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Gerolamo da Narni al secolo Ottavio Mautini (Narni TR 1560 - Roma 1632), padre cappuccino, predicatore, rinomato per la chiarezza e l’efficacia dell’orazione.
Capo X.
Nuovo viaggio e nuova missione.
Memorie Vol. 1° Cap. 9.
Ottobre 1848 - Marzo 1849
Mar Rosso, Aden, Massauah
Partenza per Aden — Tre giorni di agonia. — Breve fermata nella baja di Assab. — Arrivo in Aden; repubblica in Venezia; richiamo del P. Marco. — Consegna fattami della Missione di Aden. — Stato della Missione di Aden. — Provvedimenti e concorso dei cattolici. — Richiesta di soccorsi per Aden a Lione e ad amici. — 9. D. Sturla terziario francescano e mio Vicario Generale. — Ritorno a Massauah. — Venuta di Monsignor De Jacobis con Ordinandi. — Santità di Abba Tekla-Alfa! — Notizie dei miei Missionarj. — Altro assalto all’umiltà del De Jacobis.
questo 2° viaggio ad Aden va posticipato al marzo 1849 A.Rosso Vedendo fallito quest’ultimo tentativo, feci cercare una barca, che mi conducesse direttamente in Aden. Il nuovo governatore Kalìf Bey, che si dimostrava tutto amico della Missione, volle conchiudere esso il contratto del viaggio, e d’accordo col signor Degoutin ne fissò il prezzo ed il giorno della partenza, obbligando il Reis a tenere sempre la costa dell’Africa sino a Bab-el-Mandeb, e la notte ritirarsi in qualche seno; poichè essendo piccola la barca, non conveniva prendere il largo con probabile pericolo di qualche disgrazia. Giunto il giorno stabilito, accompagnato da un solo servo e dal piccolo Paolo, partii, se non erro, al principio di Luglio del 1848. La sera approdammo ad un piccolo porto di Dahlak, e vi passammo la notte, dopo aver mangiato una buona minestra di riso, ed una frittata, fatta con uovi di struzzo. Il domani il Reis levò l’ancora sul far del giorno, ed invece di tener la costa, come erasi stabilito, prese il largo: ma la giornata, grazie a Dio, si mantenne buona, e perciò non volli muovere /86/ questioni. La sera, non trovando dove gettar l’àncora, si continuò a veleggiare con vento in poppa, e la mattina ci trovammo perfettamente in alto mare, sicchè non vedevasi terra da nessuna parte. Il terzo giorno fummo ancora fortunati: ma il nostro cuore non era tranquillo con quella barca sì piccola in alto mare. La mattina del quarto giorno incominciò una calma tale, che la barca appena si moveva, e questa calma continuò tutto il giorno, e quasi tutta la notte seguente; durante la quale si sviluppò sulle acque una grande infiammazione fosforica, che ci sembrava stare in mezzo ad un lago di fuoco.
Bab-el-Mandeb باب المندب Bāb al-Mandab “Porta della lamentazione funebre”, stretto che separa il Corno d’Africa, fra Assab e il golfo di Gibuti, dallo Yemen. È largo circa 30 km, al centro si trova l’isola di Perim بريم Barīm
reis رئيس Raʾīs “capo”, in questo contesto è il padrone o comandante della nave.
