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7.
Due spedizioni all’Ennèrea.
«La macchia del sangue» di Plowden e Bell.

corriere di abba Baghibo a Gama, ed a noi Circa la metà di Settembre, mentre noi stavamo pensando alla spedizione ad Abba Baghibo re di Ennerea, come già sopra abbiamo detto, questo re, prevenuto dalle notizie, già aveva pensato a noi, ed ecco arrivare a Gama una spedizione con regali, la quale, oltre agli affari d’interesse che sempre si suppongono, era particolarmente incaricata di presentarci i suoi saluti, accompagnati da un carico di caffè in regalo; i messaggieri erano particolarmente incaricati di farci conoscere il vivo desiderio del loro padrone di vederci, e la sua disposizione di prendere tutte le misure per mandare egli stesso a prenderci subito che da noi avesse ricevuto il menomo segnale della nostra risoluzione di andarvi.

[p. 89] [spedizione con regali e lettera:
giu. 1853]
Il messaggio non poteva arrivarci più a tempo; i regali già erano preparati, e tutto era disposto per parte nostra; fu chiamato un mussulmano e si scrisse una lettera, nella quale pregavamo abba Baghibo di gradire il nostro piccolo regalo, e quindi gli facevamo conoscere la nostra risoluzione di andare qualcheduno di noi a Kafa, e lo pregavamo di prendere le sue misure per aprirci la strada dal Gudrù all’Ennerea, e poscia dall’Ennerea a Kafa. Appena i messaggieri ebbero finito i loro affari, e fissato il giorno della partenza si organizzò la spedizione, composta di due persone, una della missione incaricata della lettera, e dei regali coll’aggiunta di alcune conferenze particolari, ed un’altra persona di Gama, le quali furono unite ai messaggieri; il sacerdote indigeno abba Hajlù Michele si unì ai medesimi sino a Lagamara, per consolare Abba Gallet, di cui si parlò sopra.

[abba Hajlù a Lagamara] L’arrivo di Abba Hajlù a Lagamara fù una vera festa per tutta la casa di Abba Gallet. Il Sacerdote indigeno si fermò otto giorni, pendenti i quali ha potuto istruire quel buon vecchio [p. 90] che tanto lo aveva desiderato, ed una gran parte della sua famiglia. Il prete aveva preso con se il necessario per celebrare la S. Messa, ed amministrare l’Eucaristia al solo vecchio, qualora avesse creduto poterlo fare senza inconve- /65/ niente, calcolato anche lo stato della sua salute per ogni casò che vi fosse il timore della sua morte (1a). Per l’amministrazione del battesimo ad altri poi gli aveva detto di aspettate un’altra volta, dopo qualche tempo, pensando alla spedizione all’Ennerea, la quale avrebbe dovuto passare colà. Il P. Hajlù Michele ritornò da Lagamara molto consolato, lasciando il buon vecchio molto contento di essersi confessato e communicato; ritornando portò con se due giovani della famiglia per essere istruiti.

[un grave timore] Gemma Nunnu confinante col Gudrù al Sud avendo inteso che noi avevamo spedito [messaggeri] ad Abba Baghibo re di Ennerea collo scopo di recarci colà incomminciò a fare i suoi conti e ci aspettava al nostro passaggio per il prezzo del sangue sparso dieci anni prima dai due viaggiatori Walter Plauden e Giovanni Bel inglesi [viaggiatori], perché tutti gli Europei, o altre [p. 91] razze, anche orientali, del nostro colore sono considerate presso i Galla, come di un solo paese, e come fratelli, epperciò risponsabili. Come questa questione, è troppo importante, e può servire di lezione non solo ai missionarii, ma agli stessi viaggiatori, facio qui una piccola digressione, e prendo la storia dal suo principio sino al fine, perché non conto di ritornarvi più.

