Massaja
Lettere

Vol. 3

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Al padre Fabiano Morsiani da Scandiano OFMCap.
procuratore generale delle missioni – Roma

[F. 1r]P. R.mo

Parigi 20. Giugno 1865.

Quando è partito il Sacerdote D. Daniele Comboni gli aveva consegnato una lunga lettera, nella quale Le diceva molte cose, ma /250/ siccome questo Sacerdote potrebbe ritardare notabilmente il suo arrivo in Roma, perchè ha qualche affare in Verona, credo bene farLe conoscere definitivamente ciò che penso; non perché pretenda che se ne occupi direttamente, ma solo per informarLa, potendo occorrere di dover parlare per forza. La lettera che Le ho scritto ultimamente, è stata una lettera scritta per calmare V. P. R.ma sull’affare del P. Domenico, e come ho creduto doverla far vedere, non ho potuto dire tutto ciò che pensava.

Io non so cosa il P. Domenico Le abbia scritto, perché non ho voluto vedere la lettera, e ciò unicamente per assicurarmi che dicesse tutto il suo cuore sopra un punto così geloso. Lasciando da una parte ciò che lui avrà scritto, che può far conoscere la sua vocazione, e parlando solo, come persona che conosco il P. Domenico e la missione, mi credo un dovere di dirLe sinceramente, che non può corrispondere allo scopo della sua destinazione; se fosse più giovane, mi metterei ai suoi piedi, e lo scongiurerei di andarvi, perché son certo, che non si troverà il migliore sotto tutti gli altri rapporti, ma per carità rifletta all’età sua di 51. anno, alla difficoltà della missione, e tante altre cose. Una volta V. P. si lagnò con me, che il nostro Ordine conta quattro o cinque Vescovi in ritiro, ma io L’assicuro, che questo sarà il sesto dopo tre o quattro anni, e ritornerà senza neanche vedere la missione, ed imparare le lingue, e dopo aver cagionato un vuoto di sei anni al Vicariato; per carità riflettano, perché altrimenti non avranno ragione di lagnarsi se le missioni nostre vanno male, bensì pensare al modo di rispondere a Dio, quando ne domanderà conto; le mezze misure servono a turare un buco della giornata, ma non per fare affari, e per soddisfare ad un grave dovere. Lo sbaglio fatto l’anno scorso [f. 1v] nell’elezione di questo individuo non a proposito fa sì che oggi, dopo un’anno di mia permanenza qui, ci troviamo ancora perfettamente da principio; in caso diverso, a quest’ora saprebbe tutte le lingue, sarebbe iniziato in tutti gli affari, e nella collisione attuale, in cui mi trovo colla S. Congregazione, potrebbero parlar più chiaro con me, per non dire che io potrei parlar più chiaro ancora, senza pericolo della missione; non solo il P. Domenico sarebbe già a quest’ora preparato ed in caso di rimpiazzarmi, ma i due missionarii, a quest’ora sarebbero già fatti da me, e V. P. R.ma, se leggerà le mie lettere antiche vedrà nelle medesime, che io aveva tutte queste buone intenzioni, e se non l’ho fatto è perché non ho potuto. Ripeto che il P. Domenico ha tutte le altre buone qualità, ma la sua età, e l’aver conosciuto lo stato delle cose l’hanno disanimato; degli altri due missionarii suoi compagni, uno potrebbe essere buono, anzi buonissimo, ma non per essere Superiore, l’altro poi è fatto per tutt’altro; gli ho fatto venire dall’Egitto per coltivargli, ma neanche quell’unico bono, che avrebbe eccellenti disposizioni, ho mai potuto averlo.

