Le origini di Arignano

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Le origini di Arignano risalgono alla notte dei tempi. Nell’antichità il castello di Arignano è molto celebre e il nucleo più antico risale al periodo in cui Giulio Cesare, dirigendosi verso le Alpi, ordina ai municipi romani di provvedere per le vettovaglie necessarie al suo esercito.

Il castello fortificato di Larignum ed i suoi abitanti non intendono ubbidire. Giulio Cesare inizia l’assedio del castello che è rafforzato da una grossa catasta fatta da rami di larice. Grande è lo stupore di Giulio Cesare quando, smorzatosi il fumo e la fiamma delle fascine messe a bruciare alla base di questa pira, vede che il castello è ancora intatto.

Fatta costruire una trincea ad una distanza non raggiungibile dai dardi degli abitanti del castello li costringe alla resa.

Giulio Cesare chiama questo forte ribelle Larignum per la grande quantità di larici che crescono nella zona ed è probabile che da Larigno derivi l’attuale nome di Arignano.

In un diploma del 981 Ottone III, re dei Romani, conferma in perpetuo alla Chiesa di Torino tutte le sue proprietà mobili e immobili ed i terreni dei borghi di Chieri, Canova, Celle, Testona, Rivoli, Flavignasco, il castello di San Raffaele, Carignano, Pinerolo, Piobesi, Arignano con tutte le loro pertinenze.

Verso il 994 Ottone III conferma ad Amizone, vescovo di Torino, il dominio un certo numero di borghi con relativi territori, tra cui anche Arignano. A questo diploma manca la data ma lo si può datare con una certa precisione tra il 996 ed il 999 e, quindi, nella prima o nella seconda discesa italica di Ottone III, perché nel 1001 quando intraprende la terza discesa in Italia, il vescovo Amizone è già morto.

Nella prima metà dell’anno Mille governa a Torino Adelaide, marchesa di Susa, Torino e Ivrea. Sposando Oddone di Savoia lega Torino ed il Piemonte alla casa sabauda. Alla sua morte la politica geografica piemontese si suddivide ulteriormente: da una parte c'è la borghesia di Asti, Torino e Chieri, di cui Arignano è stato per parecchi decenni un feudo semovente, mentre nel Monferrato si forma il forte stato degli Aleramidi.

All’inizio dell’XI secolo Chieri è proprietà sia del vescovo di Torino che dei Canonici di San Salvatore istituiti nel 1006 da Gezone con la dotazione dei luoghi di Carignano, Sangano, Chieri, Santena, Andezeno, Arignano, Moriondo, Pino Torinese, Pavarolo, Cinzano, Rivalba, Stoerda e Borgo Cornalese.

In un diploma di Enrico III, datato 1º maggio 1047, si conferma che parecchie corti del diploma di Ottone III appartengono non al vescovo di Torino ma ai Canonici del Capitolo Torinese. Tuttavia delle parecchie corti che sarebbero in esso citate, ne è citata una sola ed è quella di Arignano.

Nel 1158 il vescovo torinese Carlo investe il castello di Chieri ed alcuni territori circostanti, tra cui anche Arignano, al conte Guido di Biandrate il quale gode dell’amicizia di Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa il quale, ospite del conte Guglielmo V del Monferrato il 20 gennaio 1159 investe il vescovo Carlo della signoria sulla città di Torino e del territorio per un raggio di 10 miglia includendo la striscia di terra tra il Po ed il Monferrato e, quindi, anche Arignano con la cappella ed il castello.

Un diploma imperiale emanato da Ottone IV nel 1212 legittima i possessi di Chieri su Montosolo, Cambiano, Santena, Bulgaro, Albuciano, Riva, Revigliasco, Pralormo, Passayrano, Arignano, Baldissero, Pavarolo, Montaldo e Marentino. L'appoggio, quindi, di Ottone IV e la pace con i conti di Biandrate permettono a Chieri di riprendere la politica delle annessioni: nel 1223 con Riva, nel 1224 Pecetto e Revigliasco, nel 1228 Pralormo, nel 1232 la metà del castello di Arignano e la quarta parte di quello di Vernone.

