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Capo III.
Per la Francia
— 1. Elezione del nuovo Provinciale dei Cappuccini di Francia. — 2. Il P. Domenico da Castelnaudary provinciale; suo zelo per la Missione Galla. — 3. Ai bagni della Borboulle. — 4. A Clermon ed a Puy; Notre Dame de France. — 5. Il collegio galla a Marsiglia. — 6. Partenza da Marsiglia. — 7. I due alfabeti amarico ed oromonico-galla. — 8. Consacrazione di Monsignor Bel. — 9. Prodigiosa diffusione delle Congregazioni religiose in Francia. — 10. La Francia e le Missioni straniere; il Signor Etienne, Superiore dei Lazzaristi. — 11. La Massoneria, Napoleone III e la Chiesa. — 12. Ritratto e biografia di Monsignor De Jacobis. — 13. Provvedimenti per la Missione di Aden. — 14. Lavori letterarj; perché non si stampò il mio catechismo. — 15. Provvedimenti pel collegio provvisorio di Marsiglia. — 16. Ritiro spirituale a Nizza; Monsignor Sola. — 17. Congedo e partenza da Marsiglia.
Era ormai giunto il tempo, che dovevansi radunare i Religiosi della provincia di Francia per eleggere i nuovi Superiori, ed io aspettava con ansietà queste elezioni; perché l’impianto del collegio galla, la scelta dei Missionarj, che dovevano venire in Africa, e la mia partenza erano state rimandate alla conclusione di quel Capitolo. Radunatisi pertanto gli elettori nel nostro convento di Marsiglia, e disposta ogni cosa per la buona riuscita del religioso consesso, si cominciarono le solite preghiere preparatorie. A presiedere quel Capitolo era stato mandato dal R.mo P. Generale Nicola da S. Giovanni in Carignano, il M. R. P. Carlo Filippo da Poirino, ex Provinciale dei Cappuccini di Piemonte. Uomo di rara prudenza, di vasta dottrina e di specchiate virtù, seppe adempiere sì bene l’uffizio commessogli, che n’ebbe approvazione e lodi da Roma, e portò seco la stima e benevolenza dei Religiosi francesi. Venutosi adunque alla /32/ votazione, la scelta di Provinciale cadde sul M. R. P. Domenico da Castelnaudary, quello stesso ch’era stato mandato Viceprefetto della Missione Galla, e che i miei lettori già conoscono.
2. Questo buon Padre, eletto al primo uffizio della sua religiosa provincia, ed essendosi finalmente convinto che l’avanzata età non gli permetteva darsi, come n’aveva il desiderio, alle Missioni africane, ne depose il pensiero, e si occupò a tutt’uomo all’adempimento dei doveri annessi al Provincialato. E quantunque avesse rinunciato alla santa carriera dell’apostolato fra i Galla, pure, ricordandosi che per qualche tempo era stato uno dei membri di quel corpo di Missionarj, non solo conservò l’affetto alla Missione, ma con impareggiabile zelo mi prestò grande ajuto a sbrigare gli affari, che mi trattenevano in Francia. Eletto adunque Provinciale, cominciò la visita dei conventi, secondochè prescrivono i canoni e la regola; e cogliendo quest’opportuna occasione, abboccandosi con i Religiosi della provincia, mi scelse i Missionarj, che io desiderava, e adorni di quelle qualità, di cui nelle precedenti conferenze avevamo parlato.
Recatosi inoltre a Marsiglia, cominciò a fare ricerche per l’acquisto di un fondo, dove impiantare il collegio dei giovani galla; e trovato nel borgo di S. Barnaba un terreno sufficientemente grande con piccolo caseggiato, appartenente ad un certo signor Alleman, riputandolo adatto allo scopo, ne domandò l’acquisto, che alquanti mesi dopo venne concluso. Insomma l’affettuosa premura di quel buon Padre verso la Missione Galla fu sì assidua ed operosa, che io potei occuparmi in Parigi del lavoro e della stampa della grammatica, e lasciare a lui il pensiero degli altri affari, che io doveva sbrigare prima di muovere per l’Africa.
L’antico villaggio di St. Barnabé è stato col tempo assorbito nel centro urbano di Marsiglia diventandone un quartiere storico.
3. Il lungo e faticoso viaggio verso la costa del Mar Rosso, e la grave malattia che mi colse per istrada, mi avevano lasciato un’estrema debolezza ed un malessere assai fastidioso. Consultati a Parigi alcuni medici, mi consigliarono i bagni termali della Bourboulle presso Mondor nell’Auvergne. Il P. Domenico allora, che in quel paese aveva parecchi amici e conoscenti, scrivendo ad alcuni di essi che io aveva bisogno di recarmi a quei bagni, mi trovò subito alloggio ed ogni altra comodità. Affidata pertanto al mio amico D’Abbadie la revisione delle prove di stampa della grammatica, abbracciai il caro Comboni ed il P. Carlo Filippo da Poirino, che, dopo l’elezione del Provinciale, era venuto a passare un po’ di tempo a Parigi, e nei primi di Luglio del 1865 partii per Clermont Ferrand e per Mondor, accompagnato dal P. Domenico. Giunti a Bourboulle, fummo ospitati dal dottor Perronè, sotto la cui direzione io doveva fare quella cura.
