Massaja
Lettere

Vol. 5

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« Ammaestramenti di mgr. Guglielmo Massaia »
Bergamo – 24-26 aprile 1883

[P. 9]

Ammaestramenti per l’infanzia

Lo vedemmo, il venerando vecchio, dopo benedetto un gruppo di rispettabili persone, accogliere tra le braccia un fanciulletto, presentatogli dal padre; e segnatolo in fronte della croce, additargli il cielo e dirgli con una dolcezza che non si rende colla penna: « Figliuol mio, sii buon cristiano. Vedi, tutto il resto, al paragone, non conta nulla, meno di nulla. Mentre cammini sulla terra, tieni sempre rivolto lo sguardo al cielo; così avrai conforto a lottare contro le tue passioncelle, che crescono teco, ma assai più di te, se non le terrai in freno. Non invanire, figliuolo, ma pensa che ogni grandezza vera dell’uomo, ogni virtù è in Cristo. Senza di Lui, non vi è che bugia. E Cristo non si conosce bene, non si serve [p. 10] e non si ama davvero, se non colla scorta della Chiesa cattolica. » E così detto, il venerando vecchio stampava un bacio sulla fronte del fanciulletto. La grande distanza di età perdevasi nella somiglianza del candore e della semplicità in quelle due anime; l’una non ancora esperta delle battaglie della vita, l’altra uscitane incolume e gloriosamente vincitrice!

L’educazione senza Dio.

Mgr Massaia, benché abbia passato una metà della sua vita nell’Abissinia, non è per nulla ignaro delle condizioni in cui versa l’Europa e l’Italia.

/172/ L’abbiamo ascoltato esprimere l’affetto col quale in paesi lontanissimi pensava alla sua patria, che ama tanto, che tanto illustrò e illustra nella maniera che si conviene a cristiano, anzi a sacerdote e a vescovo.

L’Apostolo dell’ Africa non si fa illusione sullo stato della società europea. Comprende la grande sventura dell’abbandono in cui lasciano la fede tanti uomini colti del tempo nostro, e di quella massima sbagliata della separazione della istruzione dalla religione.

P. 11 Sapete, miei cari, sapete che è una gran crudeltà, volere che la gioventù ignori Dio, mentre apprende tante nozioni meno importanti, tante inutili e tante anco dannose, perchè intempestive?! Sarebbe buona istruzione e buona educazione quella che ai figliuoli insegnasse tutto lo scibile e lasciasse loro ignorare il padre e la madre? E Dio non è forse il padre delle sue creature?

La scienza atea, irreligiosa è cieca, e pretende guidare chi ci vede: ed è cieca, perché è superba, e questa superbia fa sì che uomini i quali hanno dell’ingegno, che hanno anche studiato, si abbassino al di sotto delle tribù selvaggie presso le quali è corrotta ma non spenta l’idea di Dio e dei doveri che gli uomini hanno verso di Lui.

Il matrimonio e il divorzio.

A proposito di barbari, Mgr Massaia notava il fatto che, per incivilirli, giova principalmente l’introdurre tra di loro il matrimonio cristiano, indissolubile, che proscrive sotto qualsiasi forma la poligamia contemporanea o successiva. Volere o non volere (diceva Mgr Massaia) [p. 12] civile è sinonimo di cristiano. Ove non c’è Cristianesimo non c’è civiltà, quantunque di questa vi possa essere qualche apparenza più o meno vistosa. Istituzione capitale del Cristianesimo è il Sacramento del matrimonio: di qui la stabilità della famiglia, che favorisce l’ordine sociale e il miglioramento del popolo: dico il miglioramento vero, il vero progresso, quello, cioè, che si fa in Cristo e per la Chiesa Cattolica.

— Ed ora, Eccellenza, dinanzi al Parlamento italiano si è nuovamente presentato il disegno di legge pel divorzio.

