Copertina
 
Massaia
 

Can. Lorenzo Gentile

L’Apostolo dei Galla
o
Vita del Card. Guglielmo Massaia
Cappuccino
(1809-1889)

(Tradotto in tedesco)
Terza Edizione riveduta ed accresciuta.

Torino-Roma
Casa Editrice Marietti – fondata nel 1820
di Mario E. Marietti Editore-Tipografo Pontificio,
della Sacra Congregazione dei Riti e dell’Arcivescovo di Torino.

1931

/4/

Nulla osta alla stampa.
Torino, 17 Novembre 1930.
Sac. Gabriele Lorenzatti, Rev. Del.

Imprimatur.
Can. Aloysius Benna, Vic. Cap.

Proprietà Artistica e Letteraria (13-i-31).

/5/

Prefazione

Nel presentarmi per la terza volta con questa terza edizione dell’Apostolo dei Galla ai miei lettori non ho che a fare una constatazione: il personaggio ch’io presi a tratteggiare non è di quelli la cui figura col tempo s’attenua e oscura, sì di quelli cui il corso degli anni nuova fama, nuova aureola di gloria aggiunge: argomento, prova della loro vera grandezza. Tale il nostro Massaia. Sono corsi oltre quarant’anni dalla sua morte, cinquanta dal suo esiglio da quelle terre africane ch’egli con tanto zelo e con tanti sudori aveva evangelizzate e il suo nome fra quelle popolazioni vive tuttora come quello di un personaggio straordinario, quasi direi leggendario.

Ovunque poi è diffusa l’idea missionaria, (e dove ora per le sapienti disposizioni del regnante Pontefice non è diffusa?) è noto il nome del Massaia, come del più grande missionario del suo secolo.

Ma il nome del Massaia non è solo conosciuto, celebrato come quello di un grande apostolo della fede, ma ancora come quello di uno scienziato, storico, esploratore, geografo, civilizzatore.

«L’Italia — scriveva all’autore di queste pagine il mi- /6/ nistro delle colonie, ora presidente del Senato, S. E. Federzoni, — L’Italia onora in Guglielmo Massaia il sacerdote di Cristo e l’assertore tenace delta civiltà latina espressa e diffusa da Roma...». Per questo egli proponeva e il governo disponeva che sulla strada che mena al Gianicolo fosse eretto un busto al Massaia.

Nè i meriti del Massaia dovean essere dimenticati a Torino dove egli iniziò il suo ministero sacerdotale e un monumento gli veniva testè innalzato al Monte dei Cappuccini, espressione dell’ammirazione e della venerazione cittadina al grande apostolo del Vangelo. Del resto quanto sia giustificata questa ammirazione e venerazione potrà, crediamo, facilmente convincersene anche chi solo scorra queste pagine.

L’Autore.

/7/

Rev.mo Sig. Canonico,

Desidero che le tornino gradite le mie congratulazioni per il volume su L’Apostolo dei Galla, congratulazioni che credo di presentare anche in adempimento di un dovere. Ebbi grazia di vedere e e conoscere il Cardinal Massaia, e quella figura di soavità e di umile maestà io non l’ho mai dimenticata, e sempre mi pare d’averla dinnanzi monito e conforto: lessi e più volte rividi i volumi, nei quali, con mirabile candore, Egli stesso narrò i suoi trentacinque anni di missione nell’Etiopia; un volume però sempre desiderai, che avesse data tutta la vita di quel grande e che avesse concesso di facilmente popolarizzarla, ed ora questo volume è dono, per il quale dobbiamo riconoscenza a lei. Mi conceda adunque di ringraziarla; e mi conceda ancora di congratularmi del lavoro, che, così presto ad una nuova edizione, colla sua diffusione ha ricevuto una testimonianza di merito, e tal dimostrazione del suo alto valore, che le mie parole non saprebbero e non potrebbero dare.

Il santo cardinale benedica dal cielo alle pagine che gli continuano quaggiù ancora un fervido apostolato!

È il voto del

Suo obb.mo
P. Card. Maffi

Arc. di Pisa.