P. R.mo, rifletta al sopradetto, e poi lascii da una parte il P. Domenico, e pensi a me un momento, entrando nel mio cuore. Lei mi conosce, e conosce tutte le mie buone volontà, sa quanto mi sta a cuore quella missione, ebbene, non Le pare che abbia un poco di /251/ ragione di esser malinconico? eppure tutto questo non è che la minima parte delle mie malinconie, non parlo delle persecuzioni, delle prigionie, della fame, ed altre miserie di questo genere, tutte poca cosa, come poca cosa sono tutte le altre difficoltà temporali, ma le spine che mi feriscono il cuore sono tutt’altro; V. P. R.ma ha conosciuto le difficoltà sorte alla missione per causa di compagni miserabili, che mi hanno fatto soffrire, ma di tutto ciò, presentemente non mi rimase altro che un’argomento di consolazione: mi trovo fuori della missione che tanto amo, dalla quale mi sono staccato per gran calcoli che io faceva; ora Dio sa se potrò ritornarvi, ma anche queste difficoltà non sono le più gravi, perché in ultima analisi sarei disposto a ritornarvi, a costo di morire per strada, oppure in una prigione. Sopra tutte queste difficoltà e contrarietà avvene una, forze quella che mi vince, quella cioè di veder sempre l’opera di Dio contrariata dai Superiori: l’affare attuale del catechismo è già il quinto affare di prima importanza [f. 2r] attraversato dalla S. Congregazione; io ho cercato di far religioso il clero indigeno, per accostumarlo con questo titolo alla disciplina, sopratutto al celibato, in un paese, dove si conosce solo il prete maritato, ebbene questo affare mi è stato guastato da chi? Gli allievi studiavano con un’impegno incredibile il latino, a vele gonfie l’affare camminava, mi suscitò la questione del rito, col sistema delle sue mezze misure, di parlar molto e far nulla, mi disanimò tutti, ed io stesso ho dovuto cedere e lasciare di fare del clero; l’anno scorso son partito lasciando la missione colla fame, perché scriveva e non veniva danaro, arrivo io a Massawah, trovo la procura stessa colla fame, ed il Procuratore mi mostra una lettera dei Superiori che scrivevano al Vescovo d’Egitto di non mandare più danari; ora, dopo che ho lavorato un’anno giorno e notte, mi sono logorata la salute per far presto un’operetta da soccorrere il bisogno di quella missione, coll’idea di partirmene al più presto, per causa loro sono già in ritardo di molti mesi, e ciò che più mi inasprisce, è vedere che loro importa nulla il mio ritorno, perché hanno stomaco di consigliarmi ad incomminciare ora la traduzione; postoché a loro importa poco, tanto più poco a me, che ho travagliato fin qui per ubbidirgli: tutto questo per voler agire senza conoscere, senza voler sentire consigli? Sono quasi l’unica persona residua che conosco la missione d’Abissinia, per la quale aveva molte cose da dire, avvi forse pericolo che mi domandino il menomo consiglio, a fronte che sappiano che io amo quella missione, e che l’interesse della medesima è tutto un solo colla mia? niente di tutto questo; ebbene faciano pure; dopo tante fatiche vedermi non solo un muso freddo dovunque, dove avrei diritto di vedermi incoraggiato, ma starmi avanti immobili ad ogni mio movimento, ecco quello che ha finito per rompermi le gambe e farmi cadere le bracia.

Sappia dunque V. P. R.ma che ho risolto di mettermi anche io a dormire ed aspettare che mi cerchino per rispondere senza nessun rispetto umano; io ho fatto un passo forte, perché in buona sostanza era stanco di essere trattato sempre come un burattino; il passo che ho fatto lo sanno; dunque ci pensino.

/252/ [F. 2v] V. P. R.ma intanto, per sua norma, è bene che sappia ciò che penso, per ogni caso che occorra di dover parlare. Come la Propaganda non cangierà certamente, giusta il suo solito, io pure non cangio, ma aspetto tranqu[i]ll[a]mente di essere cercato, ne mi riscaldo più tanto l’orina per troppa sollecitudine. Penso di pensare un poco più a me stesso; una sol cosa m’impiccia, è il voto che ho, ma come il mio voto è di essere missionario, credo di dover essere tranquillo d’averlo significato, quando mi manderanno a fare il missionario vi anderò. Ella dirà che questo non è spirito di Dio, e potrebbe darsi che abbia ragione, ma per ora la vedo una vera necessità di regolarmi così, cosa sortirà dopo non lo so; la persuasione mia attuale è quella di fare un poco conoscere le cose a questi Signori, perché se non parlerò io, che sono vecchio, ed ho niente da perdere, chi potrà parlare? Però può essere sicura, che per parte mia, nessuno sa niente, neanche i miei più intimi, ed ho tenuto e tengo sempre lo stesso linguaggio di rispetto con tutti; crederei di far male se parlassi; ma non dubito, che la cosa si publicherà da loro stessi, ed allora io ne posso niente. Io sono già leso publicamente nel mio onore col trattenere il catechismo, cosa conosciuta da tutti, ma ciò non basta per farmi parlare; stamperò la grammatica, e quando sarà stampata ne manderò una coppia di regalo, e questa sarà la mia vendetta.

Frattanto Ella, sapendo come vanno le cose del P. Domenico, e non potendo più calcolare sopra di me, saprà cosa dovrà fare, e cosa dovrà proporre ai Superiori relativamente a chi deve intrapprendere questa amministrazione, nella quale io mi considero come functus officio. Spingeva con attività le cose con questo governo, ma quando saranno decise, potrebbe darsi ancora che sortiranno altre difficoltà per parte di Roma, epperciò anche questo penso lasciar correre.

Ho qui i due ragazzi Galla, che gli teneva per i lavori; ora non ne ho più bisogno; se Roma è disposta a ricevergli, mi scriva, gli manderò; però il più vecchio non gode troppa salute, e pare che voglia ritornare al suo paese, ma il più giovane potrebbe venire; eccoLe in succinto le ultime mie intenzioni, Ella, se non altro preghi, affinché il Signore m’illumini, e mi facia conoscere altro, nel caso di essere fuori di strada, perché ancora lo temo un poco, oh se non lo temessi! Le sono intanto

sempre Aff.mo

Fr: G. Massaja V.o Capp.no