/33/ In quei tempi ai bagni della Bourboulle accorreva poca gente, perché la piccola sorgente che vi era, posseduta da un privato, non poteva servire che per circa cinquanta persone al giorno. Quei bagni inoltre erano come una succursale di Mondor; poichè, essendo state riconosciute le acque di Bourboulle più forti, ossia più sature di elementi minerali di quelle di Mondor, i medici, che curavano in questo luogo termale, solevano mandare gli ammalati a fare qualche bagno alla Bourboulle. Per la qual cosa in questo paese, distante circa io chilometri da Mondor, situato in un punto più alto della montagna, non trovavansi neppur locande, ed i bagnanti dovevano cercare alloggio presso qualche famiglia particolare, come fummo costretti far noi. Il dottor Perronè qualche anno dopo scoprì una nuova sorgente, più forte e più carica d’arsenico della prima, e, fatta conoscere alla Francia la virtù ed efficacia di quelle acque, i bagni della Bourboulle divennero celebri e frequentatissimi. Talmentechè nel 1880 trovai quel paese mutato in una città con circa quaranta locande e con parecchie centinaia di ammalati, che a quelle acque accorrevano per ricuperare la salute.
Io n’ebbi gran giovamento; ed il dottor Perronè, anche per accrescere la rinomanza di quei bagni, scrisse una particolareggiata relazione della cura da me fatta e della guarigione ottenuta, e la presentò alla facoltà medica di Parigi.
La Bourboule divenne comune autonomo nel 1875. Da quell’epoca comincia la sua crescita come stazione termale alla moda.
La Barboule e il vicino comune di Le Mont Dore sono si trovano nel dipartimento del Puy-de-Dôme. Esso fu istituito con decreto nel 1789 con il nome di Mont d’Or, ma in seguito il nome fu cambiato, secondo la leggenda perché gli abitanti temevano che l’originale denominazione attirasse troppo l’attenzione degli esattori delle imposte. Il capoluogo è Clermont Ferrand.
Naturalmente le acque termali non contengono arsenico.
4. Ringraziato il buon dottore della doppia carità che mi aveva usato, col P. Domenico scendemmo a Mondor per ritornare a Clermont. Quella strada passa ai piedi della montagna chiamata Puy de Dôme, e poichè da quell’altura godevasi un bellissimo panorama, alcuni viaggiatori, che a Mondor cransi uniti con noi, vi salirono, e vi si fermarono tutta la giornata. Noi continuammo il cammino per giungere presto a Clermont, dove pensavamo restare qualche giorno per osservare i suoi monumenti. Prima visitammo la cattedrale, di stile gotico, ed una delle più belle della Francia. Allora si lavorava per terminare la facciata, rimasta parecchio tempo a metà e rustica. Veduto poscia l’antico castello, ci recammo ai bagni Royale, più dolci di quelli di Mondor e della Bourboulle, e dove molti Parigini ogni anno recansi nella calda stagione, per godere le amene frescure della campagna e delle acque. Un giorno il padre Domenico mi condusse a vedere il luogo, cotanto celebre, donde Pietro l’Eremita cominciò a predicare la Crociata contro i Turchi.
La costruzione della Cattedrale di Notre-Dame-de-l’Assomption cominciò nel 1248. Dopo diverse fasi di distruzioni e di ripresa dei lavori che più volte ne modificarono l’aspetto, la chiesa assunse l’aspetto attuale agli inizi del XX secolo. I lavori della facciata a cui allude il Massaja furono eseguiti secondo il progetto elaborato da Viollet-le-Duc.
“Bagni Royale”: si tratta della stazione termale di Royat-Chamalières, abitualmente frequentata da Napoleone III e dall’imperatrice Eugenia
Il 27 novembre 1095, al termine del Concilio di Clermont Ferrand, Papa Urbano II (non Pietro l’Eremita) tenne un famoso discorso in un campo (Herm) fuori dalle mura cittadine per incitare il popolo alla crociata.
Abbracciati i nostri Religiosi, che tante gentilezze ci avevano usato in quei giorni, partimmo per Puy, dove, essendo morto il Vescovo, fummo /34/ ospitati dal vicario Capitolare. Era celebre in quella città la statua di Notre Dame de France, di proporzioni colossali, come il nostro S. Carlo Borromeo presso Arona, fusa alcuni anni prima con i cannoni, che l’esercito francese aveva riportati dalla Russia. Andati a vederla col P. Domenico, dopo averne ammirato le meravigliose proporzioni esterne e la solidità, salimmo per la scala interna sino alla testa della statua. Il capo del Bambino, di dentro, era grande quanto un piccolo camerino, ed in proporzioni relativamente maggiori quello della madre. Il taglio inferiore del naso era simile ad un comodo seggiolone, ed i fori delle narici avevano la forma di due finestrelle, che guardavano in basso; alle quali il forestiero affacciandosi, provava quella paura, che sente colui, che sporge la testa da una qualche apertura di alto campanile. Gli occhi erano senza esagerazione due grandi finestre ovali, rivolti placidamente sulla città di Puy, ed anche su di una gran parte della Francia; poichè dall’altezza di quella rocca, su cui la statua fu inalzata, la vista stendesi assai lontano, ed abbraccia un immenso orizzonte. Chi ha visto la statua di S. Carlo e di Notre Dame de France dice che quest’ultima supera quella per grandezza e solidità. Ai piedi della Madonna inoltre era stata collocata un’altra statua, pure di bronzo, rappresentante il Vescovo di Puy in ginocchio, morto un anno prima; il quale aveva ottenuto dall’Imperatore il materiale ed il denaro necessario per inalzare quel celebre monumento.
