Massaja
Lettere

Vol. 2

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Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 274r (Quinterno 4)Eminenza

Lagamara 28. Febbrajo 1862.

Riavutomi un tantino dalla lunga malattia che mi tenne in letto più di due mesi, prima ancora d’intrapprendere qualunque siasi altro lavoro penso rispondere all’Em. V. R.ma circa le lettere giuntemi sul fine dello scorso Gennajo, e perché sono molte le farò passare tutte una per una.

Prima di tutte accuso un dupplicato di lettera diretta al fu Monsignore De-Jacobis con data 15. Maggio 1858. contenente un’istruzione sopra i battesimi dati [dati] dagli eretici abissinesi. Senza nulla sapere di questa istruzione emanata da quattro anni, l’anno scorso, trovandomi appunto impiciato sopra questo punto ho dovuto fare il decreto di ribattezzare secretamente gli eretici, ed a quest’ora credo che Ella avrà già ricevuto coppia di questo mio decreto con lettera e documenti motivanti il medesimo; Le facio notare solamente che le difficoltà sopra i battesimi amministrati [f. 274v] dagli eretici non toccano solamente la simultaneità dell’atto colla rispettiva forma, ma sibbene ancora l’integrità della forma medesima, come potrà osservare dalla dichiarazione fattami dal Sacerdote Michele Ajlù, quale pure ho unita al decreto suddetto, perche alcuni Sacerdoti eretici usano di aggiungere a loro talento nella forma sacramentale. Nel fare il decreto suddetto io temeva di essere gridato, godo ora di vedermi prevenuto dalla S. C. medesima; l’avverto che ho pure conferito la Confermazione e gli ordini a due Sacerdoti ribattezzati sub conditione, pronunziando sub conditione nella S. Liturgia tutto ciò che deve essere considerato come forma parziale del Sacramento; ho creduto bene di far così, benché sia stato per me un caso affatto nuovo. La Confermazione è stata amministrata sub conditione ai Sacerdoti, ma non l’ho finora ordinata /334/ ai lajci, come Sacramento non di assoluta necessità; qualora occorra ordinarla anche ai Lajci, attendo le istruzioni.

2. Una di Lei in data 27. Novembre 1860. nella quale Ella mi parla di sospendere relativa- [f. 275r] mente al rito latino introdotto in questi paesi, poiché pensa, come pare, d’introdurre il rito etiopico quando saranno finiti i lavori liturgici preparati dal fu Monsignore Dejacobis; come pure nella medesima mi parla del P. Leone che ha scritto lettere di malcontento relativamente a questi paesi, e forse relativamente alle nostre persone, dicendomi di riferire al suddetto che l’operazione di Zanzibar è stata data al Vescovo di Borbon. Circa il rito, ho già scritto nei precedenti quinterni ragioni che credo molto forti militanti contro il rito etiopico in questi paesi, e postochè scorgo una certa quale risoluzione già come presa dalla S. C. a questo riguardo, prima di chiudere la presente toccherò ancora altre ragioni non toccate, affinché la S. C. proceda in ciò con cognizione di causa. Circa il P. Leone godo significarLe, che attualmente, restando circa un’anno con me, nutre in cuore altri sentimenti diversi dai primi; egli è più umile, più attaccato alla missione, e si occupa con edificazione nella medesima in modo che io avrei niente da rimproverarlo; se ha scritto qualche cosa contro [f. 275v] di questi paesi, e forse contro di noi; questi paesi sono paesi nomadi, epperciò con un carattere falso e bugiardo, a prima vista sembra che debba subito convertirsi, perché dice mai di no, e per questa ragione prima di me il Signor d’Abbadie fu ingannato esaggerando qualche cosa nei suoi scritti; il Povero Padre Leone ha creduto di trovare in cinque anni delle chiese fatte a stile europeo, e dei Cristiani ferventi da edificare un’europeo; invece ha trovato delle catacombe che servono di Chiesa, e dei Cristiani pieni di superstizioni; presentemente però ha conosciuto che il paese è duro a moversi bensì, ma però non tale da togliere ogni speranza all’apostolo paziente, dimodoché credo che lui stesso interrogato [credo che] non si sentirebbe in conscienza di dare il suo voto per un richiamo dei missionari, come non mi sentirei io stesso, ne il coadjutore; se poi il P. Leone ha scritto qualche cosa contro di noi, relativamente alla mia persona ha tutta la ragione. Ella dai miei scritti avrà potuto conoscere che sono una testa piuttosto dura e superba che non la cede tanto facilmente, ed il superbo sarà mai ne santo ne apostolo, [f. 276r] e sarà sempre capace di commettere ogni cosa; se poi ha detto qualche cosa contro la persona del coadjutore dobbiamo dire che sia stata la volontà di Dio, ed io a tale proposito dirò che io ho mai preteso di sostenere che il medesimo sia o un gran santo, oppure un gran dotto, ma solo che è una persona con un capitale di umiltà e di docilità che possono sufficientemente compensare alcune sue debolezze, diffatti io posso castigarlo, come diffatti l’ho castigato, anche dopo che è Vescovo ed ha ricevuto ogni cosa come l’avrebbe ricevuta un novizio Cappuccino, motivo per cui, attesoché è l’unica persona che conosce la lingua ed il paese, non saprei ancora se non convenga anzi prenderlo alle buone, come pare che incomminci a convenirne lo stesso P. Leone; /335/ occorrendo la mia morte, se questo Monsignore trovasse subito un coadjutore persona sicura a cui abbia confidenza, coll’ajuto del medesimo potrebbe fare sufficientemente bene; se il Signore vorrà darmi ancora qualche anno di vita, penserò a preparare anche questo. In quanto a Zanzibar, credo che il P. Leone non ci pensi più, e sarà molto contento di sentire che l’abbiano data al Vescovo di Borbon, con cui già erano intesi. [f. 276v] Veniamo ora a riscontrarLa della di Lei con data 26. Aprile 1861. Prima di tutto debbo fare una scusa rapporto allo stile petulante tenuto per il passato coll’Em. V. R.ma, per cui qualche anno di riposo nella S. Inquisizione non sarebbe fuori proposito; non bastando le relazioni dei missionari per farmi conoscere, così mi sono fatto conoscere io stesso per chi sono, e così non ci sarà pericolo che mi arrivi improvvisamente a disturbarmi il capello cardinalizio; Ella però sperò sarà abbastanza generosa a compatire le mie malinconie, senza che La trattenga di più; Le dirò solo che i Prelati si faranno dei meriti più copiosi a pazientare gli impertinenti, che a diriggere i docili. Dalla nota delle lettere che Ella mi manda, veggo che molte delle mie sono state perdute, e perdute anche molte delle Sue; anche in ciò dobbiamo avere pazienza –

