Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al padre Fabiano Morsiani da Scandiano OFMCap.
procuratore generale delle missioni – Roma

[P. 1]

Osservazioni sopra il decreto
della S. C. di Propaganda Fide
emanato il 20. Novembre 1838.
relativamente al transito degli Orientali
da un rito ad un’altro.

[Cairo, 30 gennaio 1864]

Questo decreto stabilisce due punti di disciplina: il primo proibisce ai levantini, i quali appartengono ad un rito nel quale si celebra in fermentato, di non passare ad un’altro rito, nel quale si celebra in azzimo senza la facoltà della S. Sede. Il secondo punto poi lascia al consenso dei due vescovi per la facoltà di passare da un rito all’altro, quando si trattasse di riti simpatizzanti in materia di specie eucaristiche, che siano o tutti due in azzimo, o tutti due in fermentato.

Si vede chiaro in questo decreto che la S. C. ha preso queste determinazioni, per i disordini che potrebbero accadere per i moltiplicati passaggj da un rito all’altro, ed ha lasciato di permettere il passaggio dai riti levantini al latino, a coloro che passano dall’eresia o scisma al cattolicismo, forse affinché non si pensi che le leggi della Chiesa hanno delle viste di concentrazione al proprio rito.

Stando allo scopo che la S. C. si è prefisso in questi decreti che è il timore di alcuni disordini che potrebbero accadere, certamente che si deve commendare una simile ordinazione, perché lasciando da una parte le questioni che potrebbero nascere tra i rispettivi vescovi, avvi ancora un’altra ragione più forte, ed è quella che una sanzione troppo diretta e chiara in questo genere potrebbe produrre una crisi del tutto contraria a quella che si vorrebbe, attesocché, trattandosi di un’abitudine che tocca nel vivo le masse popolari, si ottiene forse di più colla proibizione moderata, che non chiuda la via, che non con un’ordine formale e severo.

Ciò detto di passaggio mi prendo la libertà di fare qui alcune osservazioni che partono da calcoli un poco più lontani, attesocché la questione dei riti orientali è una questione che ha dato in ogni tempo molto da studiare alla chiesa, la quale è aggravata dai medesimi molto al di là dell’avvenire che presentano tutti quei paesi insieme.

Suole esaltarsi da tutti l’idea dei diversi riti dell’oriente sotto l’aspetto che i medesimi sono un’ornamento alla Chiesa di Cristo, diffatti è così; la diversità dei riti è una cosa grave e maestosa, perché fa conoscere l’invariabilità del dogma cristiano, presentando ai popoli materiali e poco usi a distinguere l’essenziale dall’accidentale una prova invitta, che in mezzo a tutte queste varietà [p. 2] il solo dogma e la sola dottrina non si piega in modo alcuno, mentre il /61/ rito e le cerimonie possono piegarsi e correre dietro l’inclinazione diversa, ed usi particolari delle diverse nazioni, e come l’uomo senza cangiare nel suo essenziale metafisico di uomo in qualsiasi parte del mondo egli esista, cangia nelle sue forme accidentali al cangiare dei paesi, dei climi, e delle abitudini, così la religione [è] sempre una, con diverse forme però secondo i diversi paesi. Più questi riti sono un monumento antico che forma una delle glorie più grandi, di cui possa vantarsi la Chiesa medesima, e ciò non già nei varii prodotti liturgici antichi che presentano questi riti, ma sibbene perché provano nel tempo stesso e ci fanno conoscere il carattere dei diversi popoli d’Oriente a differenza di tutto l’occidente, duri ed ostinati in tutti i tempi, e la gran pazienza della Chiesa madre, nel compatirli, nel secondarli, e nel favorirli per non perdergli. Tutto ciò sia detto a gloria del vero, ma poi parlando in pratica sulla convenienza di questi riti, e sul modo di trattargli, bisogna dire che vi sono dei calcoli gravissimi a farsi per ogni riguardo e verso che questi riti medesimi siano considerati e trattati.

