P. Reginaldo Giuliani O. P.
Croce e Spada

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È tempo di sacrificio: perciò fortunati noi che prepariamo alla Patria delle grandi cose.

La vita degli Eroi comincia dopo la morte

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Le ultime ore del Padre Giuliani

Il Padre Reginaldo Giuliani nel «lungo accanito combattimento in campo aperto» – da Debra Amba al Mai Belès e di qui fin verso il Passo Uarieu – «sostenuto contro forze soverchiane» – che incalzano dalle caverne di Abbi-Addi, dalle sponde del Ghevà e dalle alture dell’Amba Uork «si prodiga nell’assistenza dei feriti e nel ricupero dei caduti».

Caduto il seniore cav. Luigi Valcarenghi, «vicinissimo al torrente Mai Belès», disse: «Vado ad assisterlo», e si slanciò per portare il supremo conforto all’eroico seniore. Ma non potè eseguire il suo generoso proposito... tanta era in quel tragico momento la furia della mischia!

Le Camicie Nere arditamente continuano il loro «cruento cammino»: si tratta di raggiungere l’ultima tappa e la distanza non è più molta.

Il capo manipolo dott. Luigi Chiavellati, il «patriota-asceta» come lo chiamano gli ufficiali suoi compagni, sotto il fuoco nemico compie con eroica abnegazione la sua «missione» e, noncurante del pericolo, si prodiga nel curare i feriti.

A chi lo sollecita a mettersi in salvo, egli ripetutamente risponde: «Il mio posto è sul campo!». E sul campo suggella il suo eroismo. Verso le sedici egli è colpito a morte. Il Cap- /144/ pellano accorre e, chino sul morente, allo spirito immortale dà, col conforto religioso, la gioia dell’eterna pace. L’ha visto cadere, l’eroico medico del reparto, il sottotenente Flavio Ottaviani, e, in un impeto di generosa devozione, da metà costa dei Roccioni Scemarbò, dove era il Comando del Secondo Gruppo Artiglieria «28 Ottobre», accorre per aiutare il Cappellano a sottrarne la salma alla ferocia abissina. Caricato il dolce peso sul muletto il gruppo si mette in marcia, sotto un diluvio di fuoco, sulla pista scoscesa.

«Di fronte all’incalzare del nemico», reso più furibondo dal vedersi sfuggire l’agognata preda, fatto più feroce dagli apparenti successi e dalle ricompense promesse, il Padre Giuliani alimenta «con le parole e con l’esempio, l’ardire delle sue Camicie Nere, gridando: Dobbiamo vincere, il Duce vuole così».

Egli che, fin da principio, nei suoi magnifici gesti di Mai Aini e di Adi Cajeh, divinò il trionfo della Spada e della Croce, ha consapevolezza della potenza di vittoria che viene dalla forza di una volontà sapiente e ardimentosa. E siccome porta con sè la salma di un medico caduto nell’adempimento del suo dovere di umanità – immune, quindi, a doppio titolo, da ogni ulteriore attacco nemico – poichè, egli stesso con la sua Croce di Cappellano deve essere scudo a difesa dei suoi fidi che proteggono un morto, pare che voglia ripetere il gesto del 29 aprile 1917, quando andò e tornò dal ridottino «la Duemilatredici» per raccogliere ed asportarne i feriti.

Eccoli in marcia: c’è il seniore Fazio, del quale gli amici ricordano la vasta cultura, la bontà di cuore, l’ardimento generoso, la rettitudine della vita, tanto da farlo considerare l’uomo pio; c’è il capo manipolo Beretta, il quale ha l’incarico di proteggere la colonna dei feriti dall’avversario incalzante; ci sono i capi-manipolo Molaroni, Barnaba, Morglia con i loro legionari; c’è l’attendente del Cappellano, Nicola Zolea, che guida «Areghit», «il muletto che lui cavalcava», mentre il sottotenente Flavio Ottaviani, il generoso e ardimentoso legionario, tiene per la briglia il muletto, che trasporta la salma gloriosa del Chiavellati.

Quando, sotto la fittissima pioggia di proiettili, P. Giuliani /145/ intuisce che non c’è quasi più via di scampo, comanda al suo attendente di mettersi in salvo con «Areghit» – il docile compagno delle sue fatiche – ma per sè rifiuta di sottrarsi all’imminente pericolo. All’amico Morglia che gli ricorda l’ordine ricevuto, egli serenamente risponde: «Io non lascio i miei feriti ed i miei morti».

