Massaja
Lettere

Vol. 1

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Al cardinale Giacomo Filippo Fransoni
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 397rEminenza

Cairo 14. Giugno 1851.

Coll’arrivo del M. R. P. Agostino ho ricevuto il veneratissimo foglio dell’Em: V., col quale si è degnata di parteciparmi le risposte di S. S. sopra alcuni quesiti da me fatti, ed alcune osservazioni relativamente al piano di viaggio stabilito. Per queste ultime io debbo ringraziarLa di tutto cuore per l’interessamento che Lei dimostra, non solo verso la Missione, ma molto più per la sicurezza spirituale del suo capo indegno. Sono talmente ragionevoli i pericoli per l’anima mia, che trovandomi in Europa non ho fatto che questuare preghiere a questo riguardo, e non è che dopo la promessa di 50. e più Communità Religiose, e la speranza sulla benedizione dei Supe- /328/ riori, che io risolveva di ubbidire alla necessità ed al dovere, sicuro che il Signore avrebbe fatto un gran miracolo nel sostenere la mia debolezza. Ora che veggo i Superiori a farmi qualche difficoltà, il mio cuore trovasi nel più grande imbarazzo. Non vorrei fare un passo senza essere sicuro della volontà e della benedizione dei Superiori; per altra parte la Missione trovasi in tali circostanze, che io la credo certamente perduta, se io non prendo la risoluzione suddetta. L’Abissinia ha incominciato l’opera infernale di respingere potentemente l’operazione evangelica, e finirà certamente col consummarla; cacciando tutt’i Missionari dall’interno. La Missione di Monsig.r De-Jacobis è già perfettamente ritirata ad un sol punto della costa indipendente dall’Abissinia Cristiana, e non è certo di poterla sostenere là, perchè è possibile e facile la discesa delle truppe abissinesi anche in Alitiena; Lui però avrà sempre il punto di Massawah, che gli serve di sicura ritirata, da dove potrà sempre coltivare l’interno alla bella meglio: ma noi, che siamo costretti ad incominciare le nostre operazioni, dove appena finiscono li guài di Monsig.r De-Jacobis, ed in paesi sotto l’immediata influenza della politica nemica, è chiaro, che, una volta cacciati, non sapranno più dove metterci, e resterà naturalmente chiusa la Missione – Il fatto accaduto ai PP. Cesare, e Felicissimo ne sono la prova. Il primo di questi due si trova inerte nel centro dei paesi cristiani, se pure ancora non è sortito; il secondo è già in Massawah. P. Giusto non ha potuto penetrare nel luogo dove l’avevo spedito, e trovasi anche lui nelle vicinanze di Gondar, aspettando la sua espulsione da un giorno all’altro. Quest’ultimo in qualunque luogo sia potrà sempre lavorare, perchè la sua parte principale sta nel ragionare coi dotti, e lavorare sulla letteratura del paese, che ne ha molto bisogno. Gli altri due, come sono in paese appartenente a Monsig.r De-Jacobis, sarà ben poco quello, che faranno, sia perchè la persecuzione impedisce, sia ancora perchè... Ha bel dire V. Em:, che si lavora per le anime; ma in materia di giurisdizione, se il Superiore locale non spiega direttamente, ed apertamente il suo gradimento, vi è sempre una certa soggezione, che basta per paralizzare ogni cosa.