In quanto al piano fatto di affidare questa missione ai PP. Cappuccini di Francia, era per assicurarla della sua esistenza futura; ora però debbo avvertirLa che dietro la crisi di Kafa, la missione non ha più bisogno di tanti soggetti, almeno fino a tanto che le cose di colà non saranno stabilite, poiché dopo due mesi di prigionia del P. Giacomo e del P. Giovanni in quel paese, [f. 277r] essendo riuscito ai medesimi di sortire col consenso del governo, ed essendo rimasto colà il solo P. Ajlù Michele, non abbiamo più tanta premura di missionarii, e le trattative colla Provincia di Francia si finiranno più a bell’agio, subito che la Chiesa di Cristo possa avere qualche riposo, come speriamo. In quanto alla regola dei monaci mi basta la facoltà che mi accordano di poterla coltivare in stato provisorio, vedendo anche io lo stato delle cose come Ella dice relativamente alla missione; le lezioni ultimamente accadute in Abissinia relativamente ai monaci mi mettono in guardia a non moltiplicargli molto, benché qui le cose siano un poco diverse, ed il Galla sia meno superbo dell’abissinese; ciò prova il bisogno di dare un disciplina a questi monaci, come io citava nella prefazione della regola medesima; l’articolo del voto perpetuo neanche da me è amato, motivo per cui l’aveva messo dopo la prova di dieci anni, non ho perciò difficoltà a lasciarlo. Relativamente all’amministrazione dei fondi di questa missione io non dissento che stia presso il V.o Ap.o d’Egitto, a cui ho già scritto pregandolo in proposito di volersi adoperare come si adoperava Monsignore Perpetuo; il motivo che aveva proposto un’amministrazione regolare, era per rimediare ad ogni pericolo [f. 277v] di morte improvvisa che può accadere con danno di un’amministrazione affidata ad un privato, come diffatti avvenne a Monsignore Perpetuo, quale per miracolo due settimane prima della sua morte aggiustò i conti di /336/ questa missione inspirato da Dio, del resto, un tale aggiustamento l’ho mai potuto avere; per me basta sapere che cotesta S. C. s’interessa a vegliare, come scorgo dalla di Lei suddetta, così questo capitale formato da me con i miei risparmj per il bene futuro della missione, non anderà a male. In quanto all’Ospizio da aprirsi in Massawah, essendo un luogo che non si presta per l’esercizio del ministero, e posso dire neanche per educare ragazzi, paese mussulmano, non bisogna pensare a moltiplicare gente trattandosi della sola procura, altrimenti l’accessorio mangierebbe più del principale, essendo Massawah un luogo molto spendioso, dove la casa costa tanto come due nell’interno; un solo bravo Lajco che stasse sotto la direzione spirituale dei Lazzaristi potrebbe bastare, al più un Sacerdote ed un Lajco, e nel caso per togliere ogni angustia e questione bisognerebbe pensare a fissare il vitto, ed anche al governo morale e disciplinare degli individui di detto ospizio, perché il Vic.o Ap.o dall’interno [f. 278r] non può prendersi la risponsabilità. Per ciò che risguarda a Monsignore Coadjutore che abbia scritto non sentirsi di governare questa missione non mi stupisce affatto, avendo ciò mille volte protestato prima della sua consacrazione, perché longi dall’insuperbirsi in ciò, conosce e confessa la sua debolezza e questa deve essere la ragione principale da lui intesa nella sua lettera; qualche mia riprensione e castigo per alcune sue debolezze, in tempo che io era lontano da non poter rimarginare la piaga, ha dato luogo ad alcune malinconie e castelli in aria, i quali hanno dovuto dare la spinta alla lettera medesima; a questo rapporto delicatissimo, trattandosi della successione al Vicariato in un luogo lontano dalla S. Sede, e per se molto scabroso, io non intendo affatto ne di patrocinare la sua causa, ne tanto meno di batterla, fatto conoscere le cose come sono, lascierò alla S. Sede il decidere, perché, a dirgliela mi impicia prendermi sulla spalle un tale affare, perché conosco le difficoltà di trovare un sogetto che possa sottentrare subito a prendere le redini di questa operazione, nel caso di accondiscendere alle sue domande, dimodoché il partito citato nella risposta della lettera antecedente mi pare il migliore di tutti, tanto più che, sia lui, che il P. Leone [f. 278v] sono attualmente guidati da altri sentimenti, e spero che in seguito se la intenderanno ancora meglio. Relativamente al P. Gabriele, io non so ancora come calcolare questo buon Padre, il quale in un suo letterone pieno di inutilità, si esprime in questi termini = Se dunque le EE. loro R.me stimeranno in D.[omi]no di volermi secoloro, io sono pronto a recarmivisi al primo cenno di Roma, tanto più che adesso si può commodamente passare per l’Abissinia e presentarsi al Negus direi quasi Protettore dei Preti Cattolici Europei. = Fra le altre cose questo Padre si dichiara di non voler aver che fare coi Francesi... Io credeva questo Padre sotto i miei ordini, invece veggo che si trova direttamente sotto gli ordini di Roma; credeva pure che assolutamente non potesse passare in Abissinia, invece lui dice tutto l’opposto, e V. Em. R.ma nella Sua Veneratissima me lo conferma; così se la passano le cose fra i missionarii lontani dai suoi Superiori, /337/ i quali sono per lo più animali anfibii che si governano da se, e guai a scriver loro qualche parucca, tanto più se possono citare qualche parola di Roma... Per il passato ho consumato la metà del mio tempo a carteggiare con missionarii lontani, alcuni dei quali si milantavano come Visitatori plenipotenziarii, altri quasi come indipendenti e sotto gli ordini di Roma, altri che [f. 279r] vogliono andare dove vogliono, altri che si rifutano di andare dove gli mando, altri che vogliono obbligarmi a seguire i piani loro fatti per lo più prima di conoscere, e la più parte citano ordini di Roma, ed osano persino farmi sentire che presso la medesima io sono molto decaduto in concetto... Sono incredibili le fatiche fatte per il passato per ragionare i missionarj miei fratelli, fatiche che non mi sentirei di far più per l’avvenire; dal momento che il missionario è arrivato ai miei piedi non lo temo più, così è stato del P. Leone, il quale prima di arrivare non fece che stancarmi, ed ora non ho che lodarmi di lui, così è questo buon P. Gabriele, e sarà qualunque altro che viene, la ragione sono impicciato a dirla, ma sarebbe bene che in Roma si pensasse a sostenere un poco più i Superiori locali, altrimenti essa non può immaginarsi i disturbi; non credano che io dica ciò per spirito di risentimento, ma sibbene per l’amore all’ordine, altrimenti in questi paesi lontani non so chi si possa prendere la briga di governare; per me non sono ancora certo di sortire dalla malattia attuale, ma parlo per l’avvenire.

