Massaja
Lettere

Vol. 5

/324/

1182

Intervista di M. a Giuseppe Dalla Vedova
segretario della Società Geografica Italiana – Roma

* [Roma] 19 Febbrajo 1887.

[P. 1] Sul trattato Hewett

D.Johannes disse all’ultimo inviato inglese, di non avere più il documento del trattato Hewett. Che pensa di questa risposta?

M.La credo sincera. Gli Abissini non danno nessun valore a tali documenti. I patti che conchiudono fra loro, anche fra capi, non sono che verbali.

D.Ma allora, che sicurtà ne resta ai contraenti?

M.La sicurtà viene dalle formalità con cui i patti si concludono; cioè essi sono stabiliti in presenza di testimoni (che d’ordinario sono i capi dipendenti) e confermati colle solennità del giuramento; tra le quali la principale è l’uccisione di una pecora o in qualche caso più solenne di un bue, coll’aspersione di sangue fra i contraenti ecc.

D.E quando i testimoni muoiono?

M.Questa non è una difficoltà. I patti sono sempre strettamente personali a chi li giura. Muore un Re o un capo e muojono con esso (se pur durano tanto) le sue stipulazioni. Anzi bisogna dire che le promesse, in genere, invecchiano presto. Anche l’omaggio /335/ annuale, che devono prestare i capi, dimostrerebbe quasi che dopo un anno, la fede ha già bisogno di essere rinnovata!

D.Ma e gli ostaggi?

M.Ostaggi ne danno difficilmente, solo da inferiore a superiore, ed anche quelli possibilmente in modo da salvare le apparenze.

D.Così non, v’è modo di essere mai sicuri di loro.

M.Press’a poco. Ogni mutazione di capo rimetterà sempre tutto in forse. Ma possono prodursi interessi comuni fra i contraenti, che s’impongono perennemente a qualsiasi capo. E se il capo è morale, la sua parola, non quella scritta sulla carta, ma quella consacrata dai riti, ha in ogni modo non poco valore.

[P. 2] 1. Sulla Salina del Lago di Assal.

D.Che diritti ha lo Scioa su quella Salina?

M.Sono diritti che si collegano alla storia di tre secoli fa, quando il dominio dell’Abissinia si estendeva fino al golfo di Aden. Ma colle vittorie di Mohammed Gragn, signore dell’Harar, quei diritti sono stati sospesi; sebbene i Re etiopici non vi abbiano mai rinunciato. Non è esatto, che gli Adal (Danakili) paghino in genere dogana e tributo per la salina. Gli Adal che si servono della salina, pagano a Menilek la dogana solamente se ed in quanto importano il sale nello Scioa e pagano il tributo se Menilek viene o manda a prenderlo colle armi.

D.Che cosa sarebbe da rispondere a Menilek in questa questione?

M.Io penso che sarebbe meglio non immischiarsi nei litigi tra Francesi e Scioani. Del resto l’Italia, che oggi non è alleata della Francia e che ad Assab trovasi in una specie di concorrenza con Obok, può trovare in questi fatti delle buone ragioni per rifiutarsi, facendo presente che il suo intervento potrebbe più presto aggravare che migliorare la situazione.

D.E non sarebbe meglio non rispondere affatto?

M.Credo il contrario: Menilek, che è in grado di apprezzare i motivi ragionevoli di un rifiuto, si sentirebbe certamente offeso del silenzio. Anzi bisognerebbe rispondere al più presto.

[P. 3]II. Sulla ambascieria.

D.Da che motivo può essere stato indotto Menilek a scrivere questa lettera?

M.Motivi ce n’è più d’uno. Egli vuole primieramente far intendere, che gli duole di non essere stato preventivamente avvisato delle occupazioni italiane sulla costa del Mar Rosso e sulle vere intenzioni che guidarono l’Italia nelle medesime, in rapporto a progetti di conquiste su territori etiopici.

D.Crede che Menilek potesse considerare quelle occupazioni, come i primi passi di una progettata occupazione dell’Abissinia?

M.Non è improbabile. Il concorso sempre più frequente di viaggiatori europei in quel paese doveva naturalmente far sorgere nell’animo di quei capi l’idea, che gli Europei, anzi i governi europei, ne facessero un gran caso.