Per impedire la rovina totale della missione, l’unica via è quella di aprirla al di là dell’Abissinia. Se da principio avessi potuto assistere i Compagni, quando si sono introdotti, senza dubbio avrei procurato di spedirne subito là almeno una metà per attaccare l’operazione in due luoghi diversi: ma esiliato prima di conoscere il paese, ho dovuto lasciare, che le cose andassero secondo il consiglio altrui; nell’ultimo giro, che ho fatto, per non disturbare le cose già incominciate, ho anche dovuto sospendere questa spedizione, lusingandomi di poterla fare dopo; ora, se io attendo, che l’espulsione prenda un’aspetto formale, e generale, non sarò più in tempo, perchè l’Abissinia ci chiuderà. Ecco [f. 397v] la ragione, per cui, senza passare più a Roma, sono venuto con tutta premura. Appena ho avuto le notizie ho scritto subito ai Compagni di fare ogni sforzo per passare avanti; siccome però sono già molto conosciuti, e devono passare in paesi, dove vi sono dei Prencipi Alleati dell’Abuna, non /329/ so se potranno eseguire li miei ordini. D’altronde accostumati già a vivere col soldo della Missione, parrà loro un poco duro andare avanti con poche provviste, ed in paesi, dove difficilmente potranno ricevere soccorsi. Scrivendo ai Compagni di andare avanti, per far loro coraggio ho detto, che immancabilmente io gli avrei preceduti: siccome poi ho dovuto consigliargli di viaggiare in forma incognita, e povera per poter passare più tranquillamente; per dar loro buon’esempio farò io stesso più di quello, che pretendo da loro, perché io colla mia qualità di Vescovo avrò molto maggiori difficoltà a vincere. Se io vado avanti, sono certo, che gli altri mi verranno dietro.

Rapporto al Monastero di S. Antonio, tardando ancora qualche giorno a partire, forse non potrò più passarvi, perchè ho promesso di trovarmi in Goudrou sul principio di Gennajo, e per andarvi non mi vogliono meno di cinque mesi. Sarei passato volentieri in quel Monastero, perchè un Viaggiatore mi riferì, che vi è colà un Monaco, antico Allievo della Propaganda, il quale cercarebbe di nuovo la nostra fede. Avrei voluto conoscere questo Monaco, perché in caso, che fosse buono, avrei voluto suggerirgli di farsi mandare in Abissinia, dove avrebbe potuto farci del gran bene: ora lo stesso Viaggiatore mi dice, che, dietro replicate istanze, egli stesso ne ha già parlato con Monsig.r Teodoro, il quale pare disposto a riceverlo. La speranza di poter avere con me questo Monaco nel mio viaggio, e di cui io avrei voluto differire la sua abjura per fargli fare certi passi in Abissinia, mi ha indotto a chiedere la facoltà di confessarmi da un’Eretico; ho fatto male a non spiegarmi, ma ho detto un quidsimile al P. ˙Agostino da spiegare egli stesso verbalmente. Fuori di questo caso la facoltà di confessarmi da un’eretico sarebbe veramente straordinaria, benché non al di là del potere della Chiesa, quando sia separabile la circostanza di scandalo, e ciò rapporto allo stesso Confessore eretico; questa facoltà però è inutile in Abissinia, dove i Preti sono invalidamente ordinati.

