/188/
Capo XVIII.
Per la Francia e l’Inghilterra.
Memorie Vol. 1° Cap. 19.
Ottobre 1850 - Marzo 1851
Parigi, Londra, Lione, Marsiglia
1. Partenza per la Francia; raccomandazioni e conoscenze a Lione e Parigi. — 2. L’affare di Hodeida al Ministero francese. — 3. Domanda d’informazioni per iscritto. — 4. Accettazione generale di quell’opuscolo. — 5. Partenza per Londra con finto nome. — 6. Visita al Cardinal Wisemam. — 7. Visita all’Ambasciatore francese. — 8. Come ricevuto e trattato dal Ministero inglese. — 9. Accoglienza e favori. — 10. Soccorsi spediti al P. Sturla. — 11. Mie impressioni su Londra. — 12. Partenza per Parigi; l’affare del Viceconsole Degoutin. — 13. Difesa del signor Degoutin. — 14. Degoutin è giustificato, ma non reintegrato; successione di Viceconsoli. — 15. Fra Pasquale parte per Aden. — 16. Notizie di persecuzioni contro i miei Missionarj. — 17. Partenza per Lione; una tentazione importuna. — 18. Accordi col P. Lorenzo da Aosta; sussidj della Propagazione della Fede. — 19. Lettera sconsolante del P. Cesare. — 20. Sospesa ogni risoluzione, parto per Marsiglia. — 21. Dieci giorni di rigoroso ritiro. — 22. Consiglio e risoluzione. — 23. Lettere di commiato ed ordini al mio Segretario.
Quando furono sbrigate in Roma le faccende che più m’importavano, preso commiato dal Santo Padre, dal Cardinal Franzoni e dai miei confratelli ed amici,
Partenza per la Francia: 22.10.1850;
a Lione: 19.11.1850;
a Parigi: 26.11.1850 A.Rosso
partii per Marsiglia, e poi per Lione. Quivi presso il Consiglio Centrale della Propagazione della Fede perorai la causa della Missione di Aden, facendo notare che conveniva darle un soccorso, separato da quello della Missione Galla; poichè col tempo avrebbe potuto darsi il caso di una divisione. E le mie preghiere ed osservazioni furono bene accolte. Feci anche noto al Consiglio che io aveva lasciato in Aden il P. Luigi Sturla nella doppia qualità di mio Vicario Generale per la costa, e di mio procuratore per l’interno della Missione Galla; quindi riconoscessero come miei, i ricorsi ch’egli avrebbe mandati. Passai poscia a Parigi, e le stesse raccomandazioni presentai a quel Con-
/189/
siglio della Propagazione della Fede. Non essendovi allora in quella città convento di Cappuccini, presi stanza presso i Fratelli di S. Giovanni di Dio, nel loro grande ospedale di strada Audinot, i quali per tre settimane mi trattarono con ogni sorta di gentilezze. Il marchese d’Herculais, che aveva riveduto a Lione, mi aveva dato lettere di raccomandazione per Parigi, e fra le altre, una diretta al Barone d’Havelt; laonde, giunto in quella città ed andatolo a trovare, mi accolse con segni si particolari di benevolenza, che non potei dimenticarli giammai. In casa di questo Signore conobbi Monsignor Valerga, Patriarca di Gerusalemme, e si strinse subito fra noi la più sincera amicizia. Dovendo trattare insieme alcuni affari, rispetto alle nostre Missioni, il Barone d’Havelt ci faceva da guida e da procuratore, e così risparmiammo molte spese. Visitammo parecchie persone, addette a diversi ministeri, e lo stesso Presidente della Republica Luigi Napoleone.
2. Ho già raccontato al capo IX come, passando nel 1847 da Hodeida, fui pregato dal rappresentante del grande Scerif di scrivere al Governo francese, per implorare la sua protezione contro la Sublime Porta, che voleva impadronirsi del Jemen. E poichè erano già passati tre anni da quel fatto, non mi aspettava di essere interrogato su di esso. Invece, a Parigi mi si fecero molte domande, non solo dal Presidente della Republica, e dai Ministri delle cose straniere e della Marina, ma anche da molti Deputati, che si occupavano delle cose d’Oriente. Quest’affare mi diede tanta importanza a Parigi, che fui avvicinato premurosamente da molti scienziati ed uomini politici, ed invitato a varie adunanze, ed anche a pranzi di persone ragguardevoli. Naturalmente in quelle conversazioni dovetti esporre molti miei concetti intorno alle questioni d’Oriente, e molte altre notizie, die aveva intese nei paesi della costa, tanto dalla parte dell’Arabia, quanto dell’Africa Orientale: ed i miei discorsi non lasciarono di fare una grande impressione.