I riti orientali sono un monumento eterno dell’ostinazione di quei popoli, ma Dio volesse che fossero solamente un monumento della loro ostinazione passata nel non volersi fundere all’unità di rito della Chiesa universale, perché nel caso non sarebbero che una testimonianza di un fatto passato, in una cosa che non tocca l’essenza, come sarebbe il rito, ma il più si è che sono un monumento che ci istruisce di ciò che han fatto sempre, anche in materia di unità della gerarchia, e di fede nel dogma, poiché ciò che han fatto cotesti popoli in materia di rito è l’espressione genuina di ciò che han fatto in materia di fede e di unità gerarchica, la storia è là per istruirci e raccontarci una serie di storie dolorose, tutte effetto appunto della medesima pertinacia, storie tutte che hanno finito con una tragedia di castighi tremendi della divina providenza, castighi che ancor durano attualmente, perché attualmente ancora dura la loro pertinacia, benché giaciano estinti ed oppressi sotto il barbaro giogo dell’islamismo, pertinacia tale, che acciecati adorano la gran bestia che gli opprime, e sacrificano ancora attualmente la loro fede per adorare la catena della loro schiavitù a preferenza di ritornare al seno dell’unità; di tutto questo sono una storia parlante i riti, ma Dio volesse che fossero solamente un segno di una storia dolorosamente avvenuta e compitasi, ma ciò che è più sono un’elemento ed un veicolo che gli ha sempre portati e che ancora attualmente gli porta alla loro rovina. Chiunque conosce e sa calcolare la vita e le abitudini delle masse popolari non avrà bisogno che io mi trattenga a provare qui come la diversità del rito prepari gli animi popolari alle crisi, sia in materia di fede, sia ancora in materia di unità gerarchica, essendo queste non due questioni, ma una sola, poiché è ancora da provarsi [p. 3] se una nazione invecchiata nel scisma, e che non riconosca le autorità della Chiesa e della S. Sede, debba ancora chiamarsi semplicemente scismatica e non eretica, essendo l’unità e l’infallibilità della Chiesa veri dogmi di fede fondamentali, sopra i quali si basa tutto il colosso dell’organizzazione ecclesiastica /62/ stabilita dal nostro divin redentore, dogmi calpestati dai cosi detti scismatici. I popoli materiali, guidati più dall’abitudine incontrata dall’esercizio delle cerimonie esteriori che dalla convinzione delle ragioni, e dal prestigio della fede e della grazia, dal momento che trovasi separato dalla Chiesa in tutti i materiali di liturgia, la parte che è più sensibile per loro, per le masse io considero la divisione come già fatta, come già compiuta in tutto ciò che ha di organizzazione materiale, il demonio non ha bisogno di far altro per gettare nel precipizio una nazione, se non che stuzzicare l’interesse del clero, affinché il scisma si compisca senza neanche che il popolo se ne accorga; tanto è vero ciò, che il protestantismo nato fra i popoli di rito unito alla Chiesa, ha dovuto maneggiarsi molto destramente per stabilirsi, e ciò nonostante noi sappiamo quante guerre e quanti massacri ha costato lo stabilirvisi; tanto è vero ciò che la stessa disciplina informe e selvaggia dei seguaci del corano l’hanno compresa meglio di noi, mentre essi tagliano la testa a qualunque abitudine a qualunque lingua, e portano alle estremità del mondo le informi loro cerimonie come si trovano alla meca, e lo stabilirsi l’islamismo in un paese qualunque, o tardi o tosto porta colà il possesso della lingua persino in cui è nato il loro pseudo profeta; come ognun sa. Ciò posto intendo forse io di provare il bisogno di distruggere i riti orientali? Longi una siffatta idea, che anzi ho già lodato e lodo ancora la Chiesa nella sua tolleranza a questo riguardo, perché è certo che un simile piano esporrebbe quelle cristianità a qualche crisi disgustosa, ancorché una gran parte abbiano attualmente gran simpatia per il rito latino, perché i popoli orientali sono così fatti, che proibiti vorrebbero e comandati Iddio sa se lo farebbero; no, non è la distruzione di quei riti che io intendo, ma sibbene il mantenimento dei medesimi, essendo sempre critica qualunque innovazione notabile in questo genere, ma altro è distruggerli, altro favorirgli e cercare di rassodargli più nel cuore dei popoli; il non distruggerli potrebbe essere un calcolo troppo prudenziale assolutamente voluto per non perdere quei cattolici; il rassodargli poi e stabilirne vieppiù la massima, potrebbe anche essere un cattivissimo calcolo tendente a preparare la rovina medesima tanto temuta. Per assicurarci di non distruggerli, basta il non far leggi apertamente contrarie ai medesimi dalle quali quelle popolazioni possano prendere motivo di allontanarsi di più, tanto i Cattolici, [p. 4] quanto gli eretici e scismatici che potrebbero convertirsi; per assicurarsi poi di non stabilire vieppiù quest’elemento pericoloso nel cuore di quei popoli, credo che basti rispettargli e tollerargli semplicemente, senza aggiungere la spinta dell’oracolo della Chiesa che gli consacri così solennemente con publici decreti di proibizione a chi fosse ben intenzionato di lasciargli per unirsi al rito universale della Chiesa madre, perché simili decreti stabiliscono troppo l’idea già troppo tenace di quei popoli medesi[mi], in facia ai quali la Chiesa stessa col suo oracolo da un’importanza a tutti quei riti più di quello che occorra ex parte rei, essendo il rito una cosa tutta estrinseca alla fede; non bisogna dimenticarsi che è già una malattia di tutti quei popoli, anzi di tutti /63/ i popoli del mondo, non esclusi i nostri europei di dar troppa importanza alle cerimonie esterne sopra la fede medesima in modo che ben soventi per l’attaccamento a quelle tradiscono questa; che la Chiesa compatisca queste debolezze nei popoli materiali può non solo scusarsi, ma ancora lodarsi, come diffatti l’abbiamo lodata, e la lodiamo, ma altro è compatire e pazientare, altro è spingere anche solo menomamente un’elemento tutto affatto contrario all’interesse della Chiesa e della fede con delle sanzioni di lor natura atte a renderle più solide nell’idea loro, e più orgogliosi i popoli da abusarsene poi a danno della fede. Ed è per questa ragione, che, se da un canto dobbiamo lodare il decreto della S. C. sopracitato, oggetto delle presenti osservazioni, da un’altro canto poi crederei non troppo a proposito alcune determinazioni in esso contenute; per la ragione che le medesime sono diametralmente opposte all’interesse della Chiesa ed al sistema che essa dovrebbe addottare relativamente alla questione presente dei riti orientali. Lasciamo qui da una parte la grande importanza che questo decreto da ai due riti, ed alla questione dell’azzimo e del fermentato, perché io non ci vedo nella medesima un’importanza tale da tenere riservata alla Chiesa il passaggio da uno all’altro rito quando avvi questa differenza dell’azzimo e del fermentato, questione rilevata dal clero, ma quasi ignorata dal popolo, e nel supposto anche che fosse io sarei d’avviso di fingere che non vi sia per non consolidarla di più, perché son di quelle cose che si indeboliscono col fingere di non curarle; lasciamo ancora da un’altra parte la facoltà data ai vescovi dei due riti di accordarsi per autorizzare il passaggio da un rito all’altro quando fra i medesimi non si trattasse di differenza delle specie di azzimo e di fermentato, poiché da un lato questa determinazione suppone troppa importanza alla questione suddetta come sopra, con pericolo di troppo stabilirla nel cuore dei popoli, e per altra parte io veggo [p. 5] veggo nell’autorità lasciata ai due vescovi un’atto perfettamente inutile, e molto lontano dallo scopo prefisso, e la Chiesa che intese di facilitare di più questo passaggio ultimo, l’ha reso più complicato, perché in prattica è molto più difficile che si uniscano due vescovi in simil caso, di quello che sia ricorrere direttamente alla Santa Sede. Si lascino queste questioni come di poca importanza, rimango poi al vedere la Chiesa Latina posta al dissotto di tutte nell’ultima sanzione che fa facoltà agli eretici e scismatici di scegliere qualsiasi dei riti orientali fuori del latino; nel caso non bastava dire di prendere in generale il rito che vogliono? ad quid fare questo torto al rito della chiesa madre? ma transeat il torto, ad quid chiudere la strada a quelli che bramassero di farsi latini? calcolo unico che alla fin fine può salvare quei popoli dallo spirito di scisma... Se non vi fosse stato anticamente questa legge, a quest’ora la Chiesa latina sarebbe talmente cresciuta in oriente da trarre seco colla sua gravità ed imponenza forse tutto il resto, unica via per cui possa ottenersi una fusione in modo simpatico, e senza pericolo.

