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20.
Evirazione e prostituzione in Kobbo
denunziate a Gama-Moràs in Asàndabo.

mio viaggio a Cobbo Questo matrimonio fu per la missione un gran trionfo, e per me una grande consolazione. Appena partita la sposa da Assandabo io ho organizzato quasi subito il mio viaggio di Cobbo [p. 287] per visitare il piccolo villagio di cristiani, un secondo matrimonio opposto al primo. là mi aspettava anche un matrimonio, ma oh quanto diverso dal sin quì narrato! quello era un matrimonio di due Galla fatti cristiani, laddove questo era di un Cristiano fattosi Galla, e che si maritava in forma galla; quello era un matrimonio di famiglie richissime, laddove questo era di un povero mercante che aveva qualche capitale, ma piccolo. Ho dovuto scegliere quell’occasione, sia per onorare il matrimonio di un povero, sia ancora, perché in quella circostanza si trovava il necessario, mentre in altra circostanza gli avrebbe obligati a fare qualche spesa per l’onore della famiglia, a cui ci tengono molto. Per altra parte poi in simile circostanza si trova tutto il mondo radunato, ed anche molti estranei per far sentire [loro] un poco di catechismo.

il ministero in Cobbo. Qui avrei dovuto fermarmi almeno un mese per dare un poco di vita a quei cristiani di nome che tendevano al paganesimo, ma appena ho potuto restarvi otto giorni. Aveva portato con me tre giovani ferventi con Abba Joannes, e questi erano indefessi in fare il loro catechismo; io poi passava la giornata [p. 288] a parlare con certi individui, nei quali [avevo individuato] la piaga principale da guarire per tirare tutti gli altri all’ovile. Tutto quel piccolo villagio teneva il suo nome cristiano, ed anche se ne gloriava, ma poi in contatto coi pagani e con alcuni musulmani [ne] aveva contratto tutta l’abitudine dei medesimi. Abòi Sciaifù il più ricco di tutti, persona, a cui era stata amputata una mano in Abissinia, era quello che ancora [ci] teneva più di tutti al nome cristiano, e sentiva ancora un certo quale bisogno di rilevarsi, ma aveva un suo fratello per nome Giamberiè, il quale viveva di un mestiere /166/ infame: in casa sua si faceva niente meno che il mestiere di emasculare i giovani schiavetti; i mercanti che avevano di questi giovanetti dai 12. ai 15. anni, i quali si vendevano da venti a trenta franchi l’uno lo davano a lui, ed egli s’incaricava di emascularlo, e guarirlo con una certa paga, perché così aumentava dei due terzi il prezzo in commercio, cosa che era di gran scandalo agli stessi oromo. per salvare questo villagio prima di tutto bisognava sradicare questa infamia orribile.

una cristiana fattta mussulmana. Oltre questo orribile scandalo vi era ancora una donna, la quale si diceva cristiana, venuta dal Gogiam, la quale teneva una specie di postribolo; con questo elemento faceva del gran male acalapiando tutti i giovani mercanti [p. 289] cristiani verso l’islamismo; era questa una seconda piaga che disonorava molto il nome cristiano, perché fra i galla il postribolo è una cosa mal veduta, ed affatto nuova. Teneva ancora una specie di locanda, ed intorno ad essa tutti i mercanti di Lagamara [stavano] accampati, era divenuto quel luogo un vero centro d’iniquità. proselitismo musulmano in Cobbo. Questa donna di origine cristiana, essendo ancor giovinetta entrò al servizio di un gran Fakïr mussulmano, il quale nel mercato di Basso-Egibiè in Gogiam aveva una grande influenza, anche presso il governo cristiano di detto paese; questa donna avendo presa la malattia venerea colà, dal suo padrone fu caciata con bel garbo, dandogli l’incombenza di venire in Gudrù a piantare una scuola mussulmana, e riempì il paese di peste venerea. Questi poveri giovani mercanti del Sud cristiani, ancora inesperti, trovando presso di lei miglior parte, qualche piettanza, birra da comprare, e donne se ne restavano qualche giorno, e poi partivano con qualche raccomandazione presso il Keberiè mussulmano del Gogiam. Così pure nel loro ritorno.

