Massaja
Lettere

Vol. 3

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346

Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 585r

Note sulle osservazioni fatte da M.r Biancheri.

[Roma, maggio 1864]

Secondo il mio giudizio le osservazioni fatte da M.r Biancheri sopra la mia lettera sono ben ragionate da principio, ma come il medesimo non può conoscere tutte le circostanze che stanno per parte del paese Galla, giustamente egli stesso si rimette relativamente al rito.

1. Una sol cosa mi dispiaque e fu quella di aver preso troppo generalmente ciò che io dissi relativamente ai monaci dell’Abissinia, e come quasi trionfando sul giudizio spettante la debolezza dei medesimi; io ho detto che i monaci abissinesi venendo ai paesi Galla riescono per lo più male, ma non mi sono inteso di fare un torto generale ai medesimi, ne tanto meno staccarmi in ciò da quanto la pensava il S. Monsignore De Jacobis che tanto venero; e noto questo, perché secondo il mio giudizio M.r Biancheri, anche vivendo ancora il suo principale ha sempre spinto un po’ troppo avanti questa poca stima degli indigeni, motivo per cui sono nate delle questioni, anche con qualche ragione.

2. Non mi piace poi affatto il ragionamento che il medesimo Prelato fa relativamente al dubbio della [f. 585v] validità del battesimo dato dagli Abissini; egli in tutto il suo ragionamento parte dal principio che la liturgia abissinese, e segnatamente la forma è retta, transeat, perché io non voglio eriggermi in giudice di ciò che non conosco abbastanza, ma constando l’ignoranza universale dei Preti, i quali non conoscono ne cosa sia forma sacramentale, ne dove consista, e constando certo come quasi universale l’uso di arbitrare e di variare nell’amministrazione prattica, forsecché ciò non basta per un dubbio di fatto della validità del Sacramento amministrato? Monsignore Biancheri porta in prova l’esame fatto di due Preti, della missione e le risposte dei medesimi, ma quando mai il dubbio cade sopra il battesimo amministrato dai loro cattolici? Senza dubbio che questi lo amministrano bene, supponendosi istruiti: Il dire poi che basta interrogare ed esaminare singulis vicibus come è stato amministrato sarebbe una cautela che serve a nulla, perché gli eretici che non distinguono nella liturgia l’essenziale dal semplicemente liturgico, non saranno mai in caso di rilevare i difetti che possono rendere invalida l’amministrazione. Per me basta sapere che gli indigeni stessi a misura che sono istruiti sopra il battesimo [f. 586r] sono stati sempre per lo più quelli che hanno rilevata la difficoltà, e tanto più deve calcolarsi questo loro dubbio, quanto i medesimi si conoscono piuttosto orgogliosi ed inclinati a difendere il rito ed usi del loro paese. Il pensare poi che il fu Don Gabriele abbia inventato questo dubbio per poter ottenere la facoltà di venire a Roma ove farsi un peculio, ciò anche è un poco troppo, perché /104/ questo buon Sacerdote era uno dei più pii e zelanti della missione, epperciò adagio...

3. La critica che fa Monsignore Biancheri relativamente alla facilità di sospendere e di scomunicare praticata da me, merita anche qualche osservazione, fra le altre quella di far conoscere il lupo vestito da pecora, affinché tutti sappiano guardarsene, e poi molto più per salvarci dal sospetto di complicità, il quale nasce naturalmente vedendo che lo scandaloso è trattato da noi con amicizia e rispetto: Iddio ha riservata a Se la facoltà dei miracoli e la concede solo quando crede necessario, ma non così della facoltà di scomunicare i perversi, la quale è stata data senza riserva e col solo dovere di osservare la giustizia, epperciò fa poco ad rem il fatto di S. Pietro e di S. Paolo, ed io credo anzi che la troppa tolleranza, massime nelle missioni abbia delle conseguenze molto più fatali che il troppo rigore, per la gran ragione che gli indigeni vedono lo scandalo, e non vedono, come in Europa, il compenso di edificazione [f. 586v] nella gran quantità di altri preti buoni, e secolari santi che esistono, non trovandosi nelle missioni che pochi preti, dal credito dei quali si suppongono convertiti. Se poi M.r Biancheri volesse alludere alla scomunica fulminata contro il fu P. Cesare, ed ultimamente contro l’indigeno P. Fessha, allora direi, che se la scomunica in questi casi è giudicata troppo rigore, lo pregherei di dirmi quale sarebbe il caso pratico di dover scomunicare, se non lo sono simili scandali; mi stupisco tanto più di questa sua critica, quantoché questo Prelato conosce l’abuso delle scomuniche in Abissinia, ed il bisogno di far conoscere il vero caso in cui deve aver luogo questa censura; forse ignora che in Abissinia noi passiamo per disprezzatori della disciplina della scomunica; in questo genere il mio calcolo è di essere severissimo cogli ecclesiastici, come persone le quali conoscono tutto, epperciò sempre da supporsi contumaci, ai quali non sarebbe neanche di necessità la triplice ammonizione; all’opposto molto sarei [molto] cauto nel scomunicare i secolari.