Relativamente al Sig.r d’Abbadie mi ricordo d’aver mandato a Roma qualche documento ad una persona di mia fiducia, sotto vincolo della massima segretezza, permettendo solo di rendergli ostensivi alla S. C. di Propaganda per sua norma; non devo però aver scritto, o parlato direttamente, se non colla massima riserva. La ragione di questa mia riservatezza era, perchè tutte le notizie odiose a questo Sig.re mi vennero nei primi tempi, quando io, ed i Compagni, per mancanza di lingua, vedevamo ancora cogli occhi altrui. Accortomi quindi, che, chi mi aveva dato le informazioni sul conto di questo Sig.re, aveva con lui molto più confidenza di me, ho risolto di esaminare le cose da me stesso, ed eccone il risultato. Nell’ultimo viaggio fatto nell’interno ho trovato, che il Cavalliere Antonio d’Abbadie, in quanto ai costumi, ha tenuto una condotta irreprensibile; passava per Monaco, e mantenne perfettamente il suo carattere. In materia di religione, non solo fu sempre amico, e confidente dell’Abuna Eretico, ma si regolò in maniera da farsi credere lui stesso eretico dai nostri cattolici, perchè frequentava le /330/ Chiese, e faceva battezzare li suoi schiavi, e servi dagli eretici. Circa le imputazioni di congiure, o raggiri contro di me, e della Missione Cattolica, ancora in Abissinia fui convinto della loro insussistenza perfetta. Quando io mi trovavo in Roma avrei parlato direttamente di Lui, ma il mio giudizio non era ancora formato, volevo riservarmi ad ultimarlo in Parigi. Arrivato a quella Capitale, fui sollecito di prendere le più scrupolose informazioni sul conto di questo Sig.re, e mi risultò di primo slancio, che il Sig.r Antonio d’Abbadie conduceva una vita da [f. 398r] da cattolico esemplarissimo, confessandosi più volte nel mese da un Confessore dei più accreditati, ch’è il Curato dell’Abbazìa Aux Bois. Vedendo così ho voluto conferire con lui medesimo, ed il risultato di lunghe conferenze avute fu una mia piena convinzione in favor suo. Egli con fatti rispettabili alla mano prova, che, maneggiando l’Abuna, salvò la Missione dalla persecuzione. Difatti, prima di lasciare il paese, vedendosi intaccato di connivenza cogli eretici, volle romperla col Vescovo per salvarsi dalla censura dei cattolici, ed allor’appunto fu, che si scatenò la persecuzione. Ciò supposto, se non l’azione della connivenza suddetta cogli eretici, almeno la sua intenzione è scusabile. Secondo lui la Missione in Abissinia avrebbe dovuto tenere un sistema più simpatico, e men’ostile; la sua opinione è lodevole, e sarebbe anzi l’unica per guadagnare certamente quel paese, ma non è amissibile in tutto; poiché noi possiamo avvicinarci agli eretici sino ad un certo punto, ma poi vi sono dei limiti, oltre i quali non si può andare: lui però quello, che ha fatto, avendolo fatto con questo fine, è per lo meno scusabile. Costretto a scusarlo in questo unico punto, in cui per l’addietro io fui sempre inesorabile nel mio giudizio contro di lui, ho dovuto riconoscere tutto l’apparato di cristiana pietà, e di zelo sincero, che dimostra per la causa cattolica.

Del resto il Cavalliere Antonio d’Abbadie, che io prima credevo una persona di mediocrissima fortuna, trovai in vece, ch’è ricchissimo di casa sua. Con 25. mille franchi di reddito annuo lui solo, diviso dai suoi fratelli, potrebbe passarsela tranquillamente a godere il mondo; invece si priva di tutt’i piaceri mondani, vive come un monaco colla compagnia di un solo domestico, e ciò per poter fare un buon uso della sua fortuna a benefizio dei poveri, e della religione. Egli è persona di opinioni le più sode in politica, di una pratica la più spiegata in religione, di un zelo non ordinario per la causa cattolica, ed in specie per l’Abissinia, per cui è disposto ancora a fare sacrifizii della sua persona, e credo anche in parte della sua fortuna. Prima di lasciare Parigi questo Sig.re mi ha posto nelle mani una somma considerabile a benefizio della Missione, non ho voluto accettarla, affinchè da qualcuno non venisse considerata come prezzo di questa mia dichiarazione, che debbo fare in favor suo; l’ho pregato a conservar le sue buone disposizioni, assicurandolo di ricorrere in caso di bisogno. Io non aspettavo altro, che di esser’interessato in proposito del Sig.r d’Abbadie, per dire il mio sentimento con maggiore utile; potranno alcuni tacciarmi di contraddizione, ma nel caso amo meglio contraddire me stesso, che la verità /331/ conosciuta come tale. La mia convinzione attuale è questa; per questa ragione non ho rossore di proporlo ancora per altre ulteriori operazioni, come vedrà dalla qui annessa memoria sullo stabilimento di Gerusalemme; Ella, conoscendo la mia pochezza, e dabbenagine, non si fidi delle mie parole, s’informi meglio, e poi proceda come meglio crederà per il bene; frattanto io assicuro V. Em:, che io economizzerò, per quanto mi permette la civiltà, e carità cristiana, le medesime corrispondenze con lui, fino a tanto, che non mi consti, ch’Ella abbia la medesima mia convinzione, onde schivare il pericolo di metterm’in contraddizione coi miei Superiori.

