/288/

33.
Paolo a Lagàmara. Terribile carestia:
opera di assistenza ai colpiti. Ministero.

Il giovane Paulo avendo inteso in Egibiè la catastrofe della carovana si unì ai mercanti, e presa la via di Zemiè, arrivò felicemente in Gudrù, dove fù ricevuto da Abba Joannes. [p. 510] Venne da Cobbo Abba Hajlù Michele con qualcheduno da battezzare; venne pure da Loja il nostro Avietu con sua moglie. funzione in Gudrù, ed in Loja. Si celebrò una Messa Solenne, nella quale fecero la Santa Pasqua circa 25. persone, quelle massime che non potevano venire a farla a Lagamara. La moglie del nostro Avietu gia da più di un’anno aveva dato alla luce un figlio maschio, e si trovava gravida di molti mesi, e si aspettava la mia persona per un solenne battesimo, ma avendogli fatto dire che io non poteva venire in Gudrù, si conchiuse di battezzarlo in Loja. Così, finite tutte le funzioni in Assandabo i due Preti andarono in Loja, dove si celebrò la S. Messa, si fece il battesimo, ed una fest[icci]ola di famiglia. Dopo la quale, Abba Hajlù ritornò in Assandabo, dove la sorte del giovane della catastrofe era ancora incerta, per amministrargli ad ogni caso gli ultimi Sacramenti, mentre Abba Joannes con Paolo vennero a Lagamara, dove io l’aspettava.

arrvo di Paolo a Lagamara
[feb. 1858].
Arrivato questi a Lagamara fu per me una doppia festa: rivedere Abba Joannes fu una grande consolazione dopo averlo pianto qualche giorno perduto nella catastrofe del Nilo a lungo descritta sopra; da lui ebbi i più minuti detagli surriferiti; fu altresì una festa per la famiglia al ritorno del giovane salvatosi in compagnia di Abba Joannes, benché la povera famiglia vi avesse perduto il piccolo capitale del suo commercio. consolazioni all’arrivo di Paolo. Fu poi doppia la consolazione per l’arrivo del giovane Paolo che io non aveva più veduto [p. 511] dal 1850. in poi, lasciato da me in Aden, men[tre] arrivava appena alla pubertà, sotto la direzione del P. Sturla, e lo riceveva giovane fatto sopra i venti anni, istruito sufficientemente, e ciò che più mi consolava, fornito di una pietà consolante, che seppe conservare sotto la pressione delle passioni della sua gioventù molto /289/ precoci nei paesi caldi del littorale. Egli sapeva raccontare in famiglia con tanta enfasi gli esempi, e certi mezzi miracoli della virtù veramente apostolica del suo santo maestro suddetto, che fu un vero balzamo al cuore di tutta la mia famigliuola di Lagamara, nella circostanza dolorosa in cui eravamo per le notizie di Kafa. Oltre di tutto ciò fui ancora consolato per le molte lettere che mi portò, e per alcuni mezzi temporali ricevuti nel suo arrivo. Per tutte queste grazie ricevute non mi bastò un solenne Te Deum che si cantò appena arrivarono, ma ho voluto celebrarvi una Messa particolare pro gratiarum actione, alla quale intervennero molti cristiani, nella quale si fecero molte comunioni.