4. Io rimango poi, come M.r Biancheri si dichiari tanto apertamente di credere alla superstizione dei così detti Budda, i quali sono in Abissinia poco presso quello che erano le Streghe del medio evo in Europa, coll’aggiunta che in Abissinia si attribuiscono a questi Budda dei disordini per i quali hanno luogo dei massacri, ed in alcuni paesi, massime in Kafa, sono un’arma nelle mani del governo per commettere le ingiustizie più nefande, e segnatamente per fare milliaja di schiavi ad ogni istante. [F. 587r] Senza toccare il dogma dell’esistenza dei diavoli e dei spiriti maligni, i quali possono in realtà più di quello che possa l’uomo, e che realmente possono avere qualche parte in tutte queste superstizioni; noi sappiamo la gran facilità con cui gli stessi europei sogliono esaggerare queste cose, e come ultimamente, per non dire oggi giorno, in Francia vanno formandosi delle sette di spiritismo che minaciano non poco, conseguenza naturale dell’emancipazione che va crescendo dal dogma cattolico, perché le masse popolari dominate da ignoranza per una parte, e per l’altra dalla corruzione che le tiene lontane dall’istru- /105/ zione e prestigio dogmatico, trovano il bisogno di formarsi certe credenze ed osservanze arbitrarie e superstiziose; tanto più poi M.r Biancheri deve conoscere la gran facilità di esaggerare in questo genere fra gli abissini, più fra i Galla, e più ancora fra i Sidama, a segno che di cento casi certamente che novantanove sono sempre falsi, e ciò in tutte le pratiche che hanno del magico o diabolico; quella del budda certamente che potrebbe considerarsi come un’influenza magica e diabolica, e per forza dobbiamo considerarla come tale, se pure vogliamo crederla, ma resta ancora a vedersi se lo sia realmente, perché gli indigeni sogliono opporre alcuni rimedii naturali di certe piante conosciute dai periti, e con certi altri rimedii naturali pretendono di conoscere il vero budda, e di farlo parlare, ed in seguito alla sua confessione fatta nell’ubbriachezza, sogliono giudicarlo reo di morte, oppure di perdita di tutti i diritti civili, per farlo schiavo e confiscarli ogni suo avere; ora io dico, se i rimedj naturali esercitano questo potere sopra il budda, almeno nel senso degli indigeni, mi pare [f. 587v] che il diavolo non sia poi tanto sciocco ne tanto umile da farsi schiavo della presenza di un rimedio naturale, e nel caso anche che lo fosse indotto da un calcolo d’inganno, mi pare che non sia poi neanche padrone di fare tutto ciò che vuole indipendentemente da Dio; per me basta questo riflesso per credere ben poco a tutto questo, e riflettendo poi al gran disordine che ne avviene mi credo in dovere di oppormi ad ogni costo pratticamente a simili superstizioni pel timore di non rendermi complice, anche con una sola tacita approvazione o tolleranza; amo meglio dichiararmi apertamente incredulo, e che increduli si dichiarino i miei chierici semprecchè occorre il caso di parlare o sentire a parlare di questo; mi pare perciò che per lo meno M.r Biancheri dovrebbe sentire questo bisogno; questo Prelato poi da a conoscere di essere poco informato di questo con queste parole = che male c’è che un prete abissino creda che vi siano delle persone che abbiano fatto un patto tacito o espresso col demonio? = basti il sapere che in Abissinia altro è il budda, altro il tanquaj; il primo è un misto di naturale e sopranaturale proprio massime dei rustici; il secondo è proprio dei Deftari o dotti, ed è tutto sopranaturale, e questa distinzione è conosciuta da tutti; certo che i tanquaj, cioè che fanno patti col diavolo, esistono, ed io conosco uno convertito, ora prete che era tale, e questo ha nessuna infamia in paese, anzi purtroppo è onorato benché dal codice civile sia condannato, laddove il budda è infame, disonoratissimo, ed il suo disonore si estende a tutta la sua parentela: haec sufficiant, videant alli...