Il grande Missionario si contristò; e animandosi d’un tratto, sì che l’occhio gli sfavillava, proruppe in queste parole: Meno male atterrare i campanili, chiudere le chiese che offendere la indissolubilità del Matrimonio. Offesa questa, si apre una fonte spaventevole di depravazione nel popolo; e la depravazione fa perdere la religione. Introdotto il divorzio, se il popolo lo prendesse in uso, le chiese si chiuderebbero ben presto, il sentimento religioso, e quindi il sentimento morale verrebbero meno: si tornerebbe alla corruzione pagana e poi alla barbarie. [P. 13] Al matrimonio cristiano devesi in grandissima parte l’incivilimento dei barbari: al divorzio dovrebbesi la decadenza dei popoli più civili. Preghiamo, preghiamo che questo terribile attentato contro la religione e contro la civiltà non venga commesso nella nostra cara patria.

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L’Eucarestia.

Ma bisogna pregare e pregare molto. Bisogna essere davvero buoni cristiani. Anche la scienza, sebbene sia degna di grande stima, senza fede e senza preghiera è un corpo senza anima: se non è conformata alla fede, non è luce, ma tenebre.

Sopra tutto bisogna che i cristiani ricordino che il cibo della loro anima è l’Eucarestia. Senza pascersi di questo cibo, non si può vivere la vita cristiana.

Il venerato Missionario raccontava ai Chierici del nostro Seminario ciò che avvenne a lui:

Era in Africa, in lungo viaggio, con una carovana composta di Mussulmani. Strada facendo, mi accorsi che perdeva facilmente la pazienza, mi turbava, sentiva insopportabili le fatiche del viaggio. [p. 14] Che cosa era? M’avea preso la debolezza, perché da troppi giorni non avevo potuto dire la Messa e ristorare l’anima col Cibo Eucaristico.

Non perdetti tempo. Venuta la sera, e poiché la carovana ebbe fatto sosta, cercai il paese d’intorno, e in mezzo a pochi arbusti, rinvenni un sasso, ove potei acconciarmi un altare. Il giorno seguente, appena sorta l’alba, deposi la pietra sacra sul sasso; tolsi da un involtino gli abiti sacri, il calice, l’ostia e dissi la Messa, stando in ginocchio, perché il sasso non era sufficientemente alto.

Mi trovai un altro uomo: tranquillo, sereno, contento. I Missionari non potrebbero continuare la loro missione, senza il conforto dell’ Eucarestia: credetemelo, parlo per esperienza.

Ebbene, anche i laici, se vogliono avere la forza necessaria a condurre bene la vita, operosamente cristiana, bisogna che tengano l’anima bene nutrita di Gesù Cristo, ricevendolo spesso e colle dovute disposizioni nella Santissima Comunione.

Il venerando Missionario ripete spesso questo ammaestramento e lo inculca specialmente ai membri delle associazioni [p. 15] cattoliche. E con una tenerezza che commuove raccomanda la devozione a Maria Vergine, la Mamma, la buona Mamma, come egli la chiama, a San Giuseppe e all’Angelo Custode.

Le parole del venerando uomo si stampano nel cuore; a stare con lui si sente una pace grande e l’anima diventa migliore.

Gli avoltoi e gli occhi della fede.

Mgr Massaia narrò come in Africa, nelle contrade ove egli passò la vita sieno frequenti le guerre. Quando, ei disse, eserciti di cavalieri si mettono in movimento, tosto sono seguiti da torme di avoltoi; dove gli eserciti fan sosta, s’arrestano anche gli avoltoi. Cominciata la battaglia, tostoché un soldato cade ferito, gli sono sopra gli avoltoi, prima cura dei quali è di offendere la vista al caduto e poi ne fanno pasto. Perché ciò, diceva Massaia? Perché l’uomo cieco è impotente. Cosi (soggiungeva egli) così certi avoltoi, che dilaniano le anime, mirano a offendere nel popolo l’occhio della fede. Spento questo, fanno del popolo ciò che vogliono.