arrivo di molte lettere. Coll’arrivo di Paolo ho ricevuto molte lettere dall’Europa, dall’Egitto, da Aden, e da Massawah. Fra le altre [lettere] una lettera del R.mo P. Venanzio, mio Lettore, il quale mi annunziava di [13.5.1853] aver terminato il suo generalato, e che si ritirava in Piemonte. Una circolare del Cardinale Barnabò nella quale si annunziava come [20.6.1856]
[1855]
[mar. 1857]
Prefetto della S. C. di Propaganda. Dall’Egitto Monsignor Guasco mi mandava il rendiconto della Procura. Il P. Sturla mi scriveva il suo arrivo sano e salvo a Genova, e mi spediva una somma [p. 512] mandata da alcuni divoti di Genova. Ricevetti pure [† 31.1.1854] la necrologia di Silvio Pellico con un bilietto del suo esecutore testamentario che mi annunziava una somma lasciatami dal defunto suddetto mio grand’amico, e come figlio [spirituale]. Ricevetti pure alcuni giornali che parlavano di alcune profezie da me fatte nel [1851] 1850. nella relazione stampata per ordine del Generale La Hitte ministro degli esteri in Francia in detto anno alla stamperia [del] Burrau du corrispondent, giornale officiale del ministero suddetto, mandatimi da M.r Fauger Capo di gabinetto al ministero medesimo, di cui ho già parlato altrove. In questa relazione intitolata[:] Propagazione dell’islamismo io parlava di alcuni piani di rivoluzione dei mussulmani, e di una guerra santa contro gli inglesi in Arabia, e nelle Indie, cosa che si verificò nel 1856., quando gli inglesi ebbero a sostenere guerra nelle Indie
[1857-1858];
una profezia.
una guerra accanita nelle Indie orientali. M.r Fauger anzidetto mi spediva i giornali inglesi che facevano congratulazioni con me a questo riguardo.

carestia in Lagamara. In quell’epoca Lagamara si trovava travagliata da una gran carestia, che non debbo passare sotto silenzio, perché fece molte vittime in Lagamara e nei contorni. cagioni della carestia. La causa di quella carestia [p. 513] furono le guerre di Lagamara con Celia, ed altre guerre dei paesi circonvicini, le quali [fine 1855] distrussero molti grani nei paesi incendiati, ed impedirono in molti luoghi la coltivazione [per] alcuni anni, oltre le raccolte state anche poco favorevoli. Lagamara [ne] sentì molto più gli effetti di questa carestia, a preferenza dei paesi vicini, perché l’emigrazione dell’Abissinia ai paesi /290/ galla aveva riempito il paese nostro di forestieri. In quel tempo Teodoro aveva messo a sacco e distrutto molte popolazioni[:] [22.9.1855 - feb. 1858] non solo l’Abissinia centrale, ma tutti i paesi circonvicini dei Wollo, dei Borrena, e di una parte di Liban; questa gran crisi dalla parte del Nord spingeva le popolazioni all’emigrazione, e Lagamara più abituata ai forestieri si trovò piena [e] zeppa di mondo.

Da molti mesi io aveva giornalmente alla porta centinaia di persone che appena potevano stare in piedi, divenuti schelletri; tutta la classe povera che soleva vivere delle sue fatiche fù quella che ne fu vittima. la missione manca di grani. Io ho finito tutte le provisioni di grani che aveva. I miei giovani erano continuamente in giro a tutti i mercati dei contorni a comprare il grano montato ad un prezzo spaventevole [p. 514] in proporzione del paese; il grano al minuto non si vendeva più in misura, ma al peso, e quasi che si vendeva al peso del sale. Ho finito tutte le provviste e fondi della casa che vi erano in sali, verotterie, tele nere, e simili oggetti di cangio. Ho fatto ricorso agli amici che me ne mandarono dai contorni [e] persino dall’estero, e non bastando ho comprato coi pochi talleri che aveva dai ricchi che ancor ne avevano.

un nuovo villagio di affamati. Nella vicinanza della casa nostra si è fatto come un villagio di capanne, dove restavano i poveri che non avevano più forze per ritornarsene alle loro case. Ho ridotto la casa mia a mezza porzione, figli miei, diceva loro, quando i nostri vicini mojono di fame noi ci empiremo la pancia? Un giorno che i miei giovani diedero del pane ad alcuni affamati, che cadevano di debolezza, poco bastò [a costoro] per fare un’indigestione e morirvi. Non avendo chi facesse farina sufficiente ha sospeso il pane [destinato] alla stessa casa e non si mangiava più altro che grani bolliti. [Del]La poca farina che si poteva trovare se ne faceva delle minestre per i più deboli. Tre gran vasi bollivano continuamente, uno di carne, un secondo di farina per minestra, ed un terzo di grani effettivi.

