Massaja
Lettere

Vol. 2

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A don Luigi Sturla
prefetto apostolico – Aden

P. 54Carissimo d. Luigi,

Gemma Lagamara, li 7 gennajo 1857.

Il corriere parte domani per la costa di Massaua, ed io, ad onta delle occupazioni nel santo ministero, non voglio mancare di scrivervi alcune linee, essendo convinto, che il mio silenzio vi affliggerebbe, col farvi dubitare della costanza del mio affetto verso di voi. Vero è, ch’io ho di che essere di voi scontento: avete terminata una chiesa, le cui fondamenta posso dire d’averle gittate io, e voi non avete pure pensato chiamarmi per la sua consecrazione. È un furto che mi avete fatto. Un solo mezzo vi rimane per risarcirmi del fallo vostro e far meco la pace, ed è di venire voi qua alla consecrazione della chiesa che ho edificata colle mie proprie mani. Non è grande né bella come la vostra; ma spero che avrà il medesimo valore agli occhi di Dio; perciocché, invece di danaro, mi è costata molto sudore, ed è il puro frutto della carità verso Dio e le anime.

Di poco conto è la chiesa materiale, se nello stesso [p. 55] tempo non si edifichi la chiesa spirituale. Quanto a questa, ebbe /108/ appena principio; ma quantunque siamo ancora intenti a scavarne i fondamenti, abbiamo però, coll’ajuto di Dio, ottenuto alcun felice risultamento. Contiamo buon numero di battezzati, alcuni de’ quali hanno, con una santa morte, aperta la via che dal paese dei Galla conduce in paradiso. Ho meco parecchi sacerdoti paesani, de’ quali, se la dottrina non è forse ancora compiuta, la fede e la virtù sono perfette. Il Signore ci ha finalmente inviato, per secondare gli sforzi nostri, una mezza dozzina di chierici, i quali speriamo promuovere in brieve al sacerdozio: allora potremo operare di più e trasportare il nostro altare in qualche altra tribù.

Con tutti questi frutti, io debbo dire, che non ci mancano gli spini né i triboli: anzi sembra che si moltiplichino secondo che nasce il bene. Sosteniamo fatiche d’ogni maniera, siccome quelli che siamo costretti d’esercitare tutti i mestieri, salvo di benestante: e dopo di avere lavorato come martiri, Dio ci manda in sollievo la fame e la guerra con tutto il loro corteggio di mali. Le vie sono chiuse intorno di noi, e le comunicazioni sono interrotte: il che è cagione di tanta miseria, che per tema d’essere privi d’ogni sostentamento da vivere, sotto il carico di tre numerose Missioni, ho affittato, col poco danaro ch’io aveva, un pezzo di terra, che coltiverò questa primavera, per cavarne qualche cosa da mangiare. Se vedeste i nostri vestimenti, vi farebbero compassione; e se il portatore di questa non ritorni a noi con sufficienti incette, io prevedo, che mi converrà ancora fare il mercante per vivere.

Parliamo alquanto de’ nostri Galla. Hanno un indole singolarissima: ammaestrali, capiscono tutto, non [p. 56] ti contraddicono una sola volta; ma è quanto ne ottieni. La nostra speranza è fondata sulla gioventù, che molto ascolta le lezioni dell’Evangelio. Il pregiudizio, che nel paese ha più profonde radici, è la magìa. Abbiamo qui ogni giorno sotto gli occhi certi incanti che producono vero abbagliamento. Ah, se Dio mi concedesse il dono dei miracoli!... Ma mi conceda solamente quello della pazienza, e la forza di vincere me stesso fino alla beata morte!

Colle ultime mie lettere, vi pregai d’inviarmi varie medicine ed altre cose che mi erano utili; ma non vedendole comparire, mi do pace, e penso che d. Luigi, divenuto prelato di Aden, non degna più rivolgermi uno sguardo. Che fare? Mi giova prolungare la mia vendetta, finché saremo giunti in paradiso. Ma state all’erta, se Dio ci metta l’uno accanto dell’altro.

Vi abbraccio nondimeno in Gesù crocifisso, e mi raccomando, insieme con questo povero popolo, alle vostre orazioni ed a quelle di tutti i vostri cristiani, ch’io saluto nel Signore.

† Fr. G. Massaja,
vicario apostolico