/308/

35.
Persecuzione di Gondar e immigrazione.
P. Leone des Avanchers diretto ai Galla.

[partito da Massaua: nov. 1856] Fu appunto nell’epoca che regnava in Lagamara la diarrea sopra narrata, che arrivò colà il P. Fessah antico allievo di Abba Salama, convertito al cattolicismo dal P. Biancheri [p. 546] e mandato da questi in Gudrù da me per essere ordinato, come già ho scritto altrove del medesimo. lettere venute con abba Fessah. Questo Sacerdote indigeno era partito dal Tigre quasi un’anno prima, accompagnato da lettere del P. Leone, del P. Gabriele, di Monsignore Biancheri, e di Monsignore De-Jacobis. Dalla lettera del P. Gabriele da Rivalta Procuratore della missione nostra in Massawah constava che aveva ricevuto 300. talleri di Maria Teresa da portarmi, dei quali me ne portò solamente 100. dicendomi che una parte era stata spesa da lui in viaggio, ed un’altra parte fu sequestrata dai doganieri, ed il suo fratello era rimasto per riceverla unitamente al suo bagaglio. La lettera del P. Leone mi dava alcune notizie dell’Europa, e dell’Egitto, quindi mi significava il suo progetto di partire al più presto per raggiungersi a me. La lettera di Monsignore Biancheri mi significava la sua consacrazione in Vescovo di Legione, e Coadiutore di Monsignore Dejacobis. Finalmente Monsignore Dejacobis concedeva l’exeat al P. Fessah con certe espressioni che indicavano qualche dubbio sulla sua condotta; quindi mi significava la sua risoluzione di venirsene a Gondar, come poi fece.

alcuni dubi sopra abba Fessah. Il fatto dei denari, e le espressioni di Monsignor Dejacobis incomminciarono a mettermi in guardia sul conto di questo novello sacerdote indigeno. Tuttavia io usava prudenza con lui. Per scoprire campagna ho intavolato più volte il discorso con lui sopra Abba Salama suo antico padre e padrone, e mi raccontò delle cose quasi incredibili sopra questo Vescovo eretico; mi diceva chiaramente e senza riserva [p. 547] che essendo più giovane era l’ordinario suo compagno di letto, e raccontava tutte queste specialità anche con altri, e più chiaramente a segno tale che ho dovuto correggerlo. Del resto poi la persona pareva abbastanza grave, ed anche zelante della missione. Egli mi domandò di celebrare la /309/ S. Messa in rito etiopico; mi fece vedere una Messa manoscritta, che egli mi diceva [essere] quella che celebravano i sacerdoti indigeni del Tigrè. Avrei voluto farla tradurre da Abba Hajlù, per poterla giudicare, ma come mi faceva molta premura, gli ho domandato se aveva già celebrato, ed avendomi risposto di sì, gli ho permesso di celebrare una sol volta a porte chiuse, ed ho voluto assisterlo io stesso. Dopo questa messa egli non cercò più di celebrare, ed io l’ho lasciato in pace.

arrivo di deftera Hailù
[feb. 1858];
Dopo l’arrivo di Abba Fessah non tardò gran cosa, che arrivò Deftera Hajlù da Gondar con molte storie e notizie. Deftera Hajlù era uno di quelli che nel 1839. aveva appartenuto alla deputazione Abissina, in Egitto con Dejacobis per prendere il Vescovo [copto]; egli era stato in Roma, epperciò [era ritenuto] uno degli importanti cattolici d’Abissinia; aveva casa, moglie, e ragazzi in Gondar. notizie gravi.
[4.3.1854]
[17.7.1854]
Da lui ho saputo tutta la storia della venuta di Monsignore Dejacobis a questa capitale dell’Abissinia, il suo imprigionamento con cinque dei suoi sacerdoti indigeni. [p. 548] Deftera Hajlù era perseguitato da Abba Salama, il quale aveva fatto legare pure la sua moglie gravida avvanzata; gran disperzione di tutti i cattolici in Gondar. Dejacobis, espulso da Gondar, [26-27.11.1854] fù obligato a sortire per la via del Dembea, e di Matamma. La nostra missione era minaciata perciò di dover ricevere molti esuli, i quali avrebbero naturalmente cangiato la sua posizione, ed anche compromesso la sua pace.