sistema nel curare gli affamati A quelli che erano molto deboli si somministrava [p. 515] un poco di minestra con un pezzetto di carne; a quelli poi che erano più forti si dava del grano bollito, e qualche osso a rozzicare. [Riguardo al]Le madri che alattavano per la fame non avendo più latte, ho fatto ricorso ad alcuni amici, i quali vedendo lo spettacolo che si passava alla missione, mossi a compassione, me ne mandavano [di viveri] ogni giorno mattina e sera. Io non poteva più sortire senza essere circondato da una quantità di ragazzini, di madri che mi mostravano i loro bimbi sfiniti. Molti di questi bimbi divenuti molto deboli non potevano neanche reg- /291/ gere il latte se non era mescolato con aqua. A molti di questi bimbi ho trovato che la sola farina di lino abbrustolito come il caffè sciolta nell’aqua gli ristorava più che il latte; lo stesso di alcuni adulti divenuti estremamente deboli.

assistenza del nostro ospedale; il paese ci soccorre. In poche parole il contorno della mia casa diventò un vero ospedale. Fu lasciata la scuola ordinaria dei giovani, perché tutti erano occupati, chi a cercar grani, chi a distribuire il vitto temporale, e chi a distribuire il pane spirituale dell’anima. in quel tempo tutti ricevevano l’istruzione; molti anche vi morirono, ma, se non altro, la più parte morivano col battesimo. si va spiegando la liberalità anche fra i galla. A gloria del vero, debbo confessare, che il paese vedendo questo spettacolo, cosa affatto nuova in quei paesi, molto mi ajutò. Mi sono trovato da principio nella miseria; [p. 516] avendo consummato tutto quello che aveva, ma poi nel decorso [di quest’opera assistenziale,] a misura che si conobbe l’opera di Dio che si stava facendo in favore di tutti indistintamente, anche in favore di molti stati nostri nemici, ed a misura che conobbero la nostra povertà incomminciarono a moversi a compassione alcuni dei più ricchi, i quali aprirono i loro depositi e spontaneamente mi mandarono grani ed anche animali, a segno che sul fine mi trovava quasi compensato di tutte le spese fatte, ed ho dovuto ringraziare [di] alcune offerte ed anche rifiutarle, esortandoli a preferenza di vendere al mercato a beneficio di tutti.

la divina providenza. Dalla sin qui narrata storia si debbono dedurre tre cose. 1. Che la Providenza di Dio veglia e fa anche in certo modo miracoli per soccorrere il ministro di Dio che lavora nella sua vigna, non solo quando istruisce colle parole, ma molto più quando istruisce coi fatti la sua santa legge, principalmente la carità cristiana. Il gran miracolo della divina Providenza da me veduto nella piccola casa detta della Providenza in Torino del Venerabile Cottolengo [27.4.1832] che io ho veduto [a] nascere, e nel breve corso di pochi anni arrivare ad alloggiare milliaja d’infelici, e senza mezzi sorpassare tutti i grandi e ricchi ospedali di detta città l’ho veduto più volte rinnovato in proporzione fra i barbari, come si può vedere nella storia suddetta. [p. 517] la carità agisce sul cuore del barbaro. 2. La Carità evangelica, come perfezione naturalmente simpatica al cuore umano corrotto, trova in esso un’eco, anche nei paesi, e frà le razze le più traviate e crudeli dei barbari, come lo trova in Europa, anche presso gli stessi empj. Epperciò serve mirabilmente al missionario per aprirsi la via ad un completo ministero apostolico, come si può vedere, dalla storia sopra narrata, e dalle precedenti dell’inoculazione del vaivuolo, e di altre medicine [e] si può argomentare con tutta facilità. paragone tra la parola e l’esempio. 3. Il missionario istruisce molto più facendo che parlando, e si vede in pratica realizzato /292/ ciò che si dice di nostro Signore, il quale cœpit facere et docere. Ho veduto sempre che per lo più il catechismo stesso sul dogma era come un seme gettato sopra un terreno secco, il quale si risvegliava poi dietro un’esempio del missionario stesso di qualche virtù. Io provava che la stessa Messa spiegata e raccomandata, era una cosa fredda fino a tanto che il cristiano non aveva veduto il suo missionario [a] celebrare con un vero trasporto d’amore; così della santa comunione; così pure in modo speciale in materia di purità. Tutto si deve alla grazia, ma il cuore materiale del selvagio ha bisogno di vedere qualche cosa per sollevarsi a riceverla.