/174/ P. 16 E quando il Presidente della Società cattolica operaia di Seriale (il quale trovandosi a Bergamo, recossi ad ossequiare Monsignore) gli baciò la mano, congedandosi da lui, il Missionario lo segui collo sguardo, mentre si allontanava e gli rinnovò la raccomandazione: « Stia bene attento che ai membri della Società nessun avoltoio offenda l’occhio della fede. »

Il Papa.

Pare impossibile che tutti non si accorgano, osserva Mgr Massaia, come attualmente si miri a umiliare le schiatte latine. Si vogliono rendere del tutto impotenti. Ma state certi che il Papa non sarà abbandonato. Esso sarà salvo e proteggerà con grandissimo profitto la patria nostra, che vedrà accresciuti i benefici fattile dal Papato. Bisogna mantenere il popolo fedele al Papato; bisogna che i cattolici non dimentichino mai che cosa è il Papa. Basta il chiaro concetto dell’autorità papale a dissipare gli errori e i sospetti seminati dalla massoneria e dal liberalismo. Tenetelo bene a mente: dal Papa verrà la salute.

P. 17

Le associazioni cattoliche.

Non fidatevi, ne diceva Mgr Massaia, di questo che chiamano progresso; c’è sì il progresso materiale, ma quando si strombazza il progresso contro il cattolicismo, che chiamano superstizione, il progresso è una torre di Babele. In fondo in fondo, sapete che cosa è il progresso dei frammassoni e del liberalismo? È l’idolatria della materia, del senso, è la ribellione a Dio e alla Chiesa. Sicuro che è così!

— Ma dove si andrà a cascare?

— Ma!... Chi può saperlo come finirà questo disgraziato traviamento di idee? Chi lo può sapere? Però, vedete: il sommo del male può servire a farlo conoscere. Tutti quei nichilisti e internazionalisti devono far aprire gli occhi a molti. Non si vuole ascoltare la Chiesa cattolica e il Papa: ma nulla varrà chiudere l’orecchio allo scoppio delle bombe.

Intanto noi, cattolici, dobbiamo riunirci insieme. Ho veduto a Brescia la bella adunanza diocesana; conosco l’ordinamento dei Comitati parrocchiali, che mi gode l’animo di veder tanto [p. 18] diffusi nella diocesi di Bergamo; conosco il vostro circolo della Gioventù Cattolica, il Circolo Operaio di S. Giuseppe, così numeroso. Così va bene: bisogna dilatare sempre più queste Associazioni, insieme a quella del Terz’Ordine di S. Francesco; bisogna che i cattolici si uniscano tutti in queste Società cattoliche; abbiate pazienza, e vedrete che anche quelli che ora non ne sono del tutto persuasi, finiranno per unirsi a voi. Il Papa lo desidera, e i cattolici devono dare ascolto alla parola del loro Santo Padre. Bisogna proprio ordinarsi tutti, e con una azione continua e legittima tener vivo il sentimento cattolico. Il Papa fa molto assegnamento sulle Società cattoliche, e i cattolici ordinati in esse in tanti gruppi collegati insieme, devono /175/ fidare nella parola del Papa e mettersi nelle sue mani per corrispondere a! suoi desideri e a’ suoi ordini. La salvezza della nostra patria non può venire che dal Papa: ciò è evidente per tutti i buoni cristiani, i quali sanno che il Papa è il Vicario di Cristo.

Un gran bene possono fare alla Chiesa e all’Italia queste Società cattoliche; ecco perché i nemici della religione e [p. 19] quelli che non la amano o non la intendono bene fanno la guerra a queste Società e cercano di renderle o ridicole o odiose. E voi non temete. Avete con voi il Papa e basta. Perché il popolo italiano, che è popolo cattolico, non potrebbe un giorno obbligare i nemici della Chiesa a cambiare contegno? I cattolici si organizzino, si preparino: quando verrà l’ora opportuna, il Santo Padre dirà loro ciò che debbono fare e così concorreranno a salvare la religione e la patria da tanti nemici.

