Massaja
Lettere

Vol. 2

/21/

187

Statuti per i monaci galla
Asàndabo – Gudrù

F. 48r

Statuti per i Monaci
del
Vicariato Galla
Compilati
da Mgr. Massaja V. A.

Prefazione

È di tutta necessità coltivare il monachismo nella missione di questo Vicariato Galla per molte ragioni

1. Perché, essendo conosciuto il Prete Secolare di queste vicinanze come non celibe, si dovrebbe anche nei paesi Galla introdurre /22/ un clero di simil fatta, snervato, niente istruito, poco morale, ed affatto screditato. 2. Perché l’unica categoria rispettata da queste parti è il monaco. 3. Per [f. 48v] introdurre col titolo di monachismo un poco d’idea di mistica e di prattica nei primarii consiglii evangelici. 4. Per abituare con questo titolo ad una disciplina gli allievi di questi paesi, dove nessuna idea avvi di ordine, di disciplina, e di subordinazione. 5. Per avere così un titolo di legare più strettamente gli allievi all’apostotato.

Il creare dei monaci senza una regola e disciplina, come sono in Abissinia, anche presso i Cattolici, non servirebbe ad altro che per avere preti celibi, ma indisciplinati; era dunque di tutta necessità dare una regola a questi monaci, e ciò subito da principio, perché introdotto un cattivo sistema difficilmente si corregge.

Nel bisogno di dare una regola, come i pochi monaci che già incominciavano a spiegare qualche buona disposizione, [f. 49r] amavano a preferenza di mettersi sotto lo stendardo di S. Francesco d’Assisi, di necessità bisognava dare ai medesimi una delle regole di questo S. Padre, cioè, o quella del primo Ordine, o quella del Terzo Ordine – Quest’ultima parve poco utile allo scopo, perché fatta per tutte le categorie di persone. Per dare il testo genuino della regola del primo Ordine vi si opponevano pure delle difficoltà relativamente al paese; alcuni punti della medesima sarebbero stati quasi di scandalo, come il digiuno ristretto al solo Venerdì, mentre la disciplina di questi paesi Cristiani vicini è molto più severa in questo punto per gli stessi Secolari; alcuni punti sarebbero stati inutili, come quello di non portare calceamenti, perché qui i principi medesimi vanno scalzi; alcuni punti finalmente [f. 49v] avrebbero avuto bisogno di una spiegazione tutta particolare.

In questo bivio si è pensato di formare i seguenti Statuti, i quali contenessero i punti più essenziali della regola del primo Ordine di S. Francesco, e nel tempo stesso esprimessero i principali bisogni, e punti più necessarii a stabilirsi fra una popolazione selvagia – Per questa ragione, nel decorso dei medesimi, alcuni punti non devono sembrare o troppo sminuzzati, o troppo ripetuti, oppure eccessivamente spiegati; tutto è stato calcolato relativamente ai bisogni del paese.

L’aggiunta del quarto voto deve considerarsi come una necessità, onde legare con un vincolo diretto il monachismo al ministero apostolico fra questi popoli selvaggi. Pare con ciò un poco variata la sostanza della regola minoritana, ma calcolato il Capitolo nono della medesima, e calcola- [f. 50r] to ancora che la Chiesa ha tutto il potere in queste cose, purché lo scopo si ottenga, quello cioè di fare buoni monaci francescani, e migliori apostoli alla Chiesa in questi paesi, tutto passerà, e la critica delle persone che vedranno in questo lavoro qualche novità, giova sperare che sarà più benigna –

Lo Scrivente nell’estendere questi statuti era privo affatto di libri ed altri adminicoli; scrisse colla testa piena di mille affari, pene, e contrarietà, e scrisse nei pochi e brevissimi intervalli di /23/ riposo del suo apostolico ministero; mentre distendeva un qualche numero, il traduttore lo traduceva in lingua Amara, poiché la lingua Galla non era ancora abbastanza conosciuta per una simile traduzione; il lavoro perciò non ha tutto l’ordine ed esattezza desiderabile; anzi è ancora molto mancante; per completarlo aspetta le [f. 50v] osservazioni dei Superiori, e di quelle persone illuminate che vorranno degnarlo dei loro consigli. Frattanto lo sviluppo dell’opera manifesterà ulteriori bisogni, e la misericordia del Signore implorata dalle anime buone darà i lumi necessarii al compimento.

Assandabo – Gudrù 28. Gennajo 1854.
† Fr: G. Massaja V.o di Cassia V. A.

F. 51r

Nel nome del Signore
incominciano i Statuti dei monaci
Francescani del Vicariato Galla –

1. Il monaco senza regola e senza voti non è vero monaco; quello perciò che venisse dall’Abissinia, non dovrà considerarsi come tale, se prima non farà il noviziato come tutti gli altri, e poscia la professione dei voti stabiliti dal Vescovo, ed approvati dalla Santa Sede Romana per questi paesi –

2. La Regola per i monaci che si trovano sotto la dipendenza del Vicariato Galla (fino a tanto che la S. Sede Romana non avrà provveduto diversamente) sarà la regola del primo Ordine di S. Francesco, ridotta in questi regolamenti –