Il vescovo di Le Puy en Velay, Joseph-Auguste-Victorin de Morlhon, era morto nel 1862. Il successore Pierre-Marc Le Breton fu nominato nel 1863.
La statua di Notre Dame de France era stata inaugurata nel 1860. Alta 16 metri, fu costruita con il bronzo di 213 cannoni russi presi dall’esercito francese durante l’assedio di Sebastopoli (1854-1855).
Partiti da Puy, il Vicario Capitolare che ci aveva ospitati, volle accompagnarci sino a St. Etienne, e per istrada ci raccontò quanto il defunto Vescovo aveva fatto per ottenere dal ministero della guerra e dall’Imperatore i materiali ed i mezzi per compiere quella santa opera. In fine rivolto a me: — Che ne dice, Monsignore, mi domandò, di quest’atto generoso di Napoleone III? —
— Se egli, risposi, avesse la fede, la pietà ed il valore militare di Carlo Magno, basterebbe questo monumento a farlo conoscere nei secoli futuri quale uno dei sovrani sinceramente pii e zelanti dell’onore di Dio e della sua santissima Madre: ma.... —
— Completo io il giudizio, rispose Monsignor Vicario: ma a Napoleone mancano queste virtù e tante altre doti. Egli non ha fede, e di pietà non ha neppur l’ombra; per valor militare poi si sa da tutti che è il rovescio de suo celebre Avo; quanto a zelo per la religione finalmente, lo mostra solo quando ne ha bisogno per i suoi fini politici. I cannoni inoltre, che regalò pel monumento, non appartenevano a lui, ma alla nazione che li guadagno col sangue di tanti suoi generosi figli. —
/35/ 5. Con mezza giornata di carrozza giungemmo a St. Etienne, dove fummo ricevuti dai Religiosi cappuccini, che dimoravano in quella città. Il loro convento era stato fabbricato sul miglior sito che colà si trovasse; e veramente, sia pel clima, sia per l’orizzonte, quel sacro ritiro era il più ameno e sano di St. Etienne. La città non ha nulla di bello, anzi coperta giorno e notte dal denso fumo, che mandano i molti camini degli opifizj, e circondata dal grande numero di cave di carbone, di cui è ricco il suo territorio, rendesi un soggiorno triste e malinconico. St. Etienne può chiamarsi la città degli operai; poichè la sua popolazione in gran parte è composta di questa laboriosa gente.
Nelle miniere di carbone e nelle officine di St. Étienne, capoluogo del dipartimento della Loira, lavorarono fino ai primi decenni del ’900 molti emigrati italiani.
Giunti là verso sera, vi passammo la notte; e rimessici in viaggio la mattina seguente, prima di mezzogiorno fummo a Lione. Dopo pranzo preso posto sulla strada ferrata, partimmo per Marsiglia, dove eravamo aspettati per concludere la compra del fondo, che doveva servire per la fabbrica del collegio galla. Di fatto riunitici col signor Alleman nell’ufficio notarile del signor Rubau, si stipulò il contratto, ed io, qual Vicario Apostolico della Missione Galla, divenni proprietario di quella possessione. Poscia si fissò il giorno per la presa di possesso e per la solenne benedizione della prima pietra dell’edifizio, che intendevamo inalzarvi. Quella mattina di fatto io, i Superiori della provincia cappuccina e tutti i Religiosi del convento di Marsiglia ci recammo alla chiesa parrocchiale, sotto la quale era posta la contrada di S. Barnaba, per la solenne funzione. Essendo vacante la sede vescovile per la morte di Monsignor Cruitz, intervenne il Vicario Capitolare con due Canonici, e per parte del potere civile vennero due Consiglieri municipali della città col primo segretario. Il M. R. P. Taurin Cahagne, Guardiano del convento, ed in quei giorni eletto dalla Sacra Congregazione di Propaganda Viceprefetto della Missione Galla, recitò un bellissimo discorso su quella solennità, e poscia recatici a S. Barnaba, si benedisse e si collocò la prima pietra.
Il vescovo Patrice-François-Marie Cruice, nominato nel 1861, si dimise nel 1865: l’assenza era presumibilmente dovuta a malattia.
Louis-Taurin Cahagne O.F.M. Cap. 1826-1899, ordinato sacerdote nel 1849, fu nominato coadiutore del vicariato apostolico dei Galla e vescovo titolare di Adramitto nel 1873. Divenne vicario apostolico dei Galla nel 1880, alla rinuncia del Massaja.
6. Intanto, richiedendosi parecchi anni per condurre a fine la fabbrica del collegio, e volendo impiantarlo subito con i due giovani, che aveva portati meco, e con altri, che avrei mandati appena giunto in Africa, col consenso dei Superiori della provincia, si stabilì di assegnare all’uopo provvisoriamente una parte del convento di Marsiglia. E scelto quel quarto, che poteva adattarsi a collegio, si fecero tosto le costruzioni necessarie, e si provvide di tutto ciò che a giovani, nati in regioni forestiere e caldissime, avrebbe potuto bisognare. Per questi lavori si sarebbe dovuto occupare il Superiore del convento, M. R. P. Taurin; ma eletto dalla Sacra Congre- /36/ gazione di Propaganda, come poco fa accennai, Viceprefetto della mia Missione, rinunziò ai due uffizj di Definitore e di Guardiano, ed affidò tutti gli affari ed ogni cosa al nuovo Superiore del convento P. Benedetto, nativo tedesco, ma appartenente al corpo dei cappuccini francesi.
