Storia dell’antica Abbazia e del Santuario
di Nostra Signora di Vezzolano
Del Sac. Cav. Antonio Bosio

/seguito di p. 31/

Descrizione dei Chiostri.

Ai chiostri di questo vetusto cenobio, ora casa privata, si entra per una pittoresca portina; degna di osservazione è pure la finestra bifora con colonnetta in pietra, che sta nel muro a sinistra della portina. Un vicino abbeveratoio per le bestie, in pietra, sembra che fosse un’urna sepolcrale, ma senza alcuno ornato e senza lettere.

I chiostri o gallerie formano un quadrilatero: il lato di ponente è di una remota antichità, grosse e basse colonne in cotto e colonnette in pietra sostengono bassi archetti (1); grazioso è quello di mezzo giorno, già terza navata, come dissi, della chiesa unita al chiostro da tempo molto antico, ha tre grandi /32/ archi più alti sostenuti da colonne e pilastri e capitelli dissimili, ma unissoni; questi archi sono scompartiti da archi minori in numero di sei con graziose e svelte colonnette in pietra di pittoresco effetto: tutti i capitelli sono variamente scolpiti, con bellissimi intrecci e fregi sia di classico che di barocco disegno; quello del pilastro d’angolo verso la sagrestia o coro d’inverno, in pietra bianca dolce, simile alla refrattaria di Castellamonte, rappresenta l’Annunciazione, la Visitazione della Vergine, la Nascita del Redentore, ed un uomo che dorme coricato, e sopra un altro che scrive; sembra forse il sonno di Giuseppe; nel lato di levante vi è un arco scompartito da due minori come li tre precedenti, seguitano due altri semplici, come sono i quattro della parte di mezzanotte. Gli altri due lati sono di più recente costruzione. Nella lunetta della parete vicino alla sagrestia nella parte sinistra, vi è dipinta a fresco la Madonna col divin suo figlio che scherza colla cintura della madre assisa sopra seggiola antica; ha in capo un trasparente velo, tiene una margarita in mano, due angeli coi turiboli la incensano, la pittura che vi era sotto e d’attorno alla portina che dava adito alla chiesa, è scomparsa: nel capitello del vicino pilastro vi è scolpita una figura d’uomo che cammina. La volta del secondo arco è tinta d’azzurro oltremarino con stelle d’oro: nel lato di mezzo vi è un bellissimo S. Gregorio Magno Papa, con tiara bianca e gemmata in capo, e assiso ad un tavolo, e scrive sotto l’ispirazione del divin Paracleto le sue immortali opere. Nelle fascie laterali dell’arco della volta si veggono ancora in mezza figura S. Caterina vergine e martire e S. Margarita, coi rispettivi nomi, come pure vi è scritto quello di S. Gregorio; sotto alle medesime vi /33/ sono due ritratti di divoti; i piccoli stemmi in istucco che vi stavano sotto e che dovevano portare la stessa arma che più volte si vede dipinta nelle vicine fascie degli archi, furono tolti nella repubblica francese. Gli altri tre lati di questa volta non hanno più pitture, esse doveano rappresentare altri santi dottori latini; forse S. Agostino, S. Girolamo e S. Ambrogio; si vedono ancora appena i piedi di tavoli o cattedre dei dipinti. Nella parete poi inferiormente a questo dipinto, le pitture sono divise in quattro scompartimenti orizzontali: nella zona superiore vi è il Redentore in atto di benedire, con libro che ha scritto Ego sum lux mundi, via, veritas, vita; è assiso sopra variopinta iride o arco baleno, emblema di pace, e di perdono: poggia i piedi sul globo mondiale, formato pure dall’iride: altra iride forma la cornice ovale del dipinto (1): la maestosa e bella figura del divin Salvatore ha un tipo orientale o greco, come veniva nei tempi antichi rappresentato, attorno vi sono i soliti emblemi degli evangelisti: L’aquila di S. Giovanni reca il principio del suo Vangelo In principio erat Verbum, etc, l’uomo o l’angelo di S. Matteo porta lo scritto: Liber generationis, Iesu Christi, etc.; più sopra vi sono il bue di S. Luca, ed il leone di S. Marco col libro, tutte queste figure sono alate e nimbate.

Nella seconda zona vi è rappresentata la capanna di Betlemme colla Vergine Madre, che sostiene il suo divin fanciullo seduto sulle ginocchia, gli sta accanto, il casto e vecchio sposo san Giuseppe che si appoggia sopra un bastone o gruccia a diversi nodi, bizzaria del pittore; e tiene in mano una pisside of- /34/ ferta da uno dei tre Magi, che vennero dall’Oriente guidati dal lume della prodigiosa stella; il più vecchio con bellissima barba bianca è prostrato ai piedi del Redentore; gli altri due stanno in atto riverente. In un angolo vi è in ginocchio un devoto vestito d’azzurro con cappuccio e con una borsa nera listata a tracollo, ed è presentato da un angelo alla Madonna, che benignamente lo guarda, e dovrebbe essere il divoto che fece eseguire queste pitture: le teste sono bellissime, e buona è la composizione, ed attestano il rinnovamento dell’arte. Nelle quattro fascie dell’arco si veggono ripetuti gli stemmi dell’antica e nobile famiglia dei signori di Castelnuovo e di Rivalba, già da secoli estinta, i quali fecero dipingere a fresco questa arcata, e dove depositarono i loro trapassati, come si dirà. Quest’arma consiste in un scudo d’argento a tre fascie di rosso (1).

/35/ Nella piccola fascia bianca, che serve di cornice, posta inferiormente al detto dipinto, si è potuto con grande difficoltà leggere ancora qualche parola in caratteri gotici, cioè:

Sepulcrum nobilium.... cudam ex d.nis.... castrinovi et aliorum.... videlicet Dnor Philipi Gugliermi Iordani et Oddonis ac heredum.... M.CCC.LIIII. die.....vebis.