Venendo poi alla pratica risoluzione da prendere, dietro le considerazioni, che V. Em: ebbe la somma bontà di farmi, quasi già avevo risoluto di andarmene in Aden, e là aspettare nuovi ordini da Lei, e nel tempo stesso occuparmi di là per far passare avanti i Compagni, almeno alcuni; anzi, come rileverà da una mia precedente, questa risoluzione era già presa da me prima della veneratissima sua, ma arrivato in Aden cosa fare? Chiamare i Compagni colà, e risolverli a far nuovi sagrifizii? Non farei che allontanargli di più, mol- [f. 398v] moltiplicare le spese, e le fatiche, e rendere più complicata l’operazione. Portarmi sulle frontiere di Massawah io stesso? Forse sarebbe meglio, ma io, essendo troppo conosciuto, non farei che cagionare rumori inutili in Abissinia, con quasi nessuna speranza di poter entrare da quella parte, e trovarmi poi costretto a rimontare il mare rosso per prendere il Nilo dopo aver consummato molto danaro, e speso gran tempo inutilmente. Perciò ho pensato meglio di tenermi alla risoluzione prima, e partire immediatamente da qui per l’interno, così mantengo la parola data nell’atto di separarmi dai Compagni, che io per la via del Nilo sarei entrato direttamente nei paesi Galla; parola che ho confermato loro nell’ultima mia lettera, con cui gli esortavo a passare avanti. Quando sentiranno, che io son partito effettivamente, almeno qualcuno mi seguirà immancabilmente; così io sarò solo nel viaggio, perchè così sono più sicuro di poterlo eseguire, ma arrivato spero di avere compagni; mi troverò isolato dall’Europa, e dalle altre missioni, ma spero in Dio di trovarmi accompagnato. Per conseguenza V. Em: potrà tranquillizzarsi su questo rapporto. Avendo detto, che io andavo avanti per animare i Compagni a seguirmi; dunque speravo di trovarmi accompagnato in seguito. Ciò non ostante sarò sempre isolato relativamente a nuove facoltà, che potrei sperare dalla S. Sede; quindi in questo solo senso ho esposto il mio futuro isolamento, chiedendo straordinarie facoltà. Per tranquillizzarLa ancora relativamente al mio passaggio al Monastero di S. Antonio, Le dirò, che, avendo dato parola di trovarmi nel Goudrou al più tardi sul principio di Gennajo, o non vi passerò più, oppure vi resterò due, o tre giorni in forma di pellegrino, cioè di mendicante. D’altronde la tomba di S. Antonio essendo visitata da pellegrini Greci, Armeni, e di altre credenze, non credo, che i Copti pretendano la communicazione in divinis. Ultimamente vi stette alcuni giorni un certo Steffano Bartolemy, Viaggiatore francese, il quale fu accolto senza bisogno di farsi Copto. /332/ In vista di tutto questo, io credo di poter partire tranquillamente senz’aspettare da Lei nuovi ordini, cosa che mi costerebbe almeno 40. giorni di ritardo; tanto più, che Lei assolutamente non me lo proibisce. Rapporto alla mia sicurezza personale, avrò niente a temere sino alle frontiere dell’Abissinia, poiché ho avuto abbastanza amor proprio per procurarmi un Firmano del Pascià sotto il nome di Bartorelli viaggiatore francese. Devo camminare incognito, perchè i Copti mi accompagnerebbero colla spìa in Abissinia, e là correrei pericolo di essere fermato con qualche pretesto. Vado alla povera, perchè così potrò più facilmente star nascosto, ed anche per far economìa: la coscienza mi rimorde già abbastanza per ciò che ho consummato inutilmente nei viaggi precedenti. D’altronde la Missione si trova piutosto poveretta, ed i bisogni sono grandi. Per la strada si trovano, lungo il Nilo, delle Missioni cattoliche, dove potrò confessarmi, anche senza farmi conoscere. In Kartoum poi, prima di passare il deserto più pericoloso, potrò confessarmi dai nostri Missionari, e V. Em:, avendo qualche ordine a communicarmi, potrà mandarlo a questi Religiosi, però sotto il nome suddetto di Bartorelli, senza manifestare loro la mia qualità, perchè sarà facile, che anche là me ne stia incognito, senza manifestarmi che al solo Confessore in caso di bisogno. Compatisca la leggenda di tutte queste mie cautele, e pensi, che, per mancanza delle medesime, e per volermi fidare troppo, io sono pellegrino da cinque anni fuori della Missione. Se poi dopo tutte queste cautele, sarò ancora obbliggato a pellegrinare fuori, allora avrò una morale certezza, che il Sig.re non gradirà il mio Ministero, perchè indegno, ed allora cercherò di ritirarmi a riprendere la vita cappuccina.