Non essendovi altro da fare in Marsiglia, commisi al nuovo Viceprefetto ed al Provinciale di recarsi a Roma per informare i Superiori di Propaganda e dell’Ordine delle risoluzioni prese rispetto al collegio ed al convento di Marsiglia. Ed essendo anch’io chiamato dal D’Abbadie per i lavori della stampa della grammatica, partimmo insieme nella prima quindicina di Dicembre; e giunti a Lione, ci abbracciammo con fraterno affetto, ed essi presero la via del Moncenisio, ed io me ne volai a Parigi.
7. Arrivato in questa città, ed abboccatomi col D’Abbadie, trovai che la stampa della grammatica progrediva assai bene. Solo rispetto ai due alfabeti, amarico ed oromonico-galla, il mio amico aspettava me per risolvere insieme alcune difficoltà, e fissare una norma sul valore di talune lettere. La forma dei tipi dell’alfabeto amarico, come ho già detto, era stata stabilita di comune accordo, ed i duecento e più caratteri, onde componesi quell’alfabeto, erano stati fusi. Per l’oromonico-galla io pensava di adottare i caratteri latini, come aveva fatto nei paesi galla, scrivendo quella lingua. Restavano per tanto a sciogliersi due difficoltà: la prima, se per ispiegare il valore delle lettere dei due alfabeti fosse stalo meglio servirci dell’alfabeto latino, secondochè lo pronunziano i latinisti romani; la seconda, se per l’alfabeto amarico convenisse conservare l’ordine che si segue in abissinia (che non tiene conto della natura delle lettere), o se fosse stato meglio dividere le lettere in diverse categorie, cioè in labiali, linguali, dentali e gutturali.
Messomi finalmente d’accordo col D’Abbadie su queste ed altre difficoltà e questioni, ci demmo tutti e due al penoso lavoro della correzione degli stamponi. E dico penoso, perché, non conoscendo quelle lingue né il proto, né i compositori, né alcun revisore, tutto il peso del lavoro cadeva su noi due. E qui è mio dovere ricordare con gratitudine l’opera prestatami con tanto affetto in quell’occasione dal mio amico D’Abbadie. Quantunque sopraccarico di mille e gravi occupazioni, sia come membro dell’Istituto, sia come socio e corrispondente di molte accademie nazionali e straniere, sia come scienziato, tuttavia ogni mattina recavasi alla stamperia imperiale, per osservare ciò che facevasi, dare ordine e consigli, e rivedere anche le prove di stampa. Cosicchè, se io non fossi stato ajutato da quell’intelligente amico, avrei dovuto rimanere in Parigi chi sa quanto tempo, /37/ non mi sarei potuto occupare per nulla in funzioni di ministero, e la grammatica non avrebbe veduta la luce che in tempo assai lontano. Il D’Abbadie prendevasi di quella stampa tutta la premura che un autore mette nell’opera sua, e devesi lode in gran parte a lui se il volume uscì alla luce in breve tempo e sufficientemente corretto.
8. Per quell’ajuto inoltre restai libero di occuparmi in opere di ministero, e col consenso dell’Arcivescovo Darboy, mio buon amico, tenni in Parigi parecchi pontificali, molte Ordinazioni, ed amministrai ad un gran numero di giovanetti la santa Cresima.
Georges Darboy arcivescovo di Parigi 1863–1871. Fu fucilato, insieme ad altri ostaggi, al momento della caduta della Comune.
Ricordo in queste pagine fra le altre funzioni la consacrazione di Monsignor Bel, eletto Vicario Apostolico dell’Abissinia. Morto il De Jacobis nel Luglio del 1860, eragli succeduto nel Vicariato Monsignor Lorenzo Biancheri; ma anche questi nel medesimo anno, che io partii da Massauah per l’Europa, cioè nel 1864, era passato improvvisamente a miglior vita. Per la qual cosa la Sacra Congregazione di Propaganda nominò per suo successore il signor Luigi Bel, sacerdote lazzarista di fervente zelo e di grande pietà, e che da molti anni aveva servito la Chiesa nelle Missioni d’Oriente. Avendo io consacrato il primo Vicario Apostolico dell’Abissinia, e prestato sempre a quella Missione i miei poveri ma sinceri ed affettuosi servizj, il signor Etienne, Superiore Generale dei Lazzaristi, desiderava /38/ che consacrassi pure il secondo successore del De Jacobis. Ma sentito che il Nunzio della Santa Sede presso il Governo francese aveva il piacere di fare egli quella consacrazione, io mi offrii come assistente, e nella solenne funzione fui uno dei tre consacranti.
Dopo il de Jacobis, morto il 31 luglio 1860, furono nominati al Vicariato Apostolico dell’Abissinia:
Lorenzo Biancheri, C.M. (1860 - † 11 settembre 1864);
Louis Bel, C.M. (11 luglio 1865 - † 1º marzo 1868);
Jean-Marcel Touvier, C.M. (29 novembre 1869 - † 4 agosto 1888);
Jean-Jacques Crouzet, C.M. (1º agosto 1886 - 16 gennaio 1896 nominato vicario apostolico del Madagascar meridionale † 1933).
