Massaja
Lettere

Vol. 5

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Al padre Francesco Ferrero da Villafranca Piemonte OFMCap.
commissario generale – Roma

[F. 2v]Caro P. Francesco e R.mo Generale

Gerusalemme Giovedì Santo [25 marzo] 1880.

Ieri ho spedito la lettera alla posta per voi, ed oggi ricevo la vostra dopo tanti anni: lasciamo da parte la ragioni, che stanno /19/ per voi e per me, con un poco di torto ad entrambi. Per parte mia, non vi nascondo la mia risoluzione di morire nella Missione, e lasciare da parte tutte le corrispondenze, che non sono puramente officiali: pensava di così finirla col mondo, per dedicarmi unicamente all’opera mia; ma, come mi sono sbagliato nella risoluzione di non venir più in Europa, così mi sarò sbagliato anche nel resto. Ciò però non rompe l’amicizia nostra, che si attacca ad un punto molto più alto: lo stesso sarà certamente di voi; e così lodiamo Iddio nelle nostre buone intenzioni.

In quanto alla mia venuta a Roma, sarà immancabile, se non riceverò un dispensa formale da S. Em.a il Cardinale Prefetto, al quale ho scritto pressoché nel senso, che ho scritto anche a voi nella mia lettera di jeri. Riguardo al mio itinerario, eccovelo: partirò di qui oggi-otto Mercordì dopo Pasqua per Giafa; di là penso [f. 3r] andare a Bajrut col primo vapore che troverò, per rifarmi un poco nella salute, e lasciar passare il freddo d’Europa. Al più dopo una decina di giorni in Bajrut, partirò per Alessandria, e di là, col primo vapore o francese o Rubattino, partirò direttamente per Napoli e Roma, ben inteso, se Iddio non mi manderà o la morte, oppure qualche malattia, che assolutamente mi impedisca di progredire.

Voi non conoscete il mio stato attuale di salute; ma posso assicurarvi che sono molto debole e sfinito di forze. Per darvene un’idea, vi dirò che noi siamo partiti di Scioha il 24. Giugno dell’anno scorso, e siamo arrivati l’8. Agosto al campo dell’Imperatore Giovanni, dove siamo stati dichiarati prigionieri di stato, guardati a vista. Io era arrivato colà ammalato di febbri con la metà della carovana, ed ho passato in letto i due mesi di Agosto e di Settembre. Sul finire di quest’ultimo ci fu intimato l’esiglio; e la forza publica, invece di portarci al Nord, strada per paesi sani e non più di tre settimane per arrivare a Massawah, ci condusse al Sud-Ovest, e ci consegnò a Matamma, in tempo che infierivano le micidiali febbri del Sudan. Il nemico non voleva ammazzarci, per iscansare la tacia di crudele in facia all’Europa; ma avrebbe desiderato di vederci morti tutti quanti di malattia. Diffatti ci siamo ammalati tutti, e di quindici, ch’eravamo, non vi era più chi ci facesse bollire un poco di riso, e ci desse un po’ d’aqua da bere. Abbiamo perduti tre Allievi dei migliori; ma Iddio nella sua bontà salvò tutti e tre noi Missionari a forza di tamarindo e quantità favolose di kinino. Non posso qui dirvi tutta la nostra gran miseria e tribolazione in tutto questo lungo viaggio sopra i cameli, sui [f. 3v] quali io in particolare non poteva più reggermi. Dopo mille disastri, sul fine di Decembre siamo arrivati a Tacca (detta anche Kasselà), dove, per la misericordia di Dio, ci aspettava un bravo Cattolico levantino, per nome Antonio Marron, al quale dobbiamo in gran parte la nostra salute ed il nostro arrivo alla costa del Mar Rosso. Non posso descrivere tutto quello, che fece per noi: vedendoci sfiniti e derelitti, non risparmiò danaro e fatica; pietanze squisite e di gran costo, vino che costa uno scudo la bottiglia, e simili, nulla risparmiò a fronte delle nostre ripugnanze. /20/ Dopo 18. giorni di dimora a Tacca, Monsignor Coadjutore con tutti i giovani Abissinj prese la via Sud-Est, per raggiungere Keren, dove vi sono i PP. Lazzaristi, e di là rendersi a Massawah, e quindi ad Axden. Io poi col P. Luigi Gonzaga abbiamo preso la via di Soakim; ma, siccome io non poteva più camminare ne a piedi ne sul camelo, il nostro bravo Antonio Marron immaginò due casse per me e per il suddetto mio compagno, e nelle medesime in 17. giorni di viaggio sopra un camelo siamo arrivati felicemente a Soakim sul principio di Febbrajo. Colà, dopo circa 8. giorni di riposo, ci arrivò molto a proposito il vapore Messina della Compagnia Rubattino, sul quale in 5. giorni siamo arrivati a Suez.