Nel terzo scompartimento vi è dipinto il fatto, che nella comune e vecchia credenza, sarebbe stato cagione della fondazione, od ampliazione, e riedificazione della chiesa e del monastero di Vezzolano.

Si sa dalle storie che venne Re Carlo Magno nel 773 /36/ alla conquista della Lombardia. Superato alle chiuse in Val di Susa e vôlto in fuga Desiderio Re dei Longobardi, lo strinse d’assedio in Pavia, che molto durò. In quel tempo prese varie città, fra le quali Torino, da cui si recò cacciando, come era solito, sino alla selva di Vezzolano, forse neppure dieci miglia da quella città lontana. Ed appunto la pittura rappresenta quel Sovrano a cavallo, accompagnato da due scudieri parimenti a cavallo, e seguito dai cani, con uccelli che svolazzano per l’aria; esso è in atto di grande spavento, sì che accenna di cadere dal suo bianco destriere, e ciò per la vista di tre scheletri (credendoli forse di persone fatte da lui uccidere), che escono da una tomba, uno dei quali avvolto in funereo lenzuolo, che avrei creduto rappresentasse una donna, se non si scorgesse ancora un po’ di barba sul mento: i due cavalieri del suo seguito sono ugualmente spaventati, uno nasconde il volto fra le mani, l’altro rivolge il capo altrove per non vedere: un pio monaco o romito si presenta a confortarli, esortandoli a ricorrere alla Patrona di quel luogo, alla Madonna venerata nella vicina chiesa, che indica, e dice di non insuperbirsi, pensando che tutti dobbiamo morire; sopra un cartello, ora cancellato, che tiene in mano il monaco, si dovevano leggere le seguenti parole, le quali in parte si possono leggere in un’altra pittura più antica di questi chiostri, ed in parte le ho trovate in una scheda del prelodato P. Francesco Borgarelli

Quid superbitis miseri,
Pensate quod sumus
Pensate quod estis
Hic eritis
Quod minime vitare potestis.

/37/ In questo quadro Nel testo: vi è altro un cartello
vedi Correzioni
vi è un altro cartello tra la testa di Carlo Magno e la facciata della chiesa, ma le parole sono ugualmente scomparse; si possono bensì sostituire con quelle che si leggono nel terzo dipinto di sopra nominato che esprime lo stesso straordinario avvenimento, e sono le esclamazioni uscite dalla bocca dell’esterrefatto Sire: O res orida, res orida et est stupenda.

Alcuni, non so con quale fondamento, credono che Carlo Magno fosse soggetto all’epilessia, e che per intercessione di Maria ne fosse libero, quindi in ringraziamento a Dio della ricevuta grazia, abbia donati mezzi più che sufficienti ad ampliare la chiesa ed il convento. Ma la pittura indica piuttosto lo spavento per la vista dei morti. Si mette poi da taluno in dubbio che sia stato quel Sovrano in questi luoghi, e fosse il fondatore o benefattore di questa chiesa, ma io sarei di contrario avviso, poichè una costante tradizione, passata per tanti secoli fra gli abitatori di questi e dei vicini paesi, non si deve così leggermente rigettare senza provarne impossibile la esistenza del fatto. Se essa fosse solamente fondata nella cronaca latina di Raimondo Turco, il quale meritamente è poco accreditato, si potrebbe rigettare, ma essa è confortata dai monumenti di scultura nella chiesa, e di pitture di diverse epoche e tutte antiche nei claustri, di molto anteriori alla suddetta cronaca: oltre la predetta pittura di buon pennello, che certamente è del secolo XIV, come le epigrafi scritte nelle cornici Nel testo: della medesime
vedi Correzioni; ma si indica erroneamente p. 38
della medesima lo indicano, se ne veggono due altre esprimenti lo stesso fatto.

Per negare la venuta di Carlo Magno in questo luogo, e rifiutare la continua tradizione, bisognerebbe, secondo i canoni di sana critica, provare l’impossi- /38/ bilità od incongruità della stessa. Ma si sa che più volte scese dalle Alpi quell’immortale Imperatore, e venne in Italia; e primieramente, come già dissi, nel 773, quando conquistò la Lombardia. Nel 800 di nuovo, allorchè dal Sommo Pontefice fu sacrato Imperatore nella solennità del Natale del Signore in Roma (1), ove si fermò, e celebrò ancora la Pasqua seguente, e si trovò poscia all’ultimo d’aprile a Spoleto, poi a Ravenna, andò a Pavia, antica sede dei re Longobardi, ove dettò leggi, si recò quindi a Vercelli, e poi alla Mansione di Santià, ove ricevette gli ambasciatori di Harun Al-Raschid (Aronne) Califfo degli Abassidi e Re di Persia, Principe molto pregiato per la grandezza d’animo, il quale, precorrendo il suo tempo, si recò a grande ventura di ordinare il suo regno secondo le savie leggi del Magno Carlo, la fama del quale alta risonava, anche fra i popoli orientali, e dell’amicizia del quale molto si gloriava, come si ha dall’illustre biografo e confidente di Carlo Magno il monaco Eginardo. Uniti a quei Messi ricevette pure i Legati di Amurat Abraham Re d’Africa, e ciò avvenne tra il 20 e 23 di giugno del 801, poichè si sa che celebrò la festa di S. Giovanni Battista in Ivrea; superate quindi le Alpi andò in Francia.

/39/ Fra i molti doni che ricevette a Santià, si notano con ispeciale menzione due grossi elefanti ed un orologio, che si vuole il primo ammirato in Europa (1).

Il regno di Carlomagno è un’aurora di civiltà, che fu probabilmente il frutto del viaggio da lui fatto a Roma, come dice lo stesso Voltaire.

Ed è forse in questa circostanza che ricevette pure in dono le chiavi di Gerusalemme mandateli da quel Patriarca in segno, che il Califfo Aronne concedeva al Re Carlo il dominio della detta Santa città, come narra il Muratori negli Annali.

