/I/
Card. Guglielmo Massaja, capp.
I miei
trentacinque anni
di missione
nell’Alta Etiopia.
/II/
Proprietà letteraria ed artistica
Milano, 1885. — Tipografia Pontificia S. Giuseppe, Via S. Calocero N. 9.
/IV/
Papa Leone XIII, nato Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci (Carpineto Romano, 2 marzo 1810 – Roma, 20 luglio 1903), è stato il 256º papa della Chiesa cattolica (dal 1878 alla morte)... [Wikipedia]
Fu lui a chiedere al Massaja di mettere per scritto le sue Memorie
/V/
Andate istruite tutte le genti
I miei trentacinque anni di missione
nell’Alta Etiopia
Memorie storiche di
Fra Guglielmo Massaja
Cappuccino
già Vicario Apostolico dei Galla
Cardinale del titolo di S. Vitale
Volume Primo
Roma Tipografia Poliglotta di Propaganda Fide. |
1885 | Milano Tip. Pontif. S. Giuseppe Via S. Calocero N. 9. |
L’Etiopia stenderà per tempo le sue mani a Dio s°. lxvii
In alto a sinistra, lo stemma papale con il cipresso attraversato da una banda in argento è di Leone XIII.
In alto a destra, Stemma e motto del Card. Massaja, creato da Leone XIII nel Concistoro del 10 novembre 1884.
Le braccia incrociate di Cristo e San Francesco con le stimmate sulle mani sono il simbolo dell’Ordine francescano. Il braccio sinistro (sinostrocherio) che regge un mazzo di spighe di grano rappresenta graficamente il motto “Messis Multa”.
In basso a sinistra il Globo terrestre sormontato dalla croce è il simbolo della Società di Propaganda Fide.
In basso a destra di nuovo il simbolo dell’Ordine francescano.
/VI/
Imprimatur
Fr. A. Bausa O. P.
S. P. A. Magister
Avvertenza. Essendosi esauriti il primo e secondo volume; per formare un centinajo di copie complete, richieste ancora dal pubblico, sono stato constretto di ristampare i suddetti due volumi. Ho profittato intanto di quest’occasione per introdurre nel testo alcune varianti, di forma e non di sostanza, che teneva apparecchiate d’accordo col venerando autore.
P. Giacinto da Troina.
/VII/
Leone XIII
che dalla sedia di Pietro
abbracci coll’animo l’orbe universo
e dai moto calore e vita
al cattolico apostolato
a te consacro
queste pagine testimoni fedeli
delle mie fatiche.
/IX/
Prefazione.
Dopo trentacinque anni di Apostolato tra popoli barbari e musulmani, condannato all’esilio ed allontanato per l’ottava volta da quei paesi, ch’erano stati il campo delle mie fatiche e l’oggetto della mia predilezione, e dove contava finire i miei giorni, e lasciare il mio corpo: io mi era ritirato in questa Mtropoli del mondo cattolico per continuare ad assistere ancora da qui i miei figli etiopici, almeno con la preghiera, ed apparecchiarmi nel tempo stesso al passo difficile della morte. Ed ecco un giorno, mi viene ingiunto da un’autorevole voce di scrivere la storia della mia lunga Missione.
Da prima mi negai risolutamente; poichè in età così avanzata, affranto nel fisico ed abbattuto nel morale, credeva impossibile sobbarcarmi ad un sì lungo e difficile lavoro. Al quale inoltre non aveva animo di cimentarmi, perché, avendo perduto nelle sofferte persecuzioni tutti quanti i miei scritti, mi vedevo privo a questa maniera delle molte note, memorie e date, che pazientemente aveva in tanti anni raccolte; per giovare, se non a me, almeno ad altri, che avessero voluto occuparsi di quella Missione. Non uso poi da lungo tempo agli studj, segnatamente filologici, ed avvezzo a parlare ed anche a scrivere lingue le mille miglia lontane dalla nostra, pensava /X/ che difficilmente avrei potuto dare nel genio dei moderni lettori, i quali più alla veste badano, che alla sostanza del pensiero.