La ringrazio poi dei documenti speditemi cioè 1. della Bolla Gregoriana duplicata sul traffico dei neri; 2. dell’istruzione del S. Officio in risposta ai varii dubbj, 3. della pagella delle facoltà duplicata, 4. del monitum sopra i vini artefatti per la Messa.

F. 279v In quanto alla Bolla Gregoriana sul traffico dei neri io la conosceva già prima, ma questa Bolla proibisce di difendere ed istruire il traffico suddetto, ma non risponde alle difficoltà che io ho fatto; anche io proibisco e maledico detto traffico, ma videndum se io debba negare i Sacramenti a chi indotto dalla necessità cerca vendere uno schiavo, oppure dalle circostanze si è lasciato indurre a venderne qualcheduno, come sopra ho riferito. L’instructio poi del S. Officio, ad eccezzione dell’affare di Abbo per me meno importante, risponde a nessuno dei dubbj da me fatti tutti prattici e ben complicati, massime relativamente al battesimo da conferirsi o da negarsi a chi trovasi legato con marito poligamo, ed in nessun modo può lasciarlo. Come questa istruzione raccomanda di osservare bene relativamente alle molte mogli di un poligamo, se queste sono tutte egualmente legate con contratto indissolubile, oppure se vi sia qualche precedenza, e ciò ad oggetto di poter decidere in pratica se esista o no un qualche vincolo naturale indissolubile, e si possa o no dal convertito scegliere fra le molte mogli quella che più gli piace. Sopra a questo proposito aveva citato il maggiorasco per i figli della prima moglie come segnale particolare che pareva distinguere il primo matrimonio dal secondo, ma poi conferendo [f. 280r] col Coadjutore, mi fece osservare che detto maggiorasco non tocca il vincolo matrimoniale affatto, perche in caso che la /338/ prima moglie sia senza figli il medesimo passa a quelli della seconda, ed anche della terza; il vincolo matrimoniale è perfettamente eguale con tutte le mogli del poligamo consacrato colla stessa cerimonia detta racco, ed è sempre indissolubile per parte della moglie, ma dissolubile per parte del marito, il quale dichiarando con atto publico di averla odiata, potrà contrarre un secondo matrimonio a sua volontà; dimodoché io credo dissolubile il matrimonio dei Galla. Come ho notato sopra, l’istruzione risponde a nessuno dei miei quesiti, ma siccome non gli condanna, ed io gli ho esposto abbastanza chiari, anzi ho persino in qualche luogo citato certi testi di teologia da me scritta in lingua del paese, credo poter continuare a regolarmi come mi sono regolato sin qui fino a tanto che Roma non mi condannerà, ben conoscendo lo stile della S. Sede non troppo facile a rispondere ai casi particolari per non moltiplicare gli oracoli e non dare alle volte motivo a sinistre interpretazioni.

La pagella delle facoltà poi è un poco ristretta; se faranno esaminare le minute antiche del tempo che io sono partito di Roma, troveranno [f. 280v] una pagella di dieci numeri, facoltà straordinarie, manoscritte, fra le quali quella di poter delegare due Sacerdoti per la Confermazione, come pure quella di poter delegare per la consacrazione delle pietre. Nelle minute dell’anno 1853. se non erro, troveranno altresì la facoltà di poter far passare gli allievi del rito etiopico al rito latino. Tutte queste facoltà sono certo di averle, benché i loro originali siano stati perduti; dalla facoltà ultima indicata potranno conoscere se io ho fatto qui un’atto arbitrario piantando il rito latino, oppure se sono stato invece esortato dalla S. C. di Propaganda medesima nella mia partenza. Bramerei che queste facoltà medesime mi fossero confermate; non parlo delle facoltà avute vivae vocis oraculo e da S. S. Gregorio, ed anche dall’attuale Pio IX. al quale prima di partire da Marsilia ho mandato il P. Agostino d’Alghero facendolo pregare di darmi tutte le facoltà che potrei aver bisogno nelle cose de jure ecclesiastico per i casi urgenti, e solo per poter essere sicuro in coscienza coram Deo, quale facoltà mi fu concessa, come potrà attestare il suddetto Padre che credo ancora vivente.

Per ciò che riguarda il monitum sui vini artefatti, qui non vi sono affatto, e posso assicurare V. Em. R.ma [f. 281r] che dopo la mia partenza non ho gustato più ne vini puri ne artefatti; per le Messe abbiamo usato sempre il Zebibo, [il] quale pure in questi ultimi anni è affatto perduto; in Kafa ho trovato qualche vite, la quale produce un frutto molto leggiero ed aquoso, ed anche pochissimo, motivo per cui sono stato obligato ad ordinare certe discipline che ho sottoposto sopra al giudizio della Chiesa, ed anche per queste, non avendo risposta, mi credo poter continuare in conscienza come approvate.

