Achille Motta
Vezzolano e Albugnano

Parte Prima
Storico – Artistica

/Segue pag. 21/

Capitolo VIII.

Il chiostro (1)

Dall’interno della Chiesa per mezzo di una porticina ordinaria si entra nel Chiostro, richiamo silenzioso dell’antica pace cenobitica. Nel breve spazio da esso /22/ occupato tre epoche ben diverse hanno lasciato la loro impronta.

Importante e grandioso è il lato nord, il quale avrebbe dovuto formare la nave destra della Chiesa. Tre grandi archi sostenuti da colonne e pilastri, e suddivisi in altri sei per mezzo di svelte colonnette, danno luce a questo lato. Tutti i capitelli, sono variamente scolpiti con bellissimi intrecci e fregi; curioso è quello istoriato del pilastro d’angolo verso la porticina, in cui si ammira l’Annunciazione e la Visitazione di Maria Vergine, la nascita del Redentore e S. Giuseppe avvisato nel sonno di fuggire in Egitto.

Questo lato porta gli avanzi di una antica pittura nelle volte e nelle pareti, appartenente in maggior parte al 1300. Nella lunetta della prima arcata sopra la porticina vi è dipinta la Madonna col Bambino, assisa sopra una seggiola con velo trasparente in capo e incensata da due Angeli; di carattere gotico, colore rosso oscuro e di epoca alquanto più recente del restante.

La seconda arcata ci conserva il più prezioso ed interessante affresco. Sulla volta erano dipinti su fondo azzurro i quattro Dottori latini, dei quali si vede ancora S. Gregorio Magno eseguito di scorcio con rara abilità. Nelle fascie degli archi, in mezza figura, si veggono S. Caterina e S. Margherita con sotto due ritratti di devoti. Sulla parete havvi un dipinto scompartito in quattro zone orizzontali. In quella superiore vi è la maestosa e bella figura del Redentore assiso sopra l’iride, ed attorno i soliti emblemi degli Evangelisti. – Nella seconda zona vi è rappresentata là capanna di Betlemme coi Magi ed un devoto presentato da un Angelo. – Nella terza è dipinta la leggenda riferentesi alla fondazione od ampliazione della Chiesa di Vezzolano: da un sepolcro scoperchiato si rizzano tre scheletri; un cavaliere, che rappresenta Carlo Magno, inor- /23/ ridito a tal vista, abbandona le redini, si copre il volto colle mani e pare esclamare: Qui l’A. anticipa le scritte che si leggono nella quinta campata O res orida, res orida et stupenda! I due cavalieri del seguito, che portano falchi e son seguiti da cani, si mostrano egualmente esterrefatti. Un monaco ritto presso la tomba si presenta ad esortarli a ricorrere alla Vergine nel suo santuario recitando loro questa specie di «Memento homo» che porta scritta sopra un cartello:

Quid superbitis, miseri,
Pensate quod sumus
Pensate quod estis
Hic eritis
Quod minime vitare potestis.

Nella zona inferiore vi è un personaggio morto, in toga rossa, disteso sopra un sepolcro. Esso, come il devoto nella Capanna, deve rappresentare un individuo della famiglia dei Rivalba, consignori di Castelnuovo e Moriondo, i quali probabilmente fecero dipingere questa arcata. In vero, sugli archi si vede ripetuto il loro stemma: scudo d’argento a tre fascie di rosso, inoltre sopra e sotto il dipinto di Carlo Magno, il Bosio ed il P. Borgarello hanno decifrato alcune parole, ora appena visibili, riferentesi a tale famiglia, con date 1342-51-54; per il che è a credere che questa campata fosse il sepolcro gentilizio della stessa famiglia (1) .