3. Un giorno venne da me il signor Faugère, capo del gabinetto per gli affari d’Oriente, ed a nome del generale Lahite, Ministro delle cose straniere e Presidente del Ministero, mi disse che il detto Ministro desiderava parlarmi. Vi andai accompagnato da lui medesimo; ed il Ministro, dopo una lunga conversazione, mi esternò il desiderio che io mettessi in iscritto quelle cose, che avrei creduto di poter giovare al Governo; notando le osservazioni, puramente politiche e particolari per la Francia, in fogli a parte, le quali sarebbero rimaste segrete presso il Ministero; ed il resto, che riguardava la politica generale, in un fascicolo separato, che /190/ il Governo avrebbe fatto stampare a sue spese. In quei giorni ed anche per l’avvenire, avendo bisogno della benevolenza e protezione di quel Governo, anche per alcuni bisogni raccomandatimi da Monsignor De Jacobis; non conveniva negargli questo favore. Scrissi dunque le osservazioni segrete pel Ministero in quinterno separato; e poscia un altro opuscolo col titolo — La propaganda mussulmana in Africa e nelle Indie. — Non avendo molta pratica dell’ortografia francese, scrissi tutto in italiano, ed il signor Faugère, tradotto l’opuscolo in francese, lo pubblicò nel Bureau du Correspondant, periodico ufficiale del Ministero. Nelle osservazioni segrete poi esposi largamente il disegno di Râs Aly, di cui ho parlato in questo stesso volume.
Jean Ernest Ducos de La Hitte...
4. Di quell’opuscolo a me ne furon date dieci copie, e dieci ne furono mandate al Ministero delle cose straniere di Londra, al quale, come dirò, le avea promesse. Da quella Metropoli mi giunsero poscia lettere di ringraziamento e di encomio senza fine: e debbo a questa fortuita introduzione i molti favori, che appresso mi ebbi dall’Inghilterra, per la costruzione della Chiesa e della casa di Aden. Altre congratulazioni mi furono fatte poscia da persone ragguardevolissime, e principalmente dal Conte di Chambord in una lettera diretta al Barone d’Havelt, e stampata con altre del medesimo Conte, a Parigi. Soprattutto poi quando 1857-1858 A.Rosso nel 1856 scoppiò la rivoluzione nelle Indie, per opera principalmente dei mussulmani, mi arrivarono lettere di encomio fin nell’interno della mia Missione; in alcune delle quali mi si dava pure del Profeta, per aver predetto quella rivoluzione. Il manoscritto originale restituitomi dal signor Faugère, lo spedii al mio Generale P. Venanzio da Torino, affinchè venisse conservato nell’archivio dell’Ordine; ma oggi, per quante ricerche ne abbia fatte, non si è potuto rinvenire.
5. Queste occupazioni ritardarono di tre settimane il mio viaggio d’Inghilterra. Finalmente pregai il Generale Lahite di 15.2.1851 A.Rosso darmi un passaporto sotto il nome di Antonio Bartorelli (cognome di famiglia da parte di mia madre). Volli prendere questa precauzione, perchè l’Inghilterra in quei giorni dava tribolazioni ai cattolici, e segnatamente ai Vescovi, per la ristabilita gerarchia ecclesiastica in quel regno. Il Ministro, col passaporto, mi diede una lettera per l’Ambasciatore francese, nella quale gli ordinava di assistermi in tutto ciò che avrei avuto bisogno, farmi accompagnare in carrozza da persona rispettabile, a spese dell’Ambasciata, e più, volle egli stesso pagarmi il viaggio per l’andata e ritorno, e mi offrì una buona somma per altre mie spese particolari.