/336/ D.Ma come c’entrano i Governi, se la massima parte del viaggiatori sono semplici privati?

M.C’entrano pur troppo nella mente di quei re; prima, perché essi non fanno certe distinzioni e non ammettono certe libertà di movimento nei sudditi dei Re; poi perché i viaggiatori, (questo glielo posso garantire io) vi si spacciano abitualmente come inviati dei Governi e non mancano di dichiarare p. es., che se saranno perseguitati, o non saranno protetti, saranno vendicati dai loro Re.

D.Ma Assab sarebbe una base di operazione troppo incomoda per eventuali assalti contro lo Scioa.

M.È vero; sarebbe assai meglio per ciò Tegiurra. Ma voi [p. 4] avete occupata anche Massaua.

D.Però Massaua ha tutti i suoi rapporti coll’Abissinia propriamente detta e non con lo Scioa.

M.È vero, ma Assab è più alla portata delle strade che vanno allo Scioa che di quelle conducenti in Abissinia. D’altronde Menilek non conosce, né può facilmente valutare la ragioni per cui l’Italia occupò militarmente anche Assab; tanto più poi dopo l’occupazione militare di Massaua, che dovette sembrargli il secondo passo di un piano militare combinato ed esteso agli sbocchi principali di tutta l’Etiopia.

D.Sta molto a cuore a Menilek l’integrità dell’Abissinia?

M.Bisogna distinguere. Per l’intima conoscenza che ho di Menilek ho la convinzione ch’egli, se credesse di potersi ribellare con fortuna contro Johannes, lo farebbe. – Ma di fronte agli stranieri egli non sarebbe meno geloso di questo, delle conquiste ch’essi facessero nell’interno.

D.Per quali altri motivi crede che Menilek abbia inviata questa lettera?

M.Un altro motivo è la ragione di convenienza ch’egli stesso adduce. Avendo ricevuto l’Antonelli come inviato d’Italia, egli si crede in debito di ricambiare l’invio prontamente. Ma l’Italia non ha mai stabiliti rapporti di buon vicinato con Re Johannes né s’è mai intesa con questo circa l’occupazione di Massaua. Re Menilek non può quindi mandare una pubblica ambascieria a chi non è amico del suo alto Sovrano.

D.E intanto non rimanda neppure l’Antonelli! Crede [p. 5] che Menilek lo tratterrà anche in seguito?

M.Non credo che Menilek lo tratterrebbe a viva forza; ma non ne affretterà certo il ritorno, perché affrettare questo invio senza il ricambio dell’ambasciata pare agli occhi di Menilek atto scortese. Poi bisogna vedere se l’Antonelli stesso crederà di lasciare lo Scioa in momenti in cui può credere che la sua missione non sia compiuta e che la sua presenza allo Scioa possa tornar utile all’Italia.

D.Menilek è uomo intraprendente?

/337/ M.Questa è una qualità indispensabile, almeno entro certi limiti, a tutti quei principi. La loro autorità, come pure le loro ricchezze dipendono essenzialmente dalla frequenza di spedizioni o escursioni guerresche (zemeccià) sulle tribù vicine. Da queste essi raccolgono riputazione e ricchezze per tenersi fedeli i principi vassalli (Ras).

D.Menilek sarà sempre fedele a Johannes?

M.Non posso dirlo. Nei primi anni del suo governo egli era sovrano indipendente dello Scioa. E quando Johannes gl’intimo guerra, furono i suoi Ras a costringerlo alla sottomissione, rifiutando di battersi con Johannes. Il giorno che i Ras credessero il contrario, è probabile ch’essi stessi inducano Menilek a rifiutare l’omaggio ed il tributo.

D.Menilek è nostro amico fidato?

M.Ecco. Menilek ha un animo assai più ben disposto, che Johannes, verso gli Europei in genere, perché è molto intelligente, non ha fanatismo o pregiudizi locali, intende, riconosce ed ammira la superiorità delle arti europee ed i vantaggi che ne possono [p. 6] venire al suo paese ed al suo governo. Malgrado molte dure sperienze fatte con avventurieri europei che lo ingannarono, egli accoglie volentieri nuovi venuti e li tratta relativamente bene. Johannes al contrario è per sua indole assai meno ammiratore degli Europei, più freddo e sospettoso verso di essi. Però io, che fui per tanti anni l’amico di Menilek e che da Johannes fui maltrattato e cacciato, confesso che fra i due credo più costante e fedele Johannes. Se Johannes dà una parola, si può contarvi assai più che sopra una promessa di Menilek.

