Missione e Viaggi nell’Abissina
di Monsignor Guglielmo Massaia
Vescovo di Cassia e Vicario Apostolico dei Galla

1857

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Capitolo II.

Sommario

Bisogno di un Vescovo nella missione dell’Abissinia. — Chi fosse destinato dalla Provvidenza ad andare colà. — Partenza di Mons. Massaia per la sua missione dei Galla, e vicende che lo portano invece nell’Abissinia. — Suo incontro col missionario de Jacobis. — Loro viaggio nell’Abissinia, e accoglienze lor fatte in tutti i luoghi, in cui furono. — Ordinazioni ridicole e nulle del patriarca eretico. — Ordinazioni tenute da Mons. Massaia, e stato delle cose al fine del suo soggiorno. — Ricordo di Maria Adelaide nell’Abissinia.

Nel 1845 la fede cattolica, coltivata con cure indefesse da molti missionari, fioriva assai. Ma da gran tempo vi era una assoluta necessità che si ordinassero dei preti per continuare l’opera dei missionari, i quali già fin d’allora non potevan bastare ai bisogni, e poi dovevano alla lor volta mancare. Monsignor Massaia, cappuccino, nominato Vicario Apostolico del paese dei /23/ Galla, era il Vescovo assegnato dalla Provvidenza a quest’uopo. Egli però non ci aveva nemmeno un pensiero al mondo. Ed è per questo che parti circa il mese d’ottobre del 1845 dal suo convento sui colli di Torino, e tre mesi dopo da Roma per incamminarsi al suo vicariato di Galla.

Ma mentre pensava una cosa, Dio ne disponeva un’altra, e il suo viaggio fu un toccare con mano che Dio lo voleva prima nell’Abissinia a provvedere ai bisogni di quella missione. Si vedrà in questo suo viaggio come la mano di lui, attraversando tutti i suoi disegni, lo condusse di contrasto in contrasto, si può anche dire di disgrazia in disgrazia, dove egli non credeva e non volea arrivare, come era già accaduto tanti secoli prima a Giona profeta.

Perchè, giunto egli in Alessandria d’Egitto con intenzione di prendere la via del Nilo, aveva già dato parola ad un negoziante piemontese, che doveva accompagnarlo; cosi aveva concertato, perchè credeva veramente quella la via migliore. Ma ecco nacquero degli imbrogli, che Monsignore da principio credette arti del demonio per impedire quella missione; ma in verità erano or- /24/ dinati da Dio. Ad ogni modo prese la via di Suez e del Mar Rosso. Giunto a Suez, intendeva prendere la via di Aden, perchè [era] stato accertato che per colà era facilissimo l’ingresso ai Galla, ed anche per godere la comodità dei vapori di Calcutta e di Bombaj; finalmente preferiva il passaggio di Aden a quello dell’Abissinia, perchè taluni gli avevan fatto credere essere questo molto pericoloso.

A dispetto di tutti questi suoi calcoli, e di tutte le sue diligenze per riuscirvi, non arrivò a prendere nè l’uno, nè l’altro dei due vapori, fintantoché decise di prendere una barca per Gedda.

Sul mare fecero un viaggio spaventoso a segno da far disperare di riuscire a bene nell’impresa. Per ben due volte si trovarono colla morte alla gola, e una volta lottarono per ben due ore colla loro debole barca incontro agli scogli in alto mare in una notte oscurissima. Credevano tutto perduto. Dopo aver camminato tutta la notte pel golfo che separa l’Arabia petrea dall’Arabia felice, verso le tre del mattino, addormentatosi il timoniere, il vento, che soffiava forte, balzò la barca sopra un gruppo di scogli coperti dall’acqua dell’altezza di un metro; /25/ su quell’altura la barca, alzata dalle onde, diede tale un colpo sopra gli scogli, che fu creduta in pezzi.