Finalmente debbo accusare ricevuta di una lettera di Lei diretta al fu P. Cesare, quale mi sono presa la facoltà di aprire per non rimandarla chiusa indietro, come sarebbe stato mio dovere, se non /339/ avessi pensato che in essa poteva contenersi qualche cosa a cui io avrei potuto rispondere.

Risposto direttamente alle di Lei veneratissime, passo ora a parlare nuovamente del rito, poiché in tutte le lettere Ella non fa che rinnovarmi di aspettare le decisioni che sortiranno quando il messale e rituale etiopico saranno approvati; Ella mi dice in alcune Sue, che potrò continuare ad ordinare in rito latino purché i nuovi ordinati restino nel loro rito, forseché i galla hanno qualche rito? questi sono paesi nuovi affatto, perché far loro quel torto di obbligargli [f. 281v] ad acettare il rito abissinese? Gli europei han dato un’importanza che non ha; il paese Galla in superficie e popolazione è molto più grande dell’Abissinia, ha lingua a parte, la quale si scrive molto commodamente coi caratteri europei, e non può scriversi coi caratteri abissinesi, anche il genio del paese è tutto diverso, diversa la fisionomia, diverso il sangue, diverse le inclinazioni, e diverso anche il carattere; avvi qui un’antipatia incarnata contro gli abissinesi, i quali, se non fossero superiori in forza perché posseggono le armi da fuoco, i Galla avrebbero già cento volte distrutta l’Abissinia, la quale non è da calcolarsi più grande di una bella diocesi europea; perché dunque voler fare tutti questi paesi schiavi dell’Abissinia? perché volergli obbligare ad imparare le loro lingue piene di imperfezioni, e con un alfabeto eterno pieno di lettere inutili, alle quali gli stessi dotti questionano per dare il valore? La S. C. ha fatto esaminare il testo biblico etiopico se sia fedele? Io so a questo proposito di aver sentito il P. Ajlù parecchie volte a notare difetti gravissimi, segnatamente nei Salmi, e la ragione è chiara, perché la lingua abissinese anche sacra manca di termini, essendo le lingue sempre in proporzione delle idee e della civilizzazione, e la civilizzazione di questo paese ha mai egualizzato la civilizzazione dei paesi nei quali sono stati [f. 282r] scritti i libri Santi per supporre il capitale di termini necessari per tradurre letteralmente i medesimi: per esempio: ignis, grondo, nix, glacies, spiritus procellarum, in questi paesi non è conosciuta che la sola grandine; così pure di tante specie di pietre preziose chiamate col loro nome particolare, qui non vi è che un nome solo; posto che qui si deve fare una fatica, perché piantare qui un testo così imperfetto e lingue così imperfette? notino che l’abissinese venuto nei paesi Galla è tanto forostiere nelle lingue come lo è un’europeo, e deve mettervi un tempo più lungo dell’Europeo medesimo per imparare le lingue, perché naturale meno energico, di minor cuore, di minore volontà, di minori mezzi, e senza amor proprio, e senza amor di Dio, e con un capitale di superbia e di orgoglio per cui non sa ne amare ne farsi amare; io parlo con esperienza, e se la S. C. esamina le lettere da me scritte da principio vedrà che prima anche io credeva molto più facile a chiamare qui gli abissinesi, e che perciò non parlo per spirito di antipatia, ma bensì parlo, perché ammaestrato dall’esperienza di presto 15. anni – Venendo qui sono