Libro dei Miracoli
di Santa Fede
Trad. Maurizio Pistone

Libro I

Latino →

34.

Lettera indirizzata all’abate e ai monaci, a conclusione del primo libro1

Al reverendissimo e serenissimo Adalgerio2, abate della santa congregazione di Conques, e al resto della comunità di fratelli al servizio di Dio e di Santa Fede, Bernardo, l’ultimo degli scolastici, augura la salute eterna. Ecco una nuova edizione, come avevate richiesto, del Libro dei miracoli, che sono riuscito a portare a termine, pure fra i turbini dell’avversa fortuna; la grazia divina, sono sicuro, è venuta in soccorso della mia debolezza, e finalmente il mio animo scosso dal pianto ha potuto trovare un po’ di respiro. Poiché non voglio che per un minimo pretesto il libro venga considerato apocrifo, ho mantenuto nel titolo il nome dell’autore; e pur considerandomi ben inferiore a Sulpicio Severo3, sono stato più incline a mettermi in mostra. Infatti, anche se in tutta la terra non si potrebbe trovare qualcuno più adatto di lui a descrivere la vita del beato Martino, tuttavia volle lasciare la pagina muta togliendo dal frontespizio il nome dell’autore, per non essere accusato di presunzione. Io invece ho messo il mio nome all’inizio, nel mezzo e alla fine, per evitare che l’anonimato generi diffidenza e che per questo le opere di Santa Fede si sviliscano nell’ambiguità.

Turba fortemente la certezza di quel nome una controversia suscitata da alcuni, che lo vogliono declinare secondo la quinta declinazione. Ma noi sosteniamo che per antica consuetudine delle scritture si debba dire Fides Fidis come nubes nubis, soboles sobolis. Con questa mia assezione credo che sarebbe d’accordo il signor Fulberto, arcivescovo di Chartres, l’uomo forse più dotto di tutti quelli del nostro tempo, alla cui mensa nel giorno natalizio della santa mortale Fede ho sentito pronunciare e letto due o tre volte il genitivo Fidis e non Fidei. Infatti se si cambia questa regola grammaticale si finisce per intendere non la nostra, ma quell’altra Fede, che apprendiamo essere stata martirizzata a Roma sotto l’imperatore Adriano con le sorelle Speranza e Carità4. Quindi in nome della nostra amicizia vi invito a mantenere la vostra antica consuetudine, e diciate Fidis con forma della terza declinazione.

E vi prego di accogliere con benevolenza questi miracoli, che vi restituisco col mio povero ingegno e in un latino qualunque, così come io li ho ricevuti, parola per parola da voi stessi o dagli abitanti di questo luogo; e prego che li giudichiate non in base alla rozzezza dello stile, ma per la loro profonda verità, e per aver conservato integro l’ordine della relazione, che, come a tutti è noto è proprio di queste meravigliose imprese.

Inoltre, perché non sembri che le parole di questo mio libro si fondino sulla mia sola autorità fra coloro che me le hanno riferite, poiché per una serie di inconvenienti non ho potuto rivolgermi direttamente al signor Fulberto5 nominato prima, al quale avevo indirizzato la prima lettera, ho mostrato questo libro al mio precettore Rainaldo6, persona di cui si deve parlare con il massimo rispetto, maestro della scuola di Tours, e grandissimo esperto negli studi liberali. Egli lo tenne in così grande considerazione, che trovandosi una volta in casa mia oppresso da un grave malanno, se lo posò sulla testa come fosse il santo Vangelo, sicuro che sarebbe guarito per virtù di Santa Fede. Prima ancora, presentandosene l’occasione, avevo mostrato un’edizione ancora incompleta del libro ai due fratelli Guantelmo e Leovulfo7, miei amici, canonici di San Quintino nel Vermadois, uomini di illustre famiglia e di grande sapienza, le cui azioni insieme con il lusso della loro ricchezza hanno ottenuto fama dovunque sulla terra. Essi lo lessero con tale avidità che quasi me lo strapparono con la forza, dichiarando di averne quasi il diritto, poiché nella loro città, Noyon, si stava costruendo una nuova chiesa di Santa Fede per la fama dei miracoli di recente avvenuti. Ma poiché non ne avevo un’altra copia, dovettero andarsene a mani vuote, pregandomi con insistenza di farmelo avere al più presto possibile.

E che dire di Giovanni Scoto8, non l’antico, ma il moderno, congiunto di sangue del Rainaldo nominato sopra e fin dall’infanzia mio istitutore e maestro, nella cui mente nessuna frode eretica né falsa adulazione ha potuto trovare posto? Di nessuno, di questi tempi, si potrebbero dire fatti più illustri, se uno volesse impegnarcisi. Egli è stato così caritatevolmente benevolo verso la mia povera persona, da volermi considerare nel numero dei sapienti. Era evidentemente spinto da quell’amore che potrebbe avere solo una dolce madre, che giudica le forme con impulso naturale, e vede bellissimo il volto del figlio, anche se è il più brutto di tutti. Arrivò ad un tal punto di favore da giudicarmi d’ingegno non inferiore agli antichi dottori. E per quanto la sua ingenua carità mi abbia innalzato fino a tal punto, io non mi lascerò ingannare dalla sua lode, né sarò una tale testa vuota da considerare tale paragone dissimile da quello che si può fare tra una scimmia ed un uomo. È giusto che il maestro lodi il discepolo, per incoraggiarlo, il discepolo invece deve tenersi nei suoi limiti, per non lanciarsi avanti quando non è ancora pronto. Anche altri uomini di buoni principi lessero il libro, dandone un giudizio non molto dissimile da quelli esposti.