Per medicare queste due piaghe io ho voluto prima di tutto servirmi del ministero della parola esercitato da me e dai miei giovani indigeni; ho fatto tutti i sforzi possibili [p. 290] per la via di esortazioni spirituali, e raziocinio di ogni genere, ma ho veduto subito che vi era molto poco da sperare per questa via; solamente col tempo, quando i cristiani del villagio si sarebbero un poco rilevati ed entusiasmati, allora l’eco sarebbe arrivato anche a loro, o per fare una crisi di salute, oppure all’opposto [da renderli] affatto separati, e così far cessare quell’inganno che regnava, e faceva tanto male. Come però questa gente avevano molto bisogno di me per guarirgli dalla malattia venerea, ed anche perche desideravano molto l’inoculazione del vajvolo: così ho risolto di servirmi anche di questi mezzi materiali dichiarando loro che mi sarei prestato solo per i miei veri cristiani, e mai per gli apostati e scandalosi. Io avrei potuto servirmi anche dell’autorità di Gama, col quale era inte- /167/ so, e per il quale mi temevano, ma ho voluto riservare questo mezzo coercitivo come ultimo estremo.

conferenza colla donna mussulmana. Voglio qui raccontare la prima conferenza [avuta] colla donna mussulmana madre del postribolo summentovato, come storia che servirà a completare l’idea che ho dato altrove sulla perfezione o santità mussulmana. Se mai qualcheduno leggerà queste mie memorie mi compatirà certe espressioni forze troppo basse, ma chi entra nella latrina a qualunque titolo, anche di scienza, entra preparato a sentirne i profumi. Appena entrata da me questa donna, avendole domandato di qual paese, e di quale [p. 291] religione essa era, invece di rispondermi direttamente alla questione fattale, essa incomminciò una storia di se stessa dalla nascita sua sino alla sua venuta in Gudrù. Io sono figlia di un prete del paese N. in Gogiam, ed il mio Padre mi aveva promessa per moglie a un diacono di un’altro paese vicino, il quale a suo tempo dovendo essere prete, voleva che io fossi vergine, epperciò mia madre mi custodiva. Non essendo libera di conversare con chi voleva, me ne sono fuggita in Egibiè, virtù e miracoli del Keberiè mussulmano. ed un’amica m’introdusse nella casa del Kaberiè (capo religioso dei mussulmani di tutto il Sud sino a Kafa, persona richissima, e potente, ed anche venerata a miracoli) di Egibiè in Gogiam; oh Padre mio! forze voi non lo conoscete, mi vi assicuro che è un gran Santo; aveva cinque mogli, e ciascheduna di queste aveva una figlia dai 12. ai 14. anni per il suo servizio; il santo uomo passava un giorno nella casa di ciascheduna, e come le amava tutte egualmente senza parzialità, passato quel giorno non tardava un solo momento e andava dall’altra. Ma non sta qui ancora tutto, prima di accostarsi alla sua moglie, questa si faceva lavare con aqua di odore dalla sua ragazza. Dopo che il padrone si era accostato alla sua moglie, la ragazza, ancora giovane e pura, lavava anche la sua persona, dimodoche egli entra[va] puro, e sortiva puro per passare ad un’alt[r]a casa di altra moglie, perché in quella casa tutto era purità.

[p. 292] Se mai qualcheduno leggera queste mie memorie, mi dispenserà dal percorrere tutto il pellegrinagio di questo santone mussulmano alle sue cinque mogli, perché basta una per tutte. Come pure mi dispenserà dal descrivere la conversazione che ogni giorno il medesimo faceva con uno dei giovani, anche tutti purissimi, di un certo collegio che teneva in casa sua, sia per il servizio, e sia per la scuola di perfezione mussulmana, perché dobbiamo sentire la confessione che sta per fare questa nostra donna mussulmana. Ma rincresce solo di una cosa, che cioè questa mia penna manca del miele, e dell’affettazione propria di una donna che si dice beata e spirituale.