la storia del curato d’Arch francese, al caso nostro. Arriva nelle missioni ciò che in proporzione suoi arrivare anche fra noi in Europa negli stessi paesi nostri cattolici, dove la parola di un sacerdote ordinario, anche oratore classico, ed elevato in dottrina, arriva a tener viva una cristianità già fatta, ma non arriva [p. 518] ad entusiasmarla nella pietà, come vi arriva un sacerdote di gran santità e zelo, anche meno istruito, e con una parola molto semplice, ma ravvivata da un zelo che parla al cuore, e confermata con un’esempio senza replica. Altrimenti come spiegare quel gran miracolo di storia dell’epoca nostra medesima da tutti conosciuto del curato d’Arch di Francia, il quale ha tirato a se tutto il mondo dotto ed ignorante? un uomo giudicato in tutti gli esami della sua gioventù [di scarso ingegno], stato ordinato più per la sua condotta che per la sua capacità, una persona che si dichiarava da se ignorante ed incapace a tutto il mondo, come avrebbe potuto diversamente entusiasmare il mondo e chiamarlo da paesi anche i più lontani a venerarlo, a consultano, e per esservi benedetto, se non fosse stato il prestigio della sua santità su tutti i rapporti? [donde proviene] la sua parola così semplice e sublime nel tempo stesso, che come una saetta arriva al cuore, e lo vince, e lo prostra, di dove tanta virtù, tanta efficacia, se non dalla sua santità che tutto poteva avanti [a] Dio, e [influiva] sui cuore del uomo? tant’è, sia nei seminarii nostri d’Europa, sia in quelli delle missioni estere non è dai dotti che sortono sacerdoti apostoli, ma dall’esempio di uomini santi, così [è] delle cristianità e del ministero in detaglio, la virtù praticata dal ministro di Dio è più efficace della parola.

le pioggie tropicali, e le pioggie equatoriali. Ora ritorno alla carestia, la quale durò dal mese di Gennaio sino a tutto Settembre, [epoca in cui] incomminciarono a spiegarsi le raccolte. In tutta l’etiopia orientale, l’estremità dell’alto piano a levante verso il mare conta due stagioni di pioggie, quella cioè dell’inverno tropicale [p. 519] nostro, e quella delle pioggie equatoriali dal mese di Maggio a Settembre, epperciò si contano due raccolte; nel centro delle altezze /293/ etiopiche come Lagamara, le pioggie tropicali non esistono, epperciò esiste una sola raccolta, la [quale] incommincia a Settembre e dura sino a Decembre; epperciò negli anni di carestia, stagione della caristia. questa per lo più incommincia [a] manifestarsi a Natale, ed arriva a tutto Settembre, nel qual mese incommincia a rallentarsi; come fece nell’epoca suddetta. In tempo di caristia si moltiplicano i seminati, ed [per] il bisogno di trovare presto grani da sfamarsi si moltiplicano alcune specie di grani detti quarantini, i quali arrivano [a maturazione] anche prima di Settembre, ed allora incommincia a rallentarsi il prezzo dei grani sui mercati, e la fame va diminuendo.

cause della caristia, quali. Ho già parlato sopra di alcune cause della caristia in Etiopia; ho detto che le guerre ne sono la causa, perché [questo flagello] distrugge grani, ed impedisce i seminati. Ma non ho trattato la questione completamente. mancanza di strade e mezzi di trasporto. La prima di tutte le cause è la mancanza di strade, e dei mezzi di trasporto. Le strade si chiudono ben soventi per le guerre locali, le quali impediscono [al]la popolazione indigena di circolare, ed appena lasciano aperta la strada per i mercanti della costa; ora i mercati [p. 520] dei grani non sono alimentati dai mercanti della costa, ma dai mercanti indigeni in detaglio, i quali non possono sortire in tempo di guerra, dalla parte che esiste la guerra. Le strade però non sono chiuse solamente dalla guerra, ma ancora dalle pioggie e dai fiumi che le rendono impraticabili, dal mese di Giugno sino al mese di Ottobre. Anche i mezzi di trasporto mancando impediscono il trasporto dei grani in paesi lontani. Non vi sono in tutta l’Etiopia carri, ed i trasporti facendosi tutti colle bestie da soma, oppure a spalle di uomo, questo fa [sì] che il mercato dei grani non può essere alimentato dai paesi lontani, ma solo dai più vicini. Ora cosa ne avviene? i grani non potendo andare lontani, quando avvanzano i grani in un paese, il prezzo diviene nullo, ed il popolo, con case ristrette, ed ancora mancante di vasi per collocare i nuovi grani, non si cura più di seminare. Quando poi viene la caristia, allora tutti si mettono in movimento e si moltiplicano i seminati, motivo per cui dopo la carestia succede per lo più l’abundanza.