Siccome gli storici di questo Sovrano conquistatore parlano dei fatti successi negli altri paesi, e raramente di quanto operò nel nostro, credo non inopportuno di darne ancora qualche altro breve cenno a provare viemmeglio la congruità, e che non solamente siasi trovato a Vezzolano, ma che pure beneficasse questa chiesa. Carlo Magno non solamente favorì l’Abbazia vetustissima della Novalesa, ove risiedeva l’Abbate Frodoino figliuolo a Mauregato o Manfredo, nobilissimo francese e congiunto collo stesso Carlo, il quale Abate nutrì l’esercito accampato presso Susa, ma volle conse- /40/ gnare al medesimo il suo figlio Ugo, terzo di quel nome, e che per le sue virtù venne eletto Abate nel 820 alla morte di Frodoino, ambedue questi monaci vennero dai fedeli, come santi venerati (1). L’Imperatore diede all’Abbazia molte possessioni, fra le quali la valle di Bardonecchia, donazione da alcuni contestata, e l’arricchì di argenti, ori e gemme, e di diversi e preziosi corpi santi, e specialmente di quello di Santo Stefano protomartire, ora a Susa: e quello di S. Valerico Abate Lussoviense, trasportato a Torino, il Nel testo: pero
vedi Correzioni
capo però non si sa dove sia; una gamba di San Cosma ed un’altra di S. Damiano suo fratello, ora in S. Francesco d’Assisi in Torino, eresse il monastero benedittino presso Cimella per favorire Siagrio distinto militare francese, che si trovò in varie spedizioni sotto le sue vittoriose bandiere, e vi professò, e che fu quindi Vescovo di Nizza e venerato sugli altari. Beneficò pure la Badia di Cannetto, già edificata dalla pia Teodolinda Regina dei Longobardi, detta poi del Villare dei Santi Costanzo e Vittore in Val di Macra.

La cronaca d’Asti già citata e riportata (2) da /41/ quella di Vezzolano, dice, che Carlo Magno, ottenuta una vittoria sull’esercito di Re Desiderio a Selvabella, detta poi Mortara, per la grande strage ivi avvenuta, chiuse strettamente d’assedio Pavia, ove si era ritirato il Longobardo, durante il quale assedio si recò in Asti, e visitò divotamente la celebre chiesa dei Santi Apostoli, prendendo alloggio in quell’Abbazia, e per ricrearsi alquanto, si diede al diletto suo esercizio della caccia e si portò verso il Po alla selva detta di Vezzolano, distante circa dieci miglia da Asti, e vi si trovò avanti la cella di un eremita, che serviva la chiesa della Beata Vergine, e vide ivi all’improvviso uno scheletro di uman corpo senza pelle e senza carne; a così tetro spettacolo, seguita a narrare la cronaca, non solo l’Imperatore, ma anche i suoi compagni ed anzi gli stessi cavalli e cani rimasero spaventati.

Venne loro incontro l’eremita, e parlando all’Imperatore, lo rinfrancò, onde esso poi fece edificare la chiesa in onore della Beata Vergine coll’annesso monastero, al quale diede il vicino castello d’Albugnano e molti altri possedimenti per sostenere i monaci dall’eremita chiamati ad officiarla. Sin qui la cronaca: si potrebbe obbiettare che mancò il tempo a quel Sovrano di occuparsi di caccie e di divertimenti, dovendo assoggettare i Longobardi, combatterli in tante fazioni, ed occuparne le diverse città: ma si conosce tanto da Eginardo, quanto dalla cronaca della Novalesa, che il Magno Carlo dovette impiegare molti mesi, prima di ridurre in suo potere la forte città di Pavia, entro cui col nerbo del suo esercito si era chiuso Re Desiderio, ed in quel frattempo ben potè recarsi in Asti od in Torino, e quindi venire cacciando nella /42/ selva di Vezzolano, essendo, come fu detto, la caccia il suo prediletto esercizio (1).

Vedendo poi alcuni dipinto Carlo Magno che quasi cade dal cavallo, credono che sia stato improvvisamente colto dal morbo epilettico alla vista dello scheletro, e che quindi ne venisse dal monaco risanato, raccomandandolo alla Madonna, e quindi in ringraziamento dell’ottenuta grazia ne rifabbricasse la chiesa ed il convento. Ma di ciò la sola tradizione non corroborata dalla storia lo accenna come già dissi.

Circa l’autore dei dipinti di quest’arco non si può dire cosa alcuna. Dalle iscrizioni e date che si possono ancora leggere nelle cornici, Nel testo: appaiono
vedi Correzioni
appariscono certamente del secolo XIV. Si sa poi che Barnaba da Modena dipingeva in quel torno in Piemonte, come si può vedere nella Prefazione al vol. XIV delle Vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architetti di Giorgio Vasari: Milano 1811, scritta da F. G. D. cioè il fra Gugliemo della Valle, da cui si rileva che il detto Barnaba lasciò opere superiori a quelle di Giotto, e da cui la pittura in Piemonte prese molto lume ed avanzamento (2). Nel coro notturno di S. Francesco in Alba dipinse una tavola per l’altare: in essa due Angioletti stendono un panno sopra la residenza della Beata Vergine, che si vede in atto d’allattare Gesù bambino. Le figure sono di stile grandioso, e contornate meglio delle /43/ altre contemporanee, il panneggiamento è ricco, e le pieghe durette, ma non infelici. A piè della tavola si legge: Barnabas de Mutina pinxit MCCCLVII. Un’altra consimile se ne vede nella chiesa dei Domenicani di Rivoli.

