Can. Lorenzo Gentile
L’Apostolo dei Galla
Vita del Card. Guglielmo Massaia
Cappuccino

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Capo II.

Antonio d’Abbadie. — L’istituzione del vicariato apostolico dei Galla. — Nomina del P. Guglielmo Massaia a capo della Missione e sua consacrazione a vescovo. — I compagni di monsignor Massaia. — Partenza per l’Africa. — Alessandria d’Egitto. — Incontro con monsignor Guasco. — In via verso il Cairo. — La casa e l’albero della Madonna. — Le Piramidi. — La festa della piena del Nilo. — Il gran digiuno del Ramadan. — Suez. — Il pope greco e la famosa sua cappella. — La fontana di Mosè. — Il passaggio degli Ebrei pel Mar Rosso. — Verso Massaua. — Tor. — Iambo. — Furiosa burrasca. — Rabbo e Medina. — Fermata a Gedda e funzioni religiose. — A Dahlak. — A Massaua. — La colonia Eritrea.

Nel 1838 il francese signor Antonio d’Abbadie, matematico, astronomo, filologo e geografo insigne, era partito per un viaggio scientifico nell’Africa. In sette anni aveva percorso in lungo ed in largo l’Egitto, l’Abissinia e i paesi galla e, fervente cristiano qual era, aveva notato come questi ultimi popoli fossero molto proclivi alla religione cattolica e ne aveva perciò scritto alla congregazione di Propaganda Fide in Roma acciocche pensasse a stabilirvi /12/ una Missione. La congregazione accogliendo il consiglio cercò d’un ordine religioso a cui affidare l’impresa ; fu posto l’occhio sui cappuccini e incaricato il superiore di scegliere i soggetti, che furono i padri Cesare da Castelfranco, Giusto da Urbino, Felicissimo da Cortemilia e il frate laico Pasquale da Duno, tutti questi sotto la dipendenza di fra Guglielmo Massaia, che veniva a questo effetto preconizzato e nel 24 maggio 1846, nella chiesa di S. Carlo al Corso, per le mani del card. Franzoni, consecrato vescovo in partibus di Cassia. Insieme con lui veniva pure consecrato monsignor Casolani, titolare di Maurocastro in partibus e destinato a reggere il vicariato apostolico dell’Africa centrale, creato contemporaneamente col vicariato apostolico dei Galla. Due giorni dopo il nostro Vescovo fu a far visita al S. Padre Gregorio XVI, che, sebbene fosse costretto per ovviso malore a tenere il letto, volle riceverlo e intrattenerlo con paterna affezione. Eran le parole di un moribondo; poiché alcuni giorni dopo il buon Papa cessava di vivere.

Nulla più rimanendogli a fare, avendo di già mandato innanzi il p. Giusto ed il p. Cesare, monsignor Massaia con fra Pasquale (il p. Felicissimo non era ancor giunto dal Piemonte) si imbarcava a Civitavecchia, e dopo una breve sosta fatta a Malta presso una casa di Cappuccini, filava verso Alessandria d’Egitto. Il vicereame dell’Egitto, benché allora fosse nominalmente tributario del Sultano di Costantinopoli, tuttavia, di fatto, dal 1882 fino alla grande guerra europea fu nelle mani degli Inglesi. Alessandria nel 1882 fu bombardata dagli Inglesi; ora è nuovamente risorta a grande città. L’Egitto ora ha un re proprio, S. M. Fuad I.

/13/ In Alessandria erano ad attenderlo il cavass (addetto indigeno) del console generale, il segretario di mons. Delegato, Perpetuo Guasco di Solero d’Asti, e il console generale sardo e procuratore di Propaganda, signor Cerruti, che gli consegnò tre mila scudi che dovevano servirgli per l’impianto della missione. Ma per penetrare nella regione dei Galla occorrevagli un passaporto per l’Egitto; si rivolse quindi al console francese, come general protettore delle missioni in Oriente, affinchè facesse per lui buoni ufficii presso il viceré Mohammed-Aly, il quale lo accolse con molta cortesia concedendogli le opportune facoltà e quella maggiore protezione di che potesse abbisognare. Per avere poi una persona di recapito in Alessandria, come naturale tramite e punto di comunicazione tra il luogo della sua missione e Roma, il Massaia fece una legale procura al delegato mons. Guasco. Disposta così ogni cosa, noleggiata una barca, prese il corso del canale Mohammedia (non essendovi allora la ferrovia) e in due giorni arrivò in vista delle celebri piramidi.