Io sono vecchio (continuava Monsignor Massaia), sono Vescovo: prego e pregherò sempre per le Società cattoliche. Possono fare un gran bene; possono fare un gran bene. Ma bisogna che continuino sempre ad essere docili al Papa e al loro Vescovo, che sono i Pastori.

Morte cristiana di Antinori e Chiarini.

Non state a badare a quello che dicono alcuni, che cioè il sentimento religioso e morale non sieno scolpiti nel cuore umano. Quanti selvaggi ho veduto, quanti barbari, tutti, tutti quanti aveano vivi nell’animo i concetti fondamentali [p. 20] della religione e della morale. Bisogna saperli conoscere i popoli incivili, saperli avvicinare, vederli coi propri occhi, e allora bene si comprende che la religione vi sta naturalmente nel cuore umano. Pur troppo ci tocca vedere fra di noi quello che non si vede tra i barbari, cioè uomini senza fede, uomini senza religione. Sono animi degenerati.

Molte volte però, quando sono tolti al fracasso del mondo, rientrano in sé stessi e ritrovano ancora la fede, che non era spenta ma sepolta, come il fuoco sotto la cenere.

Ho veduto io (continuava Mgr Massaia) quello che avvenne al marchese Antinori. Quando venne in Africa, era come tanti altri, che si occupano di tutto, meno di ciò che più importa, cioè di Dio e della religione. Poveretto, mi faceva compassione! Egli mi voleva bene e veniva a trovarmi più spesso che poteva. Io gli parlava dell’Africa fin che voleva, ma gli parlava anche di Dio. Io mi accorsi del cambiamento che operavasi nell’animo suo: ben presto incominciò a visitare la cappelletta, quando veniva a trovarmi, e andava trattenendovisi ogni volta più in profonda [p. 21] meditazione e adorazione. Così ritrovò nell’anima sua l’antica fede e nel cuore gli rinacque la preghiera appresa dalla mamma; e morì da buon cristiano.

E Chiarini!... Egli non credeva più niente: ma l’Africa gli fu occasione propizia a ridiventare cristiano. Nella quiete, nella meditazione a cui naturalmente invita il vivere quasi senza compagnia, l’anima ritrova sé stessa.

Chiarini era prigioniero insieme al Cecchi: stavano in due capanne separate, sotto custodia, né si poteano vedere. Cecchi non si /176/ era accorto del cambiamento interiore che operavasi nel Chiarini e restò attonito, non credendo bene a sé stesso, udendo un dì la voce di lui, che cantava le litanie della Madonna. Siccome Chiarini era infermo di una di quelle malattie terribili, che incolgono sovente il viaggiatore europeo in Africa, a cagione o della malignità del clima o del veleno preparato dagli indigeni sospettosi, così il Cecchi credette che la violentissima febbre da cui era martoriato lo facesse vaneggiare. Chiese ed ottenne di visitarlo. Sbalordi, trovandolo calmo, sereno, colla mente lucidissima e sentendosi [p. 22] dire da lui: Mio caro, avevo perduto la testa; ma sai, l’ho ritrovata. Sicuro! Fammi chiamare il Missionario, che voglio confessarmi.

— Lo sai bene, il Missionario bianco è morto; non c’è che il nero (cioè un indigeno convertito e consacrato sacerdote).

— Che importa? Fammi chiamare il Missionario nero; è sacerdote e basta.

E Chiarini si confessò, piangendo, e volle il prete al suo fianco per pregare con lui, per esser da lui confortato nell’agonia, perché da lui gli fossero chiusi per l’ultima volta gli occhi.

Bisogna sentire questo racconto dalla bocca di Mgr Massaia: non diremo quello che si prova: si piange.

Il Missionario nota che l’Africa fu per Chiarini e Antinori una insigne grazia di Dio, e poi chiede: Che sarebbe stato della loro anima, se fossero restati in Europa?

La moda.

