Massaja
Lettere

Vol. 5

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Al cavaliere Antonio Thomson d’Abbadie
esploratore dell’Etiopia – Parigi

F. 283r

Très chère M.r Antonie

Gerusalemme Sabbato Santo [27 marzo] 1880

Benché Le abbia scritto per ben due volte dal Cairo, appena arrivato qui in Gerusalemme avendo ricevuto una Sua lettera non posso dispensarmi dal risponderLe brevemente, benché sempre di una salute molto precaria, la quale mi permette appena di stare in piedi.

La ringrazio del suo bollettino politico sempre caratteristico, e fatto per l’epoca, che spiega in breve la posizione del mondo politico, cosa che io molto amo, perché non avendo giornali, ed anche nel caso non potendo occuparmi a leggere molto trovo sempre nel suo bollettino di che formare un giudizio sull’epoca dolorosa che ci corre.

Nell’impegno di lasciar passare il freddo d’Europa, come tutti mi consigliano dal Cairo sono venuto a Gerusalemme per la via diretta d’Ismaelia, Porto Saïd, Giara, Ramle, e la città Santa, grazie ai vapori di terra e di mare, e grazie alle vetture da Giafa a Gerusalemme; altrimenti [f. 283v] ci avrei neanche pensato più, come cosa divenutami impossibile. Arrivato qui ho dovuto rinunziare a tutte le altre visite dei luoghi Santi, perché non potendo più andare a cavallo, e lungo tratto a piedi, mi sono divenuti impossibili, e così mi sono limitato alla visita del S. Sepolcro, dove sono rimasto cinque giorni nel piccolo conventino che Ella deve conoscere più simile ad una santa prigione, che ad un convento; in questo frattempo ho potuto dire una Messa sul S. Sepolcro, ed un’altra sul monte calvario (dove non mi sono dimenticato di Lei e di Madama d’Abbadie); dopo aver celebrato la S. Messa sul calvario, ho fatto uno sforzo per sentire una Messa di ringraziamento, ma appena questa arrivò all’Agnus Dei, sono caduto svenuto dal genuflessorio ed ho passato qualche minuto fuori di me con qualche disturbo della moltitudine, cosa che in seguito mi privò ancora di questa consolazione... così vanno le cose mie (che bel momento sarebbe stato per me morire la dopo 35. anni di croce!) ma no, perché non son /22/ stato giudicato degno di tanto onore, e così mi trovo ancora obbligato a vivere e strascinare la croce qualche giorno...! ma lasciamo [f. 284r] questa sorte di parlare, altrimenti Madama d’Abbadie anderà in collera, e temo che mi bastoni, se avremo ancora la fortuna di vederci. Sono venuto a Gerusalemme pensando di trovare un clima medio tra il Sudan e quello d’Europa, ma invece appena arrivato qui si spiegò un freddo mai veduto per l’addietro, e nei primi giorni di questa luna pasquale si ebbe qui tre giorni di neve a segno che dovettero gettarla giù dai tetti troppo aggravati della medesima, cosa che mi riprodusse la febbre, e mi tenne otto giorni in letto sotto regime medico.

Oggi trovandomi un poco meglio, ho risolto di partire mercordì dopo Pasqua o al più Giovedì per Giafa, e di là andare a Bajrut, dove, come tutti mi assicurano, potrò ristorare un poco le mie forze per mettermi in viaggio alla volta di Roma. Ecco il piano del mio itinerario, se pure Iddio lo benedirà, itinerario che finirà colla Francia e con una visita a M.r et Madame d’Abbadie, se pure il nostro S. Padre me lo permetterà, perché, come Ella ben sa, una volta arrivato a Roma non sarò più padrone di me. Il P. Luigi Gonzaga è con me, e mi seguirà sino a Roma. Monsignore mio Coadjutore è arrivato in Aden, di dove mi scrisse appena arrivato colà, ma ancora non aveva potuto sapere notizie dell’interno dell’Abissinia. [F. 284v] Credo non mancherà di averLe scritto, e Le avrà certamente raccontato tutte le sue tribolazioni, le quali non sono poche certamente. Il poveretto, calcolato il solo abbandono della sua colonia di Finfinnì e dei Gallan, dove aveva fatto del gran bene, e consummato una parte della sua vita, certamente dovendo trovarsi lontano dal suo caro gregge, questo solo pensiero deve essergli di grande afflizione, ma Ella troppo conosce lo stile della divina previdenza sulle persone particolarmente amate, di non lasciarle in pace con permanente dimora, cosa che non perdonò a Se stesso, appena incomminciata la Sua predicazione, quando questa incomminciava a far brecia, dovette egli pure passare alla parte espiatoria per così compire la sua missione, e darci un’idea del vero apostolato; noi diciamo Messa tutti i giorni, ma in essa non siamo che ministri, la gran Messa che noi diciamo col sacrifizio delle nostre persone a Cristo, per Cristo, e con Cristo, questa incommincia l’introibo nella consacrazione del Prete, e più del Vescovo, ed arriva all’ite Missa est nella morte; io stesso per parte mia sospiro l’ite Missa est.

La saluto e benedico unitamente a Madame d’Abbadie e sono sempre

Suo Servo
† Fr: G. Massaja V.o