D.Che impressione crede che faranno le notizie di Saati sull’animo di Menilek?

M.Impressione non favorevole all’Italia. Esse giungeranno a lui da fonte abissina e quindi sarà gettata sugli Italiani la colpa delle ostilità e saranno esagerati fino all’incredibile i successi del combattimento di Dogali. Menilek dovrà quindi avere tanto maggior cura di non mostrarsi, innanzi agli occhi di Johannes, in buoni rapporti cogli Italiani; e ciò specialmente finché questi possono apparire come battuti.

D.Ne verranno cattive conseguenze per i nostri che si trovano nello Scioa?

M.Certo che dei vantaggi no. Non dico già che ci sia nulla da temere per le loro persone. Nella peggiore ipotesi, Menilek farà condurre tutti gli Italiani al confine, come fece tempo addietro, coi missionari.

D.Crede che sarebbe bene attendere a rispondere a Menilek fino a che siano composte le cose di Massaua?

[P. 7] M.Credo il contrario. Io spiegherei a Menilek, se ciò ancora non fu fatto, le ragioni e intenzioni dell’Italia nella occupazione delle coste del Mar Rosso, esporrei i tentativi non riusciti d’intendersi con Johannes, il contegno di Ras Alula, la vera importanza /338/ del fatto di Dogali, dichiarerei soddisfacentissime le ragioni per cui non fu ricambiata l’ambasciata; e se non esistono motivi per far rimanere l’Antonelli nello Scioa, inviterei il Re stesso ad ajutarne il pronto ritorno.

D.E se si chiedesse al Re e si offrisse a lui una alleanza?

M.In questo momento non è da parlarne. Ed anche dopo una vittoria nostra su Johannes, sarebbe preferibile una pace col nostro vicino, che una alleanza coll’amico lontano.

Sulla conquista dell’Harar.

D.Che dice della conquista dell’Harar fatta da Menilek?

M.È cosa che non mi sorprese. Parlavamo di questa impresa ancora nei tempi ch’io ero presso di lui. L’Harar come gli altri paesi del Gimma, Ghera, Coffa ecc. da lui conquistati negli ultimi anni, appartenevano all’impero etiopico nel 1500 e andarono perduti per le vittorie del solito Mohammed Gragn. Menilek, che non è uomo comune, ha intrapreso la rivendicazione degli antichi domini e, come si vede, procede sistematicamente sulla sua via.

D.Crede che si colleghi con questo concetto anche la rivendicazione delle Saline di Assal?

M.Non ne dubito.

D.Ma la restaurazione non sarà intera, finché rimane un regno di Abissinia distinto dallo Scioa, e verso il quale lo Scioa è nella condizione di vassallo.

[P. 8] M.Quanto a questo si vedrà che cosa accadrà, se Menilek potrà procurarsi il numero di fucili e cannoni che può credere necessari ad un tentativo fortunato. Ma fino a quel giorno egli si accontenterà di occupare terre perdute, agguerrendo i suoi ed acquistandosi la riputazione di guerriero vittorioso. È già un fatto degno di molta considerazione che queste imprese di Menilek non sono più semplici razzie, ma si convertono in vere occupazioni stabili, con governatori e presidi amarici.

D.Crede che Menilek pensi anche alla conquista permanente dello Aussa?

M.Ciò dipenderà dal contegno dell’Anfari. Il dominio dell’Aussa è di gran lunga meno rimuneratore di quello dell’Harar. L’Aussa è più povero dell’Harar e non è traversato dalla via principale delle carovane più importanti. Perciò se l’Anfari avrà cura di non offendere gl’interessi di Menilek o tutt’al più di riconoscersene tributario, credo che rimarrà al suo posto.

D.E i nostri possessi di Assab hanno da temere qualche noja in seguito alla conquista dell’Harar?