/168/ la confessione della donna mussulmana. Il mio giovane prete Abba Joannes, il quale non poteva vedere i mussulmani, perché, quando era giovane schiavo passò due anni in casa di un padrone, che lo acarezzava e gli prometteva di farlo suo figlio ed erede per abusarsi della sua persona, ma poi quando trovò un’altro più tenero di lui in Gondar l’aveva venduto al P. Cesare; questi essendo presente a tutta questa scena con alcuni altri della casa, ogni momento perdeva la pazienza, ed i soli miei contorcimenti di muso [riuscivano] per tenerlo in freno, onde ascoltare ancora la sua confessione, dalla quale io poteva conoscere tutta la storia di quella donna. Sentite, padre mio, io ho fatto un gran peccato nella casa del Keberiè, ed è quello di aver ingannato quel santo uomo, spaciandomi per pura [p. 293] mentre io era tutt’altra. Come io era la più furba e la più viva di tutte le mie compagne, ho trovato la maniera di farmi amica di uno dei giovani allievi, il quale per parte sua ingannava il santo uomo colla sua ipocrisia, ed ogni giorno trovava la maniera di divertirmi con lui in secreto. Chi mai avrebbe osato pensare solo che in quella santa casa vi fosse la malattia venerea in un giovane che soventi si diveniva col santo uomo! Eppure fu così, ed io ho preso da lui il kittin (male venereo). Io l’ho nascosta tanto che ho potuto, ma un bel giorno, secondo il solito, avendomi chiamata per divertirsi un poco, quando mi scoprì cadde dalle stelle vedendo la piccola piaghetta proprio nei luoghi secreti. Allora mi esaminò, ed io gli ho fatto tutta la mia confessione. Vedendo così il Keberiè mi fece sortire subito, e fece anche sortire quel giovane dandoci una casa per coabitare insieme. Ho passato con lui qualche anno, ma poi non potendo [più] convivere, essendomi lagnata il Keberiè mi diede qualche cosa, e mi mandò qui a Kobbo per far la scuola; tua però sappia che io sono sempre cristiana.

interrogazioni fatte da me alla donna mussulmana. Se siete Cristiana, io dissi, come potete fare la scuola mussulmana? Ma io non facio la scuola del libro Corano, perché [non] l’ho mai imparato, essa rispose, ma solamente io procuro degli amici al Keberiè di Egibiè: quando vengono mercanti [p. 294] io gli tratto bene nella mia locanda e poi quando partono io do loro un biglietto del Keberiè, e con quello vanno in Egibiè e sono considerati come figli suoi, e poi quando ritornano egli mi manda sempre qualche tallaro. Ma ditemi, [domandai,] voi eravate moglie del Keberiè? No, essa rispose, io era semplicemente figlia di compagnia della sua prima moglie, e quando questa si trovava immonda per il sangue, allora era la mia gran giornata, che onore per me allora! Ditemi ancora una cosa, [incalzai io] il Keberiè ha figli? No, disse, egli non aveva figli, e non voleva averne, e se mai qualcheduna delle mogli fosse rimasta incinta, allora la faceva /169/ sortire subito dal sacro recinto, perché là dentro queste immondezze non possono avere luogo; il Keberiè non si accostava a donne che avevano partorito, perché per lui diventavano immonde per sempre, a lui non si avvicinavano che creature pure tanto maschi che femine; là dentro se qualcheduna si fosse accorta di qualche cosa, teneva nascosto [il suo stato] e prendeva subito la medicina, io stessa l’ho presa, e quì se qualcheduna delle mie figlie è incinta gli do subito la medicina, perché anche io amo che siano tutte pure.

mia sentenza; dopo si scatena il zelo di Abba Johannes. Al sentire tutte queste iniquità, alla fine ho alzato la voce, basta, basta, basta, dissi, volete che ve lo dica? il vostro Keberiè invece di essere un gran Santo, è un gran diavolo, e voi anche una gran diavola, ai quali dieci inferni non bastano. Allora ho scatenato Abba Joannes, il quale fremeva al sentire tutte queste cose, e si mise a gridare: [p. 295] hai sentito? dieci inferni per te, e dieci inferni per il tuo Keberiè, eccoti la sentenza del mio padre; credi tu forze che il mio padre abbia sentito con piacere tutte le tue porcherie? egli già le sapeva, ma ha voluto sentirle da te per condannarti, e condannare il tuo gran diavolo di Egibiè. Io conosco i mussulmani; per mia disgrazia, stato rubato con mia madre, sono stato comprato, e separato da mia madre sul mercato di Assandabo; mi comprò un mercante di Gondar, il quale mi giurò di farmi figlio ed erede suo, e con questo si abusò di me per due anni, ma poi avendone trovato un’altro che gli piaceva di più per il suo nefando peccato, mi ha venduto a questi preti per dieci talleri. Per me fu una gran fortuna di essere sortito dalle mani di quel diavolo incarnato, ma per parte sua pensate che uomo, e pensate se io devo amare i mussulmani! Fuori dalla presenza del mio Padre[!]. Se ti convertirai, e diventerai buona cristiana, egli sarà anche il tuo Padre, in caso diverso basto io per te. Questa disgraziata non trovava più la strada per sortire.

