Massaja
Lettere

Vol. 2

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Al signore Andrea Terret
presidente della Propagazione della Fede – Lione

[F. 1r]Ill.mo Signor Presidente

Gemma Lagamara 10. Novembre 1858.

Benché abbia avuto l’onore di scriverLe più volte, e segnatamente in Aprile di quest’anno coll’occasione che un nostro messaggiere venuto dalla costa di Massawah, ritornava colà a Monsignore De-Jacobis V. A. dell’Abissinia; non sapendo però ancora se detto corriere sia o no arrivato al suo destino, colgo l’occasione di un mercante, il quale recasi da quelle parti per spedirLe la presente, onde assicurarmi che almeno qualcheduna delle mie arrivi a Lei ed a cotesto Supremo Consiglio, quale suppongo avido di notizie di questi paesi da comunicare ai cari associati all’Opera cosmopolitico Evangelica, della propagazione della nostra S. Fede. Sperando che la suddetta mia sia arrivata non ripeto la relazione già mandata; mi contenterò di darLe alcuni ragguagli particolari della Missione, segnatamente di cose avvenute dopo l’epoca suddetta –

Già diceva in altre mie precedenti, che, mentre in tutto il mondo suole attribuirsi a Dio la dispensazione delle benefiche pioggie, e l’opposta essiccazione dell’atmosfera, ed a Dio suole ricorrersi da tutti in simili bisogni, qui fra gli altri immensi pregiudizii e tutti grossolani vigenti in paese avvi ancora quello di essere intimamente persuasi che tutto ciò sia nelle mani di alcuni uomini che possano a loro talento far piovere ed arrestare la pioggia; sono questi popoli così persuasi di questo, che ben soventi accadono massacri e sollevazioni in massa per questa ragione, e quando accadesse che la persona che gode l’infame opinione di essere Serenatrice fosse una /147/ persona potente per diffendersi colle armi, allora pagano anche due o tre volte nell’anno una gravissima contribuzione per far piovere o cessare la pioggia a loro talento; basti il dire che ad un Serenatore potente non molto lontano dal luogo dove mi trovo attualmente si fa una raccolta, di grani dai varii incaricati in tutti i paesi dei contorni, la quale, secondo il mio calcolo deve passare i dieci mille sacchi, e notisi che [f. 1v] che simile raccolta è stata già fatta nel mese di Maggio; vanno a turme da tutte le parti con regali a questo potente Serenatore a domandare ora la pioggia ora il sereno, come domanda il bisogno delle campagne e delle guerre; l’astuto risponde sempre coll’ibis et redibis non della Sibilla di una volta in tutto sorella di questi, e le sue risposte sono sempre in modo, che sia che piova sia che non piova egli ha sempre ragione; chi ha ottenuto la pioggia lo ringrazia, e chi non ha potuto ottenere la sua domanda bestemmierà altri concorrenti che avran domandato l’opposto, ora per una guerra, ora per nozze di persone classiche, ma ho mai sentito una sol volta a dire: il Serenatore è un bugiardo, dice di potere e non può, dice di fare e non lo fa, perché lo temono, ed allora a preferenza si attaccheranno ad un’altro Serenatore più debole che non può diffendersi, e qui nascono le sollevazioni e massacri, come accadde a me appunto sul principio di Maggio, o meglio sul finire di Aprile. I pochi mussulmani mercanti stabiliti nei varii punti di questi paesi, dal momento che hanno veduto le cose nostre a prendere un poco di piede e d’influenza, si occuparono subito secondo il loro solito a spargere pregiudizii nel popolo contro di noi, onde obbligarci a lasciare il paese; si sono attaccati a tutti i punti che hanno potuto, e colsero sempre tutte le circostanze favorevoli per fare un colpo contro di noi; in Aprile sogliono incomminciare le pioggie delle sementi, ed allora tutto il mondo si mette in treno ad arare e seminare; nel corrente anno, come già accadde nell’anno scorso, tutto il mese di aprile stette in silenzio senza pioggie, ed incomminciarono i popoli ad allarmarsi, ed i mussulmani colsero subito l’occasione per fare un colpo; circa la metà di Aprile si sentirono in varie parti alcuni gridi di sera contro il Prete; accadde in quel frattempo che ha piovuto in alcuni paesi del contorno e non nel nostro, e si rinforzò perciò il movimento contrario a noi; la sera del 19. Aprile fu la sera di crisi; appena fu finita la nostra preghiera della sera in compagnia dei pochi fedeli che sogliono concorrere, la quale suole farsi in lingua del paese, e chiudersi col canto del Pater in lingua Galla, e quindi col requiem aeternam in latino nel medesimo [f. 2r] tono della Messa dei morti per accostumare i giovani a qualche pezzo di canto nostro; dopo questo soglio dare la benedizione a tutti, i quali baciano i piedi a me, e le mani ai preti, e poi se ne vanno colla notte, appena questi erano partiti incomminciò il grido di guerra da tutte le parti col motto al Prete al Prete... e dopo poco spuntarono da tutte le parti drapelli di giovani armati che gridavano morte al Prete; venivano alla nostra volta con lancie, barre, e fuoco per abbruciare la casa; era notte oscura, e lascio pensare quanto dovetti temere e con me /148/ dovette temere tutta la famiglia; come io ho preso il sistema evangelico di piuttosto morire e non battermi, ho proibito a tutta la famiglia di fare resistenza, ordinando loro di osservare in silenzio l’andamento delle cose; frattanto io col Padre Felicissimo con alcuni forestieri venuti dal Gogiam siamo sortiti di casa per nascondersi in un bosco vicino, lasciando a Dio la