/191/ 6. Giunto a Londra, prima di presentarmi all’Ambasciata francese, volli darmi a conoscere al Cardinal Wiseman; poichè là vi andava privatissimamente e voleva restare sconosciuto, per esser più libero, e per riuscir meglio nei miei intenti. Presa dunque una guida, mi feci condurre da lui: ma non avendo la guida ben compreso le mie parole, mi portò dall’Arcivescovo protestante di Londra. Sonato il campanello, e chiesto di parlare al Cardinale, il servo, ch’era venuto ad aprire, mi avverti gentilmente dello sbaglio. E fattomi aspettare alcuni minuti, si offrì egli stesso di condurmi dal Cardinale, con tanta gentilezza, che in verità superò la mia aspettazione. Il Cardinale mi accolse con la sua abituale affabilità, ed approvò la precauzione, di aver preso un finto nome per celare la mia qualità di Vescovo. A Londra in quei giorni il protestantesimo si dimenava contro il cattolicismo ed il Primate Arcivescovo; e servendosi di gentaglia, comprata a vil denaro, promoveva tumulti e chiassi piuttosto ridicoli. Bisogna però confessare che da questi puerili furori le persone assennate non solo si tenevano lontane, ma se ne mostravano disgustate. E di fatto, mentre la piazza urlava, la casa del Cardinale era notte e giorno affollata dai personaggi più ragguardevoli di Londra; sicchè appena qualche raro momento io poteva parlargli da solo a solo.
7. Poscia andai a far visita all’Ambasciatore francese, il quale, vedendo la lettera del Ministero, si mise in gran moto, per accogliermi il più onorevolmente che si potesse. Voleva trattenermi presso di sè, ma ricusai l’offerta, perchè non mi sentiva di fare spese, per pochi giorni, di nuovi abiti, necessarj per prender parte ai ricevimenti, che in casa sua si facevano, della prima aristocrazia inglese, e perchè voleva restare assolutamente sconosciuto. Per la stessa ragione non accettai l’ospitalità, che mi offrivano benevoli italiani residenti a Londra. Presi invece alloggio in un albergo quantunque avessi una camera riservata per me tanto nell’Ambasciata francese, quanto nell’Arcivescovado cattolico. In quei giorni inoltre, per isbrigare i miei affari, e per visitare la città, era sempre accompagnato, o dal Segretario di Sua Eminenza, o dal Cancelliere dell’Ambasciata.
8. Mercè le raccomandazioni del Cardinale e dell’Ambasciatore non tardai di mettermi in comunicazione con i due Ministri inglesi delle cose straniere e della Marina. Presidente del Ministero era Lord Palmerston, che la faceva più da Re che da Ministro; lo vidi una volta sola e per pochi minuti; ma mi assegnò un capo del dicastero per occuparsi espressamente di me. Col Ministro della Marina mi trattenni più a lungo e diverse volte. Feci nota allora la mia qualità di Vescovo, e di Vicario /192/ Apostolico dei Galla e di Aden, e manifestai in parte lo scopo, per cui era andato a Londra. Mi si fecero molte domande sull’Abissinia, dove 3.1.1848 A.Rosso poco prima avevano mandato Console il signor Walter Plauden, e vollero informazioni di lui e del signor Bell. Ascoltarono con piacere le mie relazioni intorno a Râs Aly e Degiace Ubiè: e cominciando a parlare espressamente di Aden, mi dissero che il Governo di là si lodava molto della Missione cattolica. Allora credetti giunto il momento di perorare la causa di quella Missione; e dissi che quel Missionario, non essendo ancora riconosciuto legalmente dal Governo, non si aveva una pensione fissa, quantunque sostenesse il peso di Cappellano di oltre mille soldati cattolici tra Europei ed Indiani, e quindi conveniva pensarvi. Parlai poscia della chiesa e della casa da costruirsi, di cui si aveva estremo bisogno; e soggiunsi ch’erano state raccolte delle offerte, ma non sufficienti all’uopo. Allora quei signori, mostrandosi convinti di quelle necessità, mi consigliarono di scrivere una memoria distinta, rispetto a quei bisogni, assicurandomi che a tutto si sarebbe provveduto. Non volendo presentarmi alla Regina, domandai se avrebbe accolta anch’essa una mia supplica particolare per quella Missione. Ed essi risposero che la scrivessi pure, promettendo di venire a trovarmi all’albergo con un Uffiziale della corte della Regina, il quale si sarebbe presa l’incombenza di presentarle personalmente la mia supplica.