F. 51v 3. I voti sono i tre comuni a tutti i monaci del mondo Cristiano, cioè quello di ubbidienza, quello di povertà, e quello di castità; a questi si aggiunge il quarto, quello cioè di essere sempre pronto a catechizzare il popolo nella dottrina Cristiana, quando il Superiore dispone ed occorre il bisogno. Questi quattro voti si faranno dopo l’anno di noviziato, e s’intenderanno annuali da rinnovarsi sempre ogni anno infra Mìssam nel giorno di S. Francesco 4. Ottobre; occorrendo che il monaco si trovasse fuori di casa in detto giorno, potrà fare la sua rinnovazione privata che servirà sino a tanto che troverà un Confessore, ed allora farà la sua rinnovazione in Confessione, se non potrà farla infra Missam. Il Sacerdote celebrante riceverà detta rinnovazione appena letto l’offertorio; se il celebrante avrà bisogno di rinnovare anche lui i suoi voti, in [f. 52r] piedi rivolto alla Croce la farà ad alta voce a Dio, e finita i monaci risponderanno Amen; quindi seduto in cornu Episolae a destra dell’altare in cornu Epistolae riceverà quella dei monaci, i quali pronunziandola terranno le loro mani aggiunte fra quelle del celebrante; finita la rinnovazione di tutti dirà queste parole = se osserverete queste cose vi prometto la vita eterna – La formula di rinnovazione sia la seguente = Io Fr: N. per tutto l’anno entrante facio voto di osservare i Statuti ricavati dalla regola di S. Francesco, vivendo in ubbidienza, senza proprio, in castità, e disposto sempre ad istruire gli infedeli secondo l’ubbidienza =

4. Chi bramerà di farsi monaco dovrà essere presentato al Su- /24/ periore di qualcheduna delle nostre case, quale, trovandosi particolarmente autorizzato, proverà per alcuni mesi la vocazione del postulante, duranti i quali, farà che sia [f. 52v] istruito nella Fede Cattolica; quindi, previa professione di fede, segnatamente contro gli errori vigenti in questi paesi, giurata sul S. Vangelo, potrà benedire il beretto monacale, ed accordargli d’incominciare il noviziato di un’anno, quale passato, si potrà accordare la professione dei vo[t]i. Il Superiore dovrà convocare i Sacerdoti e monaci anziani a votazione segreta prima di accordare l’abito monacale, e prima della professione; in caso di votazione contrastata, sarà autorizzato il Superiore di prolungare la vestizione per tre mesi, e la professione per sei mesi, dopo i quali sortendo votazione contraria, non possa più essere ammesso senza permesso [del] Superiore –

5. Dei seguenti è proibita l’acettazione senza ricorso al Vescovo. 1. Di coloro che hanno ucciso volontariamente, fuori di guerra legittima. 2. Di coloro che avranno vissuto con molte mogli come concubine, oppure [f. 53r] che avessero attualmente moglie o ragazzi piccoli da mantenere. 3. Di quelli che hanno esercitato il mestiere di mago, indovino, o simile, notoriamente. 4. Chi fosse stato mussulmano, anche per poco tempo e per paura. 5. Chi avesse negoziato nei schiavi, o almeno avesse venduto più di uno schiavo, fuori del caso di estrema miseria. 6. Di chi fosse affetto di malattia venerea, o da mal caduco, o da mania qualunque, oppure dal così detto zer ዛር zar possessione diabolica zer. 7. Di chi avesse macchia di sangue, oppure non volesse perdonare ai nemici macchiati verso di lui. 8. Tutti gli irregolari o deformi nella statura del corpo –

6. Se il postulante avesse beni di fortuna, o gli darà ai poveri, o ai parenti, oppure gli metterà in deposito presso di qualche persona sicura; la casa religiosa non potrà pretendere dal novizio più di quanto egli spontaneamente vorrà offrire a titolo di limosina.

7. Il monaco colla professione si spoglia [f. 53v] della volontà e libertà propria, e dovrà dipendere in tutto dalla volontà del Superiore, come rappresentante di Dio in ogni cosa che non sia peccato, e dovrà gelosamente osservare i presenti Statuti; chi dopo la professione volontariamente e senza licenza del Superiore trasgredisse qualche punto dei medesimi, oppure osasse disubbidire un comando qualunque del suo Superiore, come traditore del voto fatto a Dio commetterebbe un grave peccato, ed incorrerebbe lo sdegno di Dio e del Serafico Patriarca S. Francesco. I limiti dell’ubbidienza sono il peccato, quando fosse comandato, e l’impotenza assoluta di eseguire il comando; fuori di questo chi trasgredisce pecca.

8. Col voto di povertà il monaco si spoglia ancora di ogni proprietà e diritto a roba di questo mondo, facendone di tutto un’olocausto a Dio per ottenerne in contracambio il regno dei cieli. Chi perciò dopo la professione osas- [f. 54r] se ancora pretendere padronanza sopra qualunque cosa di questo mondo romperebbe il voto fatto a Dio, e sarebbe da paragonarsi a chi osasse rubare la vittima che sta ardendo in olocausto sopra l’altare, ed incorrerebbe pure lo sdegno del Serafico Padre S. Francesco, il quale era così /25/ amante della povertà, che era solito chiamarla col nome di sua sposa dilettissima –

9. Romperebbe il voto di povertà il monaco ogniqualvolta acettasse o ricevesse roba, e non la consegnasse al suo Superiore. Parimenti quando dasse ad altri una qualunquesiasi cosa della casa, senza la debita permissione; come altresì quando mangiasse, o consumasse in qualunque modo senza il debito permesso, roba o cosa paragonabile a prezzo; il monaco perciò, sia nel mangiare, [f. 54v] che nel vestire deve in tutto cercare la permissione, perché chi fa altrimenti dimostra di voler essere padrone. Anche il comprare, vendere, imprestare, distruggere, o non curare la roba a se commessa sono trasgressioni del voto, quando non sia con permesso o delegazione ecc –