Da feudo semovente del comune di Chieri, Arignano passa sotto il dominio dei principi Savoia-Acaja e dei duchi di Savoia alla fine del XIV secolo poco dopo aver subito le rovine, nel 1396, da parte del soldato di ventura Facino Cane che seri lutti porta nel Chierese e ad Arignano, nel corso della guerra tra il principe d'Acaja e il marchese del Monferrato. Il 12 aprile 1400 dai fratelli Millone, Arignano passa a Giovanni Broglia dei Gribaldengis e il 28 febbraio 1407 le terre ed il castello di Arignano passano nelle mani di Luigi Costa la cui famiglia è rimasta per diversi secoli l’unica signoria di Arignano.

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La famiglia Costa

La famiglia Costa è un'antichissima famiglia chierese aggregata alla famiglia dei Raschieri e con l’Ospizio degli Albuzzani. In un documento del duca Amedeo VIII di Savoia riguardante le famiglie appartenenti agli Alberghi della città di Chieri, Amedeo VIII cita Ludovico Costa, Bernardo Raschieri, Nicolino Pulliolo e Bodano Guasco come appartenenti all’albergo dei Costa. Inoltre, nel 1328, Leonino Costa viene infeudato della Torre di Albussano, toponimo di un luogo ormai scomparso situato nelle immediate vicinanze di Chieri e che, in seguito, è stato inglobato nel territorio urbano chierese diventando non solo uno dei quattro quartieri di Chieri ma anche il nome di una delle otto porte d'entrata alla città esistenti verso la prima metà del XIII secolo. La porta Albussano si trova dove ora c'è la unione tra via Albussano e la Vecchia Strada per Buttigliera.

Il 28 febbraio 1407 inizia la dipendenza di Arignano dalla casata dei Costa e l’atto di infeudazione è conservato nell’Archivio di Stato di Torino. Luigi Costa può considerarsi a tutti gli effetti il fondatore delle fortune della casata dei Costa. Lasciato il collare di chierico, Luigi si mette al servizio del principe d'Acaja e di Amedeo VIII di Savoia diventando con il tempo luogotenente generale delle truppe e consigliere nonché tesoriere di Amedeo VIII. Tra il 1402 ed il 1419 acquisisce parecchi beni tra cui Arignano, Carrù, Bene, Trinità e Polonghera. Eclissata la sua alta influenza a corte viene incolpato di usura e i suoi beni sono confiscati. 1 figli sono messi sotto la tutela di Manfredo di Saluzzo e reintegrati dei beni paterni solo il 28 giugno del 1427 dopo il pagamento di 2000 ducati d'oro.

Dopo vari passaggi di proprietà, Polonghera è conquistata da Giacomo d'Acaja dopo 17 giorni d'assedio che lo cede con titolo comitale ai Costa di Chieri. Quando vengono infeudati di Polonghera viene loro imposta la fortificazione dell’edificio dotandolo del fossato e del ponte levatoio.

A causa di continue devastazioni nella zona di Carrù, Amedeo VIII fece intervenire come mediatore Ludovico Costa della Trinità ma l’impresa fallisce, Carrù viene assediata e si arrende il 3 aprile 1415. Nel 1418 avviene l’infeudazione ufficiale del feudo ai Conti Costa che lo mantengono fino al 1872 quando lo vendono ai Conti Curreno tanto che il castello di Carrù è conosciuto come castel Curreno. Nel 1977 i Curreno cedono il castello alla Cassa Rurale Artigiana di Carrù che è l’attuale proprietaria. Si narra che durante il dominio dei Costa vigesse l’odioso balzello in natura della jus prime noctis che le fanciulle dell’epoca devono pagare la prima notte di nozze. Avendo i conti Costa rinunciato spontaneamente al tributo, la comunità per sdebitarsi offre loro un podere nelle vicinanze del Tanaro ancora oggi conosciuto come "il campo delle donne" vicino all’attuale stazione ferroviaria. L'arredamento interno del castello e la ricca collezione di tele risalgono interamente alle sistemazioni del 1600 e del 1700 fatte dalla famiglia Costa.