i monopolisti in grande. Avvi ancora un’altra causa che produce la caristia, ed è il monopolio dei mercanti e dei ricchi. Quelli che vivono di monopolio si procurano delle case e dei vasi in quantità, e quando i poveri che mancano di questi si trovano obligati a vendere per far luogo alla futura raccolta, oppure per comprarsi delle vesti, [p. 521] o per altri bisogni, allora sortono i monopolisti, e raccolgono i grani a buon mercato, ed una volta che il grano del paese è entrato nelle loro mani, allora la caristia è fatta da loro; essi allora per guadagnare molto tengono stretti i loro /294/ grani per alzarli di prezzo, ed il povero che manca di mezzi muore di fame. Per questa ragione in tempo della nostra carestia in Lagamara, ancora esisteva il grano a sufficienza in paese, ma i monopolisti lo tenevano stretto, e ne mandavano ai mercati piccole quantità per mantenere i prezzi alti. Vedendo essi la mia generosità, e la mia compassione per gli affamati, molti si mossero a compassione, e me ne mandarono in modo che io sarei diventato più ricco di prima, se non l’avessi distribuito a domicilio ai bisognosi. A misura poi che si avvicinava la raccolta, i monopolisti furono anche obbligati a [far] sortire i loro grani per venderli in tempo utile; e così cessò la caristia stata così fatale. Queste miserie accadevano anche nei nostri paesi, prima che esistessero gli attuali gran mezzi di trasporto.

la misericordia di Dio visibile nella caristia. Così dobbiamo confessare che quella caristia fu permessa da Dio, frà gli altri suoi altissimi fini di misericordia o di giustizia, [uno sia stato] per far conoscere la missione nostra al paese, e farla amare; per aggiungere a tutta quella gente di cuore duro e senza misericordia un’esempio [p. 522] di carità e di commiserazione verso il povero. i galla poveri sono pochi. Frà i galla i poveri nulla tenenti sono pochissimi; gli stessi schiavi emancipati con famiglia poss[i]edono qualche terreno, ed hanno per lo più bovi per arare, un’asino, e qualche pecora o capra; di veri poveri non si trovano che pochissimi schiavi infermucci, e caciati via come arnesi inutili, oppure qualcheduno della casta mercante. Epperciò la maggior parte di quegli affamati che venivano da noi in tempo di caristia erano piccoli possidenti, i quali prima moriranno, che vendere terreno o bovi loro unico capitale e risorsa per vivere. Per quella povera gente l’unico capitale vendibile per i loro bisogni, sono i pochi grani d’avvanzo, o le poche pecore o capre; nella carestia, mangiato che hanno questo mojono di necessità. La missione perciò, in ciò che ha fatto in tempo della caristia, si è guadagnata la simpatia di quasi tutta la bassa popolazione, quella appunto, dalla quale avvi più a sperare per il ministero, come tutti monogami. La providenza di Dio ha voluto che la missione si facesse questo merito, a spese dei ricchi, e dei monopolisti; quì appunto sta il miracolo della providenza di Dio.