Dalle informazioni prese l’Egitto non conta più che da 45. a 50. mille cattolici, compresi tutti i riti, popolazione che appena baste- /64/ rebbe per formare in Europa una mediocre città di provincia, e non arriva perciò ad egualizzare una piccola diocesi d’Europa, eppure la Chiesa è obligata a mantenere colà quattro o cinque vescovi, e con tutti questi vescovi vi sono ancora colà delle frazioni di popolazioni indipendenti, o dipendenti da Vescovi esistenti nella Siria, oppure in altri paesi ancor più lontani, perché di diverso rito, e non in numero sufficiente per avere un vescovo a parte del loro rito; ciaschedun vescovo conta una popolazione eguale ad un parroco mediocre dell’Europa; alcuni forse nemanco vi arrivano; lo stesso credo che accada nella Siria, e negli altri paesi d’Oriente che io poco conosco; si vedono in Egitto dei fenomeni e delle anomalie nella gerarchia, le quali, a chi riflette, lasciano molto a pensare: Un vescovo di un rito avrà un domestico di altro rito, e basta ciò per dire che non è più suo suddito, lascia di ascoltare la messa che ha in casa per andare a sentire la messa del suo rito che sarà lontana mezzo miglio, e se muore verrà il vescovo del suo rito a fare la levata del cadavere in casa stessa del Vescovo, come se fosse un’individuo di un’altra fede e comunione, e guai che si facia diversamente, perché subito nascerebbero [p. 6] delle questioni tremende da disturbare persino la S. Sede; l’oggetto però delle questioni e dei disturbi immensi, come cose materiali vorrei ancora farne poco conto, ma in tutto ciò io veggo una difficoltà molto più in grande, ed è, che con tutta questa barriera di divisione fra i diversi riti, sorge l’idea del rito così forte e così imponente da farla superiore a quella della medesima fede ed unione colla Chiesa; i cristiani nati, educati, ed abituati a questa barriera, devono vedere il passaggio da un rito all’altro più collossale di quello che sia passare dal cattolicismo allo scisma ed all’eresia, tanto più che l’idea religiosa dei levantini, come nata e cresciuta in un paese che si può chiamare il mercato dell’idea dogmatica, per l’infinità di comunioni che vi sono tutte publiche, e tutte egualmente onorate, di necessità deve essere molto debole ed avvilita.