L’ora del sacrifizio supremo si avvicina. Tra le 17 e le 18 sono sul «pianoro a nord del Mai Belès a circa mille metri dal torrente stesso» e quello è l’altare dell’olocausto, consumato nella piena coscienza de! dovere compiuto in quella rosseggiante penombra del vespro africano.

«Stupendo esempio a tutti di calma e di fortezza», egli attinge, nel suo oceanico cuore di sacerdote e di italiano, la forza che nella parola sua vibra come una fiammata di eroismo. «Le Camicie Nere dicono che parlava loro un santo» e che «sembrava invulnerabile».

Ed ecco «ode il suo nome a pochi passi». È il seniore Fazio che, colpito a morte, invoca il suo aiuto. L’uomo pio volge i suoi occhi buoni verso il Sacerdote, verso l’Amico che accorre, lo sostiene, lo conforta con il supremo dono del Signore. Degli altri, chi riesce a mettersi in salvo, chi si sacrifica perchè possano salvarsi.

A Morglia, egli comanda di non più tardare e provvedere alla sua salvezza, perchè è giovane e deve raccontare come sanno morire le Camicie Nere. Quando chi può salvarsi è al sicuro, egli rimane con i suoi, supremo conforto di amici e di eroi, mentre tutto intorno Sorella Morte miete i suoi fiori per l’eterna primavera e le rosseggianti corolle si intrecciano in una corona di luce immortale. Al legionario morente che gli domanda: «Vinceremo?», egli risponde: «Abbiamo già vinto!». È l’intuizione del valore d’un sacrifizio eroico: frustrato il piano nemico con la resistenza di oggi, la vittoriosa avanzata di domani farà crollare l’Impero.

Mentre chino sul seniore Fazio, ne assicura l’eterna vita in Dio, anch’egli è gravemente ferito, ma sostiene con impavida fortezza, l’urto terribile. In questo estremo momento della sua dinamica esistenza, il mistico dell’azione si rivela in tutto lo splendore della sua grandezza.

/146/ Rivolto agli amici che si stringono a lui per i supremi conforti religiosi, egli raccoglie l’immortale profumo di quei fiori recisi. Vede Flavio, il generoso custode di un sacro deposito, aprire la mano che stringeva la briglia, ripiegarsi su se stesso, invocando l’aiuto del Sacerdote vicino: anche su di lui scende la pace del Cristo.

La grazia divina santifica l’estremo dolore di tutti i suoi amici. Il Sacerdote ha compiuto la sua missione; nell’istante supremo il Domenicano compirà pure la sua, proclamando, con gesto sublime di invincibile fede, la divina purezza dei suoi ideali di vita.

«Raccolte le sue ultime forze» partecipa «ancora, con eroico ardimento, all’azione, per impedire al nemico di gettarsi sui moribondi, alto agitando un piccolo Crocifisso di legno». Tra gli amici spasimanti nell’agonìa eroica, e i nemici furibondi nell’orgia sanguinosa, egli vuole ancora lanciare un segno di pace più alta, almeno per salvare i morti e i moribondi dalle atroci sevizie della barbarie.

Scena mirabile! Consacra nei secoli l’eroismo del Sacerdote e l’ardimento del Domenicano, «novello guerriero di antichi ideali»: il seniore Fazio e il sottotenente Flavio Ottaviani giacciono reclini nella pace dei giusti..., la salma del Chiavellati è legata ancora al basto del muletto, ma la povera bestia non ha più il suo eroico custode... Ed il Cappellano si aderge con tutta la sua forza, per salvare i morti e i moribondi, con un supremo tentativo che lo aureola di luce radiosa.

«Un colpo di scimitarra, da barbara mano brandita» tronca «la sua terrena esistenza, chiudendo la vita di un Apostolo, aprendo in Dio quella di un Martire di una santa crociata».

Il braccio del Domenicano, che per l’ultima volta si alza elevando la Croce del Cristo, ricade inerte sul generoso e martoriato petto, ma cadendo infrange per sempre l’Impero di una millenaria barbarie e la tirannìa di un’immonda civiltà.