Chi crederebbe che la moda si connetta colle missioni e colle escursioni geografiche? Eppure è così. Mgr Massaia dice che a furia di complicare la [p. 23] forma degli abiti e moltiplicare bottoni e bottoniere, gli Europei, che vanno laggiù in Africa, vi si trovano impacciati assaissimo. Quanto poi agli Africani, quanto maggiore è la differenza che scorgono tra di sé e i forestieri, tanto più ne diffidano. Vedendo capitare ad un loro villaggio un forestiero col seguito di coloro che gli portano il bagaglio, se ne commuovono, sospettano, temono, e così si aumentano gli ostacoli di entrare con loro in amichevole relazione.

Monsignor Massaia quindi vestiva colaggiù in Africa la sua semplice tonaca da cappuccino; ma non avendo il panno, se la ponea di tela. E per farsi meglio accogliere da quegli indigeni, si è anche annerito il volto tingendoselo con del nitrato d’argento.

Esercitando l’arte medica, Mgr Massaia riuscì ad amicarsi le tribù che volea convertire alla fede cattolica. Infierendo il vaiuolo, si mise a inoculare il virus. Quei poveri Africani, vedendo come in pochi giorni coloro cui Mgr Massaia avea inoculato il vaiuolo ne guarivano, presero un gran concetto di Lui, e questo crebbe sì fattamente, che alcune tribù gli cambiarono [p. 24] il nome di Massaia in quello di Messia.

Il Missionario, scelti dodici fra i convertiti, li ammaestrò in maniera che questi alla loro volta si fecero catechisti degli altri. Mentre Massaia curava gli infermi, che erano portati a lui, i suoi /177/ discepoli giravano tra la folla, composta di centinaia e talora di migliaia di persone, che ne attorniavano la capanna o la tenda, e ammaestravano i loro compatriota nel catechismo, battezzando fanciulli e adulti.

Massaia non si contentava di essere maestro di religione, ma per meglio diffondere la cognizione di questa, insegnava elementi di astronomia, di botanica, di zoologia; insegnava i lavori più utili alla vita, come cucire, fare sandali, lavorare il legno, ecc. Così che l’istruzione per lui guidava alla fede e la fede favoriva l’istruzione, con quella armonia che deve esistere ove splende la luce della civiltà cristiana.

P. 25

I giornalisti.

Eh i giornalisti! (diceva a noi Monsignor Massaia) Possono fare del gran bene o del gran male, secondo che sostengono o combattono la verità. Questa sta nella Chiesa. Pare impossibile che ce ne sia tanti i quali negano o fingono di negare Iddio e ostentano irreligione, guastando il popolo con estrema ruina.

Sentite questa (continuava il venerando vecchio). Mi trovava in Africa, alla corte del re Menelik. Ed ecco che furonvi portate delle scatolette di zolfanelli, sulle quali, come si usa, erano raffigurate mille figure grottesche e mostruose. Sopra l’una vi era un nano col capo estremamente grosso: sull’altra un omiciattolo con tanto di naso (e così dicendo, portava la sua destra al volto e coll’estremità del pollice toccava la punta del proprio naso). Bene, quei poveri Africani, vedendo quelle figure, non poteano trattenersi dal riderne sgangheratamente. Ma sapete, che cosa dicevano?... Rivolti a me, parlavano così: Ah! voi venite qui a narrare che nei vostri paesi siete molto [p. 26] inciviliti e ci sono tante belle cose: ma non ce la date ad intendere, no. Voi siete barbari, voi: perché, guardate qua (e accennavano le scatolette), siete bruttissimi e deformi. E finivano congetturando che io (Massaia), non essendo deforme come quelle figurine, avessi dovuto scappare dal mio paese, cacciatovi dai miei concittadini, tutti deformi, e rifuggirmi presso di loro.

Così i giornali atei o non rispettosi della religione finiscono per far credere che gli atei e irreligiosi sieno molti, mentre in fondo in fondo sono pochi e così fomentano il rispetto umano, onde molti si inducono poi a ostentare un’incredulità che non hanno nel cuore. È incredibile il male che si fa in questa maniera.