custodia della casa, Chiesa, e di tutto ciò che si trovava di più prezioso, perché non abbiamo avuto tempo a prendere nessuna misura per salvare la roba e cose sacre. Mentre noi raccomandavamo la nostra causa a Dio, ecco che Egli vi corse subito: il nostro villaggio corse subito ad ajutarci, e ad essi si aggiunsero i nostri Cristiani sparsi in lontananza, dimodoché senza che io abbia cercato di difendermi il partito nostro suscitato da Dio fu bastante per sbaragliare le bande nemiche, quali furono messe in fuga precipitosissima in modo che alcuni ebbero molto a soffrire nella rotta della fuga; la cosa, grazie a Dio, finì senza spargimento di sangue, cosa da me sempre temuta, e molto da temersi in questi paesi, dove una volta sparso sangue diventa un’affare molto difficile, perché in paese nel giudizio che poi si fa si suole mai calcolare le cause o ragioni giuste o ingiuste, ma il sangue sparso, il quale ha sempre un’esito di gran discapito in giudizio, e chi ha amazzato, o deve pagare il prezzo del sangue, oppure deve sfrattare dal paese con tutta la sua parentela – Terminata la scena di quel giorno, non avrei più tanto avuto a temere per allora, sia perché i nemici han veduto col fatto che io aveva anche un partito, e sia anche perché della sera [f. 2v] stessa venne una bella pioggia, cosa non molto buona per me, perché ha dato motivo a pensare che io intimorito avessi fatto piovere, e così per altro canto confermata la loro opinione che io fossi veramente un Serenatore – benché io non avessi più tanto a temere per allora, essendo questa già la seconda volta in cui mi viddi taciato di essere Serenatore, pensando che in seguito la cosa potrebbe rinovarsi con fatale successo, ho creduto bene di appellarmi al giudizio dei grandi del paese; chiamai gli amici che hanno qualche influenza e gli ho pregati di radunare i comizii di uso per le gran questioni del paese; fu fissato il giorno 2. Maggio, nel quale vennero molti, e seduti non molto distanti dalla casa, mi chiamarono, vi andai col P. Felicissimo e con tutta la mia famiglia: incominciò a parlare il vecchio padrone del nostro terreno e villaggio, esponendo la storia genuina del modo in cui io sono entrato nel paese, di ciò che ho fatto di bene per il paese nella circostanza della guerra con Celia (storia già da me precedentemente mandata in Europa), facendo osservare che Iddio colle mie preghiere ha fatto allora cose molto grandi, e che Celia fu distrutta più dalle mie preghiere che dalle loro armi; quindi passò a raccontare la storia accaduta nell’anno scorso e quella dell’anno corrente relativamente alla pioggia, lagnandosi del paese che mi trattava in questo modo, e confesso candidamente che al sentire l’apologia che mi faceva quel buon vecchio mi faceva piangere di tenerezza; quindi conchiuse dicendo: questo uomo per me non è uomo, ma Dio, io ve lo do; voi giudicatelo, se è colpevole io mi metterò con /149/ voi e lo caccieremo, se non è colpevole io morirò con lui. Con ciò fu aperta la disputa sul mio conto: sono incredibili le ridicolezze che mi si opposero; alcuni dicevano come per interrogarmi se io sapeva il mestiere di Serenatore dicendo che nel caso il paese avrebbe pensato a darmi il tributo di uso; alcuni altri facevano il progetto già usato in casi simili di obbligarmi a discendere nel fiume e colà lavarmi in facia al publico tutta la mia persona, perché così si sarebbe conosciuto se io non per malizia ma per natura della mia pelle alle volte avessi [f. 3r] prodotto l’effetto di Serenare, ed allora fu che conobbi un nuovo pregiudizio nel paese, credendosi da loro che alcuni individui abbiano la virtù d’incantare e seccare l’atmosfera colla sola presenza, e che in questo caso bagnandosi tale persona nell’aqua si metterebbe immancabilmente a piovere; allora fu che ho sentito raccontare di una donna accusata di questo alcuni anni prima, ed obbligata a discendere nel fiume fu colà trucidata dalla massa popolare – aggiunsero tante altre simili cose che non posso tutte riferire per brevità; quindi venne il mio torno di parlare: ho fatto una lunga parlata contro il pregiudizio del paese e provando loro che nessuno fuorché Iddio ha la virtù che loro supponevano in me, e che in tutto il mondo in caso di siccità o di pioggia inopportuna suole radunarsi il popolo a pregare Iddio con umiltà e con spirito di penitenza, ma che mai è il caso di tumultuare contro Dio, perché altrimenti potrebbe mandarci altri castighi ancora maggiori; non ho avuto difficoltà a rispondere alle objezioni fattemi, dicendo loro che io non cercava di guadagnare in paese simile opinione per mangiare come fanno altri, ricevendo il vitto dalle mani di Dio stesso, in quanto poi alla mia persona di natura capace a seccare le pioggie, se fosse vero non sarebbe nel solo mese di aprile, ma ciò produrrebbe anche in altre stagioni, cosa negata dall’esperienza dopo tre anni di mia dimora in paese – La disputa di quel giorno fu molto riscaldata, ma prese una buona piega; siccome però mancarono alcune persone grandi per rinforzare la decisione si prolungò la sessione per il 16. di Maggio, giorno in cui si radunarono poi tutti, e si riprodusse la questione come prima, e posso dire che si riscaldò anche di più per la speranza che avevano alcuni di obbligarmi a far correre di sotto qualche regalo, e già stavasi per prolungare la sessione, quando sortì un mio potente amico ed anche mio signore in facia al