Massaja
Lettere

Vol. 2

/127/

220

Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 38rEminentissimo

* Gemma – Lagamara 2. Marzo 1858.

In Gennajo dell’anno scorso Le spediva un piego, nel quale io Le dava conto delle vicende di questa mia tribolata missione; se l’abbia o no ricevuta nulla so, motivo per cui mi affretto a spedirLe la presente, indicandoLe le cose principali del suddetto per ogni caso che si fosse perduto.

Prima di tutto Le dico che in esso trovavasi coppia della sentenza di deposizione ab Officio, di sospenzione a Divinis, e di scommunica pronunziata contro il P. Cesare da Castelfranco nostro Missionario divenuto in Kaffa non solo publicamente e formalmente scandaloso, ma reo di contumacia a tutte le mie operazioni di pastorale dovere contro di lui. Nel tempo stesso Le dava pure ragione del mio operato, e come fui costretto come per necessità ad accelerare simile sentenza per togliere l’enorme scandalo a tutti questi neofiti, e sopratutto alla gioventù incamminata al Sacerdozio, porzione la più preziosa per una missione nascente. Come ho dovuto accelerare tale sentenza per il motivo suddetto, e le angustie del luogo non mi hanno permesso di osservare molte formalità prescritte dai sacri canoni, sopratutto quella di non potere conferire colla S. Sede un’affare così grave, sono sempre sin qui stato in pena per il mio operato, cosa per me affatto nuova, nella quale lo confesso di avere nessunissima esperienza, poiché nei nostri paesi simili casi non sono tanto frequenti, e le sole storie scritte nei libri da me una volta vedute mi hanno dovuto servire di guida, poiché so ancora che la Chiesa attualmente è solita usare nei nostri paesi Cristiani molta benignità, e camminare molto lentamente in simili procedure, ma diverso è il caso di scandalo dei nostri paesi da quello di una missione nascente; là, se uno è scandaloso mille altri sono edificanti, ed uno non basta per distruggere il gregge, laddove qui uno si può dire tutto. Dissi che io era in pena, e lo fui realmente sino al momento. Ora ricevo una lettera, quale per una parte accresce la mia pena, perché il delinquente si dichiara reo di ogni colpa indirettamente, come vedrà dalla medesima, e dà nessun segno di volersi convertire; dall’altra parte poi cessa la mia pena, non avendo più dubbio alcuno della sua maturata ribellione [f. 38v] fa sì che riposa il mio cuore sulla giustizia essenziale del mio giudizio. Vedrà dalla /128/ lettera sua, come il delinquente spiega una indifferenza stommachevole nel profondo in cui è caduto: per una parte non lascia di dare segni di rimorso non indifferente, per l’altra poi spiega formale risoluzione di volersene restare così. Pare però che la divina misericordia non l’abbia ancora effettivamente abbandonato; la mano divina che incommincia pesare sopra di lui ne è il segno, e per questa via solamente io ancora nutro qualche speranza di ravvedimento, se non per la salute di quella missione, per quella dell’anima sua. Il suo compagno P. Giacomo monaco indigeno, quale ha perseverato più di un’anno forte nei suoi propositi, ora incommincia dare segni di vacillare anche lui; alla partenza di un mercante di là lasciò di scrivermi, e le notizie sono che il medesimo abbia segretamente una donna con se, e stia cercando anche di prendere moglie publicamente. Comunque non ho ancora con lui incomminciate le mie operazioni di rigore, perché per una