Venendo ora alla parte pratica del sistema che più conviene a tutti questi riti, dirò in poche parole essere quello di lavorare alla fusione di questi riti, ma per tutte le vie simpatiche, ed in modo che i popoli non se ne accorgano, anzi con sembianza di onorarli, e di accordare loro tutto ciò che vogliono, e ciò perché i levantini saran mai cattolici di cuore fino a tanto che non saranno latini, e figli di latini nati ed educati nel rito latino; sembrerà questa un’opinione troppo lontana dalla pratica della chiesa, ma pure è l’unica che potrà rassodare quelle cristianità; l’operazione non è di un giorno, ne di soli pochi anni, ma di molti anni, ed il modo di condurla dovrebbe essere così delicato nel raccogliere sempre tutte le circostanze che conducono a tale scopo senza aver mai l’aria d’imporre, tenendo il sistema come mistero conosciuto solo da chi è nel caso di conchiudere gli affari. I punti di vista, e le operazioni principali, sarebbero le seguenti –

1. Il primo punto di vista è di fare più nessuna legge, e nessun decreto generale ne pro, ne contro; la ragione è che facendolo in /65/ favore della conservazione dei riti, si stabilisce sempre più la massima, e si rinforza sempre più la barriera che separa questi popoli dalla Chiesa; facendolo poi contro, anche sopra una cosa minima, potrebbe sempre mettergli in guardia, e dare luogo ad un movimento contrario.