riconoscenza dei galla. Difatti, dopo questo fatto, tutta quella popolazione conservò per la missione una riconoscenza indescrivibile; essa considerava in seguito la Chiesa e la casa del missionario come casa paterna. Fra quei poveri Galla non vi [vi] si trovano di [p. 523] alberi, come fichi, persici, prune, e simili di cui è tanto ricca la nostra Europa; in luogo di questi si sogliono considerare come frutta le fave verdi, i piselli, i ceci, il fromen- /295/ to oppure [l’]orzo ancor verde, e sopratutto il grano turco ancor verde, la durra o meliga rossa ancor verde. Dal momento che questi grani arrivano, prima ancora di gustarli si usa farne regalo di un mazzo a qualche persona più cara più rispettabile, ora in ciò la missione era sempre la prima servita, ed arrivata l’epoca, tutti i giorni [noi] la casa aveva simili regali, i quali erano molto cari ai nostri giovani della casa. Le stesse donne o [ci offrivano] le primizie del latte della loro vacca, oppure colle [offerte delle] loro galline di quando in quando non lasciavano di trovare qualche regalo da mandarci. Anche i ragazzi andavano a pescar pesci nel fiume, oppure prendevano col lacio delle pernici o galline faraone, e subito correvano a farcene un regalo. Da ciò si vede la riconoscenza grande che conservavano per noi. La missione però si trovava abbastanza [ri]pagata del loro attaccamento, e della speranza di potervi esercitare il ministero apostolico, massime ai ragazzi.

Ho voluto scrivere tutti questi detagli, perché fanno conoscere il carattere della popolazione, e nel tempo stesso [si] da un’idea del paese. Lagamara, ed in generale i paesi galla di quella parte sarebbero ricchi di cacia, ed anche avrebbero della pesca sufficiente, ma per lo più il galla non usa di andare alla cacia [p. 524] per mangiare, perché egli per lo più non si ciba di altro che di carne bovina, di pecore, e di capre: così parimenti non mangia pesci. Dopo che la casta mercante abissina si è introdotta e moltiplicata; sopra tutto dopo che si è stabilita la missione, i ragazzi hanno incominciato a cercare pernici e galline faraone, e pescare pesci nei fiumi, non per se, ma per la casta straniera a cui gli vendevano. Dopo che la missione si è stabili[li]ta l’uso di caciare si è fatto un poco più comune; prima di noi la casta straniera inclinava piuttosto a seguire gli usi del paese, come per lo più suoi sempre accadere, lo straniere piega alla lingua ed agli usi del paese. La nostra influenza ha fatto rivivere molti usi abissinesi, ed anche un poco la lingua.

le tre feste della Croce. Era il 14. Settembre 1857. festa dell’Esaltazione di S. Croce. L’ho celebrata nella nostra cappella di Tullu Lêca in Lagamara con una solennità tutta spirituale e privata, perché doveva poi celebrarsi più tardi esternamente con gran solennità il 17. dello stesso mese secondo il calendario Giuliano, per seguire l’uso antico stabilito dai nostri cristiani d’Abissinia; Quindi alcuni giorni dopo di quest’ultima, io doveva celebrare ancora una terza festa della Croce tutta civile secondo il calcolo galla sul nuovo terreno comprato in Denquorò, come atto di possesso del terreno medesimo.

/296/ [p. 525] ordinazioni di alcuni giovani;
arrivo di un corriere.
Dopo la nostra festa latina occorrendo le tempora, io stava preparando i miei giovani con una specie di ritiro spirituale per conferire a tre o quattro dei miei giovani alcuni ordini minori, quali io soleva sempre conferire uno per volta, onde dar loro un’idea dei medesimi un poco più grave e distinta, come difatti ho fatto. Nel giorno appunto in cui aveva conferito gli ordini, in particolare la Tonsura e l’ostiariato al giovane Paolo recentemente arrivato dalla costa, mi arrivò la risposta da Kafa alla seconda ammonizione, risposta del Sacerdote indigeno, il quale diceva che il povero delinquente la ricevette con rispetto, dimostrando una certa afflizione, ma intanto rispose che nulla occorreva, come già nella prima; difatti quale risposta consolante aspettarci da un povero prigioniere di Satana legato con catene di ferro? Come l’ammalato era troppo lontano per vederlo negli occhj, nella lingua, e nel polzo, onde fare una diagnosi compita, io nella cappella, avanti [al]l’altare, leggeva, rileggeva [la lettera], e poi pregava, e poi piangeva, ed ecco tutto.