parte lo scandalo di questi non è così grave, e per l’altra non è istruito abbastanza, affinché io possa con lui mettermi in relazioni di lettere, e per capire la forza delle pene ecclesiastiche. Una visita pastorale mia colà avrebbe forse rimediato a tutti questi mali; non sarei solo andato, ma volato per fare questa visita, ma ci troviamo in paesi, dove il missionario non può andare dove vuole a suo piacimento. Per farLe comprendere le circostanze di questi paesi Le dirò, che la spedizione di Limu dal Gudrù fu ottenuta con un’anno di trattative, quella di Kàffa riuscì dopo un’anno e più; ora sono più di sei mesi che sto trattando la venuta qui del P. Felicissimo e non l’ho ancora potuta riuscire; dal momento che le cose di Kàffa presero un piede di ribellione ho subito incomminciato trattare per la mia andata colà, ma ancora la cosa è lontana; le spedizioni di corrieri fatte oggi, partono dopo mesi, si fermano a loro piacimento, ed arrivate i principi alle volte aspettano un’anno a dare risposta; andare senza questi preparativi è cosa impossibile agli europei in questi paesi. Ciò non ostante spero di riuscirla e sono in proposito di andarvi ad ogni costo, ma prima voglio piantare qui un vescovo coadjutore ad ogni evento che io non possa subito ritornare, o in caso di morte. Per il coadjutore debbo aspettare che arrivino da Massawah il P. Leone, e da Limu il P. Felicissimo per vedere fra i due quello che si presta di più e quale sarà l’eletto da Dio a simile carica. L’operazione della mia andata in Kaffa è incomminciata; ho divisato di andarvi col Sacerdote indigeno P. Ajlù Michele persona dotta nel paese e ferventissima; là giunto mi pianterò nella Chiesa, e lasciando da una parte tutte le trattative temporali col Principe e coi grandi mi occuperò del ministero per risvegliare così le antiche idee [f. 39r] dei monaci non affatto ignorate in quel paese, dove esiste bastante tradizione dei monaci, e così farò un contro altare ai preti ribelli in facia alla nazione, e per questa via solamente potrà riuscire un’operazione di riparo allo scandalo attuale; diversamente è finita per noi colà, perché i nostri preti hanno preso un piede al dissotto dei preti Gogiamesi antichi, e sono caduti in totale discredito. Iddio solamente mi dia forza per eseguire questo piano che per mia parte /129/ sono risolto o di vincere o di morire in battaglia; per parte mia, non considero questo un soprappiù, ma come un dovere per espiare così il mio peccato pastorale nella spedizione che ho fatto di simile soggetto. V. Em: R.ma legga la lettera del suddetto ribelle a me, la prima che mi scrive dopo tutto ciò che si è operato contro di lui, sempre contumace a nulla rispondermi, veda se può darsi, non dico malignità, ma viltà simile. In pari tempo vegga pure la mia lettera di risposta, la quale non esprime un centesimo di ciò che gli ho detto nelle mie precedenti monitorie, nelle quali l’ho preso da tutti i lati e con tutti i mezzi di cui è capace il mio povero cuore; quindi come padre comune giudichi tra me e lui, e se vi è colpa per parte mia giudichi pure senza misericordia contro di me, purché non si dimentichi di essermi padre, come io mi dichiaro sempre di voler essere figlio di voto della S. Sede, e per rispetto a questa, padre anche verace del delinquente al menomo segno di speranza che potrò avere per lui che mi voglia essere figlio fedele nell’apostolico ministero.