E sapete poi quello che avviene? I miei Africani, quando ci capitava colà alcuno che sapesse interpretare loro di questi giornali o che mostrasse egli stesso la incredulità, ne restavano stupefatti, perché a loro non pare possibile che vi sia gente che non crede in Dio. Si ha un bel chiamarli barbari, ma di quelli che così li chiamano ve n’ha che sono più barbari di loro. Quei poveretti, sebbene [p. 27] ingannati da molti errori, hanno però il concetto della Divinità e della soggezione che devono ad essa tutte le creature. Massima barbarie è distruggere questo concetto e negare l’ossequio a Dio.

/178/ Scrivete questo fatto delle scatole dei zolfanelli (diceva a noi Mgr Massaia); bisognerebbe che i giornalisti, che non rispettano la religione e propalano gli scandali, l’avessero sempre presente: forse ne avrebbero qualche efficace ammaestramento. Lo farete?

— Senza dubbio, Monsignore.

— E poi un’altra cosa. Voi altri giornalisti mi perseguitate.

— È impossibile.

— Sì, signore, mi perseguitate. Andate scrivendo tante cose di me, che davvero fate tutto il possibile per farmi stare nel Purgatorio. Avete un bel parlare di apostolo e di martire, ma io che cosa ho fatto, infine? Che cosa sono? Un povero frate e nient’altro che un frate. Ben è vero che il desiderio sincero di servire Iddio e di far del bene in Cristo al mio prossimo l’ho avuto e l’ho ancora: ma poi che cosa ho fatto? Pochissimo: che cosa faccio? Nulla. Ci vuol altro a essere apostolo [p. 28] e martire. Nostro Signore non è come gli uomini. Questi fanno in un momento a fabbricare i martiri e adesso più che mai; che questo nome si dà perfino a persone immonde. Ma nostro Signore vuole perfetta purezza nelle opere dell’uomo: e le scruterà sottilmente. Bisogna essere buoni e perfetti cristiani: tutto il resto è vanità, che non conta o colpa che bisognerà purgare. Sì, sì, vediamo di essere tutti buoni cristiani: il martirio del combattere i propri difetti tutti possiamo e dobbiamo incontrarlo. Sapete voi quanto sarebbe felice l’uomo e veramente grande un popolo composto tutto di buoni cristiani? Via, via le vanità. Siamo buoni cristiani: questo è ciò che importa.

Mgr Massaia rifiuta gli onori della rivoluzione.

Un fatto caratteristico nella vita di Mgr Massaia, è quello che risguarda l’onorificenza di cui voleasi insignirlo dopo il suo ritorno in Roma, onorificenza da lui cortesemente rifiutata.

Il 23 settembre 1880 l’on. Baratieri, [p. 29] quale Segretario del Comitato africano della Società Geografica, si recava a visitare il Missionario, per presentargli, a nome di S. M. il Re Umberto, le insegne di Grande Uffiziale dell’Ordine Mauriziano.

Monsignore si mostrò grato a chi voleva onorarlo con quelle insegne, ma soggiunse di non poterle assolutamente accettare: primieramente perchè egli era al tutto alieno da qualunque onorifica distinzione, a cui aveva per sempre rinunziato abbracciando lo stato religioso; in secondo luogo, perché questa distinzione gli sembrava sconveniente colle condizioni luttuose in cui trovavasi la Società Geografica Italiana, pel cattivo riuscimento dell’ultima spedizione.

Per circa tre quarti d’ora durò la conversazione sulle cose dell’Africa, quando vennero annunziati due visitatori. Erano il ministro Villa e l’Avvocato Bertoccini. Il Villa s’unì cogli altri per pregare Monsignore, affinché accettasse le insegne, e fu allora che il venerando Missionario, a fine di declinare l’onore che gli veniva fatto, disse in tono serio, sebbene amichevole: poter lui a stento prestar /179/ fede [p. 30] ai complimenti che gli venivano rivolti, in quanto venivan fatti a nome di un Governo che procedeva poi allo spoglio della Propaganda che lo avea inviato in Africa e sostenuto per 35 anni.