Nella quarta zona di questo arco vicino al pavimento, vedesi dipinto un uomo in toga rossa disteso sul suo sepolcro con ricco guanciale, esso rappresenta un individuo della nobile famiglia dei Rivalba consignori di Castelnuovo, Moriondo e Lovencito, di sopra nominato, ma non si è potuto leggere il suo nome nella fascia bianca, che divide questo dal dipinto di Carlo Magno, e solamente si sono ricavate le seguenti parole che non formano un senso, e la data: eccole. Mores... sapientia virtus et honores... non retinent... sepultum... in pace obit M°C°C°C°LI.

Sopra i piedi del medesimo personaggio vi è un cartello ed anche qui appena si è potuto decifrare. Res orenda... caminamur.

Pur troppo la mano dell’uomo ebbe gran parte nel cancellare questi scritti e guastare le predette pitture per piantarvi pali! e per il solo piacere di distruggere!

Sopra li piccoli archi di bellissimo stile lavorati in pietra si trova il dipinto dei SS. Crocifisso colla Vergine Addolorata.

Nel terzo arco vi è una pittura più antica della precedente e meno bella, che rappresenta la Madonna sedente col Bambino Gesù, a diritta un angelo presenta un uomo con chierica, inginocchiato, con veste di color azzurro oscuro, che offre una chiesa a tre facciate o cupole; forse il pittore ha voluto dipingere S. Pietro Apostolo che offre la chiesa alla Beata Vergine, accanto gli sta scritto Do. Petus: a sinistra vi /44/ è S. Agostino Vescovo e Dottore con mitra piuttosto bassa, e tiene il pastorale in mano: si legge S. Augustinus. Nella fascia superiore vi sono alquanti scudi coll’aquila d’oro in campo nero stemma dei Radicati.

In mezzo della fascia vi è una targa sostenuta da due angeli, in essa vedesi il divino Agnello colla bandiera.

Bisognerebbe conoscere, quando quei nobilissimi signori di Cocconato e del contado, inquartarono coll’aquila l’albero di castagna verde sradicato in campo d’argento. Ciò probabilmente avvenne nel secolo XV, ma certamente non prima del 1300, e servirebbe a fissare più approssimativamente l’epoca di questi dipinti.

Forse sotto quest’arcata si deve porre la tomba dei suddetti signori Radicati (se non è nell’ultima) come lo indicano le diverse armi delli stessi: poichè si conosce il testamento fatto ai 24 novembre del 1320 in casa del signor Pietro di Cocconato in Casalborgone al rogito di Giacomo Dolerio, nel quale Isabella dei Maloxellis, vedova del signor Enrico di Cocconato, figlio del fu Alamanno, ordina di essere sepolta presso la chiesa della Beata Maria di Vezzolano nel monumento, ove è deposto il suo marito Enrico. Il non avere fatto alcun lascito a detta chiesa sembra indicare, che i Radicati aveano antico diritto alla sepoltura in quel sacro recinto.

La medesima, lasciò ai suoi fratelli e nipoti lire dieci Astesi, e ciò che aveva nel castello di Primeglio da impiegarsi per il rimedio dell’anima sua, e del suo marito. Eredi del rimanente li signori Ricardo, Filippo, Guione, e Pietro Bonifacio loro nipote, perchè l’hanno sempre tenuta per lungo tempo, come /45/ loro madre, esecutori testamentari, Bonifacio ed Alberto figli del fu Guidone di Cocconato.

I Malocelli nobili genovesi erano nel 1223 già degli antichi signori di Celle, Varazze ed Albissola nella Riviera di Ponente, da molto tempo estinti. Aveano per arma tre gufi, uccelli di mal augurio. La Comunità di Celle in memoria del vassallaggio a quella famiglia mette un gufo nel suo stemma.

Nel quarto arco vi è dipinto superiormente il Salvatore che benedice, come nell’arco secondo, sotto si scorge ancora un poco la Beata Vergine Maria, ma molto guasta, perchè vi si praticò la scala per salire all’ambone della chiesa.

Nella fascia vi sono diverse teste di Santi.

Sotto la scala vi sono tombe, ma non si legge più alcun nome.

Nell’arcata quinta si vede dipinto il solito Salvatore coll’Α ed Ω, cιoè alfa ed omega grechi circondato dagli emblemi degli Evangelisti coi rispettivi nomi (1).

Sotto si vede dipinto a scompartimenti la Madonna col divin suo figlio in mezzo, a diritta S. Giovanni Battista cinto di pelli di camelo, che presenta un militare inginocchiato, tutto vestito in ferro, che si crede Carlo Magno, dietro al medesimo si scorge la metà del cavallo. Sopra San Giovanni vi è scritto S. Ioes Baptista, alla sinistra vi è San Pietro colle chiavi, /46/ accanto gli è scritto S. Petus. La Beata Vergine col divin Figlio, i SS. Giovanni e Pietro Apostolo hanno il capo circondato dal nimbo od aureola in rilievo.

Nella fascia dell’arco vi sono in ovali 14 teste di apostoli ed altri santi con alcune targhe o scudi coll’aquila dei Radicati.

In fine della stessa navata si vede superiormente dipinto Cristo in croce con allato la beata sua Madre, e S. Giovanni Evangelista o la Maddalena. Sotto vi è il Grande Carlo a cavallo con falcone nella sinistra accompagnato da due scudieri, parimenti a cavallo, un poco sotto vi sono due cani: sopra il detto Sovrano si legge ancora o res orida, res orida et est stupenda. Manca il rimanente della pittura, si vede però ancora una gamba degli scheletri e lo scritto che tiene in mano il romito: quid superbitis miseri, etc.

Questa pittura è la più antica, e forse è coeva alla scultura del nartece del 1189. Nella parete accanto vi è dipinta la Beata Vergine cogli angeli.

Per certo questo lato di chiostro che guarda a mezzogiorno, quando si trovava in buon essere sarà stato di gradevole effetto il vederlo, per la graziosa sua architettura e per la varietà dei dipinti di mani diverse, e di varie epoche, ma tutte antiche, e ciò piuttosto, che per la scarsa varietà dei soggetti rappresentati.