Pure la barca continuava a battere. I marinai gridavano come disperati: la notte era oscura, sicché nulla ci si vedeva. Nullameno si confessarono tutti, e siccome il missionario aveva appeso ad una parete una immagine di Maria, stella mattutina, tutti quanti (vedete vivezza della fede in quegli estremi pericoli), così all’oscuro com’erano, si rivolgevano a quella parte ove sapevano bene esservi l’immagine, e pregavano con quanto fervore potevano.

Monsignore diede mano alla sua croce vescovile, e con essa benedì il mare: la baciò esso, la diede a baciare a tutti gli altri, e i loro animi ripresero un po’ di coraggio. Non che il combattimento fosse finito: ma in mezzo a sì grandi pericoli vedersi ancora in vita diede loro una gran confidenza nella protezione di Dio e di Maria. Si raddoppiò il fervore, e si pregò sino al comparire della stella del mattino sull’orizzonte. Allora un colpo di onda sollevò di peso la barca e la portò fuori degli scogli. La grazia era compita. Non solo le vite erano tutte salve, /26/ ma anche la barca in tanto battere e agitarsi, non era però sostanzialmente rovinata. Allora la loro madre Maria, rappresentata in quell’immagine, che allora vedevano al bel chiarore dell’aurora nascente, s’ebbe i loro ringraziamenti e le loro lagrime di gratitudine.

Appena giunto Monsignor Massaia coi suoi a Massova, Dio fecegli subito conoscere come la via da lui tenuta contro sua voglia era quella che egli voleva. Poiché il missionario di quelle parti, il signor de Jacobis, era in estremo bisogno di denaro, nè poteva averne per essergli impedita ogni comunicazione coll’Europa. Or fu veduto come appunto Dio provvedeva a questo bisogno coll’arrivo di Mons. Massaia, che, con parte del denaro portato seco dalla Congregazione di Propaganda di Lione, consolò il buon missionario.

Monsignor Massaia ai due messi mandati dal de Jacobis al console francese in Massova, insieme al denaro, consegnò eziandio una lettera per lui, e poco dopo ne ricevette in risposta un’altra. La quale appena scritta, il sig. de Jacobis si pose in via egli stesso per venire a trovare a Massova il suo caro Vescovo, che la /27/ Provvidenza gli aveva mandato. Prima di venire a Massova, doveva fermarsi alquanto a Moncullo alla villa del console francese, che ne era distante due sole miglia. Avvertitone Monsignor Massaia, lo andò ad aspettare colà per non obbligarlo a far ancor quella strada; ed appena giunto in riva del golfo, che dovea passare per giungere a Moncullo, lo incontrò appunto che già lo attraversava in una barca in mezzo a una turba di beduini per venire a lui.

Si può immaginare le accoglienze di cristiana carità che si saran fatte queste due anime del Signore dalla sua provvidenza ravvicinate. Monsignor Massaia ritornò indietro ad accompagnare de Jacobis a Massova, giacché a tutti i costi vi volle venire a consolare i cristiani, che con impazienza lo aspettavano.

Monsignor Massaia in seguito lo pregò di prendersi egli stesso le cure per la partenza dell’Abissinia, come già pratico di quelle cose, e il sig. de Jacobis accettò volentieri. Nei pochi giorni che si fermò in quella città, ci fa sapere Mons. Massaia in quella lettera, come lavorò indefessamente notte e giorno con pochissimo di riposo, sia per preparare la ca- /28/ rovana per la partenza, sia a catechizzare, confessare, ed esercitare altri atti del suo ministero: preparò un battesimo solenne da farsi dal Vescovo e cinque cresime da amministrare. Così, partiti che furono, e durante il viaggio, il suo contegno, la sua affabilità, la pietà, e insieme l’attività nel faticare e la pazienza nel soffrire, anzi nel cercare i patimenti, eccitavano l’ammirazione di quanti erano in sua compagnia, «Io ho imparato, dice Mons. Massaia, ed imparo tuttora molto da questo sant’uomo a fare il missionario, e credo proprio che il Signore volesse condurmi qua a fare il noviziato.»