Queste difficoltà, per me grandissime, esposi ingenuamente e spesse fiate, per confortare il mio diniego: ma a nulla valsero. Mi si rispondeva sempre: — Scriva ciò che ricorda, ed in quella maniera che meglio saprà. — Solo pertanto la voce dell’ubbidienza mi fece determinare ad accingermi a questo lavoro, e con la speranza sempre che quelle umili carte sarebbero rimaste negli archivj di Propaganda o dell’Ordine mio, per servire, in avvenire, di lume a chi avesse voluto prender cognizione di quelle lontane e poco conosciute popolazioni. Ma anche in questo fui contrariato. Assolutamente si volle, e da personaggi autorevoli e da cortesi amici, che i miei poveri scritti si dessero alle stampe.
Io adunque li presento al pubblico, con trepidazione sì, ma con fiducia che si avranno un’amichevole accoglienza ed un benevolo compatimento. In essi non troveranno certamente i miei lettori quel brio, che possano dare il fuoco della gioventù ed il vigore di una mente robusta: ma la stentata dicitura di un uomo, il quale, più che settuagenario, incanutito fra i selvaggi, dopo aver logorato la sua vita in mezzo a disagi, contrasti e patimenti di ogni fatta, senz’aver ora altro sussidio in pronto che la sua vacillante memoria, raduna, a guisa di un vecchio Nonno, attorno a sè gli amati figli e nepoti, per narrar loro familiarmente i casi di sua vita. Tuttavia, se i miei lettori ameranno più la sostanza che l’apparenza, se cercheranno più l’edificazione che il passatempo, mi lusingo che non troveranno queste Memorie scevre d’importanza: e nel tempo stesso che leggeranno la descrizione di paesi e popoli nuovi, ed in gran parte sconosciuti, impareranno a stimare un po’ più quei ministri di Gesù Cristo, che, dato un addio ai loro cari, alla patria ed alle comuni agiatezze, affrontano continui pericoli e si assoggettano ad indicibili patimenti, per ricondurre alla fede ed alla civiltà sventurati fratelli.
Omai di simili storie e relazioni di viaggi, gite, ecc. se ne pubblicano ogni giorno in libri e giornali: ma, a mio avviso, la maggior parte di esse, o dicono ben poco di quei luoghi e popoli a noi ignoti, che descrivono, o dicono troppo, e spesso niente affatto conforme al vero; sia per averli conosciuti, chi li descrive, solo di passaggio, sia per seguire piuttosto i voli della propria fantasia, anziché la realtà delle cose. E ciò con detrimento, mi si permetta dirlo, di quelle povere popolazioni; le quali, per quanto si presumano lontane dalla nostra civiltà, una però ne hanno, e in sostanza, a chi guarda ben dritto, forse migliore di quella di oggidì, /XI/ fra noi idolatrata: ma che addita uno spaventoso regresso! Nessuno poi si dia a credere di trovare in queste Memorie tutto quello che, intorno a quei popoli e luoghi, avrei potuto scrivere; perché, dovendo con tal lavoro abbracciare un lungo periodo di trentacinque anni, e quasi tutta l’Africa Orientale e l’Alta Etiopia, sarebbe stato necessario che avessi avuto miglior salute, e maggiori ajuti di quelli, che sono in mio potere. Tuttavia dalla grande varietà di notizie, che le mie Memorie riportano sugli usi, costumi, leggi, religioni, ecc. di quelle popolazioni, i lettori potranno farsene un concetto abbastanza chiaro e completo.
Siami ora lecito premettere alcune avvertenze intorno al mio debole lavoro. E primieramente, perduti, come sopra ho accennato, nelle varie prigionie ed esilj tutti i miei manoscritti, ed ora dovendo lavorare col solo ajuto della memoria, mi sarà perdonato se sarò incorso qua e là in alcune inesattezze, sia di fatti, sia di nomi, sia di date: specialmente allorché sono stato costretto a narrare cose, delle quali non fui testimonio oculare, ma che appresi da relazioni mandatemi dai miei Missionari, le quali andarono anch’esse irreparabilmente perdute, ed erano preziosissime!