grande epoca per le due missioni Fu questa una grand’epoca di cangiamento, sia per la missione abissina, sia ancora per la missione nostra fra i galla. Io debbo perciò qui lasciare per poco il racconto delle cose puramente galla, per sviluppare un tantino questa nuova epoca, e questo nuovo orizzonte che andava spiegandosi sia nel Vicariato dell’Abissinia, che nel nostro dei paesi Galla, anche egli mutato.

decisione di Dejacobis; sue mire. Incomminciando dall’Abissinia Monsignore Dejacobis Vicario Apostolico della medesima, dopo [aver] consacrato Monsignore Biancheri in Vescovo, e Coadjutore suo, ha creduto di lasciare a quest’ultimo il governo della missione del Nord in Tigrè per venire nel centro ad attaccare direttamente i nuovi trionfi del vescovo eretico Salama, il quale, protetto dal nuovo conquistatore Kassa, [12.2.1855] nuovamente da lui incoronato imperatore col nome di Teodoro Secondo, [15.7.1855] minaciava una persecuzione spietata contro tutti i cattolici. La sua idea non era cattiva, perché la sua [p. 549] opinione di Santo, ed il suo prestigio, se non prometteva una vittoria completa, in grande avrebbe certamente prodotto una crisi molto edificante da far conoscere la missione cattolica in tutta l’Abissinia; ma questo santo uomo prima di risolversi di lasciare il Tigrè per /310/ venire nel centro a tentare un’attacco al nemico trionfante, doveva contemplare meglio due cose. pericoli gravi non calcolati. 1. Doveva prima di risolvere un’impresa così colossale riflettere bene dietro di se ciò che lasciava al nord: tutti quei monaci ed alunni erano ancora deboli, e sussistevano del suo alito, e della sua presenza; Monsignor Biancheri poi non aveva compreso tutto il senso della sua operazione, egli nodriva idee molto diverse dalle sue. 2. Doveva pure calcolare avanti di se l’operazione che stava per fare, e tutte le sue conseguenze; sopratutto la persecuzione accanita che avrebbe suscitato, la quale non avrebbe mancato di far sentire il suo eco sino alla nostra missione con una emigrazione di persone poco fatte per noi, e per quella missione ancor molto tenera.

Ma l’uomo di Dio probabilmente non pensava che a soffrire col suo Gesù, e forze anche a morirvi martire, altrimenti forze avrebbe ancora sospeso una simile decisione. Difatti la missione del Tigrè non tardò a turbarsi in modo da minaciare anche rovina. La parte del sud ebbe in Gondar una terribile persecuzione, [e] là produsse anche delle defezioni [p. 550] fra i più deboli proseliti. esilio di Dejacobis
[26-27.11.1854];
Tutto il bene riportato da questa campagna apostolica di Monsignore Dejacobis si risolve alla sua edificante prigionia di molti mesi in Gondar, e [al]la sua espulzione per la via del Dembea e del Sennaar con secrete istruzioni di Salama per farlo uccidere in strada, coronata con un ritorno concertato dai fidi stessi di Salama, [e] riportato come da mano angelica per l’Abissinia stessa [che gli resta] secretamente fedele, sino alla sua missione del Tigrè, a tempo per ripararne le rovine. storia di Ozoro Lemlem. Quindi la moglie di Hajlù, [chiamata Lemlem,] perché rifiuta la doppia apostasia da Cristo e dal suo marito, legata, anzi fasciata per impedirne il parto, e si verifi[chi] la sentenza di Salama[:] crepi cattolica col suo diavoletto in ventre, si trova come slegata da non si sa chi, partorisce felicemente nella casa stessa del Copto Prelato, ed è portata di notte (dicono dagli angeli) da chi non si sa, alla casa propria, ed Ozzoro (Signora) Lemlem, come per miracolo si trova libera.