9. Rimasti così d’accordo con quei signori, ritornai all’Ambasciata francese, e con l’ajuto del Cancelliere scrissi le memorie; sicchè venuti all’albergo, come mi avevano promesso, le trovarono pronte. E poichè essi mostravano un gran desiderio di parlare e sentir notizie dell’Oriente e dei luoghi da me visitati, dissi loro che in Parigi si stava stampando un mio opuscolo su quell’argomento, e che appena uscito alla luce, ne avrei mandato più copie al Ministero. Come di fatto poi feci. Trascorsi due giorni, mi giunse una lettera del detto Ministero, con cui mi sì faceva sapere che il Governo, accogliendo le mie memorie, aveva già assegnato alla Missione di Aden un largo sussidio; e che per questo avrebbe mandato gli ordini corrispondenti alle Autorità di Bombay, da cui Aden dipendeva. La Regina avrebbe poi mandato l’ordine al banco di Aden di darmi un suo soccorso particolare.
10. Non potendo io rimanere stabilmente in Aden, feci conoscere al Ministero ed all’Intendente della casa della Regina, che là era stato stabilito mio procuratore il Missionario Sturla, e quindi si fossero diretti a lui per ogni cosa, che si riferiva a me ed alla Missione. Indi fatto un piego di tutte quelle memorie e risposte, lo spedii al P. Sturla. Dopo /193/ qualche tempo, questi mi scrisse che da Bombay erano state fissate cento rupie al mese pel Missionario; più s’ingiungeva al Governo di Aden di tener conto di tutto ciò che avrebbe potuto bisognare alla costruzione della chiesa e della casa, ed elargire i corrispondenti soccorsi. La Regina poi mandò ordine al banco di Aden di sborsare a suo nome ventimila rupie, a mano a mano che la costruzione della chiesa andava avanzandosi.
11. Vorrei qui scrivere le impressioni, che lasciò nell’animo mio la visita che feci a quella gran Babilonia dei nostri giorni: ma ciò mi divagherebbe troppo dallo scopo di questa storia. Solo dico che, come trovai cattolica Londra in quasi tutti i suoi monumenti, così ravvisai in quel popolo una forte tendenza verso il cattolicismo, segnatamente nel ceto più ragguardevole ed istruito. — Il sangue dei martiri, dissi allora, li invita alla fede, e tre secoli di pazienza di questi fedeli figli della Chiesa ve li spingono irresistibilmente. — E non m’ingannava. Ed oggi ho fiducia che l’Inghilterra sarà destinata da Dio a consolare la Chiesa nelle grandi afflizioni, che le van procurando i suoi figli di razza latina, passati sotto il ferreo giogo della Massoneria. Confesso poi ingenuamente che lasciai Londra con sensi di ammirazione, pel carattere cortese e generoso dei suoi abitanti, e col cuore pieno di affetto per quella potente nazione.
/194/ 12. Terminato ogni mio affare, ed accomiatatomi dal Cardinal Wiseman e dall’Ambasciata francese, 18.2.1851 A.Rosso partii di sera per la Francia, con intenzione di andare la mattina a celebrar Messa nella cattedrale di Amiens, e visitare quell’insigne monumento gotico. Appagato questo desiderio, ritornai alla stazione, e con un secondo treno ripartii per Parigi, dove giunsi sul far della notte in casa di quei buoni Fratelli Ospitalieri. Un affare restavano ancora a trattare, quello cioè del Viceconsole di Massauah, signor Degoutin. Alcuni Europei, nemici, s’intende, di lui, avevano scritto al Governo contro del medesimo, addebitandogli principalmente l’insulto fatto alla bandiera francese in Umkùllu dai soldati abissini, dandola alle fiamme. Ed il Governo, prestando orecchio a quelle calunnie, invece di compensare il Degoutin delle sofferte perdite, lo aveva tolto di uffizio, e vi aveva mandato per Viceconsole un giovane senza famiglia, senza condotta, e che non aveva punto intenzione di restare in quei luoghi.