2. La mattina seguente continuò la calma quasi sino a mezzogiorno; ma poi cominciò ad incresparsi il mare, e la barca a correre a vele gonfie. Noi eravamo contenti, ma, crescendo il vento, il mare divenne si agitato, che la notte non si potè dormire. Al dimani l’agitazione crebbe tanto che la povera barca faceva voli spaventevoli. Tutto il giorno e tutta la notte le onde parevano montagne, che, incontrandosi, la urtavano, la riempivano di acqua, e minacciavano d’ingojarla. Il piccolo Paolo, da due giorni travagliato dal vomito, non poteva più mangiare: ed istruito a confidare in Maria, ne stringeva la medaglia fra le mani, esclamando ad ogni colpo di vento con voce compassionevole: — O madre mia, ajutatemi. — Il giorno appresso fu ancor più terribile; le vele non servivano più, la barca era in piena balìa dei venti, ed i marinari affaccendavansi continuamente a scaricarla dell’acqua che vi entrava; e perfino il piccolo Paolo, tenendo in una mano la medaglia, con l’altra ajutava a gettare acqua servendosi di una tazza di zinco (1). Finalmente dopo tre giorni di penosa agonia, verso sera il vento si abbonì un poco, e ci potemmo servire delle vele e del timone per fare qualche passo. Dopo i grandi venti la burrasca suole ancor durare quasi un giorno, con un movimento fatuo, ma molto disgustoso; e di fatto solamente la mattina del quarto giorno cominciò a spirare un vento regolare, che ci tolse da ogni pericolo.
3. Oltre a quanto avevamo sofferto, un danno si aggiunse, che ci diede /87/ gran fastidio. L’acqua del mare, entrando nella barca, era penetrata anche nei vasi dell’acqua dolce, e ce l’avea resa salmastra. In tutti questi pericoli e trambusti io però non dissi mai parola di rimprovero ai marinari; ed il Reis, confuso per la mancata parola, e per tutto ciò che era accaduto, senza farselo dire, voltò la prora verso la costa, e la sera ci trovammo in faccia ad Assab, ed ancorammo in quella baja. Se qualcuno allora mi avesse detto che quella sterile landa, dove non eravi vestigia di umanità nè nasceva un filo di erba, sarebbe un giorno diventata colonia e piazza forte italiana, non l’avrei creduto! Scendemmo a terra, ed il mio servo Salomone (un israelita mezzo convertito) prima di tutto pensò a farmi il caflè, che ordinai si desse anche a quei della barca: ma quantunque carico, ci parve cattivo, perché fatto con l’acqua, salmastra. Dopo il caffè, una minestra di riso, una buona frittata di uovi di struzzo ed un bicchier di vino, ristorarono noi, e sollevarono l’animo dei marinari, i quali invece di regali, si aspettavano rimproveri. Questo ristoro e la stanchezza di animo e di corpo dopo tre giorni di agitazione, ci fecero dormire tranquillamente l’intiera notte. Al domani, avendo tutti bisogno di riposo, e più i marinari, anche per riparare i guasti della barca, risolvemmo di fermarci. Ci mancava l’acqua, e due dei più pratici /88/ di quella spiaggia deserta, andarono a cercarne; ed un’ora dopo tornarono portandoci dell’acqua, veramente non buona, ma migliore di quella che portavamo in barca. Con quella Salomone potè fare per tutti un caffè ed una minestra, meno disgustosi della sera precedente.
Assab
ዓሳብ
ʿAsab, città portuale dell’Eritrea, nella regione della Dancalia meridionale.