Debbo poi spiegare a V. Em: alcune espressioni che si trovano nella lettera del delinquente ed anche nella mia, perché Ella lontana ed in paesi affatto diversi è impossibile che possa formarsi un’idea giusta di ciò che accade in questi paesi di mondo affatto diverso.

Prima di tutto Le dirò che lo schiavo per nome Guglielmo di cui il delinquente mi parla di comprare, è un giovinetto da noi comprato in Limu, battezzato, quindi divenuto allievo con qualità innesprimibili; l’ho spedito colà unitamente ad un’altro giovane per nome Cesare parimenti bravinetto e figli spirituali entrambi del traditore; il motivo per cui ho spedito questi giovani era per dare subito un’occupazione ai missionarj colà arrivati, ed anche per mettergli in soggezione, essendo giovani ferventi che qui hanno veduto l’organizzazione della casa e della scuola, pensando che avrebbero colà coadjuvato raccontando ai compagni ciò che hanno veduto – I poveretti sono stati traditi, come è stato tradito il neo Sacerdote, appena arrivati colà tutti trattati come schiavi, non ommesso il Sacerdote compagno, quale pure avrebbe forse trattato di vendere se non l’avessi fatto conoscere come Prete in Kàffa nelle precedenti trattative.

F. 39v La fame poi, di cui parla il medesimo pare un pochino contradditoria al numero dei schiavi, bestie, e terreni che ha, come io stesso non ho lasciato di farglielo notare nella mia risposta, ma non ha tutto il torto in ciò dire, perché in questi paesi la grandezza stessa indigena è miseria in facia all’europeo; qui i bestiami hanno nessun valore, lo stesso si dica dei schiavi in Kaffa – Aggiungasi che, ad eccezzione delle persone portate con se, non potrebbe senza permissione vendere i schiavi dati dal governo come patrimonio ecclesiastico, motivo per cui lasciando di vendere altri cerca di vendere il giovanetto Guglielmo. Il meschino deve adunque essere realmente povero, perché da una parte privo dei miei soccorsi, e per l’altra avendo dato un perfetto addio al ministero, i proventi della stola /130/ molto forti in Kaffa devono essere cessati, o ridotti a poco, come mi riferiscono alcuni nostri mercanti venuti di là; ho speranza che Iddio per questa via conduca a buon fine questo miserabile ridotto allo stato perverso di vendere non uno schiavo ma un figlio, e dirò più che figlio, un giovane d’oro; forse l’astuto, sapendo quanto mi preme questo figlio, ha creduto di obbligarmi a dargli qualche cosa con queste minacie, ma ha trovato petto di ferro; in caso che detto ragazzo fosse venduto ho organizzato le cose in modo che non cadrà in altre mani, ma sarà mai detto che io debba redimere un mio figlio dalle mani di altro figlio ribelle. Io temo che questo ribaldo arriverà a vendere persino i vasi sacri ed i sacri olei colle vesti di Chiesa per un pezzo di pane, se Iddio con miracolo suo non lo cava dal precipizio in cui è caduto.

In quanto poi alla lettera mia debbo con vostra Em: spiegarmi sopra due punti, il primo quello della scommunica, ed il secondo la mia moderazione nell’obbligare il delinquente al divorzio. La scommunica, come potranno far testimonianza anche i missionarii dell’Abissinia, è una cosa così commune fra i Cristiani di questi paesi, che non solo il Vescovo, ma tutti i Preti, e questi anche lasciati, tutti gli individui, e le donne medesime usano di scommunicare; il Prete fa conoscere di essere tale scommunicando sui mercati, e tutti gli individui usano di scommunicare se medesimi, ora in nome di Dio, ora in nome della Madonna, ora in nome di qualche Santo, ed ora anche in nome del Vescovo; non vi è cosa più commune e più temuta della scommunica, e noi dovendo anche in questo punto insegnare la verità siamo obbligati a gridare e spiegare anche questo punto, dimodoché fra i Cristiani indigeni passiamo per nemici della scommunica, ed anche come non Cristiani, essendo qui il loro distintivo. Ora l’avere io scommunicato un Sacerdote per una causa così grave, per una parte ho fatto conoscere al publico che non siamo nemici di questa censura, ed anche nel tempo stesso ne ho fatto conoscere il vero senso di essa; dall’altra parte poi non è qui cosa così grave nell’[opinione] publica, [f. 40r] da togliere irrimediabilmente la fama del delinquente Sacerdote per ogni caso che ci riuscisse di convertirlo coll’ajuto di Dio – Per ciò che riguarda la mia moderazione nell’obbligare il delinquente al divorzio prego V. Em: a non scandalizzarsi delle mie espressioni che vedrà nella lettera, dove esiggo semplicemente la separazione dalle due mogli in quanto al toro coniugale: poiché pensando bene a tutte le circostanze ho creduto bene di fare così per non rendere per una parte impossibile il suo ritorno a Dio, attesoché è uso in Kaffa che il Prete si marita prendendo una di sangue regio, ed avendola presa secondo le leggi del paese non potrebbe mandarla senza inimicarsi la parentela; d’altronde in Kaffa si conosce bensì da tutti che un Prete monaco non deve prendere moglie, ma non si sa affatto che questo fosse monaco, epperciò lo scandalo per ora non è tanto grave; si farà grave in avvenire a misura che l’istruzione nostra s’introdurrà.

Mentre scriveva la presente mi arrivò qui felicemente da Limu il P. Felicissimo da Cortemilia da me chiamato per fare insieme i /131/ santi spirituali esercizii; questi mi dice che sono arrivati in Limu gli ambasciatori del Re di Kaffa e molti mercanti di là, avendo fatto un rigoroso esame relativamente alle notizie sparze sul P. Giacomo Sacerdote indigeno di Kaffa, risulta essere tutte false, e che questo buon Sacerdote seguita sempre a mantenere una condotta irreprensibile, motivo per cui presso il Re e presso il popolo è più stimato che non lo è il traditore Cesare, benché sia conosciuto e compatito come ignorante, essendo stato spedito colà prima di aver fatto studj sufficienti dietro giuramento del suo principale che prometteva di istruirlo. Mi affretto a darLe questa notizia onde mitigare un tantino il dispiacere che V. Em. R.ma non avrà mancato di provare al sentire quanto sopra, come accadde in me; Le aggiungierò di più che sul entrare il Novembre scorso ho spedito in Kaffa un messaggiere abile al Re per le trattative col medesimo per la mia visita pastorale a quel regno, dalla quale spero in Dio di poter fare qualche cosa; dietro la conferenza avuta col P. Felicissimo suddetto, le speranze mie sopra quel paese non sono perdute; solamente mi costerà di tribolare un poco, ma purché si salvi quella missione, nulla importa.