prigionia di cinque preti. Dopo questo fatto, il quale fece molto chiasso, perché Ozzoro Lemlem passava per la più bella donna di Gondar vagheggiata non solo dal Copto suddetto, ma da molti cagnotti della stessa corte, ma divenuta intangibile, perché diffesa dalla rocca innespugnabile della sua fede cattolica, viene il fatto dei cinque preti cattolici contemporanea[men]te incatenati dal medesimo [Abuna Salama] nel suo vescovado stesso, e liberati pure dalla così detta infedeltà degli stessi custodi, mossi, non so, se più dalla compassione per i cattivi trattamenti e crudeltà sofferti dai vinti, oppure da un’invisibile prestigio di un cattolicismo [invisibile] /311/ che agiva nel cuore di molti; fatto sta ed è che [6.6.1855] essi pure di notte tempo poterono rompere le catene, sortirsene, e ricomparire in Tigrè a mostrare la loro piaghe, [p. 551] piaghe che io ho veduto otto anni dopo nella mia discesa alla costa, esse erano chiuse e rimarginate, ma lasciavano vedere i solchi o cordoni delle antiche percosse. martirio di Abba ghebra Michel
[13.7.1855].
Restava ancora un sesto Prete vecchio per nome Ghebra Michele, uno di quelli che ha fatto parte della deputazione andata a Roma con Monsignor Dejacobis nel 1839. Questi trovavasi legato presso il Kantibà Hajlù governatore di Gondar; Teodoro essendo partito col Vescovo Salama per una spedizione, legato come era, dovette partire colla medesima, battuto colla verga parecchie volte, morì martire nel paese dei Wollo vittima del furore del Vescovo Salama.

Per non moltiplicare troppo queste mie digressioni, io non facio che citare tutti questi fatti solenni, pei quali soli non basterebbe un libro. Sono questi tutti fatti, in verità veri trionfi della fede cattolica, avvenuti nella persecuzione suscitata da Monsignore Dejacobis colla sua venuta a Gondar. Questo Santo apostolo nel risolversi di venire alla capitale e cimentarsi direttamente, come già dissi, probabilmente non pensava che al proprio martirio, ed a trionfi di questo genere, del resto non avrebbe certamente risolto un simile attacco; ma un Santo come egli fu [p. 552] certamente non camminava per vie ordinarie e basse di un progresso della sua missione, moltiplicando solo proseliti in numero, ma mirava piuttosto a gettare delle basi alla medesima di un carattere tutto apostolico di una fede segnata col proprio sangue, e con quello di alcuni suoi veri campioni.

Io, ammiratore piuttosto che non storico dei fatti che in quel tempo avevano luogo nel vicariato di Monsignore Dejacobis, mio antico maestro nell’apostolato, ritorno a parlare del mio Vicariato frà gli Oromo-galla, e dico che questa persecuzione fu un grande avvenimento anche per il medesimo e per me, avendomi respinto [nel territorio galla] una quantità di persone, le quali non mi potevano essere di vantagio, come prive di lingua, e con bisogni, ed abitudini molto diverse. La povera missione nostra, priva di comunicazioni colla costa, mancando di mezzi temporali in proporzione dello sviluppo esterno, sono stato obligato di adottare un sistema molto ristretto, il quale poco conveniva a tutta questa gente venuta dalla capitale e dalla costa, dove meno si misurava il denaro. l’abissino fra i galla è critico. L’abissino, benché in casa sua sia forze molto più povero del galla, pure ha delle pretenzioni nel vitto, massime quando si trova in casa altrui, ed è facilissimo a criticare [p. 553] se il cibo non è fatto a modo suo; egli solleva facilissiniamente questioni in ogni cosa, e vuole /312/ che la sua opinione sia sempRe Vittoriosa. L’abissino poi ha un’idea tale della propria superiorità sopra il galla, che lo considera come un’individuo di razza per se inferiore e schiava. Se ciò può aver luogo impunemente in Abissinia, non può verificarsi fra i galla, dove questi sono padroni. Più facilmente un missionario europeo di buon spirito sa abbassarsi a tempo e luogo per compatire e pazientare il galla per rilevarlo dal profondo della sua nullità, che non l’abissino, benché nella sostanza [sia] egualmente ignorante, ma assuefatto a tutto ottenere col prestigio della forza, anche nelle questioni religiose e di fede.