venuto accompagnato da abissinesi, ed ancora ne tengo qualcheduno, ma ne sono pieno sino agli occhj, ed affinché la S. C. conosca tutto /340/ Le porterò qualche [f. 282v] fatto che servirà a far conoscere l’importanza della questione: trovandomi in Ghera nel 1859. in viaggio per Kafa, ed essendomi fermato colà più di quattro mesi, il ministero ha preso un fuoco incredibile, in pochi mesi si sono fatti circa 300. battesimi, molte comunioni, ed anche molti matrimonii eziandio di poligami che si sono messi in regola: mentre tutti eravamo occupati giorno e notte ad istruire, un prete, (l’unico venuto dalla missione di Monsignore Dejacobis) egli non faceva che girare tutte le donne dei contorni, con uno scandalo che ha fatto molto del male a quella missione, a segno che ho dovuto fargli il processo, sospenderlo persino ab ingressa ecclesiae per riparare lo scandalo, e come convinto di rubarizio notabile alla missione, avendogli fatto lo spoglio di tutto, ho trovato nei suoi secreti un libro pieno di diaulerie spaventevoli, quale ho fatto leggere dal P. Ajlù in presenza di altri abissinesi, e poi l’ho fatto mettere alle fiamme; le superstizioni e magie, quasi tutte ordinate allo scopo di tirarsi l’amore delle donne, invocando ora il diavolo, ora Maometto, ora Cristo, ed ora anche la SS. Vergine Sua madre, ed i secreti diabolici colà trovati mi hanno fatto orrore; noti che questo individuo sembrava ancora sufficientemente uomo spirituale; dietro lacrime e pianti di pentimento, essendomi trovato improvvisamente nel momento di partire per Kafa, [f. 283r] e per una parte temendo portarlo con me in paese molto scabroso, e per l’altra non avendo altri preti per custodire quella cristianità, ho lasciato lui, e l’assicuro che mi ha guastato tutto; mi accorgo quindi che mi ha guastato tutti i giovani nella sodomia, esiggendo giuramento di non confessarsene che da lui, abusando della SS. Eucaristia con darla ad ogni sorta di gente, in specie ai complici... ho dovuto farlo partire da Ghera, ed ancora attualmente non ho potuto disfarmi di questo soggetto, perché non vuole più ritornare in Abissinia. Un Deftera di quelli che andarono in Roma con M. Dejacobis, persona di credito fra i nostri Cattolici in Abissinia, avendolo voluto premiare per alcune persecuzioni colà avute e dargli l’impiego di trasportarmi la roba dalla costa ai paesi Galla, con una bella paga, me ne ha fatto anche lui delle grosse, per cui l’ho dovuto licenziare; così sono stati due Suddiaconi già prima chi fuggiti, chi caciati... dopo tutte queste storie dolorose, lascio pensare con che cuore posso ancora chiamare abissinesi nel paese della missione; notino che anche chiamati forse non verrebbero, e V. Em. non deve ignorare, come M. Dejacobis con venti e più monaci che aveva con se, non ha mai potuto ottenere di farne partire neppure uno per i Bogos a far compagnia al P. Stella, [f. 283v] ed a Monsignore Biancheri, portando per sola ragione che colà non si trovava il pane di tieffe, ma si mangiava polenta di durra solamente, benché sapessero che si adattavano gli Europei; se non volevano andare là verranno poi qui? l’Abissinia ha mai avuto il genio di ammaestrare i Galla, ne i Galla hanno genio d’imparare dagli abissinesi, perché dunque fare un passo, dietro cui noi saremo obbligati a servirci di abissinesi?