Qui toccata terra, salì sulla cima della maggiore, su quella di Cheope, alta ben 146 metri, su quello spazzo stesso su cui 50 anni innanzi s’era seduto Napoleone I a far colazione. Rimontato in barca, qualche ora dopo giungeva al non men famoso Cairo. È questa la vera capitale morale dell’Egitto, posta sulla riva destra del Nilo, quasi sull’area stessa dell’antica Menfi, soggiorno preferito dai nobili turchi; conta al presente una popolazione di 500 mila abitanti, di cui circa 50 mila fra eretici di varie sètte e pochi cattolici e il resto mussulmani che vi hanno ben 400 moschee; onde anche perciò /14/ è riguardata da loro come una delle città sante; qualificazione da intendersi in questo caso in tutt’altro senso che il comune. Fu fondata nel 969 da Goher el Caid e chiamata Masr el Cahirà, cioè la Vittoriosa. Al presente vi hanno residenza i patriarchi d’Alessandria dei tre diversi riti, copto, greco e latino. Distinguesi in città nuova e in città vecchia; nella quale ultima ammirasi tuttora il posto ove sorgeva la casa abitata dalla Sacra Famiglia nel suo esilio dalla Palestina. Sull’area di essa ora sorge una chiesa ufficiata dagli eretici copti. — Altro ricordo d’importanza storica per un cristiano è l’albero della Madonna (un sicomoro di straordinaria grandezza), alla cui ombra è tradizione si fermassero Gesù e Maria, mentre Giuseppe li prevenne in città a cercarvi un alloggio. Cosa curiosa! l’albero che è tenuto in venerazione non solo dai cristiani, ma anche dai mussulmani, benché in mille modi tagliuzzato dai devoti che non sanno lasciarlo senza portarne seco qualche ricordo, da tanti secoli, quanti ne corsero da allora fino al presente, si mantiene sempre vivo e delle stesse dimensioni. Degna pur di ricordo nei dintorni del Cairo è una selva pietrificata; piante coi loro tronchi, rami tutta pietra; per chi sa quali cataclismi e da quale epoca!

Ma torniamo al nostro racconto. Due settimane dopo che mons. Massaia si trovava al Cairo giunse da Roma il p. Felicissimo da Cortemilia che recavagli notizie, dell’elezione del nuovo Papa nella persona del cardinal Mastai-Ferretti, di un legato del Pontefice defunto per la sua missione e, per parte della sacra congregazione di Propaganda, l’ordine di portarsi primieramente a Massaua, /15/ donde sarebbesi inoltrato nel Tigrè, dove il Lazzarista De Iacobis, prefetto di quella missione, abbisognava dell’opera sua. Doveva egli prendere la via del deserto fino a Suez, dove poi sarebbesi imbarcato per Massaua. Diedesi dunque a fare i preparativi pel viaggio che avrebbe voluto subito intraprendere, ma che, suo malgrado, dovette differire finche ogni cosa fu in ordine.

Frattanto ricorrendo in quei giorni la solennità dell’Assunta, tenne pontificale nel convento dei cappuccini. Un’altra solennità celebravasi in quello stesso giorno al Cairo, la cerimonia dell’apertura del Nilo, solennità tutta civile e profana, che consiste nel deviare l’acqua del canale che attraversa la città e, a un dato segno, coll’intervento dell’autorità, rimettere il corso delle acque nel canale.

Questa cerimonia è sempre accompagnata da clamorosa allegrezza, significando essa la straordinaria fertilità che il Nilo apporta all’Egitto, e già celebravasi in antico, ma con riti inumani, solendosi gettare in esso un giovane o una giovane sfarzosamente abbigliati e insieme alcuni animali di diverse specie. Questa, come abbiamo detto, era una festa al tutto civile o, meglio, anche pagana; un’altra ne ricorse in quei medesimi giorni, e questa mussulmana, cioè il Ramadàn.