pericoli per la missione galla. Oltre a tutto il sopra esposto vi si opponevano poi anche delle altre difficoltà in certo modo più gravi. Tutti questi abissinesi emigrati verso di noi, benché la maggior parte fossero cattolici, non erano poi tutti cattolici di principio e di convinzione, se ne trovavano poi fra loro anche di quelli dichiaratisi cattolici per convenienza di famiglia e di parentela, e non tutti egualmente morali, e purgati da tutte le superstizioni abissine, forze molto superiori a quelle degli stessi galla. Nasceva perciò il pericolo di trapiantare certe superstizioni nella nostra missione a spese della missione stessa; quindi questi mezzi cattolici incarnati colla missione, colla loro moralità, massime de sexto, poteva corrompere anche molti dei nostri giovani, o semplici proseliti, i quali, per grazia di Dio, fino a quel momento, [p. 554] erano di una moralità incorrotta, e prometteva[no] di conservarsi a fronte di tutte le miserie nostre. Oltre a ciò la corruzione dell’abissino in materia del sesto precetto è molto grossolana, ed avrebbe potuto sollevarmi delle questioni delicate, anche coi galla molto più riservati. Ciò posto è indubitato che la povera nostra missione entrava in un’epoca molto più difficile. Il partito più sicuro sarebbe stato quello di isolare tutti questi emigrati in casa a parte, ma, ne essi avrebbero acettato di andare tutti insieme, ne io era capace di dare a tutti una pensione; essi poi certamente in questo caso non si sarebbero contentati di poco. Mi convenne perciò aver pazienza e tenerli in freno per quanto poteva.

arriva il corriere d’Ennerea; lettera di abba Jacob. Mentre si passavano tutte queste vicende la mia terza ammonizione ebbe tempo di andare, e ritornarvi la risposta. Arrivò difatti il corriere dell’Ennerea che me la portava, accompagnata da una lettera del P. Felicissimo, il quale mi trasmetteva una lettera di Abba Jacob, mentre mi narrava tutti i passi fatti da Abba Baghibo. Abba Jacob nella sua lettera diceva = ho consegnato la sua lettera al Padre C.[esare] mentre ritornava dalla casa del Re a Tadmara in strada, e ricevutala sedette, ed io mi sono seduto vicino, presente Negusiè; mentre la leggeva alcune lacrime gli cadevano dagli occhi, e finito di leggerla, disse: forzeché il /313/ morto risuscita? ciò detto si levò in piedi e se ne andò, continuando la sua strada; [p. 555] arrivato un poco lontano, da me, credendo di esser solo, si sedette di nuovo, e rilesse la lettera molto tempo restando a contemplarla, a segno che io con Negussiè stanchi continuammo il nostro viaggio, lasciandolo in quello stesso ateggiamento =

lettera del p. Felicissimo. Il P. Felicissimo nella sua lettera mi diceva = i messagieri del re mi dissero che un giorno avevano trovato il povero Padre C.[esare] e domandò loro[:] credete voi che [il vescovo] potrà venire? io non lo credo. Si vede, continuava P. Felicissimo che il P. C.[esare] vi pensa molto, ma il diavolo che ha fatto la fritata glie la farà mangiare. Abba Baghibo consegnandomi la lettera di Abba Jacob mi disse che i nuovi parenti del Padre C.[esare] facevano tutti i loro sforzi per impedire le trattative, ma il Re di Kafa all’opposto desidera molto la venuta sua, solamente rifiuta di giurare l’articolo della consegna; ma anche questo verrà, mi disse. V.[ostra] E.[ccellenza] poi risponda al più presto possibile, perché questo Re Abba Baghibo sta per spedire di nuovo i suoi Lemmy a Kafa. Egli ad ogni costo vuole finire questo affare, perché desidera molto di conoscere personalmente V.[ostra] E.[ccellenza]. Ella si disponga a venire, perché le trattative con Kafa sono molto a buon porto. Io poi spero [p. 556] ho sentito dai mercanti le notizie di Gondar e quelle di Lagamara; compatisco V.[ostra] E.[ccellenza], ma son certo che Iddio le darà forza per tutto sopportare, e tutto vincere. Nel caso che Ella fosse impiciata potrà mandarmi qualcuno di cotesti gondaresi, perché io posso in ciò ajutarla. La povera nostra missione si trova in cattivo momento, ma Iddio e con noi, facia coragio... il Suo

Fr. Felicissimo.