“Il 15 novembre 1869, Giuseppe Sapeto acquistò, dai sultani fratelli Ibrahim e Hassan ben Ahmad, questo territorio (lungo circa 6 km, tra il monte Ganga e il capo Lumah) per seimila talleri di Maria Teresa... 13 marzo vengono acquistate (o prese in gestione) da Berehan Dini, sultano di Raheita, anche due isole vicine (Omm el Bahar e Ras el-Raml). Per ragioni politiche venne scelto di far apparire la Società di navigazione Rubattino come acquirente e non il governo italiano. Solo nel 1882 Assab passerà ufficialmente all’Italia...” (Wikipedia)
4. La mattina seguente rimessici in viaggio con un vento favorevole, passammo lo stretto di Bal-el-Mandeb: e non trovando la sera un luogo sicuro per fermarci, si veleggiò tutta la notte, ed anche il giorno seguente. Prima di tramontare il sole eravamo già in vista di Aden, ma non entrammo in porto che a notte avanzata. Tuttavia mi riuscì di far giungere un biglietto alla Missione per avvisarla del mio arrivo; e la mattina vennero a prendermi il P. Marco e D. Sturla. Questi consegnato il bagaglio ad un cammelliere, prese con paterno affetto il piccolo Paolo sul suo giumento, ed io mi avviai coi P. Marco verso casa. Cammin facendo, questi, impaziente di darmi le sue notizie, mi raccontò che in Venezia si era gridata la Repubblica, e ch’egli aveva ottenuto la facoltà di ritornare in patria. I Gradenigo, parenti del P. Marco, veduta risorgere la loro antica forma di Governo, si aspettavano di rivedere il fasto e la potenza dei loro Dogi, e quindi forse un qualche altro Doge di loro famiglia; perciò sollecitarono il P. Marco a ritornare. Ma povera gente, non pensavano che il secolo decimonono, governato da grandi Maestri e grandi Orienti, non riguarda più (se pur li tollera) i Re, gl’Imperatori, i Duchi ed i Dogi che come servitori umilissimi dell’occulto potere delle società secrete; e ch’era un’illusione sperare il ritorno di quei primitivi tempi! Il P. Marco, vagheggiando anch’egli queste illusioni, era impaziente di partire. Realmente era stato chiamato dai suoi Superiori e dalla Sacra Congregazione di Propaganda, la quale inoltre mi scriveva che la Missione di Aden restava provvisoriamente unita al Vicariato Galla.
5. In conseguenza di queste disposizioni si venne all’inventario degli oggetti proprj della Missione, separandoli da quelli che appartenevano al P. Marco ed al suo Ordine. Ciò fatto, e ricevutane la consegna, il P. Marco si dispose a partire con un primo piroscafo inglese, che sarebbe passato. Pochi giorni dopo di fatto ne giunse uno da Bombay, diretto a Suez; e partenza di p. Marco: 2.7.1849 A.Rosso mi divisi da questo caro sacerdote, che più non rividi, e non so se ancor viva. Egli era in verità un buon Religioso, ma troppo giovane e poco esperto del mondo e dei tempi. Allora la nascente rivoluzione non isdegnava vestirsi anche da prete, per ingannare non solo i semplici, ma anche gli accorti; e molti prestavano fede alle sue astute ipocrisie. Oggi ha deposta la maschera: ma il popolo già si trova nella rete tesa dalla /89/ massoneria, e, piangendo la sua dabbenaggine, ha ormai compreso che, invece di regnare, come gli si era stato promesso, è divenuto schiavo.
6. Partito il P. Marco, incominciai a conferire seriamente col sacerdote Sturla sui provvedimenti da prendere per quella Missione, della quale egli, per disposizione della Provvidenza, era divenuto il primo e più necessario sostegno. Era una Missione nuova, come tutto allora era nuovo in Aden; quindi sprovvista di ogni cosa, ed amministrata provvisoriamente da preti di passaggio. Non aveva nè casa, nè chiesa, nè assegnamenti, tranne qualche sussidio, che largiva di quando in quando la generosità del Governatore. La Messa si celebrava in una gran capanna di paglia, ed in un’altra abitava il Missionario, col pericolo da un momento all’altro di esser preda delle fiamme. Ma ciò era poco incomodo. La colonia contava un migliajo di cattolici, ma di nazioni e di lingue così diverse, che vi sarebbe stato bisogno almeno di tre sacerdoti, per istruirli e confessarli. D. Sturla, parlando sufficientemente bene l’inglese ed il francese, bastava egli solo per la maggior parte degli uffiziali civili e militari, e dei soldati irlandesi; ma restavano i soldati indiani, per i quali sarebbe stato necessario saper parlare l’indostano ed il madrastese. Una gran parte dei servi e degli uffiziali inferiori erano portoghesi di Goa, e molti comprendevano la lingua inglese. In fine rimaneva la popolazione indigena, per la quale era necessario conoscere l’arabo. In una Babilonia simile come avrebbe potuto cavarsela un prete solo?