13. Mi portai poscia dal Ministro, e primieramente gli feci osservare che quel Viceconsolato, essendo stato stabilito colà ad istanza della Missione Lazzarista, per proteggere gli Europei ed anche i cristiani abissini, ben sovente rubati e venduti a Massauah dagli addetti alla tratta dei negri, sarebbe stato conveniente che il Ministero avesse preso informazioni dell’affare da quei Missionari. Ed essi, meglio di ogni altro, avrebbero potuto dire le cose come erano accadute, principalmente rispetto alla bandiera; avendo essi veduto ogni cosa, e preso parte nelle trattative di pace fra il Governo di Massauah ed il Generale delle truppe abissine Blata Quakebiè. — Degoutin inoltre, soggiunsi, ha meriti, che non conviene dimenticare. Egli fu il fondatore di quel Viceconsolato; ha esteso grandemente il commercio della costa e di Massauah con l’Europa; si è cattivata la stima di quel Governo e degli Abissini, e più ancora della Missione. Essendo inoltre ammogliato e con famiglia di virtuosa condotta, presenta a quei popoli il modello della famiglia cristiana; cosa molto importante per quei paesi, che, privi di matrimonio veramente cristiano, non conoscono e non godono i benefici frutti dell’unione domestica. —
14. Queste giustificazioni, ed altro, che, per la verità, potei dire, persuasero il Ministro, e risolvette di compensarlo almeno in parte dei danni sofferti nel saccheggio fatto dalle truppe abissine. Quanto poi a rimetterlo in uffizio, adducendo che il Governo non usava ritornare sui suoi passi, stette fermo. Ma a suo svantaggio; poichè, mandato colà, come ho detto, per Viceconsole un giovane, e questi non trovando di suo piacere il paese, un bel giorno consegnò le chiavi del Viceconsolato al signor Bisson, Ca- /195/ pitano della Granuille, nave appartenente all’Armatore Regis di Marsiglia, e se ne parti. Vi mandò poscia un Algerino, il quale avea abbracciato il cristianesimo per avere ufficj e far denaro, laddove nel cuore ed anche nei fatti era fanatico mussulmano. — Ebbene, dissi io al Ministro, voi fate di tutto per impedire la tratta dei negri; ora, come potete persuadervi che questo nuovo Viceconsole, mussulmano sino ai capelli, si possa prestare efficacemente ad impedire in Massauah la tratta de’ cristiani? Questa osservazione lo convinse, e si determinò mandarvi un Viceconsole del taglio di Degoutin. —
15. Tutto questo cambiamento di persone
Fr. Pasquale v.console 19.5.1850;
parte per Aden il 6.12.1852 A.Rosso.
lasciò il Viceconsolato di Massauah quasi tre anni senza titolare, nel qual tempo funzionava da Viceconsole il mio Fra Pasquale; il che non piacevami punto. Ma finalmente, arrivato il nuovo Viceconsole, potè svincolarsi da quell’impiccio, e partire per Aden, dove io l’aveva destinato, per dirigere la costruzione della chiesa e della casa della Missione. Egli non era un architetto; ma s’intendeva molto di queste cose; ed avendomi già presentato due disegni, rispetto a quel lavoro, li feci poscia esaminare in Europa da periti in arte, e con lievi modificazioni ne fu approvato uno, che gli rimandai con ordine di portarsi in Aden, e di cominciare su di esso i lavori.
16. Trovandomi ancora in Parigi, un giorno venne a visitarmi il Marchese Brignole Sale; uno dei più insigni uomini politici del Piemonte sotto Carlo Alberto, il quale nel 1848 erasi ritirato dalla politica, perchè la sua coscienza ed onestà non gli permettevano di seguire l’avviamento rivoluzionario dato al Governo. Io era stato in intima amicizia con lui, principalmente in Moncalieri, dove spesso veniva, mentre là si attendeva all’educazione dei figli del Re; la sua visita quindi non poteva tornarmi che graditissima e di grande consolazione. Ma questa consolazione si mutò in amarezza, quando mi diede a leggere una lettera, venutagli dall’Egitto, in cui si diceva che 23.7.1850 A.Rosso i miei Missionari P. Giusto, P. Cesare e P. Felicissimo, rimasti a Tedba-Mariàm, erano stati cacciati di là, e si trovavano in viaggio verso la costa di Massauah. Questa notizia fu per me un fulmine, che venne a sconcertare tutti i miei disegni. È vero che quella lettera era stata mandata da una persona particolare, e scritta per dare notizie da giornali: ma io, conoscendo benissimo quei luoghi e quelle persone, non sapeva aprire l’animo a nessuna speranza. Trovavami perciò in preda ad un’agitazione grandissima; poichè il ritorno alla costa dei Missionarj, era un passo retrogrado terribile per la Missione.