paese per nome Mullatà, e strinse l’argomento in modo che furono costretti a finirla, ed allora fu che gli oracoli del paese di alzarono in piedi e collo staffile in mano secondo l’uso, (come scettro dei nostri principi) mi dichiararono innocente di tutto, e decisero la penale per chi avrebbe in seguito cercato somosse a tale riguardo. Dimodoché la [f. 3v] causa pare finita, se pure non sortirà un’altra volta, perché in questi paesi gli atti publici e legali possono avere bensì qualche forza per correggere l’opinione publica, ma non per costringere colla forza, perché mancasi qui di elemento sociale, ed ognuno che ha un poco di forza fa come vuole; se non altro i nemici vedendo che ho avuto il favore di molti temeranno sempre il mio partito in caso di solle- /150/ vazione simile. Dopo di ciò accadde ancora un piccolo movimento contrario nella circostanza che un leopardo entrato di notte in una casa vicina ad un terreno da noi comprato l’anno scorso, prese una figlia di circa 15. anni e se la mangiò; subito i mussulmani sparsero pregiudizii contro di noi a questo riguardo facendo credere ad alcuni che noi teniamo in casa simili fiere e di notte le mandiamo a far brecia di qua e di là, ad altri poi, che noi stessi di giorno siamo uomini e di notte ci trasformiamo in bestie feroci. In detta circostanza il P. Felicissimo portandosi dalla nostra casa a quel terreno, sulla strada i paesani fecero un grido di sollevazione in modo che l’obbligarono a tornare indietro; l’indomani vi ritornò custodito in lontananza da alcuni potenti dei contorni; si rinnovò il movimento, quale però fu compresso dalla forza, e così tutti stettero quieti; anzi dopo i capi stessi di quel movimento domandarono scusa adducendo di essere stati ingannati da alcuni mussulmani; la natura del Galla è tale, che crede a tutto, e poco basta per moverlo, ma poco basta anche per calmarlo – Sul proposito di questo fatto ultimo facio osservare una cosa che potrà far conoscere in Europa la viltà di questi selvaggi, e la loro fatale schiavitù per le più grossolane superstizioni – Vedendo l’esistenza di questo leopardo nelle vicinanze di quel nostro terreno, ho cercato di animare la gioventù ad armarsi per amazzarlo, promettendo anche un premio a chi l’avrebbe amazzato; io stesso mi sono recato sul luogo per fare loro coraggio, disposto anche ad occuparmi per prenderlo con qualche trappola; mentre io mi occupava di questo con calore, viddi nel publico un certo timore misterioso, che mi fece dubitare di qualche superstizione colossale; conobbi quindi che da venti e più anni quella fiera suole comparire nel mese di Settembre o di Ottobre, quando le campagne diventano come una selva foltissima per la meliga rossa detta mascillà che allora è altissima e prossima alla sua maturità; che quindi molti dei contorni sogliono adorarla, regalargli qualche pecora per placarla; una sera al cadere del sole trovandomi appunto [f. 4r] con molti giovani a discorrere di questo affare, appena entrato il sole, ecco che questa fiera lontana un bel tiro di fucile dalla nostra casa nella selva stessa del nostro fondo si mise a gridare; tutti quei giovinastri che poco prima discorrendo di essa facevano i bravi restarono colpiti dal prestigio della sua voce e caddero per terra in modo che io restai spaventato, ma poi sentij che dicevano sotto voce: io sono tuo... ti adoro... risparmiami... risparmia il mio parentado... vattene ai miei nemici... e cose simili, e così dicendo facevano voto di dargli qualche cosa; volendo quindi io avvanzarmi un poco per vedere la bestia di che pelo e qualità essi mi esortavano a ritirarmi in casa, e ad imporre silenzio a due cagnolini che aveva, perché dicevano che la voce loro avrebbe tirata la bestia in casa. Vedendo da ciò inutile ogni mio consiglio con questa gente per amazzare la fiera da loro adorata, ho ordinato ai miei di casa di tirare pietre colla fionda, perché ho veduto nei viaggi che non vi è cosa più potente ad impaurire detti animali di questa, ma quei di casa mi dissero che il paese l’avrebbe preso a male, e che occorrendo /151/ poi qualche cosa di sinistro darebbero causa a noi dicendo che la bestia offesa da noi ha fatto del male... allora mi soggiunsero quei di mia casa che il Galla sentendo avvicinarsi la fiera alla casa suole osservare un profundo silenzio e adorare fino a tanto che si allontani... da ciò potrà ognuno capire a qual grado arriva la superstizione dei galla. Ho detto che questa bestia è un leopardo, e deve esserlo realmente, benché la sua voce sia diversa da altre che ho sentito in Gudrù, e la grossezza che mi descrivono quelli che l’hanno veduto sia molto diversa da quella che io stesso ho veduto più volte in Abissinia, e da quelle che ho pure vedute due volte vicino alla nostra stessa casa di Lagamara, dove ho mai sentito che abbia attaccato persone e sia entrata nelle case; credo che veramente la suddetta sia un leopardo, perché la figura del suo pelo conviene in tutto, ma poi o che vi sono due specie di leopardi una grossa molto cattiva, ed una piccola più mite; oppure bisogna dire che la grossezza di quella debba attribuirsi alla sua vecchiaja e la sua cattiveria all’essersi quella accostumata al sangue umano; mi ricordo anche passando in Gogiam nel 1849. in Dembecia che un leopardo simile di grossezza chiamato colà l’Obbo Sciamani con nome distinto da altri leopardi detti never in un mese aveva finito dieci persone...