10. Col voto di castità il monaco sacrifica a Dio tutti i piaceri della carne, anche quelli, dei quali potrebbe avere un lecito uso nel matrimonio legittimo; con questo voto il monaco si obbliga a mantenere con tutto rigore la castità sia verginale, se ancora non ha perduto questo bel fiore con qualche atto volontario consumato commesso nella vita precedente, sia viduale nel caso contrario di averla perduta. Siccome con questo voto la persona del monaco viene santificata e consacrata a Dio; [f. 55r] dopo il medesimo, qualunque piacere del senso, dal momento che è volontario, oltre di essere un peccato grave, come sarebbe in tutti gli altri Cristiani, aggiungerebbe la malizia della profanazione di una cosa sacra, da eguagliarsi a chi osasse prendere il Tabot per farvi sopra delle immondezze. Il cuore del monaco o Sacerdote è il vero Tabot ossia altare, sopra cui il Sacerdote offre se stesso ogni istante a Dio per i peccati proprii e del popolo; la vita del monaco perciò, per la castità deve essere paragonabile a quella degli Angeli del Cielo –

11. Il monaco trasgredisce il voto di castità, e prostituisce la Santità della sua persona non solo col commercio carnale avuto con persone dell’uno o dell’altro sesso [f. 55v] ma ancora nei seguenti casi. 1. Fomentando cattivi pensieri per se atti a riscaldare la passione, e produrre cattive compiacenze nel cuore. 2. Facendo, o sentendo cattivi discorsi o conversazioni amorose e sensuali con qualunque persona, anche dello stesso sesso. 3. Fissando con’occhio malizioso una persona qualunque, verso la quale il cuore sia portato da amore sensuale. 4. Coll’amicizia carnale e sospetta con persone di qualunque sesso. 5. Col toccamento o sguardo delle parti vergognose per puro piacere, oppure con atti per se tendenti a riscaldare le medesime, ed eccitarle al piacere, sia da solo, sia con altri. 6. Anche colle bestie stesse, guardandole, toccandole in modo poco onesto e per fine di piacere. Tutte queste cose [f. 56r] che in un Secolare non lasciano di essere peccato, nel monaco sono sacrilegio, cosa indegna in chi ha consacrato il suo cuore ed il suo corpo a Dio.

12. Sono severamente proibite al monaco le conversazioni, i sospetti consorzii, ed i lunghi trattenimenti con donne, ancorché con buon fine; il monaco è severamente proibito di trovarsi solo con una sola donna, massime giovane, od in età ancora sospetta; quando il /26/ monaco istruisce o parla con donne per qualche causa grave, ciò facia sempre in un luogo palese, o alla presenza di qualche persona grave, per non dare occasione a dicerie scandalose; se il monaco è Sacerdote nell’ascoltare le confessioni delle donne lo facia sempre col prescritto riparo, oppure in luogo palese; ciò [f. 56v] intendesi, ancorché le donne fossero monache, ad eccezzione che fossero in età decrepita; il peccato avanti Dio si commette col cuore e colla volontà, e non si compie senza il concorso di questi due elementi; agli occhj dell’uomo si compie ogni volta che si commette un’atto, per se stesso, o per la fragilità umana, giudicato come tale, o tendente al peccato: il Sacerdote dovendo essere mondo avanti Dio, ed al cospetto degli uomini, deve schivare ogni cosa che abbia umbra di peccato; se il suo cuore sarà puro, non sarà puro l’occhio di chi lo vede in posizione o luogo non conveniente –

13. Col quarto voto d’istruire e catechizzare, il monaco diventa un’apostolo destinato a convertire i popoli Galla alla Fede Cristiana. Il popolo infedele sarà mai Cristiano, se non sarà [f. 57r] istruito in detaglio sui misteri principali della Fede, e doveri del Cristiano; pochi preti missionarii europei non bastano per fare in modo che la parola di Dio arrivi alle orecchie di tutti; questi come più istruiti sono mandati da Dio per fare dei monaci e dei preti, e preparare ai medesimi il cibo spirituale da spargere al popolo; ciò fatto, resta poi il dovere ai monaci e preti del paese, di portare la parola e la grazia del Signore alle orecchie di tutti. A tale effetto sono chiamati da Dio allo stato monacale, affinché diventino come altrettante trombe, o meglio come altrettanti angeli per moltiplicare la parola di Dio secondo il bisogno. L’Apostolato dei missionarii mandati da Dio servirebbe a nulla, quando non fosse unito a quello dei [f. 57v] monaci, mediante il quale la parola di uno diventa la parola di molti, e si moltiplicano gli apostoli secondo il bisogno. Per questa ragione Iddio vuole che questi monaci siano legati ad un quarto voto, per il quale essi diventano altrettanti apostoli strettamente obbligati all’istruzione.