affare di Gemberiè che faceva gli eunuchi. Gemberiè, quello che faceva gli eunuchi, aveva già sentito la sorte di questa donna sua amica, epperciò tremava, tanto più che egli faceva questo mestiere contro tutte le proteste fatte dal suo fratello Aboi, e degli altri Cristiani del villagio, i quali sopportavano [p. 296] mal volentieri questo disonore in facia a tutto il Gudrù. Lo stesso Gama, prima ancora di regnare, aveva già più volte disapprovato questo orrido traffico di Gemberiè.

Abba Joannes aveva già fatto presso di lui le sue parti, e tutti i cristiani dopo che hanno gustato un poco di catechismo stavano per sollevarsi in massa per venire alla mia presenza e protestare contro una simile pratica di Gemberiè, e questi aveva già parlato di venire egli stesso da me, /170/ come difatti poi venne, accompagnato da Abba Joannes, e dal suo fratello Aboi. Egli promise tutto, ma diceva che a fare questo era indotto dalla necessità, perché non aveva mezzi di sussistenza. Il suo fratello Aboi, abbastanza ricco, a sua vita durante, gli ha dato un terreno sotto la condizione di lasciare un simile mestiere, e gli promise qualche capitale per commerciare in società. Così andò dileguandosi e seccando questa piaga.

ho radunato tutti i cristiani; conferenza. Avvicinandosi intanto il tempo della partenza per Assandabo, ho radunato tutti i cristiani, ed ho fatto loro un discorso sulla necessità di mettersi in buon’ordine, e frequentare i Sacramenti ogni qualvolta sarebbe venuto un Sacerdote. Intanto si radunassero ogni Domenica [p. 297] per recitare il rosario in comune; invece che i mercanti cristiani si radunavano nella locanda della mussulmana, io desiderava che si radunassero nelle vicinanze di qualche cristiano. Come Gemberiè aveva una casa abbastanza fornita di servizio, egli poteva fare un poco di locanda cristiana, ed a questo riguardo invitava tutti ad ajutarlo a fare una casa. Per completare l’istruzione cristiana Abba Joannes avrebbe cercato un giovane del villagio, il quale, dopo [aver] passato qualche mese con me per imparare, sarebbe ritornato per essere il loro catechista. Finalmente si fissò il giorno del battesimo solenne di tutti i bimbi ancora incapaci d’istruzione, e fatto ciò sarei partito per Assandabo.

tutti domandano inoculazione e medicina. Quando sentirono che io incomminciava a parlare della partenza, allora si sollevò un grido universale, e tutti domandavano misericordia per la medicina del [male] venereo, e per l’inoculazione del vaivolo, come? dicevano, in Loja ha dato la medicina a tutti i Galla, e qui vuole lasciare i suoi figli senza far qualche cosa? Vedendo così ho detto ad Abba Joannes di separarmi tutti quelli che hanno frequentato il catechismo, ed erano circa una trentina, e gli ho inoculati tutti. [p. 298] Vennero in seguito i famigliari della mussulmana, di Gemberiè, e di alcune altre famiglie, le quali non avevano frequentato il catechismo; ma a questi ho risposto che io mi occupo solamente di quelli che frequentano il catechismo; per tutti gli altri non [mi] rifiuto, ma voglio consultare l’esito avvenire della loro condotta. Dopo ciò ho detto ad Abba Joannes di prendere informazioni di tutti coloro che desideravano la medicina del [male] venereo fra quelli che frequentavano il catechismo, e si presentarono circa dodeci o forze quindeci persone, la maggior parte adulti. Dopo un serio esame fatto mi sono persuaso che tutto questo gran male veniva da quella casa di postribolo mussulmano, dove si trovavano sei donne tutte infette, e tre giovinastri mussulmani anche infetti, e /171/ matti per una passeggiata a Pentapoli, hanno guastato tutto il villagio cristiano e molti galla dei contorni.