F. 40v In Maggio dell’anno scorso scrissi all’Em: V. R.ma di alcuni affari e nulla dissi in risposta all’affare del Coadjutore, perché ancora non aveva ricevuto il Breve Pontificio a tale riguardo, arrivatomi un mese dopo la spedizione del corriere. Prima di tutto debbo dunque ringraziare l’Em: V. R.ma, di avere avuto la bontà di occuparsi di questa povera missione in un punto così sostanziale, e di aver maneggiata la cosa appunto nel senso unico conveniente a questo luogo; Per farLe vedere quanto è stata ragionevole la mia domanda, benché un poco fuori dall’uso, e quindi saggissima la determinazione presa dalla S. Sede di mandarmi un Breve in bianco per l’ordinazione di un coadjutore, Le dirò che in caso diverso sarebbe stato un passo inutile, ed io mi troverei presentemente nel bisogno di scriverLe nuovamente e fare caso nuovo, attesoché i due soggetti da me nominati sarebbero stati entrambi cancellati dalla divina Providenza; il P. Giusto morto in viaggio, ed il P. Cesare divenuto un’apostolo del demonio; grazie dunque al di Lei zelo ed alle sollecitudini del S. Padre il Sommo Pontefice, l’occhio del quale arriva a tutto, io povero vecchio e debole posso sperare prima di morire di vedermi accanto un Vescovo coadjutore a proseguire l’opera del Signore da me debolmente incomminciata – Per parte di V. Em: e della S. Sede tutto è in regola, resta solo a me l’impicio di scegliere il soggetto, e dopo l’esperienza avuta di uno da me nominato che ha solennemente tradito, il passo che mi resta a fare mi fastidia moltissimo. Se avessi molti soggetti da fare la scielta, prenderei quello che presenta migliori qualità, ma posso dire che la scielta è già fatta da Dio, non avendo qui che un solo soggetto Europeo che è il P. Felicissimo da Cortemilia. Questo individuo è conosciuto da me ab infantia, essendo stato mio allievo nella Provincia di Piemonte; non è una cima d’uomo, ma lo credo abbastanza fermo nelle cose sostanziali da non lasciarci temere cose disonoranti il carat- /132/ tere episcopale nel caso che ne venga investito. Non mi affretterò a fare questo, appunto per esaminare bene questo individuo; fatto che l’avrò sarò libero per partire di qui verso Kàffa in visita pastorale. Aveva intenzione di aspettare a fare questo passo quando potrà arrivare qui il P. Leone des Avançer per vedere fra i due quello che presenta segni più aquietanti la mia coscienza, ma vi sono molte ragioni in contrario. La prima di tutte è che questo soggetto mi è tuttora lontano, ne so quando potrà venire qui, attesoché [f. 41r] le strade dell’Abissinia non gli permetteranno tanto presto di venire qui – La seconda ragione anche più forte è che questo Padre anche potendo venire sarebbe qui persona affatto nuova senza lingua, ne abissinese, ne Galla, e con nessuna esperienza del paese, cosa molto da notarsi in un Vescovo che deve governare la missione, in paesi affatto diversi dai nostri, nei quali è necessaria grande esperienza indigena e maggior pazienza, nella quale io stesso mi credo ancora molto indietro dopo dieci anni e più – La terza ragione anche forte è che avendo incomminciato lo stabilimento sulla costa Sud di Zanzibar, venendo qui lui non saprei chi presiederebbe a quella operazione, e chi anche avrebbe coraggio d’intrapprendere il viaggio che è disposto d’intrapprendere lui per l’apertura di questa strada, per la quale da questa parte le cose sono già disposte e spianate le difficoltà – Nel supposto che il P. Leone potesse venire qui, e che io volessi consacrare lui in coadjutore, dovrei anche provarlo qualche anno, poiché io affatto non conosco questo individuo, e l’ho fatto Superiore da quella parte alla cieca, limitandomi a raccomandare a Monsignore Biancheri di prendere le debite informazioni prima di dare esecuzione alla patente speditagli; Monsignore Biancheri medesimo ha rifiutato di prendersi simile risponsabilità, come pure, in seguito di qualche diceria sparsa contro tale soggetto nell’isola Maurizio, quale diceria io qui non sono in caso di esaminare, e per la quale V. Em. R.ma potrebbe interrogare Fr: Pasquale da Duno, che deve esserne informato, benché persona questa facile ad esaggerare, e prendere per cosa certa quello che può essere semplice sospetto – In verbo di ciò oso pregarLa di prendere le debite informazioni e poi agire come Lei crederà relativamente alla Superiorità data al P. Leone. Se nulla avvi di contrario relativamente a questo Padre, e che eseguisca a puntino le istruzioni date sul viaggio che deve fare da Lamo all’interno, e che per altra parte io qui possa consacrare il P. Felicissimo in coadjutore per proseguire l’operazione incomminciata qui, io dopo l’inverno di questi paesi, cioè dopo la Croce di Settembre, spero poter partire per Kaffa in visita, e passato colà un’anno circa, partirò per Wallamo, dove dovrà avere luogo l’incontro col P. Leone e l’apertura perciò di quella strada, per la quale da questa parte le difficoltà sono già come tutte spianate sino al paese suddetto.