F. 588r 5. Lascio di fare tante altre osservazioni sopra l’osservanza del Sabbato, della circoncisione, e dei sacrifizii indigeni, perché in una parola, quelle popolazioni chi più chi meno giudaizzano tutte, e la maggior parte son tutte cose già da me scritte e scritte dai Lazzaristi, e quindi abbastanza conosciute da cotesta S. C.

6. Circa il culto del tabot io non ho detto che non conviene, ma solo ho notato che in Abissinia è superiore alla stessa eucaristia, epperciò un poco superstizioso.

/106/ 7. Circa la conservazione dell’Eucaristia io mi rimetto, ma M.r Biancheri ignora che ultimamente l’abbate di Gonda Gondì nel Tigré è stato scomunicato e privato di sepoltura perché ha conservato il Sacramento sino all’indomani per comunicare un’infermo, e ciò proverebbe ciò che io temo.

8. Il Sabbato è onorato dai Kabat, ed anche in qualche luogo del mio Vicariato, benché meno, ma ultimamente ho osservato in Gogiam che nella Domenica avvi sempre la messa solenne la mattina, non però nel Sabbato; circa l’astinenza dal lavoro, forse sono più esiggenti in giorno di Sabbato che in Domenica; nel mio vicariato però abbiamo incontrato quasi nessuna difficoltà nell’ lasciare il Sabbato.

9. Certo poi che il missionario deve astenersi dal mangiare carne ammazzata dai mussulmani o idolatri, se non vuol passare per tale anche lui, e ciò forse ancora più nel mio vicariato in faccia alla casta emigrata d’Abissinia, ed in Kafa; se poi l’ammazzare nel nome del Padre, Figliuolo, e Spirito Santo, debba dirsi un sacrifizio o no, mi rimetto a ciò che ho scritto nelle mie lettere, solo pregherei di riflettere al senso comune di tutti quei popoli tanto mussulmani che idolatri, presso i quali certamente è sacrifizio, epperciò facile che si formi anche in Abissinia simile credenza, almeno fra la classe non istruita.

F. 588v 10. Mi prendo ora la libertà di aggiungere qui alcune riflessioni relativamente a M.r Biancheri ed al fu M.r De Jacobis di S. memoria. Senza far torto a tutti gli altri missionarii Lazzaristi che molto venero, specialmente all’attuale V.o Ap.o io credo poter dire con giustizia che se in Abissinia si è fatto qualche cosa, il novantanove sopra cento deve attribuirsi al defunto Monsignore, persona, dalla quale io stesso confesso aver ricevuto delle lezioni che ancora sono l’oggetto e soggetto delle mie continue meditazioni per scuotermi nella mia debolezza; con maggior fondamento credo poter asserire che attualmente ancora l’elemento che giuoca più di tutto in Abissinia è senza dubbio il credito a questo venerando prelato defunto, credito che ha sempre goduto in vita, motivo per cui ebbe seguaci in gran quantità, e credito sopratutto confermatosi dalla mirabile storia della sua morte, accompagnata da segni non dubbii che la dichiararono preziosa avanti Dio, ed io ultimamente attraversando l’Abissinia ho potuto veder la verità di tutto ciò coi miei occhj medesimi; ora io dico, un’elemento gettato da Dio nel cuore di quella nazione e che può col tempo rendere colà una testimonianza non indifferente, e dare un certo movimento alla causa cattolica, io vorrei vederlo, non solo non disprezzato, ma un poco più coltivato, ed una raccomandazione a quella missione in proposito potrebbe rendere quei missionarii avvertiti a coltivare detto elemento, ed a raccogliere nel tempo stesso tutti i fatti che col tempo potranno determinare la Chiesa a concedere un culto ad un tanto apostolo con gran vantaggio della missione da lui fondata in vita, e santificata in morte.