14. Le obbligazioni che si incontrano da questo voto sono le seguenti: 1. Di essere sempre pronti al catechismo in qualunque momento saranno mandati dal Superiore. 2. Di imparare al più presto il catechismo nella lingua Galla, per abilitarsi a catechizzare il popolo. 3. Insegnare al popolo il catechismo, e le preghiere, come si trova scritto dai missionarii, e non azzardare a fare spiegazione del medesimo, se prima non sarà il monaco a ciò approvato, [f. 58r] per non esporsi al pericolo di dire eresie. 4. Di non catechizzare in alcun luogo contro la volontà del Vescovo, o del Prete da lui incaricato per tale paese, ma di chiederne prima sempre il debito permesso e benedizione da essi

15. Il monaco professo dovrà portare sopra la pelle una piccola tonaca di lana grossa, quando potrà commodamente aversi dal Gogiam ed il Superiore glie la darà; in caso diverso la medesima sia di tela la più grossa che si potrà avere in paese. Sopra questa tonaca porterà un’altra camicia lunga, che arrivi ai talloni; quindi /27/ le mutande con taglio largo come convengono ad un monaco: sopra la camicia si cingerà alle reni con una fune che sia semplice e senza curiosità ricercate. Si concede [f. 58v] ancora una tela ordinaria del paese per ripararsi dal freddo, e di questa l’uso dipenderà dal Superiore, il quale la concederà solamente quando vi sarà il vero bisogno, oppure per qualche altra ragionevole causa. Si dichiara che il monaco non deve pretendere diritto ad altra veste fuori di quella che usa attualmente, dimodoché quelle di sopra avvanzo potrà tenerle solamente colla licenza del Superiore; e questi potrà anche all’occorrenza prendere dette vesti, darle ad altri, oppure ordinare il cangio fra i monaci a sua volontà; e ciò affinché il monaco non vi attacchi il cuore a nessuna cosa di questo mondo. La camicia abbia il collare nero, quando il monaco avrà già qualche ordine sacro; in caso diverso sia tutta di color bianco e naturale.

F. 59r 16. Il monaco novizio avrà la camicia tutta bianca come sopra, non però potrà portare la tonaca di drappo riservata per i professi; il medesimo avrà ancora le mutande, la corda, ed una tela per ripararsi dal freddo; il novizio porterà ancora per distintivo il capperrone sino al cingolo con un piccolo cappuccio unito al medesimo, a differenza dei professi che lo avranno cucito alla camicia, perché l’abito loro deve essere in forma di croce, per dinotare che sono crocifissi al mondo ed alla carne coi voti come altrettanti chiodi.

17. Il monaco figlio di S. Francesco sia obbligato rigorosamente all’osservanza di tutti i digiuni comandati dalla Chiesa. Il digiuno del Venerdì in tutto l’anno, quello della [f. 59v] Quaresima di Pasqua e delle vigilie comandate non si lascii mai, se non per malattia, e con licenza del Superiore; il digiuno poi del mercordì e del sabbato, ed altri simili introdotti da lodevole uso e divozione si lascia nelle mani del Superiore, il quale potrà dispensare per una grave causa di fatica o di viaggio; in caso però di dispensa non s’intenda mai in detti giorni facoltà di mangiare carne, se non è data in particolare con gravissima causa.

18. I digiuni particolari della regola sono in tutto dipendenti dalla volontà del Vescovo, o del Superiore, se a ciò sarà da lui o da Roma particolarmente autorizzato. La Quaresima perciò che incomincia il 2. Novembre e che dura sino a Natale si osservi rigorosamente, se non vi sarà dispenza, o in tutto, [f. 60r] o in parte dal Vescovo, come sopra; quella poi che incomincia dall’Epifania sino ai passati 40. giorni, detta la Benedetta, perché osservata [d]a G. C. nostro Signore, s’intende lasciata al fervore dei privati, che potranno osservarla con licenza e benedizione del Superiore, onde guadagnare la benedizione promessa dal S. Padre; così dicasi di tutti gli altri digiuni particolari praticati dal nostro Ordine, come quello di Pentecoste, di S. Michele, ed altri. Non deve sembrare duro ai monaci la dipendenza dal Superiore, sia quando dispenza, che quando ordina il digiuno, perché il digiuno per ubbidienza aquista doppio merito presso Dio, e quello fatto di propria volontà espone il monaco al [f. 60v] pericolo di cadere nella superbia spirituale, peccato il più detestabile che vi sia avanti Dio.

/28/ 19. Il monaco professo, dopo ricevuto il Suddiaconato, non solo, ma dopo la professione, in virtù della medesima, purché sia egli chierico, sia obbligato a recitare l’officio divino sette volte al giorno, come si trova organizzato nel Breviario Romano subito che lo potranno avere; in caso che non possano averlo, potranno essere autorizzati dal Superiore a recitare i Salmi secondo l’uso dell’Abissinia, oppure, in mancanza di Salterio, a recitare i pater noster ordinati ai Religiosi Fratelli non Sacerdoti. I monaci che saranno Sacerdoti saranno strettamente obbligati a celebrare la Santa Messa [f. 61 r] ed amministrare i Sacramenti secondo la Liturgia, o Latina, o Etiopoca, come verrà approvato ed ordinato dalla S. Sede Romana, e come tale riconosciuta dal Vescovo. Ne potranno i monaci servirsi di formolarii qualunque della Liturgia, o manoscritti contenenti la medesima, se prima non saranno riveduti dal Vescovo, ed in caso di necessità dal Superiore.

20. I monaci che non sono chierici, ed anche i chierici in mancanza di breviarii, oppure impediti da causa grave, non potessero recitare l’uffizio, dicano 24. Pater noster per il Matutino, 5. per le Lodi, 7. per ciascheduna ora della mattina, per il Vespro 12., e per Compieta 7. Incominciando ciascheduna ora canonica suddetta [f. 61v] dicano il PaterAveDeus in adjutoriumGloria – ed Alleluja; finiscano ciascheduna ora canonica col Benedicamus D.noFidelium animae... – Dopo chiaschedun Pater noster non siano obbligati a recitare l’Ave Maria se non nei giorni festivi di precetto e nelle feste annuali più principali della Madonna.