... In Decembre 1845. passando in Genova ho voluto baciare la mano a Sua Em. il Cardinale Taddini, allora Arcivescovo di Genova. Aspettando nell’anticamera era seduto presso di me un pretocolo piccolo e mal vestito, il quale parlava col Segretario di S. Em. di molti affari di beneficienza; come era prima di me fu chiamato, ed io restai col Segretario ad aspettare, e come questo prete mi aveva lasciato una certa idea di se, ho domandato chi era, ed egli mi disse queste parole: è Don Luigi Sturla, se vuole conoscerlo legga la vita di S. Vincenzo de Paoli, e lo chiami Sturla, non potrei farglielo conoscere diversamente. Tanto mi bastò per canonizzarlo nel mio cuore, ma come io doveva partire l’indomani per Roma, neanche ho pensato di procurarmi una conoscenza particolare di lui: chi avrebbe creduto che questo santo uomo dovesse cadermi nelle mani...! basta questo per far conoscere il regalo che Iddio aveva preparata alla missione di Aden, dove restò sette anni, divenuto[ne] l’apostolo, il Padre dei poveri, e l’idolo del governo stesso; partì pianto da tutti per ritornare in Genova a morire quasi subito venerato come un santo; quando arrivò in Aden mi sono ricordato delle parole suddette del Segretario, ed ho ringraziato i liberali che me lo mandavano. Memorie Vol. 1° cap. 9 p. 73
Ritorno di D. Sturla in Europa 1857; morte 19.4.1865 A.Rosso
7. Si stabili adunque che la predicazione ed il catechismo si facessero in lingua inglese; perché, essendo essa la lingua del Governo, chi più chi meno doveva saperne un poco. Per istruire poi in tutte le altre lingue provvisoriamente si cercarono abili catechisti di ciascuna nazione e si pensò anche di dar loro qualche retribuzione; poichè in Aden tutto si vendeva a caro prezzo. Radunammo pertanto più volte i ferventi cattolici e tenemmo parecchie conferenze, sia per eccitare il loro zelo a prestarsi nell’istruzione, sia anche per raccogliere sussidj. E bisogna confessare che tanto nell’istruzione, quanto nelle collette, quei buoni cattolici ci furono di grande ajuto. In tre mesi si raccolsero seimila lire; metà delle quali fu impiegata per i sussidj ai catechisti, e l’altra metà fu destinata a formare un capitale per la fabbrica della chiesa e della casa, che intendevamo costruire. Io in quei tre mesi amministrai molti Battesimi a bambini ed adulti, ed anche a dodici soldati indiani.
... in quei tre mesi si radunarono circa sei mille franchi... Memorie Vol. 1° cap. 9 p. 74
8. Da parte mia poi ricorso alla Propagazione di Lione 30.9.1849 A.Rosso scrissi al Consiglio della Propagazione della Fede di Lione, domandando qualche soccorso particolare per quella povera nuova /90/ Missione, e subito mi si mandarono diecimila lire. La stessa richiesta feci ad altri amici e benefattori del Piemonte e d’Italia, e potei radunarne altre diecimila. D. Sturla scrisse pure a’ suoi amici di Genova, e si ebbe generosi soccorsi. Di modo che in un anno avevamo già raccolto circa cinquantamila lire. Ciò sollevò l’animo del buon D. Luigi Sturla, il quale, anche dopo la mia partenza, prosegui con gran zelo l’opera incominciata. Io inoltre promisi a quei buoni cattolici che sarei andato in Europa, e segnatamente in Inghilterra, per trattare gl’interessi della nuova Missione, e soprattutto per domandare i mezzi di sostentamento per i Missionari, ed un soccorso per la costruzione della chiesa.