Non posso ora descrivervi la simpatia, con cui sono stato ricevuto, sia sul vapore suddetto, sia in Egitto da Monsignor Delegato, e dai Religiosi di Terra Santa; ve lo dirò poi a bocca: per ora basti il dire che, bisognoso di vesti e di tutto, in un batter d’occhio tutto si trovò, e sono diventato uomo una seconda volta, salve le forze, le quali verranno col tempo, se pure la vecchiaja non ne tratterrà il progresso. Per aspettare qui che si lenisca il freddo d’Europa, ed attendere [f. 4r] le risposte di Roma a mio riguardo, ho preso la risoluzione di venire a Gerusalemme per la via diretta del Cairo, Ismaelia, Porto Saïd, Giafa, e Gerusalemme, ricevuto dovunque con gran simpatia, segnatamente qui da Monsignor Patriarca e da questi buoni Padri di Terra Santa, fra i quali alcuni ancora mi conoscevano. Per darvi un’idea della mia salute, l’altro giorno ho celebrato la Santa Messa sul Calvario, nella quale vi furono molte Comunioni: dopo ho voluto sentire una Messa di ringraziamento; ma, arrivata all’Agnus Dei, caddi svenuto, e passai qualche minuto immobile e come morto. Poi però, sollevato dai circostanti mi rinvenni, e conobbi per mia disgrazia d’essere condannato a vivere ancora [per] qualche tempo (oh! quanto sarebbe stato bello per me morire sul Calvario, dopo aver portata la croce per ben 35. anni di miserabile Missione! ma fui indegno di tanto onore, e la gran Messa a me personale incomminciata con Cristo e per Cristo nella mia consacrazione vescovile non è ancora arrivata all’Ite Missa est...). Da ciò potrete conoscere in quale stato di debolezza io mi trovi, e potrete farlo anche conoscere ai Superiori ed agli amici, affinché non pensino che sia mancanza di ubbidienza e di affezione quella, che mi tiene lontano; ma sibbene da una parte la debolezza del fratello asino, che non vuole più portare il basto della vita, dall’altra una certa prudenza o ripugnanza di mettermi a contatto con certe persone del gran mondo, con pericolo della mia pace interna... intelligenti panca...

Caro P. Francesco mio e Padre mio R.mo, io vi sono poi molto riconoscente per la sollecitudine vostra a mio riguardo, e per la stanza che già mi avete preparata: Iddio vi prepari un luogo glorioso nel gran salone di dimora eterna, dove già ci aspettano tante anime [f. 4v] grandi, che ci hanno educati, ammaestrati ed istruiti; colà, fuori di tutti questi imbrogli di qui basso, con un solo bisogno, quello di amare Dio e lodarlo per tutta la beata eternità.

/21/ Prego Iddio per voi, affinché vi dia grazia e forza, per fare la volontà sua nel duro impiego, in cui vi ha collocato, affinché troviate in esso la vostra salute e quella dell’Ordine nostro cadente. Vi abbracio di nuovo nel crocifisso, e credetemi sempre tutto vostro

Collega e Figlio in S. Francesco
† Fr: G. Massaja V.o