A partire dal 1427 il conte Ludovico Costa, luogotenente generale e tesoriere dei principi d'Acaja, ottenuta l’infeudazione, inizia il riattamento e il potenziamento bellico del castello di Bene e la sua ristrutturazione è quasi totale. Grazie a questa ricca famiglia di banchieri chieresi l’edificio assume, a quel tempo, l’impostazione attuale, che si è conservata attraverso i secoli.

A partire dalla fine del 1400 fino a tutto il 1600, i conti Costa non fanno altro che incrementare i possedimenti arignanesi. Gli accordi con i cittadini privati e con tutta la popolazione tendono ad evitare le ingerenze esterne e ad assicurare il diritto di prelazione sulla compravendita dei terreni.

La famiglia Costa si divide in due rami: con Giovanni Luigi si ha il ramo dei conti Costa di Trinità, signori di Carrù, Borgaro, Fortepasso, Malpertusio, Val di Cosso, Castelletto e Saleggio con Val d'Ussone. Con Bongiovanni nasce il ramo cadetto dei conti Costa signori di Arignano, Bene e Polonghera.

Verso la metà del 1400 la famiglia Costa, dall’imponente rocca che domina Arignano, si trasferisce in un altro castello arignanese, confinante con il precedente, dove può svolgere una vita più comoda grazie ad un ampio cortile interno di gusto michelozziano a due ordini di arcate, aperto sui quattro lati, unico in tutto il Piemonte, decorato da colonnette rinascimentali. L'aspetto esteriore è talmente semplice che le guide turistiche hanno da sempre ignorato l’esistenza di questo castello nonostante l’ascendenza sabauda dei Costa.

Il 23 agosto 1495 viene consacrata la chiesa di Sant’Agostino in Chieri. Oggi ne rimane solo più un muro perimetrale lungo via Bastioni ma in origine era una chiesa a navata unica, con 8 altari oltre all’altare maggiore perché le principali famiglie dell’epoca fanno a gara per collocarvi la propria cappella gentilizia tanto che alla fine le famiglie Tana, Balbo, Bertone, Falcombelli, Peruzia, Landriano, Villa di Rivalba, Rascheri - Costa, Costa di Arignano vi collocano le proprie tombe. Tuttavia, la chiesa ha vita breve perché il giorno di Pasqua del 1516 crolla il tetto uccidendo parecchie persone. L'edificio è, in seguito, smantellato durante la Rivoluzione Francese.

Nel XVI secolo a Pralormo si estinguono due linee dei Roero la cui eredità spetta, in virtù di accordi prematrimoniali piuttosto complicati, ai conti Costa di Arignano e Polonghera e ai conti Costa della Trinità. Breve, tuttavia, è la vita dei Costa come consignori di Pralormo. Il 5 novembre del 1679 Cristina Broglia, vedova di Giorgio Costa della Trinità e di Francesco Amedeo di Polonghera, vende un terzo del feudo a Giacomo Beraudo il quale, con il figlio Sebastiano, è investito del titolo di conte di Pralormo il 2 maggio 1680. L'11 settembre 1679 Tommaso Felice Ferrero della Marmora acquista dal cognato Francesco Costanzo Costa di Polonghera la restante terza parte di terre e castello di Pralormo. La proprietà del feudo di Pralormo è unificata nel 1830 quando Carlo Beraudo acquista i 2/3 del castello e delle terre di Pralormo dai Roero e dai La Marmora.

Nel 1690 si estingue la linea dei Costa di Arignano ed il feudo passa ai Costa della Trinità che praticano un tipo di gestione molto diffuso e che consiste nella concessione in appalto dei fondi a grandi affittuari che anticipano il canone forfettario in denaro e riscuotono il canone in natura dai singoli coltivatori.

Nel XVIII secolo viene costruita la villa barocca a metà strada tra la rocca e il castello delle quattro torri, e che costituisce un'azienda agricola di notevole grandezza, con una parte destinata a parco e a giardino. Questo sontuoso palazzo settecentesco gareggia con i più bei palazzi del Piemonte e con il terreno raggiunge l’estensione di 1256 giornate piemontesi. Nel giardino i conti Costa della Trinità hanno messo piante esotiche ed è notevole per le serre dei fiori rari e preziosi per non parlare degli ananas che vi giungono a maturazione.