Dopo il Crouzet la sede rimase vacante fino al 1937, quando fu nominato Giovanni Maria Emilio Castellani, O.F.M.
9. L’anima ed il fuoco vivificatore della Chiesa di Gesù Cristo si trova in Roma; e di là parte sempre il soffio mistico e potente, che dà e conserva la vita, ispira le sante imprese, spinge a grandi operazioni, ed infonde nei petti dei Pastori e del gregge cristiano lo zelo ed il coraggio per compierle. L’azione di Roma sulla vita del mondo cristiano è in certo modo invisibile, come l’azione dell’anima nel corpo, come il governo di Dio sul creato; ma da quella santa città ha principio la vita, e dalla bocca di chi fra le sue mura fu posto a reggere la Chiesa, si aspetta la potente parola che anima e dà incremento ad ogni cosa santa. In quel tempo sembrava che la Francia, e segnatamente Parigi, più di qualunque altra nazione e città, fossero il campo di questa divina ed efficace azione della Chiesa, il teatro delle grandi opere del Signore: Gesta Dei per Francos. Aperti i tempj e rizzati gli altari dal primo Napoleone, la religione cattolica fece in Francia notevolissimi progressi sotto il regno di Luigi Filippo, per la protezione principalmente della buona e pia regina Amalia. Dilatossi poscia maggiormente sotto la repubblica; e ristaurato l’impero dal terzo Napoleone, quantunque questi non fosse a fatti quello che mostravasi a parole, la religione però continuò la sua corsa ascendente, e ripigliò sulla generalità del popolo il primiero dominio. I seguaci di S. Domenico e di S. Ignazio, stabilitisi in parecchi punti della Francia, avevano ripreso il loro ministero di predicazione e d’insegnamento; e le figlie di S. Vincenzo de’ Paoli correvano città e paesi, riformando e santificando clero e popolo, soccorrendo infermi e derelitti, aprendo scuole ed orfanotrofj; quelli del Beato La Sale inondavano la Francia, educando ed istruendo le nascenti generazioni, segnatamente dell’umile gente; tutti gli antichi Ordini religiosi insomma, che l’uragano della rivoluzione aveva dispersi o distrutto, ritornavano a riunirsi nelle pacifiche loro case, ed a prestare alle popolazioni i benefici loro servizj. Destava inoltre conforto e meraviglia il vedere sorgere ogni anno nuove Congregazioni religiose d’ambo i sessi, dilatarsi in breve tempo con prodigiosa fecondità, e trovarsi pronte a nuovi bisogni della comunanza civile. E bastava visitare i noviziati e gli educandati di queste Congregazioni, come quello delle Sorelle di S. Vincenzo a Parigi, delle Suore del Buon Pastore ad Angers, i seminari delle Missioni straniere, della Congregazione dello Spirito Santo e di altri simili Istituti, /39 / per ammirare la Provvidenza di Dio nel governo della Chiesa, e per non disperare dell’avvenire di quella cattolica nazione.
10. Rispetto poi alle Missioni straniere, la Francia operava prodigi, e quasi quasi faceva più essa che tutte le altre nazioni del mondo incivilito unite insieme. Sembrava che la grande Istituzione della Propaganda di Roma avesse portato le sue tende in Francia: donde in cento maniere dava opera all’evangelico apostolato ed alla conversione delle genti. Ho già ricordato talune delle Congregazioni religiose d’ambo i sessi, sorte colà a formare zelanti Missionari; e non passava settimana che da quelle case di carità evangelica non uscissero generosi giovani e coraggiose donzelle, per avviarsi in lontane regioni, e dovunque fossero creature di Dio da convertire ed incivilire. La Propagazione della Fede di Lione raccoglieva ogni anno somme favolose, e non eravi casa di Missionarj o straniera regione che non ricevessero generosi soccorsi, e non trovassero in quella benefica istituzione ajuti morali e materiali in ogni loro bisogno. L’Opera della Santa Infanzia e quella delle Scuole d’Oriente prosperavano meravigliosamente, ed estendevano da per tutto la loro caritatevole azione. Il Governo medesimo poi, era sì largo di soccorsi, di protezioni e di favori verso i Missionarj, che si andava ai Ministeri della marina e degli affari stranieri come a casa di amici, e con piena certezza di ottenere quanto desideravasi. Il Missionario insomma, ricevuto il mandato e la benedizione di Roma, recavasi in Francia, e di là, provvisto abbondantemente di tutto, moveva contento e fiducioso per la sua destinazione. E se, giunto al campo del suo apostolato, trovava contrarietà, ostacoli o persecuzioni, o vedeva mancarsi i mezzi materiali per vivere e far del bene, bastava rivolgersi con lettera alla Francia, o farvi una corsa, per aversi con sollecitudine protezione e denaro. Dovendo io in quel tempo frequentare i Ministeri, e segnatamente quello degli affari stranieri (dove, entrando, mi presentavano le armi), restava meravigliato nel vedere tanti Missionarj scendere e salire quelle scale, ed esservi ricevuti ed accolti come in un uffizio ecclesiastico, e trovare presso quegli uffiziali la più gentile cortesia e le più grandi agevolezze. E là vidi quanta autorità godesse e quali servizj prestasse al Governo francese il signor Etienne, Superiore Generale dei Lazzaristi, principalmente rispetto all’Oriente, ed alle questioni, che talvolta sorgevano tra la Francia e l’impero ottomano.