... in un’anno già contavamo circa 50. mille Franchi per la casa e per la Chiesa... Memorie Vol. 1° cap. 9 p. 74
9. Desiderando intanto quel fervente sacerdote di essere ascritto tra i nostri Terziarj, gli diedi l’abito, e più tardi ne ricevei la professione. Onde, d’or innanzi, lo chiameremo Padre Sturla; tanto più che egli non si contentò d’un semplice scapolare, secondo l’usanza generale dei Terziarj, ma volle sempre portare l’abito cappuccino, quantunque di stoffa più leggiera, a causa del gran caldo, che colà si soffre. Poscia a sua istanza scrissi alcuni regolamenti particolari per quella Missione, per lui e per altri Missionari, che più tardi vi sarebbero andati (1). Intanto, dovendo io partire, gli ottenni da Roma il titolo di Viceprefetto, e per parte mia lo nominai Vicario Generale e Procuratore per tutto ciò che, sarebbe occorso in Aden e luoghi circonvicini nel tempo della mia assenza.
“Terziario francescano è chi appartiene all’Ordine Francescano Secolare o Terz’Ordine Francescano.
I terziari francescani sono normalmente laici, e sono chiamati e si impegnano a vivere nel mondo nello spirito di San Francesco d’Assisi. Nulla vieta l’appartenenza al Terz’Ordine Francescano di presbiteri, vescovi o addirittura papi, e di fatto molti di essi appartengono o sono appartenuti a tale gruppo di spiritualità.” (Cathopedia)
10. Date queste disposizioni, ed una solenne benedizione papale a tutti i nostri cattolici, radunati in chiesa per la festa d’Ognissanti, essendo arrivato un legno dall’isola Maurizio, che andava a caricar muli in Massauah, 30.9.1848 A.Rosso m’imbarcai su di esso, per recarmi espressamente in quest’isola, con ordine da Roma di consacrare il signor De Jacobis (che sin d’ora chiameremo Monsignore). Il Capitano, non conoscendo bene il Mar Rosso, evitava per quanto poteva il viaggiare di notte, e, trovando la sera un sicuro ancoraggio, vi si fermava sino allo spuntar del giorno. Così potei osservare tutta la costa africana da Bab-el-Mandeb sino a Massauah. Ripassai per Assab, e vidi Hett, Anfida, e la bella baja di Zula. Per causa di tutte queste fermate, non arrivammo a Massauah che dopo la metà di No- /91/ vembre, e là trovai altre lettere dell’Europa e dei miei Missionari, che erano andati nei paesi dell’interno.
Hett
ዕድ
ʿƎdd città sulla costa eritrea nella regione del Mar Rosso Meridionale.
Anfida, Amfilla, piccola baia in una zona desertica ca. 200 km a sud di Massaua. Si pensò a lungo di farne un porto per il collegamento con l’interno, ma l’idea non ebbe mai attuazione. Pochi km. più a sud in età coloniale italiana fu fondata la città di Tīʿó.
Zula città e baia sulla costa eritrea, 60 km a sud-est di Massaua, presso le rovine dell’antica Adulis. Fu la base della spedizione di Napier contro Teodoro (1867-68).
Negli anni ’40 la zona fu interessata da poco fortunate spedizioni commerciali francesi. Nel 1840 il giovane ufficiale di marina Charlemagne-Théophile Lefebvre prese accordi con Ubiè per la cessione di Anfida alla Francia. Il console Degoutin comunicò che Ubiè non aveva nessun titolo sulla località, e Lefebvre venne trattato come un impostore. Quello stesso anno i mercanti Combes e Tamisier trattarono con un non meglio identificato Hassan Ali “re di Gouël” l’acquisto di Hett; anche in questo caso fu contestata la legittimità di questo contratto. In seguito i diritti su Hett furono acquistati dal console Degoutin, che li cedette poi alla Maison Pastré di Marsiglia.