Il Vescovo aveva sperato tempo prima che l’Abissinia, una volta dura alla voce dei missionari cattolici, alla missione del servo di Dio de Jacobis avrebbe dovuto cedere. Non si è ingannato: e ne ebbe le prove all’entrare nel primo paese cristiano, Halai, dove tutti furono accolti con indicibil trasporto, e dovettero fermarsi ben due giorni, tanto per dare sfogo alla bramosia delle turbe, che non si saziavano mai di vederli, di trattenerli, di complimentarli.

In tutti i paesi ove si passava, le medesime dimostrazioni verso la comitiva, e /29/ segnatamente verso il buon servo di Dio, tenuto dappertutto, e con molta ragione, in concetto di santo. Questa favorevole opinione verso il missionario e il disprezzo che a poco a poco ne consegue pel patriarca eretico, sono buoni forieri, dice Mons. Massaia, di una crisi favorevole ai cristiani per l’indebolirsi dell’influenza grandissima esercitata fino a quel tempo al medesimo patriarca sulla corte e sul popolo. La cosa, secondo le parole del nostro Vescovo, era già a un bel segno, giacché paesi intieri correano spontaneamente ai piedi del missionario a dichiararsi fedeli cattolici. Dopo l’arrivo di Mons. Massaia col sig. de Jacobis, tre paesi furono accettati, e sarebbero anche stati accolti di più, se si fosse potuto permettere ai loro sacerdoti eretici l’esercizio del lor ministero. Ma non era possibile, essendo tutti invalidamente ordinati.

Imperocchè bisogna sapere a questo proposito quel che ci conta un altro Vescovo di Abissinia, in una lettera del medesimo anno 1847. L’Abuna o patriarca, benché ordinato validamente dal patriarca copto eretico, ordina però gli altri senza materia, nè forma, epperciò le sue ordinazioni sono nulle. Prima di /30/ tutto conferisce solamente il diaconato ed il sacerdozio; nessuno degli altri ordini. Li conferisce poi perfino strada facendo, e con un soffio, oppure con una semplice benedizione, e nient’altro. Quanto al caso finalmente che fa questo Vescovo dell’ordinazione, basti riferire questa assai curiosa, che una volta giunse ad ordinare diaconi un reggimento di soldati sul campo.

A questi inconvenienti rimediò in qualche tempo la presenza del vescovo Monsignor Massaia, autorizzato da Roma di ordinare gli Abissinesi, benché d’altro rito. Sicché diede molte ordinazioni, e il giorno della Purificazione finì per ordinare undici sacerdoti e cinque minoristi. Qui Monsignore conta la funzione assai solenne e grave che in quella circostanza ebbe luogo, e la commozione che produsse sia in lui, che vedeva quelle primizie delle fatiche del zelante missionario, sia negli ordinati ed in tutti gli astanti, non assuefatti a vedere che chiese disadorne e funzioni spoglie di ogni imponenza.

Questi vantaggi della Missione d’Abissinia erano il fine, per cui Dio voleva trarre colà Mons. Massaia. Ed egli ne fu poi contentissimo pel bene che dovettero /31/ apportarvi le sue ordinazioni. Quando scrisse la lettera, da cui abbiam tratto queste notizie, che fu in febbraio del 1847, egli intendeva fermarsi ancora là tanto da provvedere alla Missione un sufficiente numero di sacerdoti, e di partire per la sua Missione dei Galla, quando la Santa Sede avesse provveduto altrimenti alle ordinazioni necessarie nell’Abissinia. Prima però di partire ebbe ancora a vedere altre cose, come si vedrà nel capitolo seguente.

La presente lettera di Mons. Massaia termina con una bella memoria molto cara a lui, e che deve tornar cara anche a molti altri. Appena giunse colà, e il prefetto della Missione sentì che era piemontese, cioè di quella terra che avea per regina la bell’anima di Maria Adelaide, si affrettò a fargli vedere un bel bacile d’argento da lei regalalo a quella Missione, il che consolò grandemente il buon Vescovo, che dei benefizi di lei tanto si ricordava, e per cui conservava sì viva la gratitudine, e godette moltissimo in vedere che anche in quelle lontane contrade fosse conosciuto e benedetto il suo nome.