Meritevoli ancora di essere rimarcati in questa campata sono il Crocifisso e | Addolorata dipinfì sopra i piccoli archi della bifora. La bellezza di questa fine pittura ci fa nascere il desiderio di conoscerne il cele- /24/ bre autore; il Bosio, non senza fondamento, è d’opinione che sia opera di Barnaba da Modena che, come si sa, in quei tempi dipingeva in Piemonte. → Lisetta Motta Ciaccio: Gli affreschi di S. M. di Vezzolano e la pittura piemontese del trecento in L’arte. Rivista di storia dell’arte medievale e moderna vol. XIII, 1910, pp. 335-352 Lisetta Motta-Ciaccio vede in questa arcata un raro e prezioso prodotto di scuola Piemontese, sebbene eseguito con perizia giottesca.

Nella terza arcata, come nelle seguenti, vi è una pittura, non più antica della precedente, che rappresenta la Madonna sedente col Bambino; a sinistra S. Agostino con mitra e pastorale; a destra un Angelo presenta un Chierico colla scritta: Do. Petūs. Questi deve essere il D. Pietro di Cocconato, Canonico di Reims, presente in atto 11 ottobre 1349 nella Camera dei Conti di Savoia in Ciriè, ed ancora in altro, 10 novembre 1348, in cui unitamente ad altri Radicati, presenta un Rettore alla Chiesa di S. Eusebio di Castelnuovo (Arch. Parr. Pino d’Asti). Nel 1354 è creato Vescovo di Piacenza, dove muore il 1372 e viene sepolto nella Chiesa di S. Lucia, in cui una lapide ne ricorda la generosità (1).

Nella fascia superiore vi sono alquanti scudi coll’aquila d’oro in campo nero, antico stemma dei Radicati. Dal trovarsi in questa arcata, come nella quinta, il detto stemma, si può arguire che ivi i Radicati avessero il diritto di sepoltura, come si conosce anche dal testamento 24 novembre 1320, con cui Isabella de Maloxellis vedova di Enrico di Cocconato, ordinava di essere sepolta a Vezzolano, ove era deposto suo marito. Nella quarta arcata, come nella seconda, vi è dipinto il Salvatore che benedice, e nella fascia diverse teste di Santi. Questa arcata è molto rovinata dalla scala che si praticò per salire all’ambone (2). Alcuni trovano in quest’arcata un tipo bizantino.

/25/ Nella quinta di nuovo il Salvatore coll’alfa e l’omega e gli emblemi degli Evangelisti. Sotto, la Madonna col Bambino; a diritta il Battista che presenta un militare inginocchiato, ed a sinistra S. Pietro colle chiavi. Tutte le figure hanno il capo circondato da nimbo o aureola in rilievo (1). Nella fascia superiore vi sono 14 teste di Santi o personaggi. In fondo a questo lato vi è dipinto il Cristo in croce con le pie donne e sotto di nuovo Carlo Magno a cavallo con scudieri e cani e colla scritta: O res orida, ecc. Pare ripetuta la scena della seconda arcata, ma in epoca più recente, come dai caratteri dell’iscrizione  (2). In conclusione, questo lato, quando si trovava in buono stato, doveva essere di mirabile e grazioso effetto; ora, fatta eccezione della seconda arcata, non possiamo bearci che nel movente stile di transizione.

Al lato ponente, che è a soffitto, danno luce otto piccole aperture a sesto acuto alle quali si alternano quattro colonnette in pietra e tre grosse e basse colonne. Questa è la parte più antica dell’Abbazia, ma, come ben dice Ettore Bracco (3), bisognerebbe distinguere la parte inferiore all’imposta degli archi dagli archi stessi e dalla muratura sovrastante. Invero, questa e l’arcatura a sesto rialzato sono di epoca più recente del brutto muricciuolo sottostante e della rudimentale decorazione dei capitelli.

In questo lato campeggiano due porte a tutto se /26/ sto, aprenti adito, una al refettorio e l’altra alle superiori celle. Osservando ancora si scorge che anche le colonne ed i pilastri esterni del lato nord sono basati sopra un muro antico, coevo forse al vecchio muricciuolo di sostegno di questo lato a sera. Dal che si può con tutta certezza conchiudere che l’attuale Chiostro sia fondato precisamente su l’altro più antico.