In seguito, quando il governo francese decise di avere una propria base nel corno d’Africa, acquistò dai sultani di Obock e Tagiura la costa meridionale di quella baia (1862); a partire dal 1888 iniziarono a costruire, in un’area disabitata, la città di Gibuti.
11. Fra Pasquale aveva già preso possesso della nuova casa, che il Governatore aveva fatto ricostruire in Umkùllu, e vicino a quella del signor Degoutin, dove egli soleva passare la maggior parte dell’anno con tutta la famiglia. Io quindi mi recai colà, anche perché luogo più fresco, e più spazioso per ricevere gli Abissini che dovevano arrivare. E di fatto /92/ appena Monsignor De Jacobis seppe il mio ritorno, mi mandò a dire che sarebbe sceso con molti Ordinandi. E trascorsi pochi giorni, 23.10.1848 A.Rosso arrivò con una numerosa comitiva, tra cui eravi pure un Capo di monaci, che doveva ordinarsi, chiamato Abba Tekla-Alfa, il quale in Abissinia era venerato come un santo (1). Presentandomeli, mi faceva la descrizione del merito, studio e idoneità di ciascuno; e fu tutto stabilito per l’Ordinazione.
12. Nell’atto di recarmi alla cappella per l’Ordinazione, vidi una stranezza, che mi mise in sospetto sulla santità e sincerità di quel monaco convertito. Vidi cioè, i giovani Ordinandi beversi a gara l’acqua con cui Tekla-Alfa si aveva lavato le mani. Io allora, adducendo la scusa che non vi erano ostie abbastanza per comunicare tutti gli Ordinandi, secondo che era uso di farsi, rimisi l’Ordinazione pel giorno seguente. E domandai intanto al De Jacobis che significasse quella sudiceria che aveva visto. Egli allora mi disse che questa e simili stranezze in Abissinia erano effetto di eccessiva e malintesa venerazione, facile però a correggersi nei suoi allievi. Sentita questa spiegazione, non ebbi più difficoltà di ordinarli. Ma quel santone, che ancora permetteva tali atti di venerazione, non mi sembrava veramente convertito. Ed i miei dubbj pur troppo si avverarono; poichè, in una persecuzione, di cui appresso parleremo, abbandonò la fede abbracciata: anzi mi dissero che prima ancora della persecuzione, egli già se ne era allontanato. Poveretto! Vedendo che l’ufficio di prete cattolico gli fruttava meno della precedente santità monacale, cominciò a spacciare visioni e miracoli; ma non essendo creduto dai cattolici, si accostò di nuovo agli eretici, presso i quali poscia cadde in totale discredito.
13. Anche il De Jacobis mi aveva portato lettere e notizie dei miei Missionarj, mandati nell’interno. Il P. Giusto si era stabilito in Tedba-Mariàm, città con un gran monastero, situato di là del fiume Bascilò al Sud del Beghemèder, e quasi cerchiato dai Galla, poichè aveva i Borèna all’Ovest ed al Sud, e gli Uollo all’Est. — Il P. Cesare aveva fatto una corsa sino allo Scioa, donde era stato quasi subito respinto dal Governo di Sciaifù, zio di Menelik, ed obbligato a ritornare presso il P. Giusto in Tedba-Mariàm. Il P. Felicissimo, partito l’ultimo da Massauah, si era presentato a Degiace Ubiè, il quale, ricevutolo amichevolmente, lo aveva /93/ lasciato andare liberamente da Râs Aly. Avuta pure da questo Re buona accoglienza come mio inviato, dopo otto giorni era partito, ben accompagnato e con lettere di raccomandazione, per lo Scioa. Nient’altro si sapeva di lui. Anche del P. Sturla riceveva buone notizie; e ringraziai Iddio che l’una e l’altra Missione si avviavano bene.