Chiamasi questo il gran digiuno del Ramadàn e dura un mese intero; ma, intendiamoci bene, digiuno così per ironia; poiché in sostanza in altro non consiste questo digiuno che nell’astenersi bensì lungo il giorno dal mangiare, dal bere e dal fumare, ma poi, calato il sole, nello straviziare tra i piatti e i bicchieri tutta la notte fino all’alba; e per loro questo è un gran merito, un’opera di molta /16/ santificazione, come sarebbe a dire per noi, un sacramento. Così si intende dai mussulmani la santità della vita! Ma non per nulla il mussulmanesimo come religione è l’antitesi della civiltà cristiana (sola degna di questo nome), l’antitesi del buon costume.

Tornando al nostro racconto, giunta la vettura del Transito inglese che faceva il servizio dal Cairo a Suez, mons. Massaia, contrattato il prezzo, ci salì egli con fra Pasquale e in poco più di un giorno pervenne a Suez; allora uno squallido villaggio, brullo tutto intorno di vegetazione e privo nell’interno di acqua dolce, abitato da pochi Turchi e Greci scismatici che vi facevano un po’ di traffico coi mussulmani che andavano e venivano dalla Mecca. A Suez fu cortesemente accolto dall’agente consolare signor Costa, che secondo l’uso del paese gli offerse una pipa e il caffè senza zucchero.

Fu anche a trovare il pope, sarebbe a dire il parroco, greco scismatico, il quale l’invitò a visitare la sua chiesa. Meritava davvero una visita! Basti per tutto, che quel disgraziato conservava la Eucaristia per gli infermi in un cassetto polveroso e tarlato; e in che stato! Eran pezzetti di pane ammuffito. A mons. Massaia a quella vista gli pianse il cuore e cadde istintivamente a terra per adorare quelle sacre specie. Non l’avesse mai fatto! Il pope se l’ebbe così a male che montò su tutte le furie.

Poveri preti scismatici e poveri fedeli che hanno tali pastori! Ma già quelli poco pensano a pascere il loro gregge; pensano invece a godersela!

Poco discosto da Suez è una fontana d’acqua buona (che in città è tutta salmastra), che la tradizione dice fosse fatta scaturire da Mosè per dis- /17/ setare gli Ebrei dopo il passaggio del Mar Rosso; il qual passaggio credesi con fondamento avvenisse a mezza giornata di cammino da Suez verso mezzodì.

Frattanto giunta dal governatore di Alessandria la licenza di partire e con essa un biglietto di raccomandazione pei luoghi di passaggio, salirono su una barca egli, mons. Massaia, fra Pasquale e Fatalla Mardrùs, un buon armeno cattolico. Nel tragitto costeggiando le sponde orientali del Mar Rosso toccarono il villaggio di Tor, dove si fermarono una giornata, ripartendo per Iambo, dove, causa il mal animo della popolazione, turca fanatica, non poterono scendere a terra. Due giorni dopo ripresero il viaggio per Rabbo e in questa traversata furono a un pelo di annegare; perchè la nave avendo ovvisamente urtato contro un banco di coralli, poco mancò non si sfasciasse. A una giornata di cammino da Rabbo avvi Medina, città famosa per i mussulmani, quivi avendo inaugurata la sua religione e quivi ancora essendo morto il loro gran profeta, dicono essi, o, impostore, diremmo noi.

Anche a Rabbo non poterono prender terra per l’odio dei mussulmani contro i cristiani, e dopo una breve fermata avanzarono verso Gedda, la più importante città del litorale asiatico, centro di grande commercio, anzi capitale dell’Arabia Felice. Dopo dodici giorni di fermata in Gedda, noleggiata un’altra barca (chè colla prima era scaduto il contratto), dirizzarono il corso alla sponda opposta, verso Massaua, dove giunsero circa la metà di ottobre.