[Antonio d’Abbadie a Asàndabo: 11.5.1845;
a Cobbo: 5.7.1845;
a Saka: 18.7.1845
Bell e Plowden: 2a metà 1845]
Sul fine del 1843., se non erro, essendo partito per l’Ennerea il Signor Antoine d’Abbadie, come già sopra ho notato, questi due giovani viagiatori inglesi, i quali si trovavano in Abissinia, si misero in capo di seguirlo per un certo impegno di onore nazionale. Passarono il Nilo ed entrarono in Gudrù muniti di armi e di munizioni da guerra. Arrivati al confine Sud del Gudrù entrarono nella casa di Guluma Duki, in quel tempo Abba Dula del Gudrù (abba Dula[:] cioè condottiero d’armata), il quale si trovava in guerra coi suoi vicini di Gemma Nunnu, al Sud, sulla loro strada per l’Ennerea. Gulumma Duki, contento nel suo cuore d’aver trovato questi due soldati armati di fucile, cosa molto rara in quell’epoca, naturalmente rifiutò di lasciargli pasare sul pretesto che andavano ai loro nemici [p. 92] per ajutargli a battersi col Gudrù. Gli trattò molto bene, accordando loro tutto quello che potevano desidera- /66/ re due giovani, non ancora arrivati ai 20. anni di età, senza esperienza, e sotto la pressione delle più vive passioni.

[combattimento e uccisione] Venne intanto il giorno del combattimento trà il Gudrù e Gemma Nunnu; i nostri due viaggiatori non avrebbero voluto prender parte, ma parte per convenienza, e parte per forza dovettero andare coll’armata. In tutto il combattimento non hanno voluto sparare il loro fucile, perché ancora non avevano rinunziato al loro viaggio per l’Ennerea, ma ad una cert’ora separandosi la mischia, e ritornando il Gudrù [ai loro villaggi], i nemici disprezzando i due viaggiatori come imbecilli gli seguirono per ucciderli, e quando arrivarono ad un certo punto da pericolare la loro vita si voltarono indietro e spararono.

[la macchia del sangue] Sgraziatamente cadde ucciso da Walter Plauden lo stesso Abba Dula di Gemma Nunnu, una delle prime persone di quel paese. Dopo qualche tempo si fece la pace trà Gemma Nunnu ed il Gudrù, ma nel trattato di pace Gemma non volle acettare l’articolo di pace coi bianchi. Il Gudrù avendo come obligato i due viaggiatori [p. 93] a combattere non doveva acettare una pace così umiliante per gli europei. Ma intanto fù acettata, e lo stesso [Antonio] d’Abbadie di ritorno dall’Ennerea dovette fare un gran giro verso il Liban più all’Est per sottrarsi da tutte le influenze di Gemma Nunnu, altrimenti non sarebbe più arrivato in Gudrù, ne in Abissinia, ne in Europa. La machia del sangue in quei paesi è una macchia che non si scancella se non col sangue; è una legge del taglione [accolta] da tutte le società barbare non bastantemente organizzate, [come] unico ritegno, altrimenti si distruggerebbero trà loro. Noi europei la chiamiamo una barbarie, e sarebbe tale, quando un paese possedesse un giudice competente e risponsabile nel suo governo, ma dal momento che questo non vi provede più resta a vedere se non rivive nella società il diritto di propria conservazione, quando si abolisse la pena di morte, come si vorrebbe oggi.

[conseguenze per la missione] Nel caso della storia presente la macchia del sangue versato da Plauden in Gemma Nunnu impedì sempre il nostro passagio [p. 94] per quel paese, anche dopo molto tempo, benché già conosciuti e venerati come preti in quasi tutti quei contorni; nel 1862., cioè dieci anni dopo il nostro arrivo in quei paesi, e venti anni dopo la storia di Walter Plauden, servendomi della molta influenza [acquistata] in tutti quei paesi, ho sollevata la questione facendo parlare valenti procuratori, sia dalla parte di Lagamara, che dalla parte del Gudrù, [e] colla massima difficoltà, furono esclusi dalla parentela di Plauden i soli Preti, come persone innocue, a condizione che fossero accompagnati e dichiarati tali da /67/ un giudice detto Gadda o di Lagamara, oppure del Gudrù; ma non mi fu possibile [di] ottenere la pace generale per tutti gli europei.