Tedba-Mariàm
ተድባበ
ማርያም
Tädbabä Maryam monastero nel distretto
ሳይንት
Sayənt nella regione Amhara, sopra un’alta rupe difesa da fortificazioni.
La chiesa fu fondata nel 1552 dall’imperatore Claudio
ገላውዴዎስ
Gälawdewos, il vincitore di Gragn, come suo monumento funebre; quando Claudio fu ucciso dai mussulmani di Harar, che ne portarono via il capo, il resto del corpo fu sepolto a T.M.
Durante il regno dell’imperatore Sisinnio
ሱሰንዮስ
Susənyos (1607-1632) i monaci di T.M. aderirono al cattolicesimo. In seguito si tennero piuttosto lontani dalle dispute teologiche, ma rimasero legati al monastero di Debre-Libanos, il cui indirizzo viene giudicato dal M. come vicino al cattolicesimo.
L’attuale chiesa è stata riedificata nel 1917.
Beghemeder በጌምድር Bägemdər regione storica dell’Etiopia, sull’altopiano amarico, ad est del lago Tana. Città principale Gondar ጎንደር Gondär.
Bascilò በሽሎ Bäšəlo principale affluente del Nilo Azzurro.
Borèna ቦረና Boräna regione a est del Nilo Azzurro e a sud del Bascilò, abitata da un ramo separato degli Oromo Boorana. Oggi la popolazione parla in maggiornaza amarico, solo circa 20.000 persone parlano oromiffa.
Uollo am. ወሎ Wällo orom. Walloo regione storica corrispondente approssimativamente all’antica sede della regione Amhara. Nel corso del XVII-XVIII secolo vi fu una grande migrazione di Oromo Baarentuu, i quali furono fortemente influenzati dalla cultura amharica, ma si opposero al potere imperiale, assumendo in gran parte la religione islamica come propria identità culturale. Dopo l’assassinio dell’ultimo imperatore della dinastia di Gondar, ebbe inizio la cosiddetta era dei principi ዘመነ መሳፍንት zämänä mäsafənt, nel corso della quale il potere imperiale si ridusse ad una pura forma e l’Etiopia fu divisa in potentati regionali in conflitto fra di loro. Quando si ricostituì l’Impero, Teodoro e Giovanni tentarono di riprendere il controllo del U., anche ricorrendo a conversioni forzate. Menelik incorporò definitivamente il U. nella struttura dell’Impero. In seguito furono molto attive le missioni protestanti americane, inglesi e tedesche, creando scuole e formando un clero locale. Al tempo dell’occupazione italiana, i capi oromo inviarono un documento al governo britannico chiedendo aiuto per essere riconosciuti come protettorato della Società delle Nazioni; ma la richiesta non ebbe seguito.
14. Io intanto alla costa aveva molto da faticare, non solo per le Ordinazioni, ma assai più per vincere l’ostinazione del santo Prefetto, ed indurlo a ricevere la consacrazione. Non valsero ragioni, consigli e preghiere. Fermo e risoluto rispondevami con un bel no. Questa ostinazione ormai mi stancava, ed un giorno giunsi sino a mostrargli, quasi corrucciato, certe lettere di amici di Roma, i quali mi scrivevano che si mormorava di me, quasi io ricusassi di consacrarlo. — Oh! per questo, rispose con la sua amabile indifferenza, son pronto a farle tante dichiarazioni, quante ne desidera. —
— Ma io, soggiunsi, non voglio mandare a Roma dichiarazioni sul conto mio, ma notizie della sua consacrazione, giusta l’ordine avutone dai Superiori. — Fu tutto fiato sprecato!