Al Rev.mo Sig. Canonico
Lorenzo Gentile
Asti.

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Dichiarazione

In conformità ai decreti di Papa Urbano VIII l’Autore dichiara che a quanto narra non pretende debba prestarsi altra fede che umana.

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Capo I.

La Piovà. — Nascita e infanzia del Massaia. — Presso il fratello parroco a Pralormo. — Alle scuole in Asti. — Guglielmo Massaia curato della Cattedrale. — Lorenzo Massaia diventa Fra Guglielmo Massaia. — Al convento della Madonna di Campagna. — Sacre Ordinazioni. — A Cigliano. — Una fiera malattia. — Il cappellano dell’Ospedale Mauriziano. — Fra Guglielmo alla questua. — A Testona. — Il lettore di filosofia e teologia. — Il confessore dei principini Vittorio e Ferdinando. — Al convento del Monte presso Torino. — Rinuncia alla mitra. — Il direttore spirituale di Silvio Pellico. — Il desiderio delle missioni.

A 26 chilometri da Asti, a tramontana, sopra alcuni leggeri colli sorge il villaggio della Piovà, nome che rimarra nella storia, finche si serberà culto alla memoria degli uomini veramente grandi. Esso infatti e la patria del cappuccino, cardinale Guglielmo Massaia, del primo apostolo dei Galla, del primo evangelizzatore di quei barbari popoli dell’Africa orientale, vero eroe della religione cristiana. Nacque egli dunque, sesto fra sette figli, /2/ quattro maschi e tre feminine, il dì 8 giugno 1809 alla Piovà e propriamente alla borgata La Braja, da agiati e onesti genitori, Giovanni e Maria Bertorello, o Bartorelli, cognome con cui lo incontreremo spesso in questa storia. Il giorno stesso fu battezzato e gli furono imposti i nomi di Lorenzo ed Antonio, avendo a padrino l’avo paterno, Giorgio di nome.

Della sua fanciullezza, che passò parte nella borgata suddetta e parte in quella di S. Pietro, sappiamo per attestazione di un suo nipote, morto pochi anni fa, Guglielmo Massaia, che la cosa ebbe dal padre suo, come il nostro Lorenzo insieme con un’indole pia mostrasse un animo coraggioso e propensione fin d’allora alla vita apostolica, dicendo che, fatto grande, sarebbe andato missionario, lontano, lontano.

Imparato al paese nativo quel po’ che a quei tempi si insegnava, portossi presso suo fratello maggiore Guglielmo, parroco a Pralormo, per continuare la sua istruzione. E fra quei terrazzani è ancora memoria che anche colà, come in patria, manifestava la volontà di abbracciare lo stato religioso. Essendo di buoni costumi sì, ma di temperamento molto vivace, da una persona gli fu detto un giorno, così per celia, che se egli si fosse fatto frate, ella si sarebbe andata a confessare da lui. E l’uno e l’altra mantenner la parola, perchè, resosi egli cappuccino, come vedremo, mentre trovavasi nel convento di Testona presso Moncalieri, gli si presentò quella persona medesima a confessarsi.

Trasferitosi, non sappiam bene in qual anno, in Asti, in seminario, fu alle scuole del Collegio /3/ Reale (1), che erano allora frequentate anche dagli alunni del nostro Seminario. Pel suo forte ingegno, per la sua seria ed assidua applicazione, nonchè per la sua docilità e pietà (che anche queste conferiscono all’acquisto della scienza), andò facilmente innanzi ai suoi condiscepoli. Onde non è a dire quanto per questo i suoi superiori lo amassero e stimassero. Ma non meno era amato e stimato da’ suoi compagni, oltrechè per la sua esemplare pietà, per il suo buon cuore e arrendevolezza, e, cosa non tanto frequente nei giovani che per l’ingegno s’innalzano fra gli altri, per la sua umiltà, ricercato poi a gara nelle conversazioni per certa urbana lepidezza onde sapeva condire i discorsi.