Toccate le difficoltà che nascono dalle circostanze del paese, o /341/ meglio dei due paesi, passo ora alle difficoltà che presenta la missione attuale già piantata; V. Em. deve sapere che io qui piantando il rito latino non ho fatto un’atto arbitrario, ma sono stato autorizzato, ed animato dalla S. Sede; attualmente tutti i missionarii Europei qui conoscono niente di rito e di lingua etiopica; non solo i missionarj europei, ma quasi tutti i preti indigeni nativi Galla, conoscono affatto nulla delle lingue etiopiche tanto sacra che popolare, hanno imparato il latino chi più chi meno, come sopra ho riferito, ed una gran parte ha già celebrato la S. Messa, e tutti conoscono sufficientemente l’amministrazione dei Sacramenti, che amministrano continuamente; lascio perciò a Lei il considerare se convenga fare questa violenza a tutti, obbligandoli a passare al rito che non hanno imparato, e se convenga anche fare un cangiamento [f. 284r] in facia al publico accostumato da dieci anni, e ciò per sentire il solo consiglio dei soli missionarii abissinesi, e forse anche dei nostri, i quali non hanno ancora avuto l’onore di mettere i piedi nella missione; in proposito di ciò Le dirò che io rispetto i missionarii Lazzaristi come miei Padri, i quali han sempre fatto gran servizii a questa missione, ma bisogna essere giusti, il consiglio loro per l’Abissinia sia pure irrevocabile, ma non per i paesi Galla che ancora non conoscono; nel caso loro conoscono l’Abissinia sola, ed io conosco quella e questi, e mi pare di avere anche qualche numero in questa questione. Qualora poi queste ragioni, e le già riferite negli altri quinterni che credo fortissime non bastassero a cangiare sentimento, come io non sono e non voglio farla da padrone finirò per dare un consiglio che spianerà tutte le difficoltà, ed è quello, o di dare questa missione al V.o Ap.o dell’Abissinia, il quale tenendo i due paesi potrà scegliere i soggetti che convengono meglio, ed anche mandargli per forza, oppure non volendo fare questo passo, potranno preparare soggetti buoni, mandarli in Abissinia a studiare il rito e le lingue, e quando tutto sarà in pronto ritirare i missionarii attuali dai paesi Galla, poiché sarà difficile che i medesimi stando qui possano imparare questi elementi qui affatto stranieri, e di tutta necessità per istruire gli altri e sorvegliare; [f. 284v] io sono vecchio, ed il Coadjutore non è giovane, noi non possiamo più sottometterci allo studio, ai disturbi, ed alla crisi di un cangiamento simile, tanto più che non potrà effettuarsi, se non dopo qualche anno, e quando noi saremo ancora più vecchj, e quando la cosa avrà preso ancora maggior piede; già attualmente, oltre i preti indigeni tutti, incamminati nel rito latino, vi sono parecchj lavori già fatti, e scritti in lingua Galla e con lettere europee, e tutti i nostri giovani, od almeno la maggior parte ne fanno già la lettura; la spiegazione dei comandamenti di Dio che può servire di teologia morale completa, una piccola teologia sui Sacramenti, il battesimo, la cresima, l’Eucaristia, e la penitenza sono come completi, e ciò oltre il catechismo completo, tutti lavori miei, unitamente al chatechismo completo che comprende la spiegazione di tutte le feste principali anche della Madonna e dei Santi, e parecchie questioni necessarie nel paese in lingua Sidama, parimenti lavoro mio, la traduzione di un cate- /342/ chismo storico sulla S. Scrittura da Adamo sino a G. C. fatta dal P. Leone colla mia assistenza, anche Monsignore Coadiutore traduce attualmente il Vangelo di S. Matteo e gli atti degli Apostoli, [f. 285r] tutti lavori fatti da due anni a questa parte, e ciò oltre alla Via Crucis, ai misterj del rosario, e molte altre preghiere tradotte e già conosciute da tutti, ed ora che incominciamo sapere la lingua in due altri anni saranno molti i lavori che si aggiungeranno, e tutti questi lavori saranno inutili facendo venire i maestri abissinesi orgogliosi, i quali disprezzano tutto ciò che non è del loro paese, e pretenderanno persino di fare le spiegazioni ed istruzioni in lingua amara qui affatto incognita; io ho fatto tutto ciò pensando di legare questo paese all’Europa, e che col tempo diventerà un freno per la stessa Abissinia, se vogliono che regni questa, fatto conoscere ogni cosa, io non farò più la menoma difficoltà, e mi riceverò lo scacco che mi vorranno dare.