Ben meriterebbe che qualche pittore o disegnatore facesse i disegni, non solamente di tutto quanto rimane di quelle curiose pitture, ma anche di tutti i capitelli ed ornati, che sono variatissimi, e si pubblicassero a vantaggio della storia e dell’arte (alcuni capitelli sono stati disegnati nel giornale l’Arte in Italia), come ottimamente fece per la parte architettonica il già lodato chiar.mo Conte Mella.

/47/ Le scolture dell’ambone, coi cinque patriarchi dipinti a fresco sui pilastri, ed il S. Gregorio in bassorilievo che sta sopra la porta principale della chiesa, furono con diligenza disegnate da un mio egregio amico, il Sig. Pietro Viarengo da Costigliole d’Asti, geometra, il quale con grande amore e criterio coltiva anche la storia patria. Questo bel disegno sarà litografato.

Certamente dovea essere molto più ampio il fabbricato del monastero, quando era abitato dai monaci Agostiniani, come appare dai muri che s’incontrano scavando, ma anguste erano le celle a cui davano luce piccole finestre, come tuttora scorgesi da quanto rimane sopra il lato del chiostro più antico; invece dal lato di notte si aveva adito ad un’ampia sala, ora divisa, rischiarata da grande balcone, attualmente chiuso, verso mezzogiorno. Ivi si adunavano i Capitoli generali, ai quali doveano intervenire circa sedici Priori di altrettanti Priorati dipendenti dalla Prepositura di Vezzolano. Dovea pur essere ancora spazioso, quando, cessati i monaci, questo convento fu dato in commenda, poichè appare che i primi prepositi commendatari, che si denominavano eziandio Abati, vi abitavano, se non con permanenza continua, almeno per la gran parte dell’anno, ed allora denominavasi anche Castello, come dimora del feudatario d’Albugnano e di Vezzolano, ora poi quantunque ridotto a più modeste proporzioni è tuttavia assai considerevole e sufficiente per l’abitazione d’una signorile famiglia.

Se fosse vero ciò che si legge nella Storia manoscritta di Casale composta del P. Fulgenzio Alghisi Agostiniano, morto ai 10 agosto 1683, la quale si conserva manoscritta nella biblioteca di quel Seminario, e che il medesimo autore conferma nella vita stam- /48/ pata di S. Evasio, cioè, che Luitprando re dei Longobardi avendo fondata la Chiesa e Basilica nel suo palazzo di Sedula, ora città di Casale di S. Evasio, capitale del Monferrato, onde conservare in essa col dovuto onore il corpo del martire Evasio Vescovo d’Asti, chiamò i canonici Vezzolani ad ufficiarla circa il 740, e che vi stettero sino al 1220, nel qual tempo per cagione di guerre emigrarono a Mortara, la nostra chiesa Vezzolanese salirebbe ad un’antichità molto più remota.

A conferma di quanto disse l’Alghisi potrebbe servire la somiglianza dell’architettura di ambedue le chiese. Il magnifico duomo di Casale, ridonato ora allo stile primitivo per consiglio dell’immortale Casalese Cav. Canina, e mercè le sapienti cure del Conte Mella, onora non meno la pietà che il buon gusto dei Casalesi.

Nell’aula capitolare della cattedrale di Casale si vede il ritratto del Re Luitprando. Si celebra ancora l’anniversario dell’esimio fondatore di quella Basilica, come si può vedere nell’elenco degli anniversarii, ove sta così scritto: 30 Jan. Anniv. pro serenissimo Rege Luitprando Fundat.

Il Pennotto Storiografo dell’Ordine Agostiniano narra lo stesso fatto della venuta dei Canonici Vezzolani a Casale. Sotto il sovracitato ritratto di Luitprando, si legge la medesima cosa. Altrettanto narra il Bono nella storia della chiesa Casalese, l’Ughelli nell’Italia sacra, il Tesauro nella storia del Regno d’Italia, ed il De Conti nelle notizie storiche della città di Casale e del Monferrato.

Il suddetto Pennotto altrove però asserisce diversamente, appoggiandosi forse all’autore del Supplemento della Cronaca di Giacomo Filippo Bergomense, il quale dice che il monastero di Santa Maria del luogo /49/ di Vizolano fu fondato nel 983 dai Marchesi di Monferrato, ed essere di rendita di ducati sei mila; ma né l’uno, né l’altro appoggiano la loro asserzione con qualche documento e forse solamente riferirono la tradizione. Anche il celebre Galeotto Del Carretto dei marchesi di Savona e consignore di Millesimo e di Roccavignale, primo autore della tragedia italiana nella sua cronaca di Monferrato in versi italiani tuttora inedita, dice così:

Di Vezulan nel luocho un ne fondaro
Il qual per nome nostra Donna è detto.

Ma probabilmente tutti questi scrittori avranno scambiata la chiesa ed il monastero di S. Maria di Vezzolano nel confine di Monferrato, e nella diocesi di Vercelli, con l’altra di simile titolo nella medesima diocesi e vicina a Vercelli, ambedue ufficiate dai Canonici Regolari di S. Agostino, colla differenza però che la prima vicina al luogo e Castello d’Albugnano, avea un monastero più ampio, e quindi retto da un Prevosto, mentre la Vercellese, avendo un minor numero di monaci, era governata solamente da un Priore.

In pari errore cadde pure il compianto Cav. Vittorio Mandelli, il quale però da vero dotto riconobbe, distinguendo le carte appartenenti ad una chiesa da quelle dell’altra.