F. 399r Dopo la mia partenza il M. R. P. Agostino, quando avrà ricevuto una risposta da D.n Luigi, partirà per Aden, munito di tutte le istruzioni, che ho creduto necessarie per gl’interessi di quella Missione, e per li Missionarj dell’interno, che potranno colà ricorrere. Per parte mia lascio in Aden tutte le facoltà a D.n Luigi, ed in sua assenza al P. ˙Agostino, li quali potranno fare come se fossi io stesso; come però conto di scrivere a Monsig.r De-Jacobis, e pregarlo di assistere, per quanto potrà, tutte le cose mie di quella parte, le autorità s’intenderanno subordinate al medesimo, quando potranno consultarlo, poiché le communicazioni tra Aden e Massawah sono piutosto rare, e più facilmente da Aden si potrebbe consultare Monsig.r Guasco, che non Monsig.r De-Jacobis. Occorrendo la presenza personale per le cose del Ministero Episcopale, quest’ultimo è più vicino, ma per le lettere è più commodo il primo.

Col penultimo corriere credo d’averLe spedito una lettera di D.n Luigi, nella quale mi parlava della Chiesa. Mi narrava come il pezzo, fatto di nuovo in pietra, rovinò nella maggior parte: essendo così ho proibito di procedere fino a tanto, che non arriverà fr. Pasquale da Massawah, cui ho mandato l’Ubbidienza, come muratore di professione, e molto intelligente in queste cose; così spero, che, venendo dei soccorsi, che ho chiesto, si potrà sicuramente procedere nella fabbrica. Per migliorare quella Missione vi vogliono tre cose: /333/ 1º Almeno tre Missionarj, uno per gl’Inglesi, un’altro per gl’Indiani, ed un terzo, che si occupi della lingua indigena; altrimenti la più parte delle confessioni si fanno senza capirsi il Confessore, ed il penitente, ed il ministero della parola manca affatto. 2º Fabbrica solida in pietra per levarsi le spese enormi, e continue in riparazioni di Chiesa, e di casa provvisorie, e perchè un fuoco potrebbe mettere tutti fuori di casa. 3º Una piccola campagna al porto, dove l’aria è migliore, affinchè li Missionarj abbiano un piccolo sollievo; altrimenti, quando il Missionario ha preso la lingua, allora ha perduto la salute, e la Missione sarà sempre con Sacerdoti nuovi, che studiano la lingua. Senza di questi tre mezzi quella Missione sarà sempre mal servita; ma per questo vi abbisognerebbero fondi, che non ci sono. Se la strada dell’interno fosse aperta da quella parte, io mi sarei occupato di proposito; ma come sono le cose non potrei stare là col carico, che tengo di pensare alla conversione dei Galla, come principale.