Nel 1800 i conti Costa destinano il castello delle quattro torri di Arignano ad abitazione del fattore e dei lavoranti, deposito, fienile, granaio e scuderia perché abitualmente risiedono in un palazzo sito in contrada San Sebastiano, l’attuale via San Francesco da Paola, e ad Arignano sono rappresentati da un intendente con il quale concludono numerosi contratti d'affitto con i coloni residenti nelle singole cascine arignanesi, con le relative pertinenze e gli appezzamenti di terreno.

I Conti vengono ad Arignano per due mesi all’anno, da settembre a ottobre fino ai Santi, e risiedono nella villa settecentesca tanto ammirata dal Casalis. Nel giorno dei Santi i Costa partecipano alla Messa nella Cappella, chiesetta ora scomparsa, dove una volta all’anno vi si celebra Messa. Il giorno dei morti coincide anche con la fine della vendemmia. Alla Messa assistono, oltre ai conti, anche i dipendenti ed i braccianti che sono numerosi vista l’estensione dei terreni e dei vigneti. Alla fine, per tradizione, il pranzo è consumato sull’aja del castello delle quattro torri, che da dimora signorile è diventata un cascinale, e la contessa distribuisce personalmente a tutti la minestra con i fagioli.

Il conte Carlo Remigio Costa di Trinità vede nella costruzione di un lago artificiale un'opera ambiziosa. La costruzione di un imponente e vasto bacino artificiale tra i comuni di Marentino e Arignano non è possibile senza il riconoscimento di pubblica utilità, senza il quale non è possibile ottenere l’esproprio dei terreni agricoli necessari alla opera.

Nonostante il ricorso dei fratelli Drago e Zuccalà, i quali sostengono che le acque dell’invaso avrebbero creato nebbie e insalubrità dell’aria e viste le notevoli spese per la manutenzione di una nuova strada al posto di quella già esistente, il Magistrato di Sanità del Piemonte dà parere favorevole e il 5 febbraio 1839 il re Carlo Alberto concede le Regie Patenti. C'è un secondo ricorso perché la terra di riporto in eccesso è usata per la formazione di un isolotto, non previsto nel progetto originario.

Tuttavia i lavori continuano ma non ci sono documenti che attestino la data esatta dell’ultimazione dei lavori. Alla morte del conte è la moglie, Ernestina Scarampi di Villanova dama della regina, a seguire i lavori di ultimazione del lago di Arignano. Il lago dà lavoro a due mulini: uno è il Molino del Lago, vicino alla diga, l’altro è il Molino Moano che, però, cessa presto la sua attività.

Il lago di Arignano ha una dimensione di 380 metri di larghezza e 900 metri di lunghezza per una superficie totale di una trentina di ettari. L'altezza sul piano di campagna nel parametro a valle è variabile da 2,50 metri verso la sponda destra a 6,50 metri nel punto centrale.

Il livello dell’acqua nel lago non deve essere mai superiore ai 1221 trabucchi (circa 130.000 metri cubi) e non è permesso usare l’acqua del lago per la macerazione delle canapi o altri materiali che a contatto con l’umidità marciscono.

Un particolare aspetto del lago è quello legato al ghiaccio. Per tradizione la raccolta del ghiaccio viene effettuata prima di Natale. Tutti gli arignanesi possessori di carri e cavalli contribuiscono a caricare i lastroni di ghiaccio che saranno immagazzinati nella ghiacciaia dei Conti Costa, un fabbricato annesso alla villa settecentesca.

Il declino del lago segue fatalmente il declino dei Costa. La fortuna di questa casata si conclude nella seconda metà del 1900 quando iniziano i frazionamenti e le cessioni delle numerose proprietà comitali e, tra queste, anche il lago. Testimonianze orali ricordano la cessione del lago ai conti Rossi di Montelera, la visita dei reali nel 1928 e le frequenti battute di caccia cui talvolta partecipa il principe ereditario.

La lenta decadenza e la mancanza di lavori di manutenzione fanno sì che nel 1980 il lago venga svuotato.

A cura del Gruppo Storico Arignanese

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