M.Nulla, credo io, finché ci contentiamo della costa e purché non trascuriamo di rassicurare Menilek sulla portata delle nostre intenzioni e di mostrargli considerazione e riguardo.

Sulla cose di Massaua.

D.Che dice della presente situazione dei nostri a Massaua?

M.La questione è molto complessa.

/339/ D.Militarmente parlando li crede in pericolo?

[P. 9] M.Quanto alle isole, no. Quanto ai forti sulla costa e quello di Monkullo, se sono ben fortificati, coi sistemi nostri e buone bocche da fuoco, neppure. Gli Abissini non riuscirebbero in un assalto contro di quelli e forse, dopo l’esperienza fatta, neppure lo tenterebbero, e non si cimenterebbero neppure in un assedio, perché sanno troppo bene di poter essere presi in mezzo o molestati dal mare.

D.Crede che torneranno in questi giorni alla carica?

M.Finché non si rifortificano Saati e Uahà, io credo di no; perché già hanno ottenuto nella sostanza ciò che volevano e inoltre hanno potuto persuadersi dal primo saggio, che la cosa sarebbe più difficile di quanto evidentemente si figuravano.

D.Ma se non vengono loro, bisognerà andarli a cercare.

M.Sarebbe un’impresa d’immensa difficoltà. Costerebbe gravissimi sagrifizì di danaro e di vite, senza nessuna utilità pratica. Serva d’esempio la spedizione inglese. E noti che gl’Inglesi adoperarono in gran parte soldati non europei e gli Abissini d’allora erano infinitamente peggio armati ed organizzati di adesso.

D.Dunque si dovrebbe finirla così?

M.Non dico questo. Se si vuol mantenere il punto d’onore, basta rioccupare e conservare Uahà e Saati. Per far ciò vi sono due vie. O procedere militarmente, mettendosi in grado di conservare, anche contro il volere dell’Abissinia, quello che si occupa; oppure aprire con l’Abissinia delle trattative che conducessero allo stesso risultato, facendo persuaso Johannes[:] 1º che non s’intende di rinunciare in nessun caso al possesso di quei due luoghi; 2º che quelle occupazioni non devono prendersi in [p. 10] verun modo come minaccie contro l’Abissinia.

D.Ma, stando ai giornali, questo era già stato dichiarato a Ras Alula.

M.È vero, ma era troppo tardi. Io non so se sia stato bene ispirato il pensiero di occupare Massaua. Quello che mi parve sempre un grosso errore fu il non essere entrati in accordi con Johannes fino dal principio. Per Assab si è pure entrati in rapporti coi Danakili vicini ed anche coll’Anfari d’Aussa. Perché non si è fatto lo stesso con Johannes? E non si è avvertito che mentre i Danakili sono delle tribù poco numerose, male armate e disgregate, l’Abissinia, per l’Africa, è una vera potenza, uno stato abbastanza popoloso, organizzato e bene armato (relativamente) e ha per se gli stessi vantaggi naturali che ha in Europa la Svizzera, nelle immense barriere de’ suoi monti, assai più alti e meno accessibili degli Europei. C’è tra i Danakili e gli Abissini una differenza infinita, ed il Negus ha un concetto altissimo della propria superiorità.

D.Però gli accordi coll’Abissinia erano stati tentati e non potevano continuarsi senza offesa della nostra dignità.

M.Io non sono di questo pensiero. Bisognava continuare. Gli indugi in Africa non significano rifiuti e sono affatto nell’indole del /340/ paese. Bisognava insistere e sopratutto bisognava trovar l’uomo adatto alla difficile e disagiata missione. Un nostro generale d’esercito è per natura una persona a ciò disadatta. La dignità africana è assai meno esigente della dignità europea. Occorreva una persona della pasta del Conte Antonelli. Alla nobiltà della nascita, di cui gli Abissini fanno gran conto, poteva aggiungersi l’altezza del titolo col quale fosse fatto viaggiare. Ma occorre sopratutto una persona [p. 11] che conosca le consuetudini locali, sappia e possa pazientare, sia prudente ed astuto negoziatore, come sono gli stessi Abissini; e questa persona dovrebbe rimanere, se non stabilmente, almeno quanto più a lungo è possibile sul luogo, non solo per trattare gli affari, ma altrettanto per conoscere e sventare le mene degli invidiosi – che non mancheranno, e non mancarono di certo.

