1.1849 A.Rosso. Partiti la dimane, la sera verso le due eravamo già in Massauah, aspettati dal Governatore, e riabbracciati dai nostri con reciproca consolazione. Non dico qui l’ansietà che ciascuno si aveva, quelli di raccontare i timori, le angosce, i danni sofferti, e noi d’interrogare e di ascoltare tutto quello ch’era accaduto in quei tristi giorni. Soprattutto il signor Degoutin, pel quale eravamo partiti con tanta pena, avea molto da narrare: la sua famiglia poi, che avevamo lasciata immersa in un’estrema angoscia, qual gioja nel riabbracciare il caro sposo e padre, e versare nei nostri cuori il contento, che in quei momenti provava!

La sera verso le due già eravamo in Massawah aspettati dal Governatore stesso, e specialmente da tutti i nostri: dopo un sì grave pericolo trovarci tutti salvi ed una buona salute, lascio considerare [quale fosse] la consolazione reciproca: noi avevamo poco da raccontare, ma i rimasti, che confusione di storie...! che prorito di parlare...! per parte nostra che voglia d’interrogare e di sentire, come è andato questo? come è andato quel certo affare...!! sopratutto Degoutin, per il quale siamo partito tanto in pena, che bisogno di sfogarsi coi suoi racconti...! la sua famiglia poi che l’avevamo lasciata nella desolazione pel timore di perdere il marito, il Padre, che bisogno di versare a noi la consolazione di averlo riveduto...! Memorie Vol. 1° Cap. 10 p. 84.

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16. Appena io e Monsignor De Jacobis fummo lasciati soli, sentimmo anche noi il bisogno di parlare dei fatti nostri, e principalmente della nostra straordinaria e singolare funzione! Quanto egli era stato restio a ricevere la consacrazione, altrettanto poi era penetrato della grandezza della nuova dignità, cui Iddio lo aveva sollevato. Allora mi accorsi donde /103/ movevano le difficoltà, che prima mi faceva: poichè cominciò a metter fuori certe idee sul carattere e sui doveri del Vescovo, cui in verità io non aveva mai pensato. Oh come lo Spirito Santo abbondò con lui, mentre esternamente mancavano tante cose in quella funzione, celebrata all’apostolica! «Questo fatto, diceva allora fra me stesso, raccontato tal quale successe, forse farà ridere qualcuno: ma riderà egli per averlo compreso, o non piuttosto per non averne abbastanza penetrato lo spirito? Per me, la Chiesa cattolica è sempre sublime, sia che si assida maestosa nelle grandi basiliche, sia che si nasconda nelle oscure catacombe. S. Pietro di Roma, e la cappella provvisoria di Massauah sono la prova parlante di questa verità.»

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17. Forse per causa di tante agitazioni esterne, ed anche interne, ebbi a soffrire in quel tempo un nojosissimo incomodo. Nel mio viaggio per Aden aveva incominciato a molestarmi un certo dolore alla base della colonna vertebrale; e quantunque non m’impedisse di occuparmi dei miei affari, pure, con tanti e varj rimedj colà usati, con cessava di recarmi molestia, principalmente verso sera e nel corso della notte. Ciò mi teneva in pensiero; poichè ricordava che mio padre era stato tribolato da questa malattia per tutta la sua vita. Nell’ultimo viaggio a Dahlak, il dolore pareva che volesse mutar sede, e portarsi al ginocchio, e, verso sera, al dolore si aggiungeva un’agitazione febbrile. In Massauah non eravi medico, ma un semplice flebotomo arabo. Lo feci chiamare, e mi applicò parecchie ventose all’osso sacro, ed al ginocchio. Questo rimedio mi giovò un poco, ma non mi guarì.

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18. Allora mandai un Abissino in Tigrè a cercarmi delle mignatte, insegnandogli la maniera di prenderle e conservarle; e, per invogliarlo ad eseguire la commissione, gli promisi uno scudo per ogni cento, che me ne avesse portato. Dopo quasi due settimane ritornò con una grande quantità di quelle bestiole. Ne applicai per due giorni di seguito cinquanta al giorno nella parte dell’osso sacro, e per altri due giorni altrettante al ginocchio: e con questo rimedio il dolore sparì, nè mai più in vita mia e ritornato. In Europa si fa uso delle mignatte, ma in assai piccola quantità; e pure è un rimedio innocuo ed efficace: ed io, dopo questa esperienza, arrivai ad ordinarne (giacché toccavami fare anche il medico) sino a quattrocento in otto giorni su di una persona, e con profitto. Eccettuate certe parti del corpo, l’uomo può sostenerne anche centinaja, principalmente se di temperamento sanguigno.