Il sangue del Sacerdote, mescolato al sangue dei suoi fedelissimi amici, ha consacrata l’aspra e arida pietraia del pianoro tembienico. Un solo abbraccio stringe le anime degli /147/ amici all’Anima del fedelissimo Cappellano e, spiegate le ali possenti in ampio volo verso il Padre Celeste, nella gloria dei giusti e dei forti sono per sempre gli Angioli tutelari della Patria nella nuova terra conquistata col sangue alla più pura civiltà umana: quella fiorita dallo spirito italico, rigenerato nel sangue divino del Cristo Gesù.

(Da «La Stella di S. Domenico»

Maggio 1936-XIV).

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Ultima Messa

«Rev.mo Padre Provinciale,

«La ringrazio di cuore per il graditissimo omaggio di “La Stella di S. Domenico” giuntami oggi, nel giorno consacrato alla gloria dei nostri duecentodiciannove Caduti di Mai Belès, tutti rappresentati dal grande eroico Domenicano. E non è senza emozione che ho letto il giornale da Lei gentilmente inviatomi.

«Sono lieto di comunicarle che, più i giorni passano e più giganteggia la figura di Giuliani. Ovunque è un fervore di patriottica gratitudine al grande Scomparso e più che mai oggi è vero il motto austero che il Generale Diamanti scelse, in un lontano giorno, ad Adi Cajeh, prima delle operazioni, per le sue Camicie Nere: “La vita degli eroi comincia dopo la morte”. Quale presagio di gloria!

«Tutte le CC. NN. conservano scolpito nel cuore – che ha vissuto, saldo, il tumulto della più grande e cruenta battaglia in campo aperto di tutta la campagna etiopica – le parole sublimi che Padre Giuliani pronunciò in quell’occasione ai tremila legionari ed ai centotrenta ufficiali del Gruppo “Diamanti” dopo la Messa solenne. Da quel giorno si inizia la preparazione alla vita eroica: Padre Giuliani ha sentito, per divino intuito, la grandezza dell’impresa, ha sentito vibrare all’unissono col suo i cuori dei legionari, che sanno l’asprezza del cimento cui si preparano, che conoscono la durezza dei sacrifici che una lotta gigantesca contro un’immensa selvaggia regione impone, e sono soprattutto coscienti che al loro coraggio, alla loro tenacia, al loro eroismo è affidato l’onore della Milizia che per la prima volta, a fianco dell’Esercito, scende sui campi di battaglia, dove quarant’anni prima, l’Italia vide frustrato il sacrificio dei suoi soldati. Padre Giuliani sa tutto ciò: e la sua vita, in Africa, non ha che questo scopo. Chi potrà mai dimenticare le sue infiammate orazioni ai legionari: chi potrà scordare la commozione che egli suscitava in tutti con la sua calda parola?

/149/ «Natale 1935: Abbi-Addi. La Messa al campo, poco discosto dai cannoni che tuonavano ancora dopo la sanguinosissima giornata del 22 dicembre. Una scena epica – sacrifici inenarrabili: i legionari sono senza viveri – la stessa mensa del Comando non ha che un po’ di riso e poche gallette. Ma nessuno ci pensa: Padre Giuliani ci ha tutti estasiati con la sua orazione, pronunciata mentre i cannoni vomitano fuoco sull’Amba Zellerè: la sua voce vince l’infernale frastuono: il suo spirito si erge gigante di fronte a tutti e nel suo spirito tutti i legionari si confondono e si fondono. Padre Giuliani sa le gravi ore che attraversiamo: sa che i rifornimenti non sono giunti e che forse neanche domani si mangerà. Ed è Natale, “Natale di sangue”, come lui lo ha chiamato! “Siamo tutti in piedi!” ripeterà il primo dell’anno.