Mi volle tutto per asciugarmi gli occhi e potermi presentare a quei di casa per gustare un poco di pane, il quale mi parve in quel giorno più amaro del fiele; quindi trattenermi con alcuni dei contorni, che mai [non] mancano, e poscia, secondo il solito, assistere alla preghiera [p. 526] della sera. terza ammonizione per Kafa; testo Ho passato la notte in chiesa scrivendo la mia terza ammonizione al delinquente sopra l’altare medesimo, dove giornalmente scorreva il Sangue mistico fonte di misericordia per i traviati, il foglio bagnato da lagrime, studiava di far conoscere al povero figlio prodigo la triste sua situazione colla descrizione della mia ancor più triste di padre addolorato, in questo momento, gli diceva, col cuore innondato da una sola goccia di dolore che provo per voi, incommincio a capire il mare che soffocava quello del mio divin maestro e Redentore sotto il peso delle iniquità del mondo nel Getsemani sino al sudore di vivo sangue; non sudo sangue, figlio mio, perché son semplice uomo come voi, incapace di tanto dolore, ah, figlio mio, perché aggiungete ancor dolori a me, ed al nostro buon Gesù! Questo è l’ultimo invito che vi facio da Padre amoroso e addolorato nel tempo stesso. Non aggiungo esortazioni e ragioni, perché sapete tutto, e sapete ancora che dopo questa mia terza ammonizione, dopo tre mesi di tempo, io sono obligato a scomunicarvi con sentenza personale, e gettarvi fuori del gregge, perché siete divenuto lupo a guastare il resto delle pecorelle col vostro cattivo esempio; arrivato io là per la forza del dovere, spero sempre ancora che voi non arriverete dove è arrivato Giuda... Che Iddio vi /297/ salvi! che per l’ultima volta godo il piacere di segnarmi vostro Affezionatissimo Padre

† Fr. G. Massaja V.[escov]o, e V.[icari]o Ap.[ostolic]o

[p. 527] Scritta che fù questa lettera l’ho piegata e sigillata, e poi l’ho messa sotto la pietra sacra per la Messa dell’indomani che doveva celebrarsi votiva a questo scopo, nella quale una gran parte della famiglia doveva fare la S. Communione, sperando così che il Sangue di nostro Signore avrebbe dato un’efficacia alla mia parola ivi contenuta.

lettera del P. Felicissimo P. Felicissimo col suddetto corriere mi [mi] aveva scritto una lunga conferenza tenuta con Abba Baghibo, nella quale questo Re gli aveva raccontato il successo di tutte le sue trattative, e le difficoltà che vi si opponevano, per parte, non del Sacerdote in questione, ma dei potenti parenti della sua moglie, essendo questa di una gran famiglia, ed adottata dal Re stesso come figlia. Ma Abba Felixios mio, disse il Re, che male ha fatto questo prete che il vostro Padre è così in collera? mentre gli antichi preti di Kafa ne avevano anche dieci mogli? Noi non abbiamo mogli, rispose P. Felicissimo, perché tutti sono nostri figli, ed un Padre non può sposare la propria figlia, come tutti sanno; noi poi non ne vogliamo avere, perché la moglie ruba il cuore dovuto a Dio, ed ai poveri. Io vi lodo, disse il re, ed assicurate il vostro Padre che io farò di tutto, e lo farò entrare sano e salvo in Kafa con tutte le condizioni che egli desidera.

risposte spedite all’Ennerea ed a Kafa. Vedendo le buone disposizioni di quel Re scrissi al P. Felicissimo di ringraziarlo, ed animarlo nel tempo stesso a terminare l’opera incomminciata. Fratanto ho spedito la lettera suddetta al delinquente, con altra lettera per il Sacerdote [p. 528] indigeno Abba Jacob, nella quale io gli dava le più minute istruzioni per consegnargli la lettera, e scrivermi non solo le sue risposte, ma ancora tutti i segnali che manifestava nel leggerla, come segni che indicavano il grado e lo stato della malattia per mia norma. Ciò fatto ho consegnato ogni cosa al corriere e lo feci partire.