Massaua è fondata su un’isoletta congiunta al continente per mezzo di una diga lunga due miglia. /18/ Non lungi da Massaua si trova l’arcipelago di Dahlak, che ebbe già nei secoli andati, com’è tradizione, una fiorente cristianità col suo vescovo. Passata in dominio dei Veneziani, questi vi costruirono una fortezza per proteggervi l’industria della pescagione delle perle e madreperle. È ricca di acque minerali, di cui alcune hanno una temperatura di 50 gradi Réaumur. Tanto Massaua quanto l’arcipelago di Dahlak, quando vi giunsero i nostri missionari, appartenevano ai Turchi ed erano retti dal governatore Ismail Aggà, ed ora, come ognun sa, sono diventati terra italiana e parte della colonia eritrea. E qui, anticipando gli avvenimenti, non saranno inutili alcuni cenni sull’origine di questa colonia.

Nel 1882 il governo italiano comperava dal signor Raffaele Rubattino la baia d’Assab (1), una estensione di litorale di 36 miglia di lunghezza e 6 di larghezza. Nel 1885 poi avendo l’Egitto, in guerra con gli Inglesi nel Sudan, abbandonata Massaua, l’Italia l’occupò militarmente, estendendo poi di qui le sue conquiste ad Arafali, Arkico, Saati, Ghinda ed Ailet. I due ultimi dei suddetti paesi /19/ appartenendo all’Abissinia, l’imperatore Ioannes se ne risentì e per vendetta spedì contro gli Italiani ras Alula che, sorpresine 500 nella pianura di Dogali fra Moncullo e Saati, il 26 gennaio 1887, ne fece orrenda strage. Morto nel 1889 in guerra con i Mahdisti l’imperatore Ioannes e litigandosi tra loro i varii ras (ras capo o principe) per la successione, il general Baldissera si approfittò di quelle dissensioni per occupare Keren e l’Asinara. A questo punto sorsero controversie col nuovo imperatore Menelik, il quale ricusava di riconoscere il protettorato che l’Italia col trattato d’Uccialli pretendeva d’aver imposto all’Abissinia, e a queste seguiron scorrerie oltre il Mareb, fino ad Adua, che i nostri occuparono temporaneamente. Tenner dietro altre conquiste: nel dicembre dell’anno 1893 quella di Agordat, per opera del colonnello Arimondi; nel luglio dell’anno seguente, per mezzo del general Baratieri, quella di Kassala, entrambe tolte ai Dervisci, e, successivamente, nel 1895, nel territorio abissino, quelle di Coatit, Senafè, Devra Ailat, Adua, capitale del Tigrè, Axum, Adigrat, Makallè.

Ma questo ritirarsi degli Abissini celava un’insidia, perchè, tirati i nostri addentro nella regione, insorsero poi concordi col loro negus (re) con più vigore e, prima coll’uccisione del tenente Toselli e del manipolo de’ suoi sulla fortezza di Amba Alagi e poi colla presa di Makallè li ricacciarono indietro verso la costa; e, ridottili infine a dar battaglia per non morir di fame, ad Abba Garima nella famosa giornata del 1° marzo 1896, in numero di oltre ben 60 mila (altri dicono 100 mila) li accerchiarono e, nonostante una valorosa resistenza, /20/ ne fecero strage, togliendosi un copioso bottino: armi, munizioni e 72 cannoni. Di circa 12 mila soldati, 7 mila circa coi due generali Àrimondi e Dabormida e il prode maggiore Galliano caddero sul campo; i rimanenti, eccetto due mila circa che col generale Ellena e col generalissimo Baratieri poterono salvarsi colla fuga ad Adi Caie, furono insieme col generale Albertone fatti prigionieri e condotti nello Scioa. Ultimo strascico della guerra fu l’assedio degli Abissini al forte di Adigrat, liberato poi il 4 maggio dello stesso anno dal generale Baldissera.

In quella luttuosa occasione si parve da una parte il cuor generoso del Pontefice Leone XIII e dall’altra la pietà cristiana di Menelik, che avendogli il Sommo Pontefice chiesta la liberazione dei prigionieri, egli si dispose a concedergliela gratuitamente; e lo avrebbe fatto se il governo italiano, sobillato dalla massoneria invidiosa della gloria che ne risulterebbe al capo della Chiesa, non fosse venuto a rompere le trattative offrendo al Negus pel riscatto la somma, dicesi, di 12 milioni.