Prima di chiudere la presente voglio ancora fare conoscere una pratica del paese Galla essenzialissima, detta il Buttà, cerimonia con cui lo straniere diventa Galla con facoltà di possedere terreni e di giudicare come Padre del paese; la cerimonia non è una sola, ma sono tre, e l’ho chiamata col nome di buttà che è l’ultima come sarebbe il presbiterato negli ordini Sacri – La prima delle tre funzioni si dice Sabba e consiste nell’amazzare una capra [f. 285v] in certa epoca fissata dal paese, e quelli che amazzano questa si visitano reciprocamente e sono obligati a mangiare carne di questa bestia, come una specie di professione di fede Galla, altre superstizioni nell’amazzare pare che non ci siano gran cosa, se pure non è quella di dover mangiare questa carne, cosa che in questi paesi e lo stesso che professare la fede di chi ha amazzato, come già ho notato, praticata anche in abissinia. La seconda funzione è il daygagà in altra epoca parimente fissata, quelli che hanno amazzato il sabbà amazzano il daygagà, cioè una vacca colle corna voltate in basso, e ciò per avere un certo grado nel paese, ma si dice che in questa seconda non sono obligati a mangiare di questa carne. La terza funzione è il Buttà, quale amazzando diventa il Galla una persona qualificata, con diritto di prendere le dogane dai forestieri, stipulare i contratti, e giudicare nella sua casta, e di entrare nei consigli di guerra e di pace nel paese. Videndum se queste cerimonie possano permettersi ai Cristiani, almeno quando promettessero di non mescolare superstizioni, come invocazioni del demonio e simili, oppure si debbano proibire per la sola ragione che sono come una specie di professione di fede, e perché debbono mangiare di quella carne; [f. 286r] in caso affermativo faciliterebbe la conversione, massime di persone qualificate, ed il nome cristiano sarebbe più onorato in paese; nel caso negativo poi, il cristianesimo sarebbe proprio solo della casta forestiera; in quanto al mio parere sarebbe di poterlo permettere, perché l’affare della professione di fede Galla mi pare un’affare più civile che religioso, il mangiare poi la carne nel senso del paese è cosa più grave, benché nel senso evangelico vi sia nulla, se pure questa carne non potrà calcolarsi eguale agli idolotiti che gli Apo- /343/ stoli ad tempus prescrissero astenersene ad evitandum scandalum; una norma dalla S. Sede sopra questo punto è di tutta necessità se la missione prende piede; se dovrassi schivare questo mangiare la carne amazzata dagli infedeli, come già ho esposto sopra, anche l’Abissinia Cristiana ha bisogno di essere istruita a tale riguardo, se poi questa astinenza è condannabile la decisione parimenti sarà utile alla medesima, perché credo la medesima stata maestra di tutti questi paesi in ciò, e diffatti i veri Galla mangiano indifferentemente di tutto; si badi a proposito di queste osservanze vane, che tanto in Abissinia che nei paesi Galla avvi ancora l’osservanza [f. 286v] dell’astinenza dagli animali immondi, quella del Sabbato, e quella della circoncisione, come già ho citato, cose che non so se siano state sottoposte al giudizio della Santa Sede, benché terribilmente osservate come primi segnali della fede Cristiana, e sotto pena di passare per immondo, come passano per tali i nostri europei mangiando il porco e la leppre –