21. Occorrendo qualche causa grave ad impedire la recita dell’uffizio divino o dei Pater Noster suddetti, se l’opportunità lo permette si esponga la cosa al Superiore, quale dispensando, o riducendo l’obbligo, s’intenda tolta ogni obbligazione di coscienza, ed il suddito sia perfettamente tranquillo.

22. Quando in qualche casa si trovasse una quantità di monaci, cioè almeno quattro, debbano recitare l’uffizio divino [f. 62r] in comune coll’alternativa di uso, e secondo la distribuzione delle ore che verrà determinata dal Superiore, e gli ordini del Vescovo; affinché però non venga meno l’esercizio del ministero apostolico per causa dell’uffizio, i monaci dovranno in ciò stare all’ordine del Superiore, al quale appartiene fissare l’esecuzione prattica di questo articolo. Due volte al giorno si dovrà pur fare la meditazione, all’ora che verrà fissata dal Superiore dopo la recita dell’uffizio. Quando la casa ha più di quattro Sacerdoti vi dovrà pure essere la Messa Conventuale, alla quale dovranno trovarsi tutti i monaci. Dalla consacrazione sino al fine del Pater noster, coloro che assistono alla Messa, inginocchiati, e colle bracia distese s’immagineranno [f. 62v] di trovarsi sopra il Calvario ai piedi della Croce con Maria SS., ed offriranno a Dio l’incruento Sacrifizio per la converzione dei peccatori e degli infedeli redenti col Sangue di Gesù Cristo –

23. Occorrendo di dover conservare da un giorno all’altro la SS. Eucaristia per uso degli infermi nelle nostre Chiese, i monaci faranno ogni loro sforzo per preparare un conveniente tabernacolo /29/ per la dimora del loro Signore fra loro, avanti al quale sulla porta del Sancta Sanctorum dovrà sempre ardere almeno un lume, figura della fede viva che deve trovarsi nel cuore di tutti i monaci, quali saranno in tal circostanza considerati come altrettanti Angeli di cortegio al loro Dio; se le forze della casa lo permetteranno, si aggiungano an- [f. 63r] cora due altri lumi, almeno di giorno, i quali figureranno ancora le fiaccole di speranza e di carità, di cui si supporranno ardenti i cuori dei monaci come cherubini della corte celeste venuta nel tabernacolo, per rispetto alla presenza reale di Gesù che si degnerà abitare fra loro, dovranno in tal caso i monaci essere preparati e disposti a restare anche tutto il giorno prostrati in adorazione avanti al Sancta Sanctorum, quando dal Superiore fossero a ciò destinati; quindi tutti dovranno essere solleciti nell’insinuare anche ai semplici Cristiani di recarsi in Chiesa all’adorazione, affinché il nostro buon Gesù che si degna abitare fra noi per eccesso di carità, non avvenga di trovarsi senza adoratori.

F. 63v 24. I monaci, avendo la commodità, dovranno confessarsi almeno ogni settimana; qualora la loro coscienza, per misericordia del Signore, trovisi libera da colpa mortale, o veniale notabile, per non andar privi della Santa assoluzione, e grazia Sacramentale, potranno confessarsi di qualche peccato già confessato precedentemente, e pentiti riceverne la S. assoluzione; per lo meno siano obbligati a presentarsi al loro Confessore ogni settimana a prendere le debite esortazioni e benedizione prima di accostarsi alla celebrazione dei sacri misteri, o a ricevere la SS. Eucaristia. Chi avrà coppia di confessore e non si confessa oltre i tre mesi, se sarà Sacerdote non possa celebrare, se semplice monaco sia sorvegliato come sospetto di fede – Frequentando la confessione badino bene a non cadere [f. 64r] nel difetto di alcuni, i quali fanno ciò per abito, e senza il debito pentimento dei peccati, con pericolo di commettere nullità o profanazione del Sacramento.

25. I monaci Sacerdoti, potendo, dovranno celebrare la S. Messa almeno una volta la settimana, qualora non possano di più. Chi non fosse Sacerdote, oppure, essendo Sacerdote, non potrà celebrare per mancanza del necessario, non lascii di communicarsi in tutte le feste di precetto; e negli altri giorni lo potrà fare col consiglio e permesso del proprio confessore. Se il cuore di qualche anima più innamorata volesse cibarsi ogni giorno di questo SS. Sacramento, il suo Confessore lo mandi dal Superiore, il quale prima di accordare simil grazia, calcolerà lo spirito più o meno [f. 64v] elevato della persona, e sopratutto la sua umiltà. Ciò che si dice della communione si dica ancora delle straordinarie penitenze, quali, tanto i confessori, quanto i Superiori nel permetterle debbono considerare bene la virtù più o meno stabile dell’individuo, singolarmente la sua umiltà, perché chi nelle prattiche esteriori di penitenze e divozioni si scosta dalla via comune degli altri monaci, pericola di cadere nella superbia spirituale, la via per cui il Demonio suol perdere molti monaci; l’apparato esteriore di prattiche deve essere proporzionato a quello delle virtù interne, altrimenti l’edifizio crollerà per mancanza di base.