[osservazione] Se i due viaggiatori Walter Plauden, e Giovanni Bel fossero andati in Gudrù come semplici uomini religiosi, oppure dotti senza armi di sorta, come ha fatto Antoine d’Abbadie, sarebbero passati, mancomale colle debite cautele, senza sollevare questa famosa questione; ma nel cuore dei suddetti bolliva un sangue marziale, e non vollero lasciare [p. 95] le loro armi, per questa ragione andò a male il loro progetto. Ciò che acadde a loro accadrà sempre a qualunque europeo che voglia andare fra i selviggi in giusto senso.

[la nostra carovana assalita] La carovana diretta ad Abba Baghibo, passato che ebbe il fiume Ghiviè entrò in un paese dove vi era la guerra trà Lagamara e Lèca, paese perciò non abbastanza governato, colà fu assalita da una banda di assassini che la spogliaiono. A forza di raccomandazioni furono restituite quasi tutte le mercanzie ai mercanti che la componevano, ma fù irremissibilmente perduto l’involto da noi mandata ad Abba Baghibo. Come si era parlato di una spedizione nostra al suddetto i capi, forze anche amici, supponendo trovarvisi molte richezze, e probabilmente anche armi, hanno fatto fare questo unicamente per impadronirsi delle medesime, maneggi comuni in paesi simili.

[proposte di ricupero] A questo riguardo si sparsero molte cose, ed alcuni desiderosi di ricevere da noi una bella somma, dopo molto tempo vennero da me promettendo di farmi trovare ogni cosa, ma vedendo che mi sarebbe costato più di quanto potessero valere [p. 96] gli oggetti perduti, ho creduto meglio [di] lasciar correre, tanto più che non sarebbe stata certa la restituzione, ed anche in caso affermativo, non sarebbe arrivato più a tempo al caso nostro.

arrivo della nostra carovana ad Abba Baghibo Appena arrivata la carovana in Ennerea trovarono i nostri Abba Baghibo già informato di ogni cosa; egli conosceva in avvanzo tutti gli oggetti da noi spediti, e come era un vecchio molto esperto, il quale possedeva la chiave politica di tutti quei paesi, già conosco, disse, tutti [gli] oggetti che mi sono stati spediti, e gli calcolo come ricevuti, perché chi gli ha rubati verrà presto a portarmeli, fatevi solamente coraggio, e preparatevi a partire, perché al più fra otto giorni io aggiusterò ogni cosa e partirete per il Gudrù; Gama Moras è mio grande amico, e facilmente ce la intendiamo, i signori poi che si trovano presso di lui sono parenti di Abbadia, e sono miei figli, guai a chi gli toccherà.

Diffatti il suo cuore non ebbe più riposo fino a tanto che non ebbe tutto preparato: sollecitudine e generosità di quel re regali di schiavi e schiavette a tutti i capi dove doveva- /68/ no passare i nostri onde assicurare le loro persone; Gama desiderava molto un’eunuco, e lo ricevette con molti altri regali; [p. 97] a noi poi fù una vera profusione, egli comprese tutti i nostri bisogni e pensò a tutto: ci mandò una donna di mezza età per farci il pane, due bravi giovani dai 14. ai 15. anni (al momento in cui scrivo sono tutti [e] due preti, uno col nome di Abba Matteo, e l’altro di Abba Luca), ci mandò quattro carichi, uno di caffè, uno di miele, uno di butirro, ed uno di vesti di lusso fatte nel suo paese unitamente a molti oggetti di arte del suo paese.

ritorno della carovana a noi. Non tardò la carovana ad arrivare in Gudrù, e fu un vero trionfo: coi regali sopracennati la carovana portava due lettere, una per Gama ed un’altra per noi. Mi rincresce che non tengo più queste due lettere state perdute in Kafa nell’esilio del 1861., perché le medesime avrebbero bastato per far conoscere quel grand’uomo, degno di un regno più grande di quello dell’Ennerea.