A proposito mi ricordo d’aver lasciato in Roma alcuni quesiti riguardanti la Missione di Aden, e dell’interno. Per Aden erano inclusi nella prima relazione da me rassegnata all’Em. V. nello scorso Agosto, ed il principale era il caso pratico delle confessioni, che si sogliono fare senza l’uso della lingua, con un semplice direttorio, che mette in bocca al Confessore le principali domande nella lingua del penitente, senza poter capire la sua risposta; per cui si desidera sapere, se il Missionario possa essere tranquillo in coscienza. Rapporto all’Abissinia Le trasmetto nuova Copia delli quesiti fatti, perchè ancora non ne ho avuto risposta.

Debbo poi dire qualche parola relativamente al P. Sapeto. Restai meravigliato intendere dal P. ˙Agostino, che la S. C. di Propaganda forse consideri il P. Sapeto come appartenente alla Missione. Galla. Per poter dir questo bisognerebbe in primo luogo, che il suddetto avess’esternato il desiderio di essere aggregato; cosa che io ignoro affatto. 2. Che la S. C. di Propaganda l’avesse destinato; cosa che io perfettamente ignoro. 3. bisognerebbe, che io ne avessi dato l’assenso; cosa che non ho fatto. L’unica cosa che posso dire a questo riguardo è, che prima di partire da Massawah, questo Sacerdote mi disse, che, finiti i suoi affari politici, contava di andare nel Gou- [f. 399v] raguè. Come non mi domandava neanche la facoltà di andarvi, io gli ho detto di scrivermi prima, che io gli avrei assegnato un Compagno, anzi, se voleva, non avrei avuto difficoltà di assegnarglielo subito, qualora mi avesse assicurato di voler andare presto; lo stesso gli ho scritto da Aden prima di partire per l’Europa. Dopo questo, né lui mi scrisse, né io a lui. Trovandomi in Parigi V. Em: mi mandò una sua lettera a leggere, in cui il P. Sapeto esternava il suo desiderio, se non erro, di venire legittimato come Missionario, ma nulla diceva di voler’essere con me, anzi dal contesto pareva, che cercasse di restarsene con Monsig.r De-Jacobis. Io risposi all’Em: V., dando il mio semplice sentimento sull’individuo, e mi ricordo d’aver citato nella mia risposta il fatto suddetto sul Gouragué, e ciò in semplice prova del voto sincero, che io dava /334/ in favore suo. Da tutto questo nulla si deduce, che sia mio Missionario, poiché né lui, né V. Em:, né io parlai di questo. Quello, che ho detto al P. Sapeto prima di partire da Massavvah, l’avrei detto anche ad un Secolare, che mi avesse significato di voler andare al Gouraguè, perchè troppo mi premeva di cogliere l’occasione per spedire un Missionario: ciò non ostante, ogni qual volta P. Sapeto, autorizzato dalla S. C. di Propaganda, sia partito per il Gouraguè, non avrò difficoltà di considerarlo come tale, purché prenda con se uno dei miei Compagni; diversamente né posso, né devo farlo; perchè non so dove collocarlo, e sarebbe una cosa ridicola, moltiplicar gente senza saper dove collocarla. Se ho fatto qualche buona parola a quest’individuo, è unicamente, perchè temevo, che, trattato duramente, desse fastidj appunto a Monsig.r De-Jacobis; che questo poi mi frutti delle freddure con questo Prelato, come pare, che si pensi da qualcheduno costì, ed è probabile, poiché d’allora in poi gli ho scritto molte lettere, e Lui nulla più mi rispose, metterò questo nel numero delle cose avvenute senza mia volontaria cooperazione. P. Sapeto, venuto senza nessuna missione, e forse con qualche censura sul gobbo, doveva credersi da noi disposto a fare delle altre bagne a danno della Missione, senza che li Superiori potessero porvi il menomo rimedio; ecco la ragione, per cui io ho creduto trattarlo in tal modo, e Dio solo saprà, se, in grazia di queste mie buone parole, l’individuo non avrà tenuto una condotta rispettosa verso la Missione sino a questo punto. Nel caso di aver fatto questo bene, certo è, che non mi meriterei una freddura. Nel mio viaggio in Europa ho fatto uso di tutti li mezzi termini possibili per migliorare la posizione della Missione dell’Abissinia, benché io nutrissi idée di distaccarmene; dalla qui annessa lettera sullo stabilimento di Gerusalemme potrà averne una prova. Faccio questo, perchè amo la causa di Dio in quei paesi. Sono disposto ancora a fare qualunque sagrifizio, che mi dirà Monsig.r De-Jacobis, quando voglia onorarmi di una risposta alle molte lettere, che gli ho fatto, nelle quali sono stato con Lui abbastanza schietto con parlargli di tutte le piccole differenze, che esistono fra di noi, senza dire la menoma cosa ai tribunali superiori; dunque per parte mia credo d’aver fatto, ed essere disposto a fare tutto per la buona intelligenza fra di noi. Vorrei bene, che V. Em: per conoscere le cose pretendesse copia di tutte le lettere, che ci abbiamo scritto reciprocamente. Ho sempre detto, che Monsig.r De-Jacobis è un Santo, ed ha tutto il merito di ciò, che si è fatto in quei paesi, e questo sarà sempre il mio linguaggio; vorrei li suoi ordini, per eseguirli colla massima venerazione. Né le difficoltà accennate mi devono mettere in contraddizione con questa mia asserzione, poiché sappiamo, che queste piccole differenze sono state comuni alli più gran Santi.

