Massaja
Lettere

Vol. 1

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Al padre Venanzio Burdese da Torino OFMCap.
ministro generale – Roma

P. 333R.mo P. Lettore,

Gualà Provincia dell’Agamien nell’Abissinia, li 25 Maggio 1847.

Posto che debbo ancora fermarmi qui per obbedire a Dio, ed alla Sacra Congregazione, voglio diriggerle poche linee, onde tenerla al corrente delle cose mie. La guerra ancora attualmente vertente tra i due Padroni principali di questa nazione, tenendo le forze concentrate in un sol luogo, lasciano il rimanente dell’Abissina come nell’anarchia e nel disordine; motivo per cui non posso proseguire il mio viaggio ai Gallas. Da tutte le parti vi sono squadriglie di rivoltosi, e di ladri, che non solo rendono impraticabili le strade, ma fin anche inabitabili i paesi, segnatamente piccoli, i quali vengono ben sovente saccheggiati, rubati e distrutti. Sono già tre mesi, che abbiamo fatto trasportare tutti i nostri effetti in loco tuto in una tribù qui vicina, tutta quanta cattolica e fida. Noi per prudenza siamo qualche volta fuggiti in una montagna non lontano di qui per scansare l’imminente pericolo. Se la P. V. R.ma fosse stata qui, avrebbe veduto la bella figura che fece il [p. 334] povero Vescovo di Cassia con tutto il suo Vicariato. Ho dovuto salire una rocca altissima per trovare un luogo sicuro. Giunto in cima la rocca, tagliata quasi perpendicolarmente, presentava all’occhio dei passi tremendi, singolarmente l’ultimo passo, prima di giungere alla grotta, luogo solito di rifugio. I bravi e fidi cattolici, che mi accompagnavano, volendo assicurarmi nel tremendo passaggio, ebbero la compiacenza di legarmi a traverso con una corda, e poi tirarmi su, come una secchia dal pozzo. Giunto alla grotta, che si presentava come una galleria tutta intagliata nel sasso, e lavorata dalla natura, potei dire di trovarmi in un luogo talmente sicuro, che neanche una forza armata mi avrebbe potuto sorprendere. Un’altezza enorme infatti, spalleggiata da un taglio perpendicolare, non avente che un sol passaggio, e che si poteva guardare con un bastone. Chi avrebbe potuto assalirmi? Sono rimasto là un giorno ed una notte. Dormendo, non faceva che sognar precipizj, vegliando li vedeva. Se non che era una delizia l’osservar da quell’altezza le vedute che si presentavano di montagne, di valli, di rocche tagliate, e nel tempo stesso un non so che di terrore al sentire non altro, che mugiti, che urli di /120/ bestie sconosciute e feroci. Ma sieno rese grazie al Signore, ed all’indefesso ed instancabile De Jacobis, per la grande stima che meritamente si è acquistata fra questi popoli; i pericoli svanirono affatto; la squadriglia venuta a Gualà si risolvette a fare siccome Attila in Roma al cospetto di S. Leone, ed il villaggio restò libero, intatta la casa della Missione, inoffese le genti, non ostante che fossero quei briganti incaricati dall’Abuna eretico di trucidarci [p. 335] tutti quanti. Siamo venuti a casa tranquilli; e tranquilli ancora ce ne stiamo frammezzo ai disordini.

Un mese fa questo Sig.r De Jacobis mandò in Adoa alcuni servi coi muli per provviste di grano, ed altri occorrenti: venendo questi per la strada, furono presi, e derubati; ma che? all’indomani i ladri medesimi vennero spontaneamente a restituire la roba: veda, caro P. Lettore, fin dove giunge la stima d’un Missionario.

Passata che sarà questa burasca politica, io preveggo gran belle cose per questi paesi. L’Abuna eretico è già caduto in disgrazia del re di Soa, e del Nas [Ras]: in questa circostanza, per essere entrato in combricola coi rivoltosi capi di squadriglia, incontrò ancora l’estrema disgrazia di Ubié, unico difensore che aveva ancora per motivi politici: pensi in che brutta circostanza si trovi, e che bella via non si aprirà per la santa causa. Il Signore volesse pure prosperare la mia Missione, come prospera questa!

I Missionari stanno tutti bene, e siamo tutti impazienti di trovarci all’opera. Oggi soltanto ho inteso da una persona privata, che il Sig.r cavaliere Antonio d’Abbadie sia giunto in Gondar, capitale dell’Abissina. Se questa cosa è vera, io ne godo assai per le informazioni che ci potrà dare dei popoli Gallas, e del dove ci converrà incominciare le nostre fatiche. Ora ci troviamo sufficientemente in possesso della lingua Amara da poterci fare intendere, da poterla leggere, ed anche scrivere: e questa è una bella grazia del Signore. È questa la lingua più generalmente parlata anche dai Gallas, ed intesa quasi dapertutto, almeno da qualcheduno, come la lingua francese costì. Andando più in là, impareremo anche la lingua Galla, sebbene non scritta, ma molto più bella dell’Amara, e nella pronunzia molto affine [p. 336] all’Italiana. Presentemente si sta trattando la pace tra i due Reggenti: subito che le strade saranno aperte, dovendo io fermarmi qui sino a nuovo ordine della S. Congregazione, che forse intende di farmi consecrar Vescovo questo Prefetto, manderò ai Gallas il P. Giusto, ed il P. Cesare, ambidue impazienti di poter far qualche cosa: ed io me ne resterò col P. Felicissimo, e col fr. Pasquale.

La saluto per parte di tutti i Missionarj, mi raccomando alle di lei orazioni, ed implorando la paterna di lei benedizione, colla mia, per quanto può valere, e colla massima pienezza di cuore mi raffermo al solito.

Di V. Paternità Reverendissima

Affez.mo Studente
Fr. Guglielmo Vesc. Cappuccino