[lettera a Gama] La lettera diretta a Gama conteneva raccomandazioni di ogni genere, anche quello stesso [impegno] di soccorrerci a suo conto in caso di bisogno; fra le altre cose lo pregava di far sentire a tutto il Gudrù che il sangue nostro era sangue suo, e qualunque ci avesse offeso non pensasse più di andare all’Ennerea per il suo commercio; [p. 98] per conoscere la gravità di questa ultima minacia bisogna sapere che la metà del Gudrù vive del commercio col Sud, ed Abba Baghibo aveva talmente saputo tirare il commercio nel suo paese, che nel tempo suo l’Ennerea ne era divenuto l’emporio [di esso]. Dopo tutto ciò Abba Baghibo nella sua lettera pregava Gama di lasciarci partire, protestando però che egli non intendeva di farci violenza, ma di lasciarci affatto liberi.

[lettera a noi] La seconda lettera a noi diretta poi era molto bella. In essa egli faceva molti elogi del Signor d’Abbadie, ed aveva molto desiderio di vederci perche noi eravamo amici del medesimo. Egli ci invitava ad andarci al più presto, perché era impaziente di possederci. Vi ringrazio, egli diceva, dei regali che mi avete spedito, non affliggetevi perché sono perduti, perché io gli considero come ricevuti. Quando verrete non pensate a regali, l’onore che farete al paese mio venendo, questo sarà il più bello di tutti i regali. Ricevete il poco che vi mando di buon cuore, e se avete bisogno [p. 99] ancora di schiavi, o di miele o di altro io aggiungerò ancora. Per il nostro viaggio io ho preso tutte le mie misure, e potrete essere sicuri che nulla vi accaderà; solamente Gama penserà a farvi girare intorno a Nunnu Gemma, dove avete la macchia del sangue, ed a questo riguardo io gli ho scritto, e sono certo che vi penserà.

/69/ [lettere in arabo] Queste lettere erano scritte in arabo, ma arabo alquanto diverso da quello della costa e dell’arabia, a segno tale che una volta trovandomi in Aden, essendomi diretto ad uno scrivano del paese per leggere una lettera venutami da Ghera, appena sapeva leggerla, e dovette egli stesso diriggersi ad uno scrivano venuto dall’interno dell’Abissinia e [dai] paesi Galla.

[corrispondenze fra i galla] La lingua galla non è una lingua scritta, e l’uso di corrispondere per lettera è stato introdotto dai mercanti arabi, fra di loro. Ancora attualmente le corrispondenze diplomatiche si fanno raramente per lettera, ma sempre a bocca con un linguagio direi quasi particolare fatto per la diplomazia consistente in figure e similitudini. Tuttavia una persona un poco importante non manca di avere nel suo distretto uno scrivano [p. 100] arabo, fatto per lo più nel paese stesso. La lingua amarica dell’Abissinia sarebbe stata più propria, come appartenente ad un paese più vicino, e che avrebbe potuto servire anche per le corrispondenze cogli abissini, ma questi si sono sempre tenuti lontani dai paesi Galla; anticamente il commercio è stato sempre come un monopolio degli arabi; gli abissini sino a questo ultimo secolo hanno sempre considerato il commercio come una cosa poco onorata. Solamente in questo ultimo secolo ha incomminciato a svilupparsi il commercio fra i cristiani. L’uso delle corrispondenze per lettera frà i Galla era già stabilito, in modo che gli stessi principi abissini hanno bisogno di uno scrivano arabo per le corrispondenze coi paesi galla del Sud, ed anche per la costa.

[decisa la spedizione] Ritornando ora al filo della nostra storia, l’arrivo della carovana dall’Ennerea mutò facia ai nostri affari; abbiamo dovuto fare serie conferenze con Gama da una parte, e dall’altra abbiamo dovuto pensare all’organizzazione di questa spedizione, la quale doveva dividere per metà la nostra famiglia.