Jean-Baptiste Étienne, 1801-1872. Entrò nel 1820 nella Congregazione della Missione, ricostituita nel 1816 dopo la soppressione rivoluzionaria, e fu ordinato sacerdote nel 1825. Si impegnò a lungo soprattutto nel comporre le rivalità fra le due anime nazionali della Congregazione, quella italia a e quella francese. Nel 1840 fu inviato in Algeria per verificare le possibilità di attività missionaria nei paesi dell’ex Impero Ottomano. Nel 1843 fu nominato Superiore Generale della Congregazione. Dalla nuova casa generalizia in Rue de Sèvres, che aveva preso il posto dell’antico convento dei Lazzaristi, devastato nel 1789, governò con energia i due rami, maschile e femminile, della Congregazione, tanto da essere da taluni additato come il “secondo fondatore”. Seguace dell’ultramontanismo, fu però spesso in urto con le gerarchie romane, a causa di una visione marcatamente incentrata sul ruolo di guida della chiesa di Francia e della stessa Congregazione rispetto all’insieme della Chiesa cattolica.
Dicevasi da tutti (e dicevasi il vero), che anni prima le compagnie bibliche eterodosse superassero le cattoliche nei capitali e nelle spese per la propaganda delle loro false dottrine; ma che in quei tempi le associazioni /40/ cattoliche, e principalmente quelle della Francia, lasciavansi dietro, quanto a spese, attività e zelo per le Missioni, le traviate loro emule. E questo progresso, secondochè mi si diceva ed io stesso osservai, dovevasi in gran parte allo zelo ed alla operosità del suddetto signor Etienne. Il quale, non solo richiamò la sua Congregazione e quelle delle Suore di S. Vincenzo alla stretta osservanza delle regole date dal loro santo Istitutore, ma v’introdusse opportune riforme, richieste dai bisogni dei nuovi e mutati tempi.
Egli inoltre, allargando il campo alla sua sacerdotale azione, accorreva dovunque la Chiesa di Francia avesse bisogno di consigli e di ajuto. E qua scriveva statuti per nuove Congregazioni, là suggeriva alle antiche salutari riforme. Ora vedevasi collaboratore dei Vescovi nel procurare una migliore educazione del clero, ed ora consigliere della stessa Santa Sede nella scelta dei Pastori per le diocesi francesi. Cosicchè riputavasi da tutti l’anima del clero di Francia, l’iniziatore di ogni buona opera, il ristauratore della disciplina e della istruzione ecclesiastica. Un suo collega dicevami che sin da giovane aveva fatto lunghi studj sulle regole e costituzioni dei diversi Ordini religiosi, e segnatamente su quelle della Compagnia di Gesù. E di fatto, in tutti i suoi lavori d’Istituzioni o di riforme, scorgesi che ispiravasi sempre alla regola di S. Ignazio ed alle costituzioni che la Compagnia si venne dando col tempo. E che abbia colto nel vero lo mostrano le Congregazioni da lui formate, ancora piene di vita, di fervore e di operosità.
11. La massoneria intanto, questa nuova nemica di Gesù Cristo e della sua Chiesa, impensierita dei grandi progressi che la religione faceva nel mondo, e segnatamente in Francia, ripulì le sue diaboliche armi, e per arrestare il corso alle opere di Dio, cominciò a combatterla dove maggiore era il fervore e più feconda l’operosità. Messasi attorno a Napoleone III, prese a dimostrargli ch’erano passati quei tempi, in cui la religione cattolica e la Chiesa romana rendevano grandi le nazioni, potenti gli imperi, e durature le dinastie, e che solamente nella massoneria avrebbe trovato la forza per sostenersi sul conquistato trono, e consolidarvi la illustre sua stirpe. E Napoleone, che quanto a principi religiosi, non era un Carlo Magno, accolse il consiglio, stese la mano alla setta, e per quanto potè lavorò con essa a danno della Chiesa. Allora principalmente coricarono le tenebrose operazioni settarie, che condussero la comunanza civile e religiosa ai presenti disordini, e gettarono la Francia e l’Italia nel caos, che tutti piangiamo. Ma il povero Imperatore provò su sé medesimo col fatto che quelle promesse erano bugiarde; che le sètte, nate dall’odio ed /41/ intente alla distruzione, non faranno mai la fortuna del mondo, né delle nazioni, né delle dinastie; e che, laddove il Papa, fatto segno a mille persecuzioni, resta immobile sull’incrollabile sua rocca, egli, con tutta la protezione massonica andò a finire in esilio inonoratamente gl’infelici suoi giorni.