gravi disordini morali scoperti. Difatti una povera donna galla, sentendo dire che io dava medicine, venne da quei contorni, e condusse un ragazzo di circa otto anni in uno stato deplorabile, il poveretto non essendo più padrone della porta d’uscita, perché stata sforzata da uno di questi giovinastri mussulmani, perdeva gli escrementi: mi risultò che, questo ragazzo per guadagnare un pezzetto di sale ha ceduto [p. 299] alla lusinga, ed ebbe bel gridare alla violenza, ed al male che gli faceva, ma nessuno sentiva, e [l’altro] poté compire il suo delitto. Per consolare la madre gli ho suggerito l’uso di alcuni restringenti, dandogli a sperare che col tempo sarebbe guarito, ma guardasse bene i suoi figli per l’avvenire. Questo per il momento non aveva il male venereo, ma solamente un rilasciamento dello sfintere dell’ano. La stessa donna aveva una figlia più grande col male venereo guadagnato alla stessa sorgente; la poveretta era promessa ad un’altro povero galla, ma dopo questo lo sposo non la voleva più. Io l’ho esorta a fare i suoi reclami al tribunale di Gama, presso cui io non avrei mancato di apoggiarla.

conferenza con Gama sopra questi disordini. Infatti, appena arrivato in Assandabo non ho mancato di raccontare a Gama tutto l’accaduto, ma ho trovato che egli ne sapeva già più di me. Vedete, disse, chi rovina il nostro paese è il Gogiam; il nostro paese ha bisogno del Gogiam, perché in gran parte vive di commercio col medesto, come il Gogiam ha bisogno di noi per la stessa ragione. Io amo molto che vengano, perché venendo loro qui i nostri non hanno bisogno di passare il Nilo e andar là per il suo commercio, e così i nostri farebbero il loro commercio qui [p. 300] e conserverebbero tutta la loro semplicità, i loro costumi più puri, ed in conseguenza sarebbero liberi da tutte queste miserie che mi dite, perché passando il Nilo prendono di là tutte queste cattiva abitudini e malattie, e le portano quì. Io amo che vengano, ma, fatto il loro commercio bramerei che se ne andassero al paese loro; i nostri paesi non sono fatti per loro, ne essi sono fatti per i nostri paesi. Voi, mi disse, non conoscete ancora abbastanza il nostro paese. organizzazione civile dei galla. Il paese oromo ecco come è organizzato: il capo di famiglia è re in casa sua, e finisce tutte le questioni che possono nascere in essa. Se nascono questioni fra diverse famiglie della stessa casta o parentela; il capo riconosciuto di questa ha tutte le autorità per finirle. Quando poi nasce questione fra due caste, allora si battono, ed il più forte vince, e decide; però in tal caso sorgono altre caste, come conci[g]liatrici, oppure in caso di difficoltà [si] ajuta una parte per obligare l’altra a cedere. Il forestiere, il quale non si è fatto figlio adottivo di /172/ qualche capo, è considerato come appartenente alla casta mercante indipendente e che si giudica da se o da un capo di carovana eletto. Io mi sono battuto con tutto il Gudrù, ed ho vinto, ma fino a tanto che non mi dichiaro Re, distruggendo tutti questi poteri delle caste, io sono semplice Abba Dula, e per l’affare in questione non posso far altro che chiamare il capo di quella casta che ha dato ricovero ad una famiglia estranea nociva al paese, ed egli mi darà conto dei disordini. Io [p. 301] sono di razza cristiana, e dopo la vostra venuta in Gudru sono arrivato anche a conoscere la superiorità della religione cristiana sopra la mussulmana, sono arrivato anzi a provarne nel mio cuore una vera simpatia ed un vero bisogno per me, per la mia famiglia, e per il mio paese, benché una fatalità mi abbia collocato, o meglio inviluppato in un gruppo di circostanze le quali mi tengono ancora lontano dall’aprofittarne. il cristiano, ed il mussulmano è una sola casta in facia all’oromo; suo stato civile. Voi però non dovete dimenticare che il vero oromo del paese, tanto più poi [più] verso il Sud, a misura che vi allontanate dal Gogiam, non si è ancora formato un’idea distinta trà il Cristiano ed il mussulmano, per lui il cristiano ed il mussulmano è una sola casta chiamata casta dei mercanti del Gogiam, la quale ben soventi sta con noi, vive di noi, e fra noi come un parassito che ha una vita a parte; l’oromo, quando ha ricevuto da loro quei piccoli tributi di uso, non si occupa più di loro, come se non esistessero; se poss[i]ede qualche terreno l’oromo [ri]conosce per padrone colui che l’ha dato, oppure comprato per loro; se poi sorge qualche questione coi galla il risponsa[bi]le è il padrone che gli ha ricevuti; se la [la] questione è fra loro nessuno se ne cura. In una parola questa casta mercante in paese [non] ha nessun stato civile riconosciuto.