Il primo documento conosciuto fin’ora che si riferisce alla nostra Prepositura, si è quello del 1095 ai 27 febbraio (tertia kalendas martii) che taluno credette di fondazione, il quale però, se bene si esamina, chiaramente si scorge, che non è di fondazione, e nemmeno di dotazione, ma semplicemente di conferma e d’investitura della chiesa e dei beni che in allora /50/ teneva e che sarà per avere, de rebus quas ipsa Ecclesia nunc tenet vel postmodum habitura est, poichè se fosse di fondazione o di dotazione avrebbero dovuto i fondatori o donatori indicare quali possessi donavano, ma sembra piuttosto che li personaggi ivi menzionati, signori forse di quei luoghi, investissero i sacerdoti uffiziali della Chiesa Vezzolanese, che già governavano, Teodolo ed Egidio, dei possessi che la medesima già teneva.

Forse prima di questi uffiziali, che sembra appartenessero all’Ordine Agostiniano, era la chiesa servita da Benedittini, i quali, per qualche guerra, in allora frequente, o per altro motivo, dovettero abbandonarla, secondo comunemente si crede; ma siasi come si voglia, certamente questa chiesa col monastero è anteriore al 1095, e forse di molto tempo, come si può arguire dalla sovra menzionata carta, ed eziandio dalla costruzione principalmente d’una parte dei chiostri.

Non solamente non furono fondatori i suddetti, ma neppure discendenti dai fondatori o donatori, poichè in tal caso l’avrebbero sicuramente espresso nell’istrumento, come si vede sempre in tale circostanza praticato. Sorge anche difficoltà circa la famiglia, alla quale essi appartenevano. È cosa difficile a conoscersi, perchè non solamente manca il cognome, in quel tempo poco usato, ma non è pure indicata la legge romana o salica, che seguivano, come usavasi distinguere le famiglie, e manca pure il luogo, dove fu composta quella carta. Solamente sapendosi che i detti signori aveano deposta questa loro carta d’investitura sopra l’altare della stessa chiesa, doveano signoreggiare i luoghi circonvicini ed abitare non molto lungi dalla medesima.

/51/ Ora questi Ardizzone ed Amedeo figliuoli del fu Guglielmo, Anselmo ed Ottone del fu Tetone, Ottone figlio del fu Vifredo, e Guido figlio di Arduino, che diedero nel 1095 l’investitura, così pure coloro che cinquantott’anni dopo, cioè nel 1133 al primo di gennaio, confermarono quei primo atto, e che si trovano sottoscritti in fine dello stesso, cioè Uberto coi due nipoti Ardizzone e Guglielmo con altro Ardizzone e Goslano, ossia Vitale Giorgio, ci fanno chiaramente vedere, che non appartenevano alla famiglia dei signori del Monferrato, discendenti dal grande Aleramo, i quali già in allora s’intitolavano marchesi, ed i nomi dei quali sono con certezza rammentati nelle Genealogie e nelle Cronache.

In quell’epoca fioriva il marchese Bonifacio, morto nel 1207, secondo il Litta, figliuolo di Guglielmo: trovo però fra li contemporanei un cugino del medesimo un Ardizzone figlio di Oddone, e padre di un altro Ardizzone (1).

Dell’altro ramo degli Aleramidi che s’intitolavano Marchesi del Vasto, poi detti di Savona e del Carretto solo vivea Bonifacio.

A completa conferma, che li predetti Signori nominati nella carta del 1095 non appartenevano ai Principi Monferrini, od agli altri Aleramidi, basta osservare, che questi non possedevano alcun diritto feu- /52/ dale sul luogo, ove era la chiesa di Vezzolano, ed Albugnano, poichè nel 1226 Bonifacio figlio di Guglielmo Marchese di Monferrato ottenne il Castello e parte della terra di Albugnano per infeudazione datagli dai monaci di Vezzolano con istromento dei 19 di ottobre. Anzi li detti Marchesi di Monferrato non ebbero giurisdizione sui castelli circonvicini a Vezzolano, per quanto sembra, che nel 1164, per concessione dell’Imperatore Federico Barbarossa.

Si conosce per altra parte, che i castelli e luoghi, i quali quasi totalmente circondano Vezzolano ed Albugnano, da tempo remoto erano sotto la giurisdizione d’una nobile e potente famiglia, signora di Cocconato, che da un castello scaduto ab immemorabili, detto di Radigata, prese il cognome, facilmente si può argomentare che i pii e munifici signori, i quali danno investitura o confermano i possessi nel 1095 ai monaci di Vezzolano appartenessero a quella famiglia.

È certamente da lamentare che le tavole genealogiche accertate dei Radicati comincino solamente nel 1182 da un Uberto de Cocconada, il quale col figlio chiamato parimenti Uberto in ottobre si sottomise di pagare il fodro unitamente ad altri della stessa famiglia al Comune di Vercelli (1). Ad ogni modo biso- /53/ gnerà aspettare che per fortuna venga a scoprirsi qualche documento, il quale certamente provi l’origine di questa chiesa ed accerti la famiglia di quei Signori, che investirono Teodolo ed Egidio nel 1095.

La Prepositura di Vezzolano fu tenuta in grandissimo pregio, sia per la divozione che vi era alla Madonna Santissima, e per la stima che si avea a quei monaci per la santità della loro vita, e perciò a gara e Vescovi e Principi ed altre pie persone l’arricchirono, e le sottoposero altre chiese e priorati, poste principalmente nei Vescovati di Vercelli, di Torino, d’Ivrea e di Casale, epperciò crebbe fra le più cospicue abbadie di questa occidentale parte d’Italia.

Ma se dessi ascolto alla tradizione sparsa in questi luoghi, passata la Prepositura in Commendatari secolari, i quali per lo più non facevano residenza a Vezzolano, a piccolo numero si ridussero i Canonici Agostiniani, epperciò cadde la regolare disciplina e quindi da S. Carlo Borromeo Cardinale ed Arcivescovo di Milano venne soppresso quel monastero, la quale cosa non potè accadere, che in qualche visita dal medesimo fatta come metropolitano, o come Delegato apostolico, poichè la stessa si trovava in quel tempo nel Vescovato di Casale, ed era a nessuna Diocesi sottoposta, ma di ciò non si ha notizia certa, e non si trova menomamente accennata nell’eruditissima e vasta opera sopra detto Santo, pubblicata per cura del Chiarmo Cav. Can. Aristide Sala.

