Massaja
Lettere

Vol. 5

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Al padre Francesco Ferrero da Villafranca Piemonte OFMCap.
commissario generale – Roma

[F. 1r]Caro P. Francesco e R.mo mio P. Generale

Gerusalemme Lunedì Santo [22 marzo] 1880.

Quando io credeva di non sortire più dalla Missione ne vivo ne morto, un gruppo di circostanze tutte dolorose mi obbligarono, come all’improvviso, a sortirne espulso: la Providenza volle così, e così sia. La pena è tanto più grande per me, perché non ho più speranza di potervi rientrare, attesa la quasi decrepita età e gli acciacchi infiniti, che stanno precipitando la mia fine; cosa che mi rende come impossibile un lungo viaggio molto penoso per rientrarvi.

Venuto in Egitto, e quindi a Gerusalemme, domandando notizie degli amici di qua e di là lasciati, venni a sapere, come all’improvviso, che voi eravate l’attuale Generale dell’Ordine, e perciò mio Padre per la parte, che mi lega sempre alla Congregazione, che mi educò dal nulla, in cui mi trovava. Nel salutarvi per la prima volta come mio P. Generale, non so se debba congratularmi con voi, oppure compiangervi. Caro mio Francesco, non vi dico cose nuove, ma cose tutte che voi sapete, e che avete meditato mille volte: altro è essere Prelato per percepire e camminare secondo la corrente, altro è esserlo per agire energicamente, e soffrire qualsiasi opposizione con Cristo e per Cristo. In quanto a me, sono entrato in una selva, dove [f. 1v] ho passato or presto 35. anni di spine e di fatiche, vi ho consummato il fiore della mia vita, per fare un bel nulla: è questa l’unica e gran verità, che mi spaventa. Riguardo a voi poi, siete entrato all’amministrazione dell’Ordine nostro carissimo in tempi i più difficili, e proprio nel momento del suo decadimento quasi totale, forse per benedire le sua totale estinzione? Dio lo sa; ma il certo si è che il vostro cuore deve certamente essere molto aggravato: io son certo che passerete le notti ora sopra l’uno, ora sopra l’altro brano di Provincia, che ancora rimane, per vedere il modo di farlo risuscitare. Non vi dico altro, se non che il peso che gravita sopra le vecchie vostre spalle non è minore di quello, che pesa sopra le mie.

Essendo ancora nella Missione, senza notizie affatto, mi affliggeva al sentire la soppressione degli Ordini Regolari; perché alcuni Religiosi, anzi molti, danno troppa importanza alla soppressione, mentre questa non tocca il Religioso che nel suo essere materiale esterno: ma il certo si è che, come non sono i governi quelli, che ci hanno creati, i governi non possono farci altro, che privarci di qualche commodità e formalità esteriore; possono tribolarci bensì, ma non distruggerci, lasciando a noi sempre tutto intiero il dovere di sussistere nel modo e con tutti i mezzi che possiamo. Forse per noi è molto meglio la tribolazione di una nominale soppressione, /18/ fatta da una società, che più non ci comprende, di quello che sarebbe la pace ed il troppo favore dei popoli, che c’inviti a dormire pacificamente nei nostri Chiostri sotto l’ombra della Croce, e col nome di una Perfezione, che forse non abbiamo... Caro mio, fatevi dunque coraggio, e guardate, per quanto potete, di riaccendere il fuoco serafico [f. 2r] nel cuore dei pochi Religiosi, che ancora vi restano: ecco tutto il vostro gran ministero, anzi direi quasi l’unico, perché tutto il restante appartiene allo schelletro di un cadavere cadente... In quanto a me, se la Providenza di Dio vorrà che io venga a Roma, come mi è indispensabile, se il S. Padre non disporrà diversamente, certamente discorreremo più a lungo di tutte queste cose, ed aggiungerò alla vostra la mia lunga esperienza, presentandovi quello che voi non avete potuto ne sentire ne vedere in lontananza. Non vi nascondo però la ripugnanza che ho di venire a Roma, attese alcune circostanze a me personali, che non posso mettere in iscritto, ma che non mancherebbero di compromettere molto la mia pace interna, l’unica che io desideri prima di morire. Ho già scritto all’E.mo Prefetto in proposito della mia rinunzia in favore dell’attuale mio coadjutore, persona capacissima di continuare l’operazione apostolica da me incomminciata sotto tutti i rapporti: la mia volontà è abbastanza dichiarata, ma se desiderano un’atto formale, subito lo manderò, quando saprò che sarà ricevuto. Io poi mi ritirerò dove mi diranno, come semplice Religioso, sotto l’ubbidienza dei Superiori, almeno sino a tanto che il mio nome sia affatto obliato; dopo faranno di me tutto ciò che vorranno. Se voi, come mio compagno, potrete ajutarmi in questo, ecco l’unico favore che vi domando: se no, verrò a Roma incognito quanto potrò, per baciare i piedi del S. Padre, e sentire gli ordini dei Superiori.

Voi poi non mancate di presentare i miei sentimenti di rispetto e di venerazione ai R.mi PP. Procuratore Generale e Definitori, ai quali non scrivo, per non moltiplicare parole nelle attuali mie dolorose e critiche circostanze.

[F. 2v] Vi abbracio nel S. crocifisso in ispirito, e sono sempre vostro

Aff.mo Collega, ed ora Figlio in S. Francesco
† Fr: Guglielmo dalla Piova V.o Cappuccino