[F. 4v] Da tutto ciò può ben Ella capire le circostanze critiche nelle quali ci troviamo e ci troveremo ancora per qualche tempo fino a tanto che piacia a Dio di accrescere il nostro partito in modo da poter far fronte a tutti i movimenti politici contrarii. Da quanto ho detto sopra avrà potuto capire che i nostri Cristiani hanno già potuto fare una piccola resistenza al movimento indicato, e potrebbero anche farne di più, se fossero più impegnati e più radunati, ma sgraziatamente questa popolazione molto materiale e sensuale è difficile a prendere fuoco nella fede e nello spirito, e quando anche lo prendessero sono sparsi qua e là in luoghi lontani e non sono radunati in un solo villaggio, perché il paese Galla non ha città ne villaggio, ma ognuno fabbrica sul suo terreno, e tutti sono isolati fra loro; aggiungasi che la casta Cristiana è per lo più la casta mercante forestiera, la quale è sparsa di qua e di là sotto la protezione chi di un signore chi di un’altro. Non ho ancora potuto fare Cristiano un qualche grande, cosa che aquisterebbe gran credito alla Missione ed aprirebbe la via a molti trattenuti da rispetto umano; ho comprato un terreno, e se le cose anderanno bene ne comprerò altri a misura che si presenta, ed allora spero poter radunare molti Cristiani in un luogo facendoli coloni della missione per piantare una scorta intorno alla Chiesa da poter fare resistenza ai piccoli movimenti che possono succedere.

Sto preparando un lavoro, che già è a buon porto, e lo manderò per la prima occasione sicura che avrò; è questa una coppia del catechismo e delle preghiere in lingua Galla quale manderò colla traduzione accanto latina ad verbum numerata, affinché ognuno possa comprendere a suo talento il medesimo e le anomalie di questa lingua; a questo aggiungerò notazioni grammaticali sulla lingua Galla. Anticamente ho sempre cercato nelle mie relazioni di appagare per /152/ quanto ho potuto le brame dei zelanti associati, penso anche a soddisfare le giuste brame dei dotti curiosi e studiosi delle popolazioni nomadi.

Colgo intanto l’occasione per umiliarLe i saluti e ringraziamenti dovuti al loro zelo e carità per noi, mentre raccomandandomi alle orazioni di tutti godo dichiararmi

D. S. V. Ill.ma

Divotissimo Servo in G. C.
† Fr: G. Massaja Vescovo V. A. dei Galla