/30/ 26. Quando il monaco sorte, potendo, dovrà [f. 65r] sempre essere accompagnato da un’altro eletto dal Superiore, e non domandato da lui; prima di partire dovrà sempre prendere la licenza e benedizione in ginocchio dal Superiore, e passare in Chiesa a raccomandarsi al Signore; lo stesso dovrà fare quando ritorna a casa. Entrando in qualche casa dovrà sempre far uso del saluto evangelico = Pace e benedizione a questa casa — In viaggio col suo compagno, essendo il medesimo più vecchio, dovrà considerarlo e rispettarlo come suo Superiore; si guardi bene il monaco in viaggio di far questioni col suo compagno, e con qualunque altra persona secolare; occorrendo questioni di religione e di fede, il monaco deve dire la verità schietta, esporre le ragioni [f. 65v] che sa colla massima umiltà e carità; se la verità non fosse sentita, e ciò che è più ancora, quando occorresse di sentirsi cattive risposte o ingiurie, egli deve ricordarsi che lo stesso accadde a Gesù C. nostro Signore avanti ai Pontefici Cajfa ed Anna, e seguire quindi gelosamente il suo esempio, osservando il più scrupoloso silenzio; essendo giudicato da Dio indegno di sentire la verità chi osa malamente rispondere al suo apostolo –

27. Si guardi bene il monaco da ogni discorso di propria lode, dalla superbia o vanagloria; fugga ancora la detrazione e mormorazione di qualunque persona anche infedele, come cosa severamente proibita dalla carità comandata dal Vangelo. Quando il monaco si trova in conversazione, non solo coi secolari ed estranei, ma ancora coi suoi fra- [f. 66r] telli, deve fare ogni suo sforzo affinché si mantenga nella medesima la dovuta gravità; sforzarsi anzi, per quanto gli permetterà la carità e civiltà, a fare in modo, che la conversazione si facia di cose spirituali ed edificanti. Se la conversazione prendesse cattiva piega a danno della carità fraterna, o dell’onestà, allora egli con bel garbo deve alzarsi ed andarsene. La carità ed il zelo del[l’]uomo apostolico può cangiare ben soventi le conversazioni, da circoli infernali in conferenze di paradiso, con gran vantagio delle anime e gloria di Dio.

28. Deve guardarsi parimenti il monaco dall’ozio, il principale nemico dell’anima e della salute; il monaco che sta volentieri ozioso sarà mai persona [f. 66v] cara a Dio, avvanzata nello spirito, e con tutta facilità caderà in peccato. L’uomo occupato continuamente è il servo fedele e vigilante del Vangelo, il quale chiude ogni via al Demonio per entrare a far brecia nel suo cuore; l’uomo ozioso all’opposto si trova esposto ad ogni attacco. Il monaco quindi, finiti i consueti esercizii di pietà, se non è occupato dal Superiore in lavori manovali, deve egli stesso cercare l’occupazione, e non sapendo cosa fare, si metta a pregare o ad istruire gli ignoranti. Nell’occupazione medesima materiale guardi di tenere il suo cuore rivolto a Dio e diriggere a Lui la sua operazione –

29. Il monaco, adempito che avrà i prescritti esercizii di pietà esterna, non si curi di aggiungere molte preghiere [f. 67r] vocali; anzi si guardi dall’obbligarsi con voto o simili a recite particolari, oltre le prescritte, senza prima consultare il confessore e prendere /31/ la licenza del Superiore, il quale sarà tardo a concederla, e la concederà solo ad tempus. Ciò che più interessa è che il monaco si accostumi alla meditazione; il vero monaco, anche quando lavora, medita e pensa a Dio, e nel suo cuore sta continuamente in dolce conversazione con Lui. L’anima del religioso arrivata a questo punto, si potrà dire veramente sposata a Dio, e sarà sempre disposta e preparata ad ogni sacrifizio; laddove chi si contenta di sole preghiere vocali, si trova per lo più col cuore freddo, e cade facilmente [f. 67v] in peccato. La preghiera vocale fa figura dell’incenzo, e la meditazione ne è il fuoco che l’innalza a Dio in sacrificio odoroso.

30. Il Religioso deve servire il suo fratello infermo come vorrebbe essere servito egli stesso, e deve essere in ogni tempo disposto e preparato ad ogni sacrifizio per il medesimo. Come una madre cura un suo unigenito pargoletto senza sentire il peso e la noja dei suoi lamenti e querele, così deve essere il monaco per il suo fratello infermo; la sua carità sarà cara a Dio se si estenderà agli infermi secolari ancorché infedeli, però colla debita permissione del Superiore. Se l’infermo in qualche modo pericola della vita, [f. 68r] deve con santa industria indurlo a cercare Iddio, e ad aggiustare le partite dell’anima sua. La carità per l’infermo non deve avere solo per scopo il solo bisogno suo temporale, ma principalmente lo spirituale – al servizio corporale mischiando qualche breve storia spirituale atta ad eccitare la carità verso Dio, qualche massima eterna condita secondo la circostanza e debolezza della persona, e quindi suggerimento opportuno di chiamare i Sacramenti, il suo servizio sarà compito.

31. Il religioso Francescano, come professore di povertà altissima, deve essere disposto e preparato a mendicarsi il vitto di porta in porta, quando il Superiore lo manderà; chi pretendesse di vivere a spese altrui senza tale disposizione, sarebbe un falso figlio di S. Francesco, [f. 68v] il quale soleva rifiutare le rendite per i suoi monasteri, affinché i monaci vivessero di limosine mendicate, da lui chiamate la mensa del Signore; non solo per se ma ancora per i poveri infermi e bisognosi il monaco deve essere pronto a mendicare, quando sarà mandato. L’avvanzo delle limosine mendicate dovrà darsi ai poveri infermi incapaci di procaciarsi il vitto colla fatica e coll’industria, perché i medesimi, come derelitti da tutti, sono chiamati dal Vangelo i parenti del Signore, e come tali soleva considerargli il nostro S. Padre, il quale soleva farsi una gloria di servirgli stando in piedi.