E molte persone illustri vennero a sapere per la prima volta di Santa Fede dalla mia testimonianza, e a molti, grazie a me, divennero note le sue virtù, fino ad allora ignorate. Fra loro il mio signore Uberto, vescovo di Angers9, giovane di ottimi costumi e di grande bontà, il quale rinnovando dalle fondamenta la chiesa cattedrale dedicherà un altare e una memoria perpetua a Santa Fede. Anche il signor Gualtiero, reverendissimo vescovo di Rennes10, raggiunto dalla fama degli insigni miracoli di Santa Fede, nella chiesa che sta costruendo in quella città col titolo di San Tommaso apostolo, discorrendo con me mi promise di erigere un secondo altare in onore di Santa Fede. Infine l’ottimo Guido, cui è affidata la chiesa madre di Angers11, uomo di grande ricchezza ma di non minore probità, è stato preso da tale amore per Santa Fede, che nel ricostruire da cima a fondo la sua chiesa dedicata a San Martino di Vertou12 ha deciso di istituire un insigne oratorio a Santa Fede.

Rimangono ancora molti, che ho ritenuto superfluo inserire in questa pagina per non renderne la lettura troppo gravosa, i quali, ancora digiuni di miracoli così ammirevoli e illustri, rifocillati dalla mia predicazione come dopo un lussuoso banchetto, ringraziano Dio, e per quanto sia peccatore mi apprezzano molto per essere stato così solerte e diligente, da affidare alla scrittura i miracoli di Santa Fede perché col pasare del tempo non venissero dimenticati. Come ricompensa per questa così grande fatica mi aspetto, ben oltre i miei meriti, che alla mia morte possa io possa avere come sostenitrice per la mia anima misera e peccatrice Santa Fede, che invoco come mia patrona al di sopra di tutti gli altri santi, contro i servitori della parte avversa, finché, con l’aiuto del santissimo Cristo redentore, io possa partecipare della tua cristiana redenzione o Santa Fede, dove è eterna la felicità dei santi, così che io possa godere di una piccolissima parte della tua gloria. Amen.

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1. Lettera scritta al tempo del secondo viaggio di Bernardo a Conques, a conclusione del primo libro, appena terminato. Torna al testo ↑

2. Non si sa molto di questo Adalgerio, che fu abate al tempo dei viaggi di Bernardo, e viene da lui citato in diversi punti del Liber. Torna al testo ↑

3. Sulpicio Severo ca. 360-420 fu discepolo di San Martino vescovo di Tours (316-397) e autore di una famosissima biografia del santo. Aveva chiesto all’amico Desiderio di togliere il suo nome dall’opera. Torna al testo ↑

4. Le sante Fede, Speranza Carità, la cui memoria liturgica cadeva il 1° Agosto, erano indicate come figlie di Santa Sofia. Non sono più ricordate nel martirologio post-conciliare. Torna al testo ↑

5. È possibile che qui Bernardo alluda alla contesa fra Uberto, vescovo di Angers, e Ugo, vescovo di Tours, che aveva l’appoggio di Fulberto. (Per questa nota e le successive si veda in particolare L. Robertini). Torna al testo ↑

6. Rainaldo di Tours era stato maestro anche di Fulberto. Torna al testo ↑

7. Questi due personaggi non ci sono noti.
Il Monastero di San Quintino De Monte, nel dipartimento della Somme (attuale comune di Péronne), in età carolingia ebbe i conti di Vermandois come abati laici. Fu più volte distrutto e ricostruito, e nel XVIII secolo era in rovina. Abolito con la rivoluzione francese. La località fu teatro di molte battaglie, fra cui quella del 1557 durante la guerra fra i francesi e gli spagnoli; del 1871, durante la guerra franco prussiana; e due volte nel 1914 e nel 1918, durante la I Guerra Mondiale. Torna al testo ↑

8. Non abbiamo notizia di questo Giovanni Scoto, da non confondersi – come avverte lo stesso Bernardo – con quel Giovanni Scoto Eriugena che diresse la Schola Palatina ai tempi di Carlo il Calvo. Torna al testo ↑

9. Uberto di Vendôme fu vescovo di Angers da prima del 1010 alla sua morte nel 1047. La cattedrale di Angers era stata distrutta da un incendio nell’anno 1000; Uberto consacrò la nuova chiesa nel 1025. Torna al testo ↑

10. Gualtiero, vescovo di Rennes fra il 1014 e il 1032. Torna al testo ↑

11. Guido, arcidiacono e tesoriere della cattedrale di Angers. Torna al testo ↑

12. San Martino abate di Vertou morì nel 601. Torna al testo ↑