17. Intesa questa notizia, senza por tempo in mezzo, terminai i miei /196/ affari di Parigi, e mossi per Lione, dove restavami qualche altra cosa da fare. Ivi mi attendeva pure il P. Agostino da Alghero, già Prefetto di Mesolcina in Isvizzera, il quale in Roma mi era stato dato per Segretario, e che io aveva accettato volentieri con la mira di assegnarlo alla Missione di Aden. 23.2.1851 A.Rosso Giunto a Lione, vi trovai Monsignor Franzoni, esiliato da più anni dalla sua Arcidiocesi di Torino, il quale da più giorni mi attendeva là con impazienza. Abbracciatici, mi cominciò a discorrere dell’esilio dei miei Missionari da Tedba-Mariàm, delle difficoltà, pericoli, ed altre contrarietà, che avrei incontrato in quella Missione. Allora mi accorsi che quel suo parlare mirava a tutt’altro fine; e quando mi disse che presto doveva giungere là il Marchese Brignole, capii che tutti e due insieme volevano darmi l’ultimo assalto. Ma intorno a che? Ecco la chiave dell’enigma.
Appena giunto in Italia, si era fatto il disegno sopra di me di non lasciarmi ripartire per le Missioni, e trattenermi invece in Piemonte, per servir colà la Chiesa di Gesù Cristo; e molti amici con il Marchese Brignole e Monsignor Franzoni mi si erano ora messi attorno, per dissuadermi di ritornare in Africa, e conseguire il loro benevolo, ma per me non glorioso, intento. Io però, sebbene combattuto, com’è naturale, da contrarj affetti, tenni sempre fermo.
18. Di fatto, come se nulla vi fosse di questi maneggi, i miei pensieri erano tutti rivolti agl’interessi delle Missioni, che la Provvidenza mi aveva affidate; e pensava che, se non allora, certamente in avvenire, avrei avuto bisogno di altri compagni per attendere all’una ed all’altra Missione. Intanto riflettendo che la mia Provincia di Torino, alla quale la Missione Galla era affidata, messa in disordine dalla rivoluzione, non poteva farmi sperare nuovi Missionari: pensai che la Provincia di Francia, per esser nascente e piena di vigore, avrebbe potuto darmi un gran soccorso con mandarmi ferventi e robusti giovani sacerdoti. Era allora Provinciale di Francia il P. Lorenzo da Aosta, ed abboccatomi con lui, gli manifestai il mio disegno. Il buon Padre lo accolse favorevolmente; e nei due giorni, che ci trattenemmo insieme, si stabili che la Provincia di Francia mi avrebbe prestato per l’avvenire un valido ajuto.
Finito questo affare, che tanto m’importava per il bene della Missione, me ne restava da sbrigare un altro presso il Consiglio della Propagazione della Fede: ed anche questo, assistito dal Marchese d’Herculais, portai presto a compimento: poichè, riunitosi il Consiglio al prossimo Venerdì, le mie suppliche vennero favorevolmente accolte, tanto per la Missione di Aden, quanto per quella dei paesi Galla.
/197/ 19. Tutto andava bene per me in Europa. Solo l’ansietà di avere notizie precise rispetto ai miei Missionari mi teneva in agitazione. E queste notizie non tardarono a venirmi a lacerare il cuore. Giunsemi di fatto una del 2.10.1850 A.Rosso lettera del P. Cesare, nella quale mi diceva che, essendosi sollevato quel clero eretico contro i Missionari di Tedba-Mariàm, questi erano stati espulsi da quel luogo, non ostante la buona amicizia che mostrava per essi il principe Tokò-Brillè. Quindi esso P. Cesare avea preso la via del Goggiàm, il P. Giusto quella di Betlihèm, ed il P. Felicissimo era disceso alla costa di Massauah in cerca di me. Tutti i Missionari dunque erano dispersi!