32. Se col tempo la generosità dei Cristiani offerisse limosine in abbondanza, o beni stabili e terreni, il monastero non potrà acettarli come proprii, [f. 69r] ma in tal caso si ricorra al Vescovo, e colla facoltà del medesimo si potranno acettare per la Chiesa, in modo però che l’amministrazione dei medesimi in nessun modo resti ai monaci. In tal caso di consenso del Vescovo si nominerà un’amministrazione di proprietarii del paese in numero di quattro; fra questi uno sarà presidente per un’anno, quale finito, non potrà continuare, /32/ ma sortirà dall’amministrazione affatto; per presidente in suo luogo sottentrerà il consiliere più anziano per un’altro anno, e poi cesserà come il primo; e così in seguito, a misura che sortita uno se ne nominerà ogni anno un’altro per consigliere, il quale nel quarto anno sarà presidente, e poi cesserà come sopra. [f. 69v] Questa amministrazione si radunerà ogni Domenica per trattare degli interessi della Chiesa, ed avrà il diritto di concorrervi anche il Superiore del monastero con voto eguale a tutti gli altri. Il Presidente riceverà tutte le offerte che verranno fatte alla Chiesa, e ne darà conto all’amministrazione e d’accordo colla medesima avrà cura dei fondi e beni stabili, affinché a tempo e luogo siano seminati e coltivati; quindi farà la distribuzione delle rendite alla Chiesa, ai Preti, ed ai poveri secondo le istruzioni che avrà dal Vescovo, a cui innoltre si dovrà ricorrere in caso di dispareri.

33. L’amministrazione suddetta di primo impianto sarà eletta dal Vescovo o suo Vicario; poscia annualmente [f. 70r] per l’elezione del Consigliere che si dovrà fare ogni anno, il Superiore convocherà i monaci più anziani e la farà a voti segreti, e fatta la significherà all’amministrazione. Qualora questa fosse negligente nei suoi doveri, il Superiore farà capitolo coi più anziani, e poi manderà il risultato al Vescovo o suo Vicario per le provvidenze che occorreranno; lo stesso si dica nel caso che vi fossero fondi notabili da occupare. Il Superiore presiederà all’amministrazione nel giorno che, scadendo il vecchio presidente dovrà rimettere i conti di ogni cosa nelle mani del nuovo, onde fargli il debito scaricamento e caricamento amministrativo [f. 70v] di tutto l’anno; egli potrà proporre in quel giorno i bisogni del monastero, della Chiesa, e dei poveri, e poi lascierà all’amministrazione l’esecuzione delle cose proposte –

34. Fino a tanto che il numero dei monaci non sarà cresciuto notabilmente, ed il numero delle case non arriveranno a più di cinque la nomina del Superiore apparterrà al Vescovo. In caso di morte del Superiore, trovandosi il Vescovo lontano, se il defunto Superiore prima di morire ha nominato uno, s’intenderà quello vero Superiore fino a tanto che non sarà arrivata altra provvidenza dal Vescovo; se poi non è stato nominato, s’intenderà Superiore il più vecchio dei Sacerdoti; ed il Superiore provisorio convocherà gli anziani fra i monaci subito dopo la morte del Superiore, e pren- [f. 71r] derà dai medesimi i consulti segreti per il futuro Superiore e manderà ogni cosa al Vescovo, a cui appartiene l’effettiva nomina del Superiore. Quando occorresse al Superiore di assentarsi per qualche tempo notabile, convocherà i monaci, ed alla loro presenza destinerà quello che egli intende lasciare; ciò non facendo s’intenderà sempre il Sacerdote più anziano –

35. Quando il numero delle case passerà le cinque, allora il Vescovo chiamerà i rispettivi Superiori con alcuni dei monaci anziani a capitolo per le providenze che occorreranno, e per l’elezione di un Provinciale destinato a sorvegliare tutte le case del suo distretto come vicario del Vescovo, o come ordinario, se l’instituto sarà incorporato all’ordine Cappuccino, ed approvato. [F. 71v] Il /33/ Provinciale starà nel suo impiego tre anni, pendenti i quali dovrà visitare parecchie volte tutte le case di sua dipendenza e sorvegliare, tanto i Superiori, quanto i monaci, affinché non venga meno l’osservanza della presente regola, e l’attività nell’apostolico ministero.

