Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al cardinale Alessandro Barnabò
prefetto di Propaganda Fide – Roma

F. 721rEminenza R.ma

* Parigi Venerdì Santo [14 aprile] 1865.

Mi trovo oggi obligato ad ubbidire ad un movimento dell’amor proprio, al quale conosco che farei meglio resistere, ma nella mia debolezza sono come costretto a farlo, colla debita riserva di secreto però alla sola Em: V. R.ma, a cui intendo diretta la lettera, non alla S. C. di Propaganda.

Trovandomi nella missione ho fatto un catechismo, per l’uso del ministero in detaglio, senza l’ajuto d’un sol libro, che non aveva, opera, come in famiglia, in cui, salvata la fede, nel resto non poteva esservi certamente tutto quel rigore, e tutta quell’esattezza, colla quale l’avrei potuto fare in Europa, con avanti gli occhj dieci o quindeci classici, e tutto il mio tempo in libertà, come i signori teologi scrittori dei nostri Paesi, cosa che non mi è affatto estranea, perché mi son trovato nel caso, prima ancora di essere novizio missionario. Ora, essendo stato sp[o]gliato in strada di tutto il poco capitale dei miei lavori, e sortito dall’Abissinia con quel poco che aveva in testa, ho creduto bene di riprodurre qui in breve, ed a memoria, quello, che più in lungo aveva scritto nella missione per l’istruzione dei neofiti e dei pochi chierici indigeni, e godere così del poco tempo di mia dimora qui per stampare qualche cosa, onde migliorare un tantino la condizione di quei poveri allievi indigeni privi affatto di libri, massime quelli che sono solamente catechisti, e che non hanno ancora potuto prendere il latino, in modo da poterlo capire. Ciò che ho scritto, per mancanza di tempo, l’ho scritto senza neanche consultare una teologia o dizionario, [f. 721v] ed ho voluto appunto riprodurre tutte le questioni più delicate, ed estranee alla nostra teologia, che sogliono colà insegnarsi, onde assicurarmi qui del vero dottrinale; e questa è stata la ragione unica per cui io stesso ne aveva domandato l’esame in Roma. Come lavoro non fatto per l’Europa, io non voleva neanche mettervi il testo latino, ma fui obligato a farlo dagli esaminatori, i quali non volevano pronunziare il loro giudizio, senza una traduzione. Come gli esaminatori erano persone di mia confidenza, io ho fatto una traduzione economica, poco esatta, e senza tanti riguardi, contentandomi di dare il vero senso per il giudizio del dottrinale, amando meglio peccare di stile teologico, che allontanarmi troppo dalla lettera del testo Galla, il quale, di necessità ha dei barbarismi, perché in una lingua tutta estranea alle idee teologiche. Più, impaziente di mandarlo a Roma, perché già stanco di questo lavoro, che mi trattenne quasi un’anno, l’ho fatto trascrivere da novizi cappuccini, i quali mi hanno fatto mille errori, persino mi hanno lasciato indietro dodeci o quindeci questioni; l’amor proprio stesso mi avrebbe impe- /212/ dito di mandare simile lavoro, se avessi creduto che andava nelle mani di una persona, che intenderà di esaminarlo con tutto rigore in tutti i sensi, perché poco informata di tutte le mie strettezze, e circostanze tutte particolari, necessarie a sapersi per formare un giudizio completo, e saper compatire lo scrivente. I due esaminatori destinati dall’Em: R.ma, l’hanno esaminato, e mi hanno fatto delle osservazioni che io ho rispettato, e mentre impaziente aspettava il manoscritto per incominciarne la stampa, mi arriva invece una lettera, nella quale mi si dice, che il medesimo è stato rimesso [f. 722r] al Teologo Perrone della Compagnia di Gesù. Ora, passando ancora io sopra a tutto ciò che potrebbe dire il mio amor proprio gravemente leso, i due poveri esaminatori miei fratelli cappuccini per causa mia così avviliti, cosa non avranno ragione di dire? Sono tutti due Lettori cappuccini anziani, uno dei quali Vescovo titolare attualmente, non come lo sono io povero miserabile; due persone così onorabili vedranno volentieri disprezzato il loro giudizio già formato? La stessa mia congregazione cappuccina così rispettabile, dovrà prendersi in pace un simil fatto? certamente per forza avrà pazienza, ma non lascierà di averne un gran dispiacere certamente. V. Em: R.ma da principio poteva eleggere chi voleva, ma dopo fatta la nomina, e confermata a me personalmente due o tre volte, e che gli esaminatori han fatto il loro dovere, non so capire, come il manoscritto sia stato rimesso al Teologo Perrone, senza previo avviso a me; certamente ci devono essere frammezzo delle ragioni o sospetti molto gravi, i quali mi fanno pensare molto avanti, forse più di quello che sarà in realtà. V. Em: è padrona di me e dei miei scritti, potrà fare tutto quello che vuole, che anche io avrò pazienza, e soffrirò tutto, ma una diffidenza simile, fa che sono risolto di non più stampare il catechismo, e per di Lei norma, sappia che l’ho già dato ad alcuni dotti, il quale lo apprezzano per il suo valore scientifico; così sarà finita ogni questione, così la missione continuerà nel tenore che ha continuato fin qui. Come io non ho avuto nessun calcolo di farmi un nome, può esser sicura che ho fatto questo senza nessuna ripugnanza. In quanto alla mia persona, potrà sempre calcolarmi come semplice missionario, ma non più come vicario apostolico, perché sono troppo debole, e non vorrei trovarmi una seconda volta nella necessità di scrivere ancora come la presente ai Superiori, quali per sistema molto venero, e rispetto. Quando nasce questione fra gli ecclesiastici, il giudice naturale [f. 722v]. è Roma, ma quando nascono dei disgusti coi tribunali di Roma, allora il solo giudice competente e Dio, a cui conviene rimettere ogni cosa; sono tanto persuaso di questa massima, che io non farò parola a nessuno, neanche al mio confessore di quello che passa in questa lettera; aspetto una di Lei risposta per mandarLe il documento, ostensibile di mia rinunzia al Vicariato, benché non necessario, essendo la medesima una carica di semplice delegazione apostolica rimovibile ad nutum del S. Padre, senza nessuna formalità di sorta.

Del resto V. Em: R.ma abbia la bontà di perdonarmi, e si per- /213/ suada, che la libertà con cui Le scrivo non è dettata da mancanza di rispetto, tutto all’opposto, il gran rispetto che ho mi proibisce non solo di lagnarmi, ma persino di pensar male, e nodrire nel cuore diffidenze contro i Superiori, motivo per cui amo meglio scrivere direttamente alla persona, quando ho qualche cosa; questo mio sistema mi ha costato un gruppo di dispiaceri per il passato, ma pure non lo lascio, perché è evangelico; transeat l’adulazione fra i secolari, ma non mai fra gli ecclesiastici, eppure il mondo è pieno di chiacchieroni anche ecclesiastici che si fingono amici; all’opposto io amo di morire per la diffesa dell’assente, massime ecclesiastico, e tanto più dei Superiori, ma quando ho qualche cosa amo dirla schiettamente; se il mio sistema non piace, il rimedio è quello di mettermi da una parte, allora saprò star quieto facendo la vita privata.

Nella speranza di un benigno compatimento, Le bacio la S. porpora, e coi sentimenti della massima venerazione godo ripetermi

D. Em: V. R.ma

Ubidi.mo ed Umil.mo figlio
Fr: G. Massaja V.o