Abbiamo accennato al fratello parroco, e dobbiamo aggiungere che aveva per esso grande stima, ed affetto, più che fraterno, diremmo filiale, stima ed affetto molto giustificati per le cure che esso si prendeva nell’istruirlo ed educarlo, e per la sua dottrina e singolare virtù, che poi gli valsero da’ /4/ suoi superiori una promozione. Nel 1828 infatti il curato della cattedrale d’Asti, sac. Giov. Battista Gentile, mio prozio, essendo stato nominato canonico della collegiata di S. Secondo, fu chiamato a sostituirlo il parroco di Pralormo.

Tornando al nostro Lorenzo, il pensiero di lavorare un giorno nel ministero insieme col fratello che tanto amava, a lui che allo stato ecclesiastico già inclinava, certo dovrà essersi presentato più volte e dipintosi alla sua mente come una gran bella cosa, come una singolare ventura. Ma d’altra parte gli s’affacciava il pensiero dello stato religioso, forse anche delle Missioni, come, quasi inconsciamente, aveva già manifestato nella sua fanciullezza. In tale perplessità, animo pio e prudente qual era, volle consultarsi col suo direttore di coscienza, il prelodato D. Angelo Longhi, prevosto della collegiata di S. Secondo e riformatore delle scuole in Asti, deciso rimettersi al suo giudizio. E il giudizio fu ch’ei per seguire la volontà di Dio doveva rendersi religioso. Il Nostro entrava così tra i cappuccini che per la loro vita umile e penitente avevano attirate le sue simpatie. Ciò avveniva il 6 settembre 1826, diciassettesimo della età sua, nel convento della Madonna di Campagna presso Torino. Fu in tale occasione appunto che il Nostro per grato ricordo del fratello curato mutò il nome di Lorenzo in quello di Guglielmo, con cui lo chiameremo d’ora innanzi.

Durante il suo tirocinio è memoria fra i suoi che mostrossi a tutti modello di profonda pietà e di perfetta osservanza: modesto e devoto in coro, attento e diligente nell’osservanza delle cerimonie, massime nel servizio dell’altare, assiduo ai sacra- /5/ menti, affabile e caritatevole coi compagni, rispettoso verso i superiori e pronto ad ogni dovere della vita comune. Trascorso così lodevolmente l’anno di noviziato, il 6 settembre 1827 veniva ammesso a professare i voti, essendo allora guardiano di quel convento il p. Gabriele da Poirino, verso cui conservò sempre, finche visse, grata memoria. Di là passo a Cigliano e quindi a Moncalieri, a compiervi successivamente i corsi di filosofia e di teologia sotto il magistero del padre Venanzio di Torino, che diventò in appresso ministro generale dell’Ordine. Anche in questi anni la stessa esemplarità nella condotta, lo stesso profitto negli studi. Onde vedendo la buona prova che dava di sè e le liete speranze che si potevan concepire della sua virtù e della sua scienza, i superiori lo ammisero man mano ai sacri ordini, alla tonsura e ai minori il 28 ottobre 1827, al suddiaconato il 18 settembre 1830, al diaconato il 24 settembre 1831, e finalmente, il 16 giugno 1832, al sacerdozio; quest’ultimo in Vercelli.

Era sacerdote, e il suo cuore generoso già pregustava le gioie dello spendersi tutto in servizio delle anime e per la gloria di Dio. Ma ecco sorprenderlo una fiera malattia che parve fosse per mandare a monte i suoi santi disegni. Senonchè questa anzi era disposizione divina, per ricordargli il suo antico proposito; fece promessa, o voto, in quel frangente, che se fosse risanato, sarebbesi, col permesso dei superiori, dedicato alle Missioni. E Dio che volevalo appunto missionario lo risanò. A questa malattia e insieme alla guarigione accenna il fratello curato in una lettera scrittagli da Asti sotto la data del 10 agosto 1832. In essa l’amo- /6/ roso fratello scrive: «L’anno è che di questo stesso giorno, per te pure memorando, ti ho scritto una lettera e la presente viene ad essere perciò doppiamente anniversaria. Quale fosse l’oggetto di quella non lo so, ma di questa si è notificarti l’inesprimibile piacere che ha cagionata una tua al comune padre ed a me riportata, d’onde venivano pressochè a svanire i timori di tua salute. Se sei in istato di farmi compiuta risposta, fallo senza indugio». La lettera chiude graziosamente firmandosi cc sono sempre più — tuo affezionatissimo fratello Guglielmo senza cappuccio». Come si vede da questa lettera, il nostro Guglielmo col cappuccio era stato gravemente malato, ma non tardò molto a riaversi; perocchè da altra lettera dello stesso, scritta il 18 nov. del medesimo anno 1832, apprendiamo che in detto mese il nostro buon frate già si occupava alacremente e delle opere del ministero e dello studio.