20. In quei giorni pertanto mi trovava come una nave combattuta da diversi e contrarj venti. In Africa la condizione dei miei Missionari si era fatta difficile; ed il mio cuore, che anelava rompere gl’indugi e partire immediatamente, spingevami, senza cercare altro, verso l’Oriente. A Roma era aspettato dal mio Generale e dallo stesso Papa, ed altri affari importantissimi mi chiamavano là. Due amici, da me venerati e stimati quali veri martiri della buona causa, mi stavano attorno con lusinghieri disegni. Mi attendeva in fine Aden, per la quale aveva preso solenni impegni in Inghilterra ed altrove. In mezzo a questo contrasto, un giorno mi accomiato dal Provinciale, dal Marchese d’Herculais, dal Marchese Brignole, e dall’Arcivescovo Franzoni, e dicendo a questi due ultimi che in Roma, dove io era aspettato, si sarebbe presa una risoluzione, partii difilato per Marsiglia.
21. Quando giunsi in questa città era il 5.3.1851 A.Rosso 10 Marzo del 1851. Mi riposai due giorni, anche per far visita all’Armatore Regis, che mi aspettava per chiedermi notizie del capitano Bisson e del legno la Granuille, di cui da più tempo non aveva saputo più nulla. Feci pure una visita al signor Vidal, anch’egli padrone di molte navi, e nostro generoso benefattore.
Poscia volli pensare all’anima mia, ed ai bisogni spirituali della mia coscienza; e per acquistare quella tranquillità di spirito, che mi era necessaria, e chiedere a Dio quei lumi, di cui aveva bisogno, segnatamente in quei giorni di lotta, di titubanze e di amarezze, mi chiusi in un rigoroso ritiro, sotto la guida di un buon confessore, persona tutta di Dio. Raccomandai perciò al mio Segretario di non lasciare entrare nessuno in camera mia; pensasse egli a sbrigare i piccoli affari, e per quelli più importanti, ce ne saremmo occupati dopo 25.3.1851 A.Rosso la festa della Santissima Annunziata.
22. Scopo di questo mio ritiro non era soltanto il bisogno che sentiva /198/ di riconcentrare il mio spirito, divagato per cinque anni in una vita, quantunque occupata in opere di sacro ministero, sempre però piena di agitazioni di ogni fatta; ma principalmente per pregare il Signore, affinchè si degnasse di farmi conoscere la sua volontà rispetto a quella, che per me era una vera tentazione; sebbene per quei santi uomini, che me la presentavano, fosse un bel disegno. Condiscendere alle loro istanze, sarebbe stato lo stesso che rinunziare assolutamente alla Missione Galla, a cui la Provvidenza, senza averla punto cercata, mi aveva destinato. In tutti quei dieci giorni pertanto non feci altro che alzare il mio cuore e la mia voce a Dio, pregandolo di farmi conoscere la sua volontà. Fatta in fine la generale Confessione, manifestai al confessore il caso con tutta confidenza, risoluto di attenermi interamente al suo savio consiglio. Ed egli finì con dirmi queste parole: — Il mio consiglio è ch’Ella parta subito, e metta in salvo la vocazione del suo apostolato da tutti gli assalti, e da tutti i disegni, per quanto lusinghieri, che le vengono mossi da ogni parte. Ben inteso ch’Ella debba attenervisi, qualora non abbia altri segni più chiari della volontà di Dio. — Sentite queste parole non pensai più ad altro. Andai a celebrare la santa Messa per chiudere gli esercizj, ed in essa una voce interna mi ripeteva: — Metti in salvo la vocazione del tuo apostolato contro tutti gli assalti e lusinghieri disegni. —
23. Celebrata la santa Messa, 30-31.3.1851 A.Rosso scrissi tre lettere per Roma, al Santo Padre, al mio Generale ed all’Eminentissimo Prefetto di Propaganda; due altre all’Arcivescovo Franzoni ed al Marchese Brignole, e senza palesare a chicchessia il mio segreto, mandai il Segretario al porto, per vedere se mai partisse qualche piroscafo alla volta di Egitto. Ritornò dicendomi che la mattina del 27 Marzo ne sarebbe salpato uno precisamente per quella parte. Allora gl’ingiunsi di apparecchiare il mio bagaglio, ed anche il suo, ma separatamente, dovendo egli solo recarsi a Roma col primo piroscafo che fosse partito per Civitavecchia. Indi lo mandai a prendere il biglietto di viaggio per me, raccomandandogli di non farne motto a nessuno; e dategli poscia le istruzioni necessarie rispetto a quello che avrebbe dovuto fare a Roma, mi disposi alla partenza. La mia risoluzione adunque era già presa, e la vocazione del mio apostolato messa in salvo.