[p. 101] [Gama restio accondiscende] In quanto a Gama, benché egli avesse ricevuto lettera e regali da Abba Baghibo, pure l’abbiamo trovato assai restio a questa spedizione e vi bisognò tutta la mia eloquenza per disporlo ad acconsentirvi; egli confidava molto in noi nei suoi progetti di regno sopra tutto il Gudrù; la nostra influenza e prestigio andava crescendo ogni giorno nel paese, e ciò gli andava molto a genio. Colla partenza di due di noi temeva che tutto ciò andasse scemandosi; ho dovuto servirmi di tutta la mia eloquenza per fargli vedere il contrario, facendogli osservare che il suo nome e la sua influenza in grande avrebbe anzi molto guadagnato. Io ho dovuto promettergli che [non] avrei mai lasciato il Gudrù, e non è che a questa condizione che finalmente si è rimesso a me.

/70/ [i padri Cesare e Felicissimo destinati a Kaffa] In quanto al personale che doveva partire, questa era una questione intrinseca, e che toccava più nel vivo la missione nostra. Già avevamo fatto molte conferenze fra [di] noi, e sempre sortivano delle difficoltà pro e contro; ma premeva di decidere: io non poteva risolvermi di spedire un missionario solo sino a Kafa, dove era diretta la spedizione, come luogo troppo lontano e pericoloso per un povero [p. 102] missionario solo, in un paese di gran corruzione. Di necessità perciò dovevano partire i due compagni missionarii europei, Cesare da Castelfranco, e Felicissimo da Cortemilia. Io sarei rimasto solo col Sacerdote indigeno Hajlù Michele; poco era il tempo che ci rimaneva, perché Abba Baghibo fece molta premura agli inviati, e questi ogni momento erano là a raccomandarci di far presto. Quì assesto di bagagli e di provisioni per una nuova casa di missione da incomminciarsi, là, necessità di parlare, di conferire sul modo di regolare la spedizione e le trattative future, di modo che per circa dieci giorni la Casa nostra divenne un vero guazzabuglio, come suole accadere nella divisioni delle api.

partenza dei missionarii per l’Enn[e]erea
[27.3.1854;
arrivo a Saka:
21.4.1854].
Arrivò finalmente il giorno fatale della partenza e della nostra separazione. Gama aveva preso tutte le sue misure, affinché la carovana non toccasse i confini di Nunnu Gemma, per schivare la macchia di sangue, e si obligava di spedirla franca sino a Lagamara e consegnarla colà a Mullata Gallet, inteso con Abba Baghibo di riceverla e spedirla. Coi due missionarii miei compagni partiva anche il Sacerdote indigeno Abba Hajlù [p. 103] coi due catecumeni venuti qualche mese prima con lui [e] nipoti di Abba Gallet. Fu inteso che la carovana doveva restare almeno tre giorni in Lagamara per esaminare l’avvenire di quel luogo ed amministrare alcuni sacramenti; oltre a questi partivano anche tre altri giovani, come compagni dei missionarii. La carovana era dunque composta di otto persone nostre, oltre le persone di Gama, e quelle di Abba Baghibo. La separazione ebbe luogo il 3. Novembre 1853. Nella partenza si celebrò la messa votiva pro itinerantibus, dopo la quale si cantò solennemente l’itinerario. Il P. Cesare era capo della spedizione col titolo di Vice Prefetto.


(1a) Il nostro ministero di rito latino incontra un’inconveniente, perché non amministra [l’Eucarestia] che (sotto) una sola specie. Quello che si communica supponendosi confessato deve supporsi naturalmente istruito a questo riguardo; la difficoltà perciò sarebbe solo per le persone non istruite, le quali posono trovarsi casualmente presenti alla communione. Da principio, per schivare la collisione delle opinioni fra il popolo incapace di capire la questione, e naturalmente portato a questioni pericolose, si è introdotto nelle nostre cappelle l’uso di dare un poco di aqua dopo la communione, [e] si dava senza solennità da un’inserviente, ma pure [questo ripiego] non lasciò di cagionarmi molte pene, per il pericolo che da alcuni potesse essere creduta specie eucaristica. [Torna al testo ]