Quanto ai nomi di città, regioni, provincie e persone di quei luoghi, i miei lettori osserveranno una qualche differenza tra la maniera, onde io li scrivo, e quella usata da altri autori, segnatamente stranieri, in simili narrazioni e carte geografiche. Ciò, com’è chiaro, dipende dal diverso modo, onde le varie nazioni pronunziano e scrivono; poichè ciascuna, avendo un linguaggio ed un’ortografia particolare, non pronunzia e non iscrive le voci forestiere che secondo l’indole della propria lingua. Io pertanto mi attenni, per quanto potei, alla pronunzia e scrittura italiana, pur conservando talvolta certe consonanti e raddoppiamenti di vocali, tra noi poco in uso, ma che credetti necessarie per esprimere le aspirazioni gutturali e labiali, che nel parlare usano quei popoli, e noi con essi. Ed una tale diversità di scrittura la troveranno i miei lettori in questi volumi medesimi, cioè tra il testo della storia e le carte geografiche, che vi saranno unite. E qui cade acconcio fare una dichiarazione e rendere un tributo di sincera gratitudine. L’illustre mio amico Comm. D’Abbadie, ai tanti pegni di affetto, che sempre mi ha dati, ora ne ha voluto aggiungere un altro, col sobbarcarsi, nella tarda età in cui si trova, al penoso lavoro di disegnare le carte geografiche per i presenti volumi. Oltre al pregio, che acquisterà l’opera mia per questo segnalato favore, essendo egli il principe dei geografi, segnatamente per questa parte dell’Africa, non potrà non fare una grata impressione nell’animo del pubblico il vedere unito al /XII/ lavoro del Missionario de’ Galla quello di chi propose la fondazione della Missione medesima, e poscia ne incoraggiò pure l’autore a scriverne la storia. Mi permetta adunque il carissimo amico questo grato ricordo e questo meritato tributo. Le carte pertanto, che saranno unite a queste Memorie, essendo state fatte da un geografo francese, naturalmente porteranno la nomenclatura secondo l’ortografia di quella nazione, laddove nel testo io seguo l’ortografia italiana. Ma ciò poco fastidio darà ai lettori, sia per essere una gran parte de’ nomi, scritti nella stessa maniera, onde li scriviamo e pronunziamo noi, sia anche per essere la lingua francese ormai abbastanza conosciuta in tutta l’Italia.
Rispetto poi alle scienze naturali e sperimentali fo osservare che non poteva occuparmene ex professo, non essendo già io un viaggiatore, andato là per coltivare ed estendere le ricerche scientifiche: ma un Missionario di Gesù Cristo, mandato in quei luoghi per portarvi principalmente la luce della fede, e diffondere fra quei popoli la religione del Vangelo. Sarò quindi compatito se a quegli studj non mi applicai che limitatamente. Imperocché l’Apostolato e lo studio esclusivo delle scienze naturali, segnatamente in quei luoghi, occuperebbero, ciascuno per sè, tutto l’uomo, e non si potrebbe attendere all’uno senza detrimento dell’altro. Ora, io ho sempre tenuto, e tengo anche adesso, che se il Missionario si desse e studj, che, sebbene geniali ed utili, lo allontanassero però dallo scopo del suo ministero, tradirebbe Dio, la Chiesa e le anime. Tuttavia nei primi anni della mia entrata in Abissinia, non potendo esercitare largamente il mio ministero, per non essere ancora in possesso delle lingue indigene, mi occupai volentieri di queste scienze; e molte note ed osservazioni importanti aveva raccolto, specialmente di storia naturale, delle quali ora, ma invano, per le cagioni dette di sopra, rimpiango la perdita. In questo lavoro però tocco qua e là, quando mi cade acconcio e quando la memoria mi ajuta, di siffatte scienze: ma protesto che non parlo da uomo dotto, bensì da dilettante di simili cose. E nei calcoli di altezze, di longitudini, di latitudini, ecc. le mie asserzioni non sono che approssimative; poichè non solo era privo degli strumenti necessarj, ma benanco talvolta di carte geografiche.