«Giornate tristi ci attendono nel gennaio: un calvario! Lasciamo Abbi-Addi e ci fermiamo a Passo Uarieu. È già notte. È in tutti un senso di oppressione: la situazione è oscura. Mentre mi aggiro nel dedalo delle tende, vedo Padre Giuliani fuori del ridotto, steso a terra con una coperta. Lo rimprovero perchè non si cautela: la notte è fredda, umida e le sue condizioni di salute mi preoccupano da qualche tempo. Rifiuta. Ha saputo che la nostra colonna di rifornimenti, tra Atebei e Quorarò è stata assalita e che i briganti di degiac Gebriet hanno massacrato e seviziato cinquanta dei nostri. “Seviziato”, ripete, varie volte, a se stesso. Comprendo lo strazio del suo cuore e mi allontano. L’indomani lasciamo Sella Uarieu per Adi Zubah: Padre Giuliani non è più lo stesso: la vista dei poveri corpi seviziati barbaramente è forse superiore agli orrori che ogni guerra porta con sè. Ma la sua opera non può, non deve subire soste.

«Le sue condizioni di salute peggiorano di giorno in giorno: il Generale Diamanti ne è vivamente preoccupato e mi prega di persuadere il Padre a concedersi un periodo di riposo ad Adi Cajeh, dove potrà terminare la sua chiesetta! Rifiuta recisamente, una, due, tre volte, come rifiuta, senza parlarne con nessuno, l’invito dell’Augusto Principe di Casa Savoia che comanda la “XXIII Marzo”. Anzi, a chi gliene fa cenno, risponde: “No! lo morirò qui fra le Camicie Nere”. /150/ Sapeva, nella sua divina antiveggenza, che il supremo cimento era vicino: la sua opera non era compiuta. La sua affettuosità verso i legionari si faceva più stretta ogni giorno: era sempre in mezzo ai militi. Tutto sapeva, tutti aiutava, tutti confortava.

«Ricordo che al 20 del mese era senza denaro: aveva dato tutto il suo ai militi. Ma altri ne aveva da beneficare: chiedeva un prestito a noi!

«Non dimenticherò mai la gioia vivissima quando ricevette i primi pacchi: correva dai militi e cercava di accontentarli tutti. E poi veniva alla mensa del Comando ad annunciare con aria di trionfo che altri pacchi erano in viaggio.

«Anima semplice e grande!

«Poi vennero le giornate di battaglia. L’ultima sua Messa: Passo Uarieu, 19 gennaio. L’ordine di operazioni era già a nostra conoscenza. Tutti, ufficiali e militi, ricordano la stupenda orazione che seguì a quella sacra celebrazione: un Padre Giuliani nuovo, rapito nell’estasi, quasi conscio del prossimo sacrificio, quasi staccato da questa terra, già entrato in quello stato di grazia riservato alle grandi pure anime come la sua.

«E quanti, durante i momenti più drammatici della battaglia del Mai Belès non hanno rivisto, come un’apparizione, la Croce di Cristo, sollevata da una mano ed illuminata dalla vivida luce delle pupille ben note del grande Domenicano!

«Tutti, io credo, anche coloro che morivano da lui lontani invocando il suo nome, nella febbrile allucinazione, tra lo spasimo atroce delle carni lacerate, avranno mormorato, a fior di labbra, credendo di vederlo vicino, come sempre: “Grazie, Padre!”.

«Tanto e tale era l’ascendente di questo Uomo su tutti. Chi non ha vissuto il tragico orrore di un campo di battaglia, sotto l’infuriare e lo scatenarsi della selvaggia bestialità di orde inferocite di barbari, non potrà mai comprendere il bene che Padre Giuliani ha fatto, più che ai vivi ed ai superstiti, ai caduti.

«Perdoni, Padre, se la commozione che sempre mi prende quando torno col pensiero a quelle giornate che hanno se- /151/ gnato il martirio e la gloria di Padre Giuliani, mi ha trascinato più in là di quanto mi era proposto.

«Sto ricercando i documenti che mi ha chiesti. Non mancherò di mandarle quanto mi sarà possibile rintracciare.

«Sono lieto di comunicarle che il Segretario Federale di Brindisi ha ordinato che in tutte le scuole Medie sia letto e commentato agli alunni il mio modesto articolo, perchè le nuove generazioni conoscano l’eroismo ed il sacrificio del Grande Domenicano e delle sue Camicie Nere.

«Se lo ringrazierà anche Lei, come ho già fatto io, ne avrò piacere.

«Sempre a Sua disposizione, accolga, Padre, i sensi della più devota stima.

Centurione Medico: Lixia Alberto».

Mai Golimà – 21-6-1936-XIV.

Gruppo CC. NN. «Diamanti» – A.O.