Il lato sud e due terzi del lato orientale sono più recenti: riedificati sotto l’Abate Galliano, circa il 1630, affine di alzare l’attuale moderno alloggio, abbattendo così il vecchio Chiostro, la sala capitolare e le celle sovrastanti (1). Anche in questo lato fanno bella mostra di sé due porte di antico ingresso. (Vedi Ab. Galliano).

Un’arcata soltanto del lato orientale è coeva al lato nord: quivi degne di ammirazione sono le due bifore con colonnette binate che davano luce all’antica sacrestia. Dal fatto che il muro, in cui si aprono queste bifore, è stato costrutto insieme alla Chiesa, è facile arguire che l’intenzione dei primi costruttori non era quella di fare la Chiesa a tre navate, ma di servirsi dell’area che avrebbe occupata la nave a destra, per compire il Chiostro e fabbricare la Sacrestia (2).

[Nota a pag. 21]

(1) Proprietà della R. Accademia d’agricoltura di Torino. Torna al testo ↑

[Nota a pag. 23]

(1) Alcuni vedono in quest’arcata la rappresentazione dei «Tre morti e tre vivi», ossia il Trionfo della morte, quale vedesi nel Camposanto di Pisa e solevasi miniare in antichi Codici. Comunque, sta il fatto che la scena effigiavasi a significare il vero motivo per cui i Cavalieri antichi si arrestavano sulla via delle vanità e dei misfatti, ritornando a miglior consiglio e ad opere grandiose. È naturale pertanto che, anche a Vezzolano, la tomba scoperchiata e gli scheletri agitantisi fossero l’eterno movente per cui Carlo Magno fondasse o beneficasse un Cenobio a gloria di Dio ed in remissione dei suoi peccati. Torna al testo ↑

[Note a pag. 24]

(1) Queste ed altre notizie mi sono state gentilmente comunicate dallo studioso Giacomo dei Radicati di Brozolo. Torna al testo ↑

(2) La Visita Past. 1732 accenna primieramente questa scala. Torna al testo ↑

[Note a pag. 025]

(1) Il guerriero che rende grazie alla Vergine deve essere un Giovanni di Cocconato, del ramo di Primeglio, che con i Grisella ed i Cane di Casale prese parte, col fratello Ottobono, alla battaglia di Gomenario (Castello tra Santena e Villastellone), contro i Provenzali ed a fianco del Marchese del Monferrato, Giovanni II Paleologo. Il suo valore fu ricordato in una canzone militare e, – miles strenuus –, è presente nell’atto, su riferito, io Novembre 1348. Torna al testo ↑

(2) Tanto afferma E. Bracco: Lisetta Motta Ciaccio, seguendo il Bosio, la ritiene del secolo XIII. Tengo questa e le due soddette circa della stessa epoca 1300. Torna al testo ↑

(3) Emporium, Rivista mensile illustrata d’arte letteratura scienze e varietà, Istituto d’arti grafiche Bergamo Emporio, 1906, vol. IV - Bergamo. Torna al testo ↑

[Note a pag. 26]

(1) Qualcuno ha voluto dare alle colonne poligone e capitelli cubiformi una data molto anteriore; è più prudente stare col Mella, che definì queste opere: quasi moderne, foggiate all’antica. Torna al testo ↑

(2) È pertanto inamissibile, come dissero alcuni, che la Chiesa sia esistita da principio a tre navate; e tanto meno si /27/ spiega l’asserzione di altri, che i pilastri dell’attuale Chiesa siano quelli della Chiesa antica ad una sola nave e che, conservandoli, sia stata rifatta la facciata, la volta ed aggiunte le due navi; osservazione fantastica perché una Chiesa ad unica nave, avrebbe dovuto avere esteriormente muri a piedritto e non pilastri così nettamente sezionati e profilati. Torna al testo ↑