Parrà inoltre ai miei lettori curioso, se non un po’ strano, che mi sia dovuto occupare di medicina e di chirurgia. E pure furono appunto questi atti di carità, che mi aprirono la strada verso quelle popolazioni, mi avvicinarono ad esse e mi cattivarono la loro benevolenza. Là non vi sono medici né chirurgi, ma solo alcuni maghi, i quali pretendono di /XIII/ guarire la gente, più con segni e oggetti superstiziosi, che con i veri rimedj apprestati dalla scienza e dalla natura. Compresone pertanto subito il bisogno, mi richiamai a memoria quanto aveva appreso di teoria e di pratica su questa materia nell’ospedale mauriziano di Torino, del quale più anni fui Cappellano: e quelle scarse cognizioni mi giovarono grandemente. E poichè là, per la costanza del clima e per la semplicità della vita, le malattie umane sono più limitate che fra noi, non mi fu difficile, anche servendomi dell’empirismo indigeno, di trovare efficaci rimedj di guarigione, con grande giovamento di quei meschini, e con non minore profitto del mio apostolico ministero. L’innesto del vajolo principalmente, colà sconosciuto, e da quei popoli poscia grandemente apprezzato, mi conduceva ai piedi a centinaja ogni sorta di persone; alle quali, oltre la guarigione materiale, mi studiava dar quella, che fra tutte è importantissima e salutevolissima, la morale. E devo in gran parte a questo benefico ritrovato dell’ingegno umano la stima e la benevolenza, che verso la mia persona nutrivano tutti quei popoli.
Scorrendo queste pagine, si accorgeranno di leggieri i miei lettori che il brutto vizio della disonestà deturpa e degrada al maggior segno quelle povere popolazioni, massime se si trovano in comunicazione ed hanno commercio più frequente con i brutali mussulmani. E confesso che ciò che mi diede maggior fastidio nello scrivere queste Memorie, fu il dover riferire cose, che avrebbero potuto offendere le caste orecchie delle persone costumate. Per contrario, come lasciar fuori queste cose senza togliere al mio libro la parte più importante della materia, cioè quella che si riferisce ai costumi di quei popoli? Inoltre, avendo principalmente in mira di far conoscere quanto mostruoso sia l’islamismo, e quanto male abbia apportato a quelle popolazioni cristiane, e dovunque ha potuto metter piede, dovetti contro mia voglia entrare bene spesso in questo campo spinoso, e discorrer di cose, che sarebbe bello il tacere. Nondimeno credo di avere usato tanto studio e cautela, che il mio libro potrà entrare onestamente in ogni casa, e stare tra le mani così di un uomo maturo, come di un giovinetto.
Mi rimane ora a dire qualche cosa del metodo seguito in questo lavoro. La perdita dei miei manoscritti e la mancanza particolareggiata di date, di appunti, ecc. m’impedirono di formare un disegno sintetico della mia lunga Missione. Perciò, non avendo altro sussidio, che quello della memoria, fui costretto affidarmi ad essa, e venire esponendo cronologicamente via via quello ch’essa ha saputo rappresentarmi.
Finalmente, dopo aver dato rapidamente, com’è manifesto, ragione del- /XIV/ l’opera e del metodo che seguirò nel racconto, sento il dovere di dichiarare che, come figlio ubbidiente della Chiesa, sottometto ogni mia sentenza e parola al suo infallibile giudizio; e quantunque non creda di avere errato scientemente in cosa, che si riferisca alla fede o alla morale; tuttavia ritratterei l’involontario errore appena lo conoscessi, o mi fosse fatto conoscere.
Un’altra parola e chiudo questa prefazione. Scrivendo dei barbari in paesi civili, mi venne talvolta assai spontaneo e naturale il confronto; e poichè dal confronto nacque spesso il disgusto, non seppi trattenermi dallo esprimerlo qua e là in queste pagine. Un tal disgusto però è del male, del solo male, non mai delle persone. Oh! io amo tutti in Gesù Cristo; e tanto i barbari quanto i civili riguardo come miei fratelli: e se avessi altra vita da spendere, senza esitanza la sacrificherei volentieri per la loro conversione e per la loro salute, memore di quelle parole dell’Apostolo: Charitas Christi urget nos.
/XVI/