Per la disfatta di Abba Garima l’Italia veniva ricacciata indietro e i suoi possessi ridotti press’a poco ai confini in cui li aveva lasciati nel 1889 il general Baldissera, cioè al famoso triangolo Massaua-Keren-Asmara; a cui si potrebbe aggiungere il territorio di Assab presso lo stretto di Bab el Mandeb con uno sviluppo costiero di 150 miglia, e inoltre l’arcipelago delle isole Dahlak. Recentemente l’Italia con la guerra del 1911-12 ha fatto una vastissima conquista, togliendo alla Turchia la Libia o Tripolitania propriamente detta col /21/ Fezzan e la Cirenaica colla Marmarica, e le isole del Dodecaneso, fra cui la storica Rodi.

Oltre a queste regioni di suo esclusivo dominio, ritalia ha il protettorato del paese dei Danakili o Afar che dipendono tutti più o meno dal Sultano di Aussa; il protettorato di Raheita tra Assab e Oboch, e infine quello dei Somali, dallo stretto di Bah el Mandeb al fiume Giuba, comprendendo in questo tratto i sultanati dei Migiurtini, di Negai e di Obbia, e il Benadir.

Quanto alla parte ecclesiastica, la Somalia italiana ebbe dapprima una Prefettura apostolica, dal 1927 un Vicariato apostolico, il cui primo titolare fu mons. Gabriele Perlo, dei missionari della Consolata di Torino.

L’area totale di tutte quelle terre è di 1.580.050 chilometri quadrati circa, cioè 247 mila la colonia eritrea, 400 mila la Somalia e 1.051.000 la Libia, più del quintuplo della nostra penisola; e la popolazione raggiunge i 300 mila nella coionia eritrea propriamente detta, circa i 400 mila nei paesi protetti, e un milione e duecentomila nella Libia.

La colonia eritrea ha un governatore civile che risiede a Massaua; i paesi protetti ebbero dapprima un residente ed ora anch’essi un governatore civile; e così pure la Libia; tutti però in dipendenza dal Ministero delle colonie, creato dopo la nuova conquista. Nella colonia eritrea è stabilita una Prefettura apostolica affidata a cappuccini italiani che ebbe per primo superiore il padre Michele da Carbonara ed ora ha mons. Cattaneo, succeduto a monsignor Camillo Carrara: conta un 15 mila cattolici con 2 seminari, 14 padri italiani, 39 indigeni, 23 religiose europee e 18 indigene, distribuiti in 40 /22/ stazioni provvedute ciascuna di cappella. Altri missionari italiani sono stabiliti nel Benadir. Per la Libia la Santa Sede ha creato un Vicariato apostolico affidato ai PP. Francescani, il cui primo titolare, residente a Tripoli, fu mons. Antomelli della provincia milanese; ora è mons. Tonizza.

Quanto all’impero abissino, questo confina, al presente, a settentrione colla Nubia e coi possessi italiani segnati dai fiumi Mareb e Muna, a levante col territorio dei Danakili e colla Somalia, a mezzodì ancora colla Somalia e colla regione dei Galla Borena, a ponente col Sudan; in tutto, compreso l’Harrar e i paesi galla annessi, un territorio di 540 mila chilometri quadrati con una popolazione di circa 7 milioni.

(1) Ad essere più precisi, nel 1869 il signor Sapeto, missionario che incontreremo poco appresso, mostrava al Governo italiano la convenienza per l’Italia, dopo l’apertura dell’istmo di Suez, dell’acquisto di un qualche approdo sulle coste orientali africane e suggeriva la baia di Assab, che il Governo acquistò dai sultanelli che possedevano quel territorio per la somma di 6 mila scudi di Maria Teresa, ma alla stipulazione del contratto, nel marzo 1870, per evitare probabili ostacoli dalle Potenze straniere, sostituì a sè la società Rubattino, da cui poi la rivendicò nel 1882. Cosicché al principio delle nostre colonie africane noi troviamo un missionario italiano, come appresso e con più larga efficacia troviamo un altro missionario, il nostro Massaia. [Torna al testo ]