2. Ciò che si fa, fare tutto con dispense private, le quali sarebbe bene che fossero molto facili, e sempre accompagnate con tocchi prudenziali, i quali contengano nel tempo stesso ragioni di generosa condiscendenza, sempre rilevando l’articolo purché si salvi l’unità della Chiesa e della fede, facendo conoscere che il rito è creato dalla Chiesa, mentre la fede, e l’unità è di creazione divina.

[P. 7] 3. Moniti ai Vescovi di tutti i riti generici però, limitandosi a raccomandare loro di non lasciare i cristiani senza Sacerdoti che ne abbiano cura, e dietro questa massima, come per indulgenza animarli a prendere cura dei cristiani anche degli altri riti nei luoghi dove non hanno Sacerdote del proprio rito, accordando anche la facoltà di amministrargli, e se si potesse, senza disordine, anche quella di far loro la sepoltura, perché presentemente con tanti Sacerdoti che vi sono, muojono molti senza Sacerdote, perché non [ne] hanno del loro rito... bellissimo motivo per accordare indulti di questo genere, tendenti alla fusione suddetta.

4. Poco per volta accordare anche la facoltà di frequentare le Chiese e le funzioni che più gli agradano, e dopo qualche tempo incominciare anche ad accordare anche quella di ricevere i Sacramenti da Sacerdoti di altro rito, mettendo certe clausule pro forma, come quelle della pasqua alla Chiesa del proprio rito, oppure di lasciare alla prudenza dei confessori, sempre facendo dominare in tutte queste dispense lo scopo di facilitare la ricezione dei Sacramenti, e simili.

5. Raccomandare particolarmente ai latini di ricorrere al ministero dei Sacerdoti orientali, massime nei luoghi, dove non esistono Sacerdoti del loro rito; come su questo punto avvi nessun pericolo di abuso, si può insistere a raccomandare ai Sacerdoti latini di battere anche nelle loro istruzioni questo punto, a fronte che qualcheduno di curte viste possano vedere in ciò interessi diversi e diversi calcoli, perché bisogna essere generoso e dare per ricevere molto.

6. Dopo tutto ciò non passerà gran tempo che sortiranno questioni in proposito della giurisdizione sopra i cristiani di rito dubbio, allora è tempo di dare qualche decisione, moderata però, tendente sempre alla fusione di tutti i riti; potrà incominciarsi allora decidere che appartiene la sepoltura, per esempio, a quel rito dal quale avrà ricevuto gli ultimi Sacramenti, e simili.

7. Non solamente bisogna permettere ai cristiani di passare da un rito all’altro, sarebbe desiderabile di permetterlo anche al clero, e concedere anche ad alcuni più capaci la facoltà di celebrare, o per lo meno di amministrare, od esercitare il ministero in altro rito, purché dietro esame siano stati dichiarati capaci; quando questa massima avrà preso vigore, sarà allora che si potrà sperare una fusione vicina, perché non è il popolo che forma i scisma e fa te- /66/ mere, ed il clero che ha concepito speranze di ottenere qualche carica latina, allora incomincierà a studiare per rendersi [p. 8] capace a competere col clero latino, ed allora sarà che incomincia a raffreddarsi l’egoismo pel loro rito e lo spirito d’esclusione; il levantino ha molto talento, solamente sta la difficoltà nello scuoterlo ed alimentarlo; per ottener questo bisognerebbe incominciare ad educare ed istruire gli allievi di Propaganda nei due riti, e nel licenziarli, non chiuder loro la strada al rito latino; gli allievi stessi di Propaganda che già si trovano in Oriente, potrebbero alcuni migliori essere autorizzati a questo se sono capaci; col tempo potranno anche scegliere vescovi e fargli passare da un rito all’altro, oppure abilitargli ai due riti; così non sarà più obligata la S. Sede a scegliere soggetti di nessuna abilità, come sono gli orientali per lo più; così pure poco per volta s’introduce il sistema e lo stile latino nella disciplina ed in tutto il resto; fa compassione presentemente vedere tutti questi preti levantini limitati al ministero semplicemente liturgico e nulla curarsi dell’istruzione popolare, e della predicazione, anche quelli stati allevati a Roma, perché tale è il sistema dei riti orientali; cerimonie eterne e nessuna istruzione al popolo.