[Nota a pag. 86]
(1) Questo fanciullo rimasto in Aden con D. Luigi Sturla, ricevette da lui la prima educazione. Ritornato poi il Missionario in Europa, Paolo fu mandato nell’interno presso altri miei Missionarj. Ordinato sacerdote, ha conservato nel ministero apostolico quello spirito e fervore, che apprese dal suo primo educatore, ed ha fatto gran bene da per tutto. Oggi è nella Missione di Ghera, ed ivi lo trovò il nostro signor Franzoj, andato a prendere il corpo dello sventurato Chiarini. Dopo il disotterramento, egli ne benedisse il cadavere, e ne fece l’attestazione dell’identità e della consegna. La quale attestazione, tradotta dall’amarico ed autenticata da Monsignor Lasserre Cappuccino, Coadiutore della Missione Galla, e poi da me, ora si conserva nell’archivio del municipio di Chieti.
Il Ghera Geera è un regno oromo nella regione del fiume Gibe, compreso fra il Caffa Käfa a sud, Gimma Ǧimma, Abbaa e Ǧifaar a est, Gomma a nord e Gumma Guummaa a nord est. Si governò a lungo secondo le modalità tradizionali, che prevedevano la presenza di capi elettivi denominati abbaa bokkuu e abbaa dulaa. Si rafforzò in seguito il potere centrale sotto l’abbaa dulaa Gonǧi e il figlio Tulluu Gonǧi, che però fu sconfitto ed ucciso da Ončo Ǧilča capo del Gumma. Nel decennio successivo il potere fu preso da un mercante mussulmano, Abbaa Rago († 1848). Sotto il figlio Abaa Magaal (1848-1868) l’islam si radicò fortemente nel paese; ma questo non impedì al re di accogliere con favore il Massaja e gli altri missionari cattolici. Dopo la morte di Abba Magaal il potere effettivo passò nelle mani della vedova Gummiti, reggente in nome del figlio minorenne, la quale invece si mostrò ostile ai cattolici ed agli europei in genere.
nel 1882 il G. fu conquistato in nome di Menelik II da ras Gobäna Dač̣i.
Su Augusto Franzoi (Franzoj) (San Germano Vercellese 1848 - San Mauro Torinese 1911) vedi Gribaudi, Pionieri...
Il recupero del corpo di Giovanni Chiarini (Chieti 1849 - Cialla, Etiopia, 1879) è narrato in Continente Nero (1885).
Sulla morte di Giovanni Chiarini vedi n. a Gribaudi, Pionieri...
Su Mons. Luigi Gonzaga (Louis-Callixte) Lasserre (Vezonce Isère 1939 - Aden 1903) vedi n. a Gribaudi, Pionieri...
[Nota a pag. 90]
(1) Aveva scritto questi regolamenti con la speranza che quella Missione col tempo si sarebbe grandemente accresciuta, tanto nel numero dei cattolici, quanto in quello dei Missionari. Ma di poi mi dovetti convincere ch’essa incontrava difficoltà insormontabili, segnatamente per causa del clima. I grandi calori non permettono agli Europei ed anche ad altri forestieri, di dimorare in Aden più di quattro o cinque anni. sicchè i Missionari, appena imparate le lingue, estenuati di forze, son costretti a partire. Onde i soldati non vi si lasciano che due o tre anni, gli uffiziali civili un cinque e sei anni. La popolazione araba poi, che vi dimora stabilmente, essendo mussulmana fanatica, è estranea all’apostolico ministero. [Torna al testo ↑]
[Nota a pag. 92]
(1) In Abissinia quando una persona si dice santa, devesi intendere di una santità solo esteriore. Basta che uno osservi esattamente il digiuno, reciti il salterio, e faccia altre pratiche di pietà simili, per esser tenuto da quei popoli ignoranti per santo: non importa poi che il suo interno ed i suoi costumi sieno corrottissimi. La santità insomma del Fariseo. L’eretico, privo della grazia, da cui la vera santità dipende, è impossibile che l’acquisti; ma avendone bisogno, o per interessi materiali, o per aspirazioni morali, se ne forma una a suo capriccio, e che ben si affa alle sue passioni; e così illude gli altri e sè stesso. [Torna al testo ↑]