Si sa però di certo, che nel 1652 furono soppressi /54/ per ordine del Papa Urbano VIII molti piccoli conventi, nei quali appunto per la mancanza dei soggetti, non si poteva più osservare la regolare disciplina e degnamente officiarne la chiesa.

Questa nobile Prepositura, detta poi in progresso di tempo Badia, appartenne alla Diocesi di Vercelli, passò poi a quella di Casale, quando nel 1474 si eresse quel Vescovado, e nel secolo XVI si diceva di nessuna Diocesi, e così durò sino alla fatale soppressione francese sul principio di questo secolo, nel quale tempo tanto Vezzolano, che Albugnano fecero parte della Archidiocesi di Torino, ed in ultimo nella circoscrizione del 1815 passò a quella d’Asti, in cui tutt’ora si trova, benchè più discosta da questa città che non lo sia da Torino, la cui arcidiocesi possiede ancora alcune Parrocchie più discoste d’Albugnano.

Quantunque si sappia, che molte e cospicue persone specialmente della famiglia Radicati, sieno state inumate tanto nella chiesa, come nei chiostri (alcuni di questi depositi sono segnati con croci scolpite, o dipinte sul muro), tuttavia altri monumenti non si veggono che gl’indicati del conte Grisella, del Canonico Della Porta in chiesa, e dei vetusti Signori di Castelnuovo nel chiostro, gli altri sono scomparsi.

Quando i Francesi sul principio del secolo vennero ad impadronirsi dei latifondi di questa cospicua badia ed asportarono tutti i ricchi paramentali, argenti ed arredi preziosi, fecero aprire una tomba coperta da grande pietra nei chiostri, e si dice che vi trovarono un Prevosto assiso sopra un seggiolone con libro aperto sulle ginocchia, ma al contatto dell’aria tutto andò in polvere: la tomba fu riempiuta di terra.

Nel 1835 per ordine del Re Carlo Alberto, il dotto /55/ cavaliere Cesare Saluzzo di Monesiglio, mandò il Professore di pittura Monticoni Giuseppe, Pittore onorario del Re, a fare ricerche nei diversi tumuli, e si trovarono una spada irruginita ed un grosso sperone, che vennero collocati nella Regia Galleria d’armi in Torino.

Questi luoghi erano già abitati nei tempi della dominazione romana, e forse i patrizi di quella grande nazione abitanti nell’Augusta dei Torinesi, o nella più vicina città d’Industria, poi distrutta, posta ove ora sorgono i villaggi di Monteu da Po, di Lavriano, di Brusasco, ecc., tenevano su questi colli le loro ville; e vicino a Vezzolano per andare al prossimo castello di Pogliano, ridotto ora ad abitazioni rustiche, si rinvenne la seguente iscrizione contornata da cornice, la quale fu collocata nell’atrio a sinistra della Regia Università Torinese.

SEX. OCTAVIVS
SEX. F. POL. CEL
SVS. CASSIANVS
T. F. I.
VIXIT ANNOS XXI.

Cioè: Sesto Ottavio Celso Cassiano figlio di Sesto, della tribù Pollia, che visse anni ventuno, fece scolpire quella lapide. Forse un Pollio, Pollione od alcuni della tribù Pollia diedero nome, origine, al castello ed alla terra di Pogliano; vicino al quale non è molto, dissodando un bosco si trovò una sepoltura romana coperta di embrici, senza iscrizione, e qualche volta si trovano monete romane (1).

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[Nota a pag. 31]

(1) Questi archetti sono in numero di otto, cioè quattro con colonnette e capitelli in pietra intercalati da 3 basse colonne in mattoni, con capitelli rozzamente scolpiti: gli archetti hanno di luce 152 centimetri d’altezza per 86 di larghezza, le colonnette in pietre coi rispettivi capitelli sono alti 103 centimetri: questo lato è a soffitto. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 33]

(1) S. Giovanni Evangelista dice nell’Apocalisse: Nel testo: Et ivis
vedi Correzioni
Et iris erat in circuitu Sedis. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 34]

(1) Questo stemma è anche descritto nei Fiori di Blasoneria di Monsignor Della Chiesa. Nell’archivio manoscritto compilato da Roberto Biscaretti da Chieri dei Conti di Ruffia e consignore di Cervere, Avvocato Collegiato, morto nel 1661 leggo la seguente notizia, cioè che i signori di Castelnuovo sottomisero il paese Moriondo a Chieri, e ne ricevettero subito dal Podestà di quel comune l’investitura: ivi sono nominate alcune persone di quella nobile famiglia, che non dovrebbero essere lontani antenati di quelli che si leggono nella detta iscrizione: ecco il testo: Castrum Rotundum seu Monsrotundus. Anno 1254 die II Augusti D. Carolus de Druà Potestas Carii ex una parte et D. de Castronovo, scilicet D. Obertus et eius pater D. Guido, et D. Ubertus pro se et fratribus suis Henrieto et Obertino et D. Manfredus de Rivalba suo nomine et fratrum suorum videlicet DD, Otonis, Henrici et Obertini filiorum quondam Henrici de Rivalba ex altera faciunt pacta cum Cario, et ac- /35/ cipiunt Castrum rotundum in feudum gentile et faciunt fidelitatem Comuni Carii.

La famiglia di Rivalba esisteva ancora sul principio del secolo XVI, mentre leggo nella Cronaca di Bernardo Miolio di Lombriasco:

1536. 17. 7bris D. Io. Brolia Cheriensi et D. Georgius Rivalba ex Dominis Lovenciti in Valle Castrinovi captivantur. D. Io. relaxatur, D. Georgius in glara Padi opprobriose occiditur per filium cuiusdam Patanuti, et filium Francisci Generii.