F. 41v Debbo poi ripetere ciò che scrissi più volte, che cioè tutte le mie facoltà straordinarie sotto [!] tutte spirate nel 1856. e proseguo ad esercitare in buona fede, supponendo che la conferma domandata mi sia stata spedita e che siasi perduta, come per lo più /133/ molte si perdono, e l’anno scorso si perdette realmente un gran piego in Gudrù unitamente a cento talleri che mi si spedivano da Massawah – Comunque bramerei per mia tranquillità che mi si rinnovasse detta conferma – Scrissi anche per l’addietro più volte, facendo quesiti alla S. Sede rapporto al rito, al digiuno, alle feste, ed altri mille difficoltà che non ripeto, persuaso che saranno pervenute, delle quali nulla ho ricevuto in risposta – In virtù delle facoltà verbali ottenute dal S. Padre Le dirò che ho creduto poter ordinare qui l’osservanza dei digiuni e delle feste orientali e l’osservanza del calendario orientale per togliere lo scandalo, come cose conosciute dai Galla medesimi infedeli; ho fatto ciò ad tempus e sino all’arrivo delle decisioni che aspettiamo; mancomale poi avendo ordinato l’osservanza di questo calendario con tutte le sue conseguenze, ho creduto poter sciogliere i sudditi dall’osservanza del latino, perché altrimenti i poveretti sarebbero aggravati del doppio di ciò che comanda la Chiesa – Se in ciò fare l’ho sbagliata il peccato sarà solamente mio, ed io sono contento di portarne la pena dovuta avanti Dio e gli uomini, purché questi miei figli siano tranquilli in conscienza e si salvino; come anche mi dichiaro in tutto di sentire gli ordini superiori quando mi arriveranno; credo che la Chiesa saprà compatirmi vedendo le gravi difficoltà di communicazioni colla S. Sede, in modo che non ho ancora potuto ottenere nessuna risposta di tante cose domandate – Se ci riesce, di piantare il nostro rito in questi paesi, mettiamo queste popolazioni al corrente di tutta l’istruzione europea, e sarà un gran punto, ma per ottenerlo dobbiamo fare sacrifizio di quelle cose nelle quali la Chiesa tutto può; ecco il principio che mi guida; se poi la sbaglio, corretto mi emenderò; se per castigo vorranno richiamarmi, verrò in Europa a bere un’altra volta del vino e farò la graziosa penitenza che mi imporranno.

Colgo l’occasione per umiliarLe i miei sentimenti di figliale ossequio e venerazione, e pregandoLa a benedire questa mia vigna selvagia e farmela benedire dal S. Padre, Le bacio la Sacra porpora e sono

D. Em: V. R.ma

Divot.mo ed Obl.mo figlio in X.to
† Fr: Guglielmo Massaja Vescovo