«Mentre, dice, era già anch’io in sul desio di scriverti una letteruccia, mi arrivò il tuo compiuto gratissimo foglio, da cui ho rilevato esser tu stato assai più di me trattenuto dalle occupazioni nello scrivere: quattro mila e più anime (la popolazione di Cigliano) non sono al certo quattro pillole da prendersi in dieci giorni, massime inviluppato col trattato De Trinitate». Termina invitandolo ad una gita in Asti e alla Piovà, «dove, dice scherzevolmente, Orsola (forse nipote o cognata) e tutta impegnata di conservarti bottiglie di barbera e di grignolino... per sollevare, quando verra, il Don Guglielmo cappuccino». Non argomenti da queste parole qualche lettore nasuto che fossero entrambi due buontemponi; chè del curato era fama fra i /7/ suoi parrocchiani che conducesse vita penitente e il Nostro poi non era certo entrato fra i cappuccini per far vita allegra.

Era anche quella una dimostrazione di fraterno affetto; e come da questa, così anche più da tante altre quanto piacere ne prendesse il nostro buon frate è facile pensare. Ma quanto maggior dolore ebbe perciò stesso a provare quando, pochi mesi dopo, il 3 maggio 1833, il suo caro fratello, ancor nel fiore dell’età e delle forze, contando appena 38 anni, veniva a morte! Ancor nel 1864, allorchè rivedeva Asti, entrando quasi trionfante in quel medesimo duomo dove 31 anni prima aveva assistito alle esequie del fratello, non poteva frenare la commozione dell’animo.

Tornando ora onde eravamo partiti, il nostro fra Guglielmo nel 1833 fu nominato cappellano dell’Ospedale Mauriziano di Torino, dove esercitò con frutto il ministero presso il letto di quegli infermi e dove imparò qualche notizia di medicina e di chirurgia che doveva, nei disegni della Provvidenza, essergli poi tanto utile, come vedremo.

Crediamo di dover assegnare a questo periodo di tempo, tra il ‘33 e il ‘36, questa particolarità che ci venne gentilmente comunicata da un degno Sacerdote che l’ebbe a sua volta dal conte Boncompagni che ne fu testimone oculare. Per più anni, narrava l’illustre conte, il cardinal Massaia, allora fra Guglielmo, recossi nei dintorni della mia villa a Monte presso Collegno a questuare l’uva ed il vino. Preso alloggio nel mio palazzo, la mattina celebrava la messa nella mia cappella, indi usciva alla cerca nel vicino Collegno, a Sulpiano, Cervotto, Brusasco..., ritornando la sera alla villa, /8/ con grande piacere di tutta la famiglia, veramente ammirata delle sue belle doti di mente e di cuore. – Chi avesse detto, ci vien da soggiungere a questo fatto, chi avesse detto che da quell’umile frate cercatore dovrebbe uscire un cardinale di Santa Chiesa, uno scienziato, meglio un grande apostolo del vangelo, l’eroe leggendario dell’Africa! Ma già alla vera grandezza si sale per l’umiltà.