36. Il monaco sia obbligato a camminare sempre a piedi nei suoi viaggi, e non si serva di cavalcatura, se non per manifesta necessità, e se non è col debito permesso del Superiore di servirsene per causa di salute, o per affare di gran premura; ciò è stabilito per imitare il nostro Divin Redentore, di cui si legge nel Vangelo aver cavalcato una sola volta l’asino –

37. Il Religioso professo non possa sortire dal monastero senza licenza del suo Superiore; in caso di contestazione possa domandare [f. 72r] di andare al Vescovo o Provinciale, ma non parta, se non ha da questi la licenza; nessuno possa lasciare il distretto del Vicariato senza ubbidienza del Vescovo; chi sortirà dal monastero senza permesso, se è di giorno sia punito ad arbitrio del Superiore, se di notte incorra la scomunica riservata al Vescovo – Sortendo dal distretto del Monastero incorra la scomunica non riservata, dal territorio del Vicariato poi incorra la scomunica riservata al Vescovo. Neanche il pretesto di andare a Roma lo salverebbe da questa pena –

38. I monaci che corrono la via del Sacerdozio siano obbligati a studiare almeno per sei anni compiti la Sacra Teologia; i maestri che spiegheranno i libri Santi, siano dotti e di una fede non sospetta; i Studenti poi nel corso dello studio siano sottomessi ai loro maestri, e siano provati con una disciplina molto rigorosa; [f. 72v] non siano ammessi alla predicazione e spiegazione dei libri Santi, se non quelli, i quali hanno dato saggio di scienza sufficiente; l’approvargli apparterrà al Vescovo, oppure al Generale dell’Ordine, (quando sarà aggregato) o suo delegato in queste parti. I monaci che non aspirano al Sacerdozio non debbono imparare altra scuola che il catechismo e la semplice lettura della lingua sacra, per poter catechizzare il popolo, ed occuparsi nella scuola di lingua ai ragazzi in caso di bisogno, essendo comandati.

39. Il monaco dopo che avrà passato dieci anni colla professione dei voti annuali lodevolmente, potrà fare i voti perpetui e solenni, dopo i quali solamente non potrà più abbandonare lo stato monacale, ne essere mandato via senza il concorso del Papa, quale solo ha autorità [f. 73r] di sciogliere simili voti. Affinché il monaco possa essere ammesso a detta professione, non basta la semplice votazione della famiglia, ma vi bisognerà il consenso del Vescovo o del Provinciale. Passati gli dieci anni, chi aspirasse ai voti perpetui, dovrà stare un’anno di famiglia in un convento destinato dal Vescovo o dal P. Generale, come di nuovo noviziato, pendente il quale si faranno tre votazioni dalla famiglia, quali risultando favorevoli si spediranno al Vescovo o Provinciale per ammetterlo alla professione; chi non aspirasse, o chi non fosse ammesso ai voti perpetui proseguirà come prima coi voti annuali, e potrà fare ulteriori petizioni per i voti perpetui –

40. Il monaco deve essere fermo nella fede Cattolica, disposto /34/ a versare il sangue [f. 73v] ogni qual volta lo voglia il caso in testimonianza della medesima. Cogli eretici il monaco sia caritatevole nell’istruirgli, e paziente nel sopportargli, ma si guardi bene dal machiarsi di troppa connivenza coi medesimi; egli deve essere disposto a ricevere qualunque ingiuria, insulto, o affronto che possa venire dagli eretici o infedeli, quando simili ingiurie o insulti hanno per oggetto semplicemente la sua persona, e non inchiudono una implicita o esplicita confessione o conferma della loro eresia; in questo ultimo caso badi bene a far conoscere la sua invitta pazienza per Gesù Cristo, senza tradire l’oracolo della verità, quale deve sempre confessare quando è interrogato, oppure lo domanda la circostanza del fatto, o del discorso; anche il solo silenzio [f. 74r] in facia a chi insegna l’errore, è sospetto di connivenza cogli eretici; così parimenti chi partecipasse o assistesse alle preghiere o funzioni religiose degli eretici in qualunque modo.

41. Se per disgrazia qualcheduno dei nostri monaci cadesse in eresia, o in grave sospetto di essa; chiunque venga in cognizione di simil cosa, debba al più presto e con tutta la riservatezza che richiede la carità Cristiana, riferire la cosa al Vescovo sotto pena di andare privo della partecipazione ai Sacramenti della Chiesa; se tale (quod absit) fosse il Vescovo, debbano i Superiori riferire la cosa a Roma, sotto la medesima pena suddetta, per attendere di là le opportune istruzioni sul partito da prendere, e fino a tanto che non sarà venuta [f. 74v] risposta rispettino l’unto del Signore, se il medesimo non avrà spiegato aperta rivolta alla Chiesa di G. C. personificata nella S. Sede Romana; in caso contrario i religiosi e Sacerdoti si dichiarano liberi dall’ubbidienza e giuramento prestato a lui –

42. Si dice eretico colui il quale professa o insegna qualche dottrina contraria alla fede della Chiesa, o condannata dalla medesima; si dice scismatico colui che non vuole riconoscere o con detti o con fatti la Supremazia della Chiesa o del Papa, tanto in materia di fede che di disciplina. Dicesi sospetto di eresia e di scisma colui, il quale professa o insegna dottrine nuove, oppure interpreta la S. Scrittura a suo talento senza rispetto al senso o interpretazione [f. 75r] della Chiesa, ed avvertito non se ne cura di ritrattare o correggere la sua dottrina; oppure apertamente non vuole curarsi degli ordini, statuti, e discipline stabilite dalla Chiesa; come altresì il Prete o qualunque che non curasse le censure dei canoni, del Vescovo, o del Papa. In tutti questi casi ha luogo la dinunzia, come nel numero precedente. Come altresì chi abusasse dei Sacramenti, o Sacramentali, colla sollecitazione a cose turpi, oppure colla simonia, trafficando e vendendo l’esercizio del suo ministero – A questo riguardo i monaci, massime quelli che sono confessori abbiano presenti le costituzioni dei Sommi Pontefici –

43. I presenti Statuti dovranno leggersi [f. 75v] in comune ogni Venerdì, ed in particolare prima della vestizione e della professione, e prima della Messa in cui è stabilita la rinnovazione dei voti annuali –