Nel 1545 un D. Taddeo di Rivalba dei Signori di Lovensito era Prevosto della Parrocchiale di S. Andrea di Castelnuovo d’Asti.

Non si trovano ulteriori memorie di questa famiglia. L’erudito P. Francesco Borgarelli da Chieri, Camaldolese e medico dell’Eremo di Torino, che ancor sul principiare del corrente secolo raccolse memorie patrie, avea letto nella suddetta iscrizione, non so però con quanta precisione, perchè già corrosa, quanto segue:

1342. Sepulcrum Ioannis Oberti a Castronovo de Rivalba, et Oddo de Rivalba, Philippus, Oddo, Bettina, Iordanus. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 38]

(1) Nel 774 cinse la corona di ferro, la quale era stata primieramente da Gregorio I, Papa, donata a Teodolinda Regina de’ Longobardi, che la pose poi sul capo a Flavio Agilulfo Duca di Torino da lei eletto a suo secondo marito e Re nell’anno 590. Carlo Magno nacque nel 742 nel castello di Saltbourg nell’alta Baviera dal Re Pipino II, detto il Breve e dalla Regina Bertrada ossia Berta, e morì nel 814 ai 28 gennaio d’anni 71 e 47 di regno, e venne sepolto a Aix-La-Chapelle. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 39]

(1) Nella mondiale esposizione fatta a Parigi nel 1867 fra le altre cose si ammirava un grande vaso d’onice con figure mitologiche, ed un altro vaso composto di diversi metalli preziosi ed ornati di smalti, di stile arabo, detti questi vasi reliquiari della Badia di S. Morizio nel Vallese, la quale ebbeli in dono da Carlomagno, il quale avevali avuti in regalo dal predetto Califfo Araon-el-Raschid.

Nel 1869 si elevò nella città di Liegi una statua in bronzo a Carlo Magno. Circa la dimora in Santià di quel sovrano, vedi Iacopo Durandi, Dell’antica condizione del Vercellese e dell’antico Borgo di Santià. Stampati in Torino nel 1776. [Torna al testo ]

[Note a pag. 40]

(1) S. Ugo Abate morì alli 43 di Giugno del 824, essendo in visita pastorale nel monastero di S. Medardo di Soisson: nel 1397 gli eretici bruciarono con quel venerando corpo tutte le sacre reliquie di quell’Abadia. [Torna al testo ]

(2) Memoriale Raymundi Turchi Civis Astensis e Nel testo: Montis bersarii
vedi Correzioni
DD. Montisbersarii ad Rev. D. Abatem SS. Apostolorum Corradum
. Vedi Codices mss. Regii Athenaei Taurin.

Si noti che il Muratori non ammette la battaglia presso Mortara, narrata, come dice, da Godifredo da Viterbo nella sua cronaca. [Torna al testo ]

[Note a pag. 42]

(1) Carlo Magno è venerato come santo in molti paesi della Germania. Vedi Christ. Walchii Historia Canonizationis Caroli Magni variis observationibus illustrata; accedunt Chartæ Friderici I et Caroli IV Imperatorum; nec non officium de S. Carolo: anecdota item Tigurina. Ienæ MDCCL. [Torna al testo ]

(2) Il Guglielmo della Valle nativo di Tonco autore di alcune opere, morì in Torino nel 1804-5. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 45]

(1) L’Alfa è la prima, ed Omega è l’ultima delle lettere del greco alfabeto, e vengono ad indicare che Gesù Cristo è il principio di tutte le cose, per il quale furono fatte, e che senza lui non si può conseguire il fine ultimo, l’eterna felicità; come disse il medesimo Divin Verbo nell’Apocalisse. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 51]

(1) Devo tuttavia far osservare, che nel ramo dei Marchesi d’Occimiano (collaterale di quello di Monferrato) si trovano viventi in questo secolo un Oberto cugino d’un Ardizzone ed avo d’un Guglielmo, ma in allora questi nomi erano comunemente usati: ed i detti Signori non avevano possessi in questi luoghi. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 52]

(1) Il Chiar.mo Barone Manuel ebbe la fortuna di trovare nell’Archivio dell’Economato di Torino un brano di pergamena del 1178 appartenente alla Chiesa di Vezzolano ed alla prosapia dei Radicati, e sarebbe il più antico monumento conosciuto della medesima, ove il signor Giovanni figlio del fu Ar.... di legge Salica prende il titolo di Conte di Radigata (qomiti radigate) e fa cessione alla chiesa di Vezzolano, sembra, di tutto ciò che il Guidone di Pogliano /53/ teneva pro senioribus Radigate nella vicinanza di detta chiesa. Forse quell’Ar..... indicherebbe Ardizzone, probabilmente colui che è nominato nella conferma del 1153. [Torna al testo ]

[Nota a pag. 55]

(1) Una cosa che manca alle molte ed importanti lapidi, che adornano la galleria inferiore e le scale della Università degli studi, si è l’indicazione del paese e dei luogo ove furono ri- /56/ trovate, il che sarebbe di non poco vantaggio per la storia.

Certamente la città d’Industria ed i circostanti paesi erano ascritti alla Romana tribù Pollia, come lo indicano le molte lapidi ivi trovate e conservateci nelle seguenti opere. Il sito dell’antica città d’Industria di Giovanni Ricolvi ed Antonio Rivautella 1715. Il Barone Vernazza, Lezione della città d’Industria, negli Atti della Accademia delle Scienze del 1817. L’Abbate Gazzera, negli stessi Atti stampò una memoria: Il castello di Bodincomago diverso dalla città d’Industria. Diversi altri autori trattarono di quella Città. Il Conte Bernardino Morra di Lavriano nel 1811 fece levare i piani topografici d’Industria e di Quadrata, disegnò le tracce d’antichi edifizi e statue, lapidi, utensili ed oggetti varii ivi trovate, e vennero litografate in sei tavole nel 1843. [Torna al testo ]