Se il Signore mi accorderà la grazia di porre il piede nei paesi situati al di là del Nilo, e del regno di Chòa, tutte le cose saranno aggiustate; immancabilmente qualche Compagno verrà con me; se qualcuno rimane al di qua, o verrà richiamato in Europa, oppure sarà posto sotto Monsig.r De-Jacobis. Questo buon Prelato ogni volta /335/ [f. 400r] che ho cercato di trattare con Lui le cose della Missione, mi rispose sempre, che Lui non può fare niente senza il Suo Generale, non avendo accettato l’Episcopato, che sub conditione di essere Suo figlio ad nutum come prima. Ciò posto, sono andato a Parigi, disposto di trattare con lui medesimo. Vi sono stato due volte, ma in seguito, alcune freddure, che mi fece, fecero sì, che non osai più andarvi. Io ero disposto a beverini tutto senza dir niente, e tutte le mie gran parole, da cui si potrà dedurre qualche freddura fra di noi, sono registrate in una lettera all’Em: V., in cui dicevo «Convenire un certo aggiustamento... perchè in Parigi mi sono accorto etc...

Del resto prego V. Em: a ricordarsi, che io, nella prima relazione data in Roma avevo proposto altri mezzi onde prevenire queste piccole difficoltà, e ciò senza dare menomamente a conoscere, che tra noi vi siano delle difficoltà: li miei progetti non avendo avuto luogo, ho detto qualche parola coll’unico scopo di far conoscere meglio le cose; sono mortificato di vedere V. Em: afflitta, ma La prego a tranquillizzarsi perfettamente a nostro riguardo, sicura, che regna d’altronde la più gran pace fra noi, e spero in Dio, che non occorrerà più parlare di questo.

La prego intanto a benedire il mio viaggio, mentre baciandoLe la S. Porpora godo rinnovarmi

D. Em: V. Rma

Umil.mo ed Ubb.mo figlio in G. C.
† Fr: Guglielmo Massaja
V.o di Cassia V. Ap. dei Galla