[p. 302] distinzione tra i mussulmani; trà i cattolici, e cristiani indigeni. Per introdurre la distinzione, è sempre Gama che parla, trà il cristiano ed il mussulmano, io ho fatto publicare sul mercato che gli oromo non mangiassero la carne dei [macelli] mussulmani, come già sapete; molti conoscono già in Gudrù la distinzione trà i cristiani ed i mussulmani, e questi comprenderanno tutto il senso di questa mia proibizione, o raccomandazione che si voglia dire, ma ve ne saranno ancora molti di coloro che non distinguono, e che perciò crederanno che abbia proibito la carne dei [macelli] cristiani; ma intanto la proibizione solleverà la questione, e poco per volta si stabilirà la distinzione trà il cristiano ed il mussulmano. Il male si è che il nome cristiano in Gudrù non è ne rispettato ne amato per causa del Gogiam, il quale per una parte non è vero cristiano, e per l’altra tende ad impadronirsi del nostro paese, cosa molto odiosa. Gli oromo poi, i quali non sono ancora arrivati a distinguere il cristiano dal mussulmano, tanto meno saranno /173/ capaci di distinguere trà i Cristiani del Gogiam ed i vostri cristiani; io stesso tre anni sono non era capace di distinguere. Voi stesso andate molto adagio a spiegarvi con questi Cristiani del Gogiam per non allontanarveli troppo.

la curruzione introdotta in Gudrù. Ciò posto, proseguì Gama, io vengo alla questione di Cobbo da voi proposta. In tempo di mio Padre Moras in tutto il paese di Gudrù non si sapeva cosa fosse il male venereo; in quei tempi felici [p. 303] due uomini che avessero fatta una passeggiata a Pentapoli, come voi dite, sarebbero stati due veri mostri inorriditi da tutti; allora si emasculava in guerra, questo si sa, ma emasculare un giovane che mangia e vive con lui per puro calcolo di maggior prezzo, oh questo poi sarebbe stata una cosa orribile. Il mio avo Occotté poi raccontava in famiglia che questi tre disordini erano anche sconosciuti in Gogiam. Dopo Ras Aly, e dopo che questo diavolo mussulmano Keberiè ha preso tanta influenza in Egibiè il male venereo e l’abominazione di Pentapoli hanno innundato il Gogiam, e riempito già il Gudrù. L’emasculare poi in Gogiam non si può fare, perché il governo non lo permetterebbe; qui, come la casta mercante è indipendente, e ciascuno è padrone del suo schiavo, anche di ammazzarlo impunemente, incommincia a farsi in qualche luogo. Io conosco tutto, e vi prometto di far tutto, ma con gran prudenza e con gran calma, perché sapete che sono da principio, ed ho grandi nemici, come gli avete anche voi di quà e di là del Nilo. Lodo il vostro viaggio di Kobbo, lodo il vostra zelo, e la vostra moderazione. Se non avete fatto altro bene, avete giustificato voi stesso e la vostra casa; tutto il resto lasciatelo a me, io finirò ciò che voi avete incomminciato.