12. Il tempo intanto stringeva, ed avvicinandosi il giorno della mia partenza per l’Africa, mi occupai interamente delle faccende che ancora non aveva potuto sbrigare. E per primo volli pagare un ultimo tributo d’affetto alla memoria del santo Vicario Apostolico Monsignor De Jacobis. Ritornando dall’Abissinia, aveva trovato in Cairo un piccolo ritratto a matita di quel mio buon amico e maestro, assai somigliante; e conservatolo come prezioso ricordo, me l’era portato meco a Parigi. Messomi d’accordo col signor Divin, Segretario del Superiore Generale dei Lazzaristi, ne facemmo ritrarre parecchie copie in diverse dimensioni da un bravo fotografo, per darne agli amici ed a tutte le case dei Signori della Missione e delle Sorelle di Carità. Poscia, affinchè la memoria delle virtù di quel santo apostolo non si perdesse, pregai il suddetto signor Divin di scriverne la biografia; e consegnatigli tutti quei materiali che potei raccogliere, e tratti egli dall’Archivio della Congregazione tutte le notizie, che vi trovò, compose un volumetto di 450 pagine, che venne stampato col titolo: — L’Abyssinie et son apôtre, ou Vie de Mons. Justine De Jacobis Evêque de Nilopolis, et Vicaire Apostolique de l’Abyssinie. —
Nel diffondere quella cara immagine, e nel dare alla luce la biografia di quel sant’uomo, io ebbi in mira, non solo di render pubblica una vita, sotto tutti i rispetti ammirabile ed esemplare, ma di offrire un modello di apostolo ai suoi successori nel Vicariato, ed a tutti i Missionarj, che la Chiesa avrebbe mandato in Abissinia e nelle regioni africane.
13. Passando pel Cairo, aveva incontrato il P. Alfonso da Macerata, Cappuccino di fervente zelo e pietà, il quale recavasi in Aden, col titolo di Viceprefetto di quella Missione, a prendere il posto dello spagnuolo P. Giovenale, richiamato a Roma. Giunto alla sua destinazione, e preso in mano il governo della Missione, vide che due Congregazioni religiose, dedicate all’insegnamento ed alla educazione della gioventù di ambo i sessi, avrebbero fatto gran bene in Aden. E scrivendomene, mentre io trovavami in Francia, mi pregava di occuparmene efficacemente, e di ottenere che colà si stabilissero per l’educazione delle giovani le Suore del Buon Pastore, e per l’insegnamento dei giovani i Fratelli delle scuole cristiane. E poichè l’affetto verso quella Missione, da me impiantata e /42/ riordinata, non era diminuito con la lontananza, col più grande piacere accettai la commissione, e proposi di mettervi tutta l’opera mia per riuscirvi. Mi recai pertanto ad Angers, dove trovavasi la Casa madre e la fondatrice delle Suore del Buon Pastore; e dopo alquanti giorni di trattative, finalmente si fermarono i primi patti per l’impianto della scuola che si desiderava. Poscia, ritornato a Parigi, mi abboccai con fratel Filippo, Superiore Generale della Congregazione del Beato La Sale; ed anche con questi bravi istitutori mi sarei messo d’accordo, ed essi si sarebbero recati pure in Aden, se certe gelosie da parte del Governo inglese non avessero fatto nascere ostacoli, da me punto preveduti.
14. Nei mesi che dimorai a Parigi, rubando qualche ora alle molte occupazioni di stampa, di ministero sacro e di affari temporali, scrissi parecchi quinterni (circa cento pagine) sulle impressioni ricevute in quella grande città dalle innovazioni politiche e religiose introdotte negli ultimi tempi. Era un lavoro fatto più per prurito di scrivere, che per servire a qualche cosa di utile; tuttavia, rileggendolo poscia in Africa, vidi che tante osservazioni non erano da disprezzarsi, e che taluni giudizj sui moderni ordinamenti e costumi della nazione francese e della cittadinanza parigina potevano essere utili a chi fossero venuti sott’occhio. Quel manoscritto, come tanti altri lavori, partendo io dallo Scioa, esiliato dal Negus Giovanni, restarono dentro una cassa nella Missione di Jessa; e non so, dopo la dispersione dei miei Missionari europei, in quali mani sieno caduti.
Ho accennato altrove che aveva intenzione di stampare insieme con la grammatica amarico-galla un piccolo catechismo, da servire per norma ai miei Missionarj, segnatamente novelli, nell’istruire le popolazioni galla ed abissine, e per essere da queste imparato a memoria. E poichè in esso aveva dovuto introdurre molti punti dottrinali sugli errori sparsi dall’eresia in quei paesi, riputai conveniente farlo prima esaminare dalle Congregazioni di Roma, ed averne il loro giudizio ed approvazione. Il Cardinal Prefetto di Propaganda commise all’esimio teologo P. Perrone di rivederlo; ma questi, già avanzato negli anni, e non credendo che io avessi tanta fretta di ripartire per la Missione, lasciò dormire il manoscritto per circa un anno. Finalmente mi fu rimandato con alcune osservazioni del revisore, in parte sfavorevoli al lavoro, e col consiglio di tradurre piuttosto il catechismo del Bellarmino. L’illustre teologo giudicava come uomo di cattedra, e come persona che aveva consumato la sua vita nelle biblioteche: ma se si fosse trovato sul campo di battaglia, ed avesse conosciuto con quale gente si aveva da fare, quali errori e pregiudizj combattere e /43/ sradicare, non se ne sarebbe venuto fuori col Bellarmino. Questi, chi noi sa? compose un buon catechismo; ma buono per i nostri paesi cattolici, dove i giovani succhiano col latte la sana dottrina, e corroborano la loro fede con gl’insegnamenti, che tutto giorno sentono dalla bocca dei genitori, dei preti, dei compagni e di tutti i fedeli cristani. Esso è un cibo per i sani, non per gli ammalati. E le popolazioni etiopiche, rispetto alla fede, non solo sono inferme, ma afflitte da malattie sì complicate, che a guarirle bisogna ricorrere a rimedj e cibi straordinarj e particolari. Colà non sono solamente le false dottrine dell’eresia eutichiana che avvelenano le menti ed i cuori di quei popoli, ma gli errori di tutte le sètte dell’Oriente, le mostruosità dell’islamismo e le molteplici superstizioni del paganesimo. A guarire pertanto quelle misere popolazioni, a nutrirle di sano cibo ed a preservarle da nuove cadute, il Bellarmino non basta davvero. Ed appunto per questi particolari bisogni il Concilio di Trento lasciò liberi i Vescovi nella compilazione dei catechismi per le loro diocesi, e la Chiesa si è sinora astenuta di proporre un unico testo per la cristianità.