D.Tutto questo potrà farsi in avvenire; ma per il presente bisogna dare una lezione.

M.La lezione sarà difficile che la possiate dare; perché delle due una: o voi avete, caso per caso, le forze sufficienti, e gli Abissini, informatissimi delle vostre mosse (come non potrete mai essere voi) non si faranno trovare così facilmente; oppure non avete le forze sufficienti (s’intende sempre, caso per caso) e vi esporrete alla eventualità di creare nuovi martiri e nuovi eroi certamente, ma non altrettanto a quella di vincere.

D.Dunque Ella crede che sia inutile di mandare molti rinforzi a Massaua?

M.Non dico questo. Buone munizioni da guerra e da bocca non saranno mai troppe. Ma quanto ad uomini nostri, la cosa è diversa. Certo, in questo momento l’Italia deve far vedere che piglia la cosa sul serio e che può disporre di molte forze. Ma nello stesso tempo vorrei che si tentasse la via delle trattative. Prima e dopo il combattimento ne hanno dato essi stessi l’esempio.

D.E tutti i nostri soldati caduti?

M.Nulla esclude che nelle trattative possa comprendersi una domanda [p. 12] di riparazione, appoggiando la domanda coll’apparato delle forze; come d’altra parte i patti che ne seguissero dovrebbero essere sanzionati da garanzie reciproche, a modo africano, come p. es. ostaggi abissini nelle nostre mani, qualche regalo a scadenza fissa a Johannes.

D.Ma non Le pare che questo sarebbe un diventare tributari dell’ Abissinia?

M.Non bisogna confondere l’Africa coll’Europa. Se si hanno loro ostaggi nelle mani, non c’è più idea di dipendenza o inferiorità.

D.E quanta truppa dovrà rimanere stabilmente sul luogo?

M.Di ciò non m’intendo. Ma ad operazione compiuta, è inutile lasciare molti armati sul luogo. È da ricordare tra le altre cose, che in quei paesi non si fa guerra per tutto l’anno, ma in via ordinaria, solo tra il novembre ed il maggio. Negli altri mesi il caldo e le pioggie tengono la gente a casa; ed è inutile lasciar /341/ patire troppi de’ nostri soldati in quella fornace che è Massaua nella state; a meno che non vogliate assalir voi proprio in quella stagione.

D.Ma in quella stagione non si potrebbero mandare nei Bogos?

M.Se il paese dei Bogos potesse essere posseduto da noi sicuramente e tranquillamente, allora sì. Ma ciò non lo credo possibile, e per le pretese degli Abissini, e per la troppa distanza e per la difficoltà eccezionale delle vie e l’irrequietezza delle tribù frapposte tra Keren e Massaua. In genere io sconsiglierò sempre dalla occupazione di qualunque luogo alquanto lontano dalla costa.

D.Ma se si devono condurre delle trattative con Johannes, chi assicura che non maltratti i nostri ambasciatori e così ciò ci metta in condizioni ancora più difficili e insanabili?

[P. 13] M.Ma Ras Alula ha trovato il modo di trarsi d’impaccio. Egli ha presi degli uomini nostri, ne ha mandato uno, tenendo gli altri per ostaggi. Bisogna essere abili quanto lui, ogni qual volta non sia possibile di fare altrimenti.

D.Trovato il modo di uscire dalle presenti difficoltà, che cosa pensa Lei dell’avvenire di Massaua?

M.Io penso che stabilite relazioni regolari o almeno tollerabili coll’Abissinia e ciò avverrà, almeno finché dura Johannes, quando egli si convinca che non si vuole attentare alle sue possessioni ed ai suoi diritti, potrà avviarsi un certo commercio per Massaua coi paesi Galla, cogli abissini e principalmente col Sudan egiziano; ma questo commercio compenserà, da solo, assai scarsamente i dispendi e le complicazioni a cui sarà esposto lo stato europeo che ne avrà il possesso. È vero che i Governi devono tener conto anche di altri riguardi, in tali cose, molto diversi da quelli puramente commerciali.