Ecco, Em. R.ma, finite le mie osservazioni, ed esposti candidamente tutti i bisogni di questi paesi; come non ho lasciato di fare conoscere come ci regoliamo in prattica, Ella conoscendo che vi sia qualche cosa di più riprovevole, per carità me lo facia subito conoscere, affinché non accada alle volte di sbagliarla e farla sbagliare agli altri con danno delle anime; nelle cose che possono tollerarsi, ma che la S. Sede non giudica bene rispondere per non moltiplicare oracoli pericolosi di scandalo, prenderò il silenzio come segnale di dover tollerare semplicemente, e si tolererà nel modo più economico che si potrà.

Dal sopradetto Ella potrà ben conoscere quanto delicata sia questa missione, e quanto necessaria sia qui una persona di testa per governarla, oppure per assisterla; le difficoltà suddette non sono le sole; ma vi sono poi anche delle difficoltà [f. 287r] per parte delle strade, del vitto, e sopratutto difficoltà per parte della durezza dei cuori, la quale fa che il ministero non ottiene tutto quel risultato che si spererebbe, dimodoché ciò che scrisse il P. Leone in parte è vero, ed è per questa ragione che la missione conta parecchie milliaja di Cristiani, ma buoni Cristiani pochissimi, motivo per cui io non nascondo aver avuto parecchie malinconie a questo riguardo, temendo d’ingannare la Chiesa e l’Europa Cristiana dando speranze al di là di quelle che vi siano in realtà, ma non nascondo altresì, che ho mai avuto coraggio di scrivere cose da disanimare ne cotesta S. C. di Propaganda, ne la Propagazione di Lione, per paura di rendermi risponsabile di altro debito maggiore verso Dio, e verso questi popoli; lo stesso pare che pensi attualmente il P. Leone medesimo, perché, per duri che siano questi popoli confrontandoli con altri, dove sono stabilite le missioni da secoli con quasi niente di vantaggio, questi danno sempre speranze migliori, perché in pochi anni è innegabile che qualche cosa si è fatto, e possiamo dire che vi sono ancora altri paesi già esplorati, e molto migliori, ai quali non abbiamo potuto mandare per scarsità di Preti indigeni...

/344/ F. 287v Noti relativamente al rito, che le di Lei lettere mi hanno al sommo disanimato; già presentemente a tenore delle medesime io non potrei più lasciare aministrare i Sacramenti in rito Latino, e come non tengo ne Preti, ne libri, ne maestri etiopici, dovrebbe tutto sospendersi, se non mi servissi epikeja ἐπιείκεια “verosimiglianza” adattamento della norma di legge alle circostanze aequitas iustitia dulcore misericordiae temperata (Enrico da Susa) dell’epikeja, per lo meno non mi amazzerò più ad istruire la lingua latina, ne farò più altri preti per non essere trattato da arbitro, come mi tratta il P. Gabriele più informato di me delle cose di cotesta S. C. – Possibile che questa assolutamente voglia far ciò senza domandare il mio parere? nel caso riflettano a quanto sopra, e che i Preti maritati saranno alla missione una piaga, domanderanno per fare un patrimonio ai figli, e la missione non potrà più levargli dal loro paese in caso di scandalo, e tanto meno mandargli dove vogliamo, come faciamo attualmente dei monaci... il prete maritato è debole prete per coltivare i Cristiani fatti, come sappiamo, ma dalle storie ecclesiastiche sappiamo che sono mai stati apostoli per creare una cristianità.

Bacio la S. porpora, e coi sentimenti di figliale venerazione godo rinnovarmi

D. Em. V. R.ma

Divot.mo figlio in G. C. † Fr: G. Massaja V.o