15. Finalmente, non volendo io sprecare in personali e piccole questioni quel tempo che avrei potuto più utilmente impiegare con i miei Etiopi, misi da parte la stampa dei catechismo, e, presi meco i due giovani Michaele e Stefano, venuti da Versailles, partii con la strada ferrata per Marsiglia. Ivi trovai il M. R. Provinciale con i suoi Definitori, ed il Viceprefetto della mia Missione P. Taurin; ed essendo già stata apparecchiata ogni cosa nel convento per ricevere i giovani collegiali galla, vi collocammo i due ch’erano venuti meco, e destinammo per loro direttore il P. Emmanele, sotto gli ordini però del Viceprefetto Taurin, sino a tanto che questi non fosse partito per la Missione. Si stabilì inoltre di pregare le Autorità di Marsiglia a concedere il permesso di fare per la città un po’ di questua a vantaggio del nascente collegio; poichè, popolandosi di nuovi alunni, il convento non avrebbe avuti i mezzi sufficienti pel mantenimento di tutti. Ed il P. Taurin che aveva dimorato parecchi anni in Marsiglia, e conosceva bene la città e le persone più benevole e facoltose, prese su di sé l’incarico di condurre a fine quella faccenda.
16. Avvicinavasi intanto il giorno del mio ritorno in Africa, ed essendomi occupato in quei due anni solo di affari temporali, non voleva partire senza aver prima provveduto anche ai bisogni dell’anima mia. Per la qual cosa risolvetti ritirarmi nel nostro convento di Nizza marittima, e cercare in quella solitudine e tra i miei fratelli cappuccini un po’ di quiete e di conforti spirituali. Giuntovi con la strada ferrata, cominciai /44/ subito i santi esercizj, assistendo nel tempo stesso a tutti gli atti della vita comune, sia di giorno sia di notte, con gli altri Religiosi, e non uscendo mai di convento. Ma quantunque avessi fatto proponimento di non ammettere in camera mia alcuna persona, e di tenermi lontano da conversazioni, pure non potei sfuggire a parecchie visite di uno, che in altri tempi erami stato carissimo amico.
Vescovo di Nizza era allora Monsignor Sola, già parroco di Vigone in Piemonte e zelante operaio nella casa di Dio. Ceduta, come si sa, la contea di Nizza dal Piemonte alla Francia, il Sola ebbe la debolezza di parteggiare un po’ troppo per i nuovi padroni politici: la qual cosa, come per solito suole accadere, avevalo messo in urto col Capitolo della sua cattedrale, e conseguentemente con la Santa Sede. Saputo pertanto che io trovavami nel convento di Nizza, venne a visitarmi; e sperando da me, se non ajuto e protezione, almeno conforti e consigli, quasi ogni giorno compariva nella mia stanza. Piacevami da un lato rivedere l’amico e confortare l’afflitto Pastore: ma avendo fatto proposito di non immischiarmi di affari altrui, segnatamente per motivi politici, e vedendo che quelle conversazioni turbavano non poco la quiete del mio spirito, e raffreddavano il fervore acquistato in quei santi giorni, presi motivo della venuta del Viceprefetto Taurin, ed insieme con lui partii subito per Marsiglia.
17. Giunto in quella città, trovai che il Superiore del convento aveva ottenuto e fatto più di quanto io sperava pel bene del nostro piccolo istituto. Avutosi dalle Autorità il permesso di questuare, formò una Commissione di signori marsigliesi; la quale doveva occuparsi del benessere del collegio, procurandogli i mezzi di sostentamento, ed assistendolo in qualsiasi bisogno. Scritti poi alcuni regolamenti, sia per l’amministrazione esterna, sia per il buon ordine interno del collegio, furono firmati da me, dal Provinciale, dal Definitorio e dai membri della Commissione.
La santa opera, cominciata con sì lieti auspicj, sembrava benedetta da Dio, e faceva sperare un fecondo progresso: laonde, affidatala a quei buoni Padri, mi apparecchiai alla partenza. Fatta visita di congedo ai principali signori della città, ai membri della Commissione ed al Vicario Capitolare, ed abbracciati e benedetti i due cari giovani, che lasciava nel collegio, accompagnato da alquanti Religiosi e da parecchi amici secolari ed ecclesiastici, mi recai sul piroscafo che partiva per l’Oriente.