ringraziamenti di Gama; sue pene per la mia partenza. Permettete ora che vi apra il mio cuore: voi mi avete parlato di volere andare a Lagamara, ed io ho acconsentito [p. 304] temendo di disgustarvi. A prima vista io ho avuto un gran dispiacere per questa vostra risoluzione: voi mi avete fatto dei grandi servizii, e devo niente meno che al vostro prestigio la vittoria riportata sopra tutti i miei nemici del Gudrù; ultimamente il matrimonio della mia figlia con Avietu è stata un’opera tutta vostra contro ogni mia aspettazione, perché quel matrimonio io l’aveva già considerato come disfatto, ed era questo un preludio di ciò che avrebbe fatto il Gudrù contro di me; all’improvviso voi me l’avete aggiustato, e così mancando quella gran casa al partito nemico, oggi ha perduto ogni speranza, e gli stessi capi incomminciano [a] gettarsi ai miei piedi per [ottenere] la pace rimettendosi alla mia discrezione. La vostra partenza, nel mio cuore direi, che sia come la partenza del mio angelo tutelare, e che in seguito tutto debba andar alla peggio. /174/ Sia detto questo per farvi conoscere tutto il mio ataccamento, la mia gratitudine, e la gran pena che soffro nel vedervi partire; ancorché sia ciò per breve tempo, come mi avete promesso.

Gama ha compreso le ragioni del mio allontanamento. Come però so che voi siete solito agire dopo serie riflessioni, sempre guidato da lumi superiori alla mia capacità, vi protesto che non oso resistervi per paura della vostra maledizione prima di tutto, ma poi [p. 305] persuaso che voi vi siete determinato per ragioni molto più in grande, e fuori della mia portata, per il bene vostro, e forze anche mio. Difatti, quando penso al gran numero di nemici che voi avete, non solo in Gudru, ma molto più nel Gogiam, nemici che sono puramente vostri, ma che potrebbero anche diventare nemici miei, e [e] sollevarmi delle crisi, alle quali io, anche unito a tutto il Gudrù, forze non potrei resistere, allora dico fra me stesso, forze il Padre avrà preveduto questo, e per questa ragione ha risolto di stabilirsi non molto lontano per troncare tutte queste trame nemiche, e di là verrà qualche volta a visitare la sua missione. Ed è perciò che io venero le sue determinazioni, e rinnovo le promesse e proteste fatte, colla sola condizione di non abbandonarmi.

Dal fin qui detto chi leggerà queste mie memorie potrà facilmente comprendere le ragioni del mio allontanamento dal Gudrù, ed in quali condizioni io lasciava quella missione. I corrieri di Lagamara andavano e venivano. La casa colà era come terminata per ricevere una famiglia sufficiente, perché dovevano venire con me quasi tutti i giovani della casa. [p. 306] Il P. Hajlù Michele non avendo potuto venire a prendermi, perché doveva assistere i lavori in Lagamara, ed io avendo bisogno di Abba Joannes per il viaggio, la povera missione di Gudrù doveva restare qualche settimana senza sacerdote con soli alcuni allievi dei più capaci per il catechismo, ed una sola donna per il [fabbisogno del] pane. ultime difficoltà opposte da Gama. Gama restava un poco mortificato di vedere tutto ad un tratto la nostra casa quasi abbandonata, ma io gli dissi di restare tranquillo e fare coraggio, perché, per una parte la casa di Gudrù sarebbe sempre stata la prima a possedere i missionarii che da un giorno all’altro potevano arrivare dal mare, per altra parte poi i nemici della missione, sia in Gudrù, che in Gogiam, vedendola quasi vuota si sarebbero disarmati nei trasporti esaggerati della loro imaginazione. Gama avrebbe desiderato di avere con se Abba Joannes al governo della casa di Gudrù, come persona di un zelo indescrivibile, e di una popolarità tale da guadagnarle la simpatia dell’intero Gudrù. Io ho dovuto contrariarlo anche in questo, sia per il bisogno che ne aveva io come dragomanno, sia molto più per la necessità di istruirlo nelle cose più essenziali al suo ministero. /175/ Gli ho promesso invece che avrei mandato Abba Hajlù Michele subito dopo il primo impianto della casa di Lagamara. Gama, sempre rassegnato alle mie decisioni, acconsentì malgrado suo.