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[Note a pag. 95]

(1) Le piogge nella zona torrida sogliono cadere nei mesi del nostro estate. Massauah, quantunque nella zona torrida, essendo in un luogo basso e sul mare, ha le stagioni come tra noi; quindi le piogge cominciano là in Novembre, e vi durano più o meno abbondanti sino a Febbrajo. In questo tempo i littorali, tanto dell’isola quanto dell’attiguo continente, si adornano di bella vegetazione, ed i torrenti si riempiono d’acqua. Onde i soldati, avendo bisogno di acqua e di erba per sè e per gli animali, non possono scendere alla costa che solamente in questi mesi. [Torna al testo ]

(2) Il Natale abissino cade dodici giorni dopo del Natale latino, cioè nella nostra festa dell’Epifania; poichè l’Abissinia segue ancora il calendario Giuliano. [Torna al testo ]

(3) Le acque termali di Ajlàt sgorgano circa tre leghe francesi lontane da Massauah, salendo verso il Nord; ed in questo luogo trovansi pascoli ed acqua in ogni tempo, sufficienti per i bisogni di un esercito.

Le terme di Ajlat si trovano circa tre leghe francesi al Nord di Massawah. In Ajlat si trova tutto l’anno aqua in sufficiente quantità per l’armata abissina, e si trova anche un poco di pascolo, ma non sufficiente. L’armata abissina non avrebbe potuto [spostarsi] più al Sud, perchè la montagna Taranta è troppo difficile [da scalare] per un’armata. Più verso il Nord l’alto piano si abbassa, e le strade sono più praticabili per discendere dall’alto piano dell’Amassen. Memorie vol. 1° cap. 11 n. a p. 78

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[Nota a pag. 96]

(1) Tutto quel littorale della costa orientale africana fu tenuto sempre come proprietà abissina, ed io nel 1846 giunto in Massauah, trovai esser questa l’opinione pubblica su tal questione. Solo negli ultimi anni del regno di Luigi Filippo pare che la politica abbia riconosciuto il dominio della Porta su tutto il littorale africano, da Massauah al capo Guardafui. Quindi tutti gli acquisti di quelle posizioni fatte da Europei, anteriormente a questo tempo, si considerano come validi; di fatto, il ministero francese approvò la compra della baja di Hett, fatta da due viaggiatori francesi; baja che fu poi venduta al Governo egiziano dal Viceconsole Degoutin, che ne era divenuto proprietario. Il Governo ottomano poi, se brigò tanto di possedere la costa africana orientale, fu per assicurarsi il commercio della tratta degli schiavi contro la vigilanza europea. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 101]

(1) L’Abissinia resa indipendente, civile e veramente cristiana, e costituita in regno sotto la protezione di qualche Potenza europea, sarebbe stato l’unico mezzo per arrestare i progressi dell’islamismo nel continente africano, per portare la vera civiltà nell’Africa centrale, e per abolire seriamente la tratta degli schiavi. E molti uomini eminenti pubblicarono pregevoli scritti a questo scopo. Ma le Potenze europee non poterono mai mettersi d’accordo, e non fecero mai nulla; perchè ciascuna, piuttosto che al bene dell’Abissinia, mirava all’interesse proprio. Vi andarono, or l’una or l’altra, varie misssoni politiche, largheggiarono in regali, principalmente di armi: ma quelle ritornarono senza nulla ottenere, perchè mal preparate e peggio dirette: queste non servirono che a rendere quei Capi e quei popoli più superbi, più forti e più barbari di prima. La sola Religione, protetta efficacemente dalle nostre Potenze, sarebbe atta ad educare ed incivilire quel paese: ma quali Potenze oggidì vorranno prestare la loro assistenza, come in altri tempi, all’opera della Religione? Onde l’Abissiuia, non solo non acquisterà giammai la sua indipendenza, ma corre il pericolo ci cadere interamente sotto il dominio, non del Turco, ma di qualche fanatico avventuriere del falso Profeta. [Torna al testo ]