Tornando al suo uffizio di cappellano all’ospedale, rimase quivi tre anni, fino al 1836, in cui, essendo vacato l’uffizio di lettore di filosofia e di teologia nel convento di Testona presso Moncalieri, venne eletto dietro concorso ad occuparlo. Come erasi mostrato caritatevole e zelante presso gli infermi, così mostrossi non meno valente professore tra’ suoi scolari, il suo dire facile, erudito, le sue maniere dolci ed insinuanti gli accaparrarono ben presto la stima e l’affetto dei discepoli, che davvero chiamavansi fortunati d’averlo a professore. Ne solo tra i suoi era amato e stimato, ma ancora dagli esterni; e certo fa onore al suo nome il sapere che tra le persone che venivano ogni tanto a fargli visita nel convento v’erano i principini di Casa Savoia, Vittorio Emanuele e Ferdinando, ai quali era stato dato confessore dall’augusto re Carlo Alberto.

Per tutte queste sue buone qualità, otto anni dopo, nel 1844, veniva nominato dal capitolo definitore provinciale. Il suo innalzamento di grado non portollo però a trattar con sussiego; era sempre umile, faceto, allegro e nello stesso tempo istruttivo ed edificante, talchè era una scuola e un divertimento il conversare con lui.

/9/ Nel gennaio 1845 essendosi trasferito lo studentato a Torino, al convento del Monte, egli lo segui. Quivi per la vicinanza di una gran città come quella di Torino e dove già prima era stata apprezzata l’opera sua, la sua carità e la sua dottrina, crebbero le sue occupazioni; oltre all’uffizio suo da adempiere come definitore, oltre alla scuola che tuttora continuava a fare, eran molte altre cose a cui doveva por mano; spesso era richiesto per opere di ministero, a predicare, a dettar missioni; da molti personaggi ragguardevoli ancora per la sua nota prudenza consultato in affari d’importanza. Il re Carlo Alberto l’aveva tra i suoi migliori consiglieri. Di lui abbiamo già visto quale stima facesse col chiamarlo a confessore dei suoi figli, e or sarebbe da aggiungere che gli fece anche la proposta di un vescovado; ma il nostro Massaia che dagli onori aveva alieno l’animo, rifiutò.

Tra i suoi penitenti inoltre va ricordata quell’anima bella di Silvio Pellico che serbò sempre pel suo padre spirituale, fino all’ultimo di sua vita, anche quando il Massaia ebbe abbandonato Torino, la più soave e grata memoria.

Quest’aura popolare che si era involontariamente fatta intorno pareva dovesse trattenerlo nel suo convento del Monte, tra l’affetto dei suoi e la venerazione degli esterni. Ma egli già da lungo, come in parte abbiamo accennato, andava meditando e maturando un eroico disegno, lasciare la dolce quiete del chiostro, l’onorifica cattedra di professore e la carica di definitore per recarsi, umile e povero missionario, fra i popoli barbari. Gia parecchie volte n’aveva fatto domanda a’ suoi /10/ superiori, ma inutilmente; pur questo era il suo pensiero, la sua continua cocente brama, secondo che già abbiam veduto averne fatta promessa a Dio. Ma stava per presentarsi l’occasione di soddisfare questa brama, di adempire questa promessa.

(1) A quei tempi il Collegio Reale abbracciava tutti i corsi del ginnasio, la filosofia e la teologia. Aveva un indirizzo prettamente religioso e i suoi insegnanti erano quasi tutti, talora tutti, sacerdoti. Aveva un rettore, che insieme era anche riformatore, come allora dicevasi, delle scuole; un direttore spirituale, un prefetto delle scuole. La città poi vi aveva un suo rappresentante. Nel 1820, come ricavo da una memoria che si conserva nella biblioteca del Seminario, era rettore del Collegio Reale il sac. Angelo Longhi, da Stradella, barnabita, allora prevosto di S. Martino (parrocchia uffiziata dai barnabiti, come anche al presente), poi can. prevosto della coUegiata di S. Secondo; prefetto delle scuole e professore di teologia il giovane sacerdote don Giov. Battista Domenico Gentile, dottore in teologia e in ambe leggi, già direttore spirituale e in appresso can. arciprete della cattedrale: era nipote del sac. don Giov.  Batt. Gentile, che incontriamo subito appresso. [Torna al testo ]