L’arrivo di queste lettere mi ravvivò la piaga di Kafa, quella che non mi lasciava in pace ne giorno, ne notte, oltre a tutte le altre che si aggiunsero, come sopra ho riferito.

risolvo di pronunziare la sentenza. Una volta incomminciato un’affare bisognava terminarlo, e prima di tutto mi si presentava il dovere di pronunziare la sentenza di scomunica contro il povero delinquente di Kafa, e cercare ad ogni costo di strapparlo dalle mani del diavolo. L’arrivo stesso di tutti quei forestieri abissinesi domandava di riparare al più presto lo scandalo con una sentenza definitiva. ritiro di tre giorni; discorso Secondo il mio solito, ho intimato alla famiglia qualche giorno di preghiera, pendenti i quali coi miei soliti discorsi patetici mirava non solamente a rimarginare lo scandalo, ma a rinforzare tutti i nostri proseliti nella fede, a misura che il diavolo moltiplicava i suoi sforzi [p. 557] da tutte le parti contro di essa. Cari miei, diceva loro, le persecu- /314/ zioni di Gondar, ed i scandali di Kafa, invece di scoraggirvi, devono anzi rianimarvi, a misura che il diavolo moltiplica i suoi attacchi, il buon soldato di Cristo deve invece radoppiare i suoi sforzi; non è che pregando e combattendo valorosamente, che noi arriveremo alla vittoria. Sì la vittoria, figli miei, non mancherà, ma la vittoria suppone la battaglia, e Iddio ci darà la forza per combattere, e per vincere, ma dobbiamo sperare in lui; fede, cari miei, coragio, le battag[l]ie [non] han mai mancato alla Chiesa, ma essa ha sempre vinto, e vinceremo ancor noi; io temo una sola cosa, e sono i miei ed i vostri peccati, faciamo punto, ed incomminciamo noi a piangere i nostri peccati, ed il diavolo, partito dai nostri cuori, ci lascierà la pace col nostro Gesù.

Questi e simili ragionamenti fatti in quei due giorni fecero molta impressione ai nuovi abissinesi, ed alcuni avevano esternato un desiderio di confessarsi, e fare le loro divozioni. Si fece quindi una communione quasi generale. [9.4.1857] Ciò fatto, ho scritto la sentenza di scomunica, e, secondo il solito, lasciatala sotto la pietra sacra per la Messa dell’indomani giorno di Domenica. pubblicazione della sentenza in Lagamara. Dopo la Messa l’ho letta io stesso al publico, facendo un’allocuzione analoga, la quale molto colpì [p. 558] quella nostra piccola cristianità, massime i nuovi venuti da Gondar. Fattene quindi alcune coppie, ho mandato subito il P. Hajlù a publicarla in Gudrù, sia in Cobbo, che in Assandabo. corriere all’Ennerea, e Kafa
[21.11.1857].
Fatte quindi le lettere d’istruzione opportuna per l’Ennerea e per Kafa, ho fatto subito partire il corriere al P. Felicissimo dicendogli di publicare la sentenza in modo che arrivasse anche la notizia ai cristiani di Nonno Billò; quindi non mancasse di dire ad Abba Baghibo, che io attendeva le sue istruzioni, quali venute avrei pensato alla partenza.

corriere spedito alla costa
[2.3.1858].
Fatto ciò ho dovuto pensare a spedire un corriere alla costa, sia per spedire copia del mio operato alla S. C. di Propaganda, ed un’altra ai missionarii esistenti in Massawah, con istruzioni di tenerla secreta a chi non sa, e farla conoscere nei luoghi dove è pervenuta la notizia dello scandalo. Quindi per rispondere a molte lettere pervenutemi col mezzo dei due ultimi corrieri. Questa spedizione mi occupò parecchj giorni, benché [circa] la partenza dei medesimo non sapessi ancora il giorno, dovendo di necessità aspettare la partenza di qualche carovana. La persecuzione di Gondar rendeva più difficile la spedizione dei nostri corrieri alla costa di Massawah; l’incaricato nostro, come tale, doveva [p. 559] prudentemente tenersi nascosto nella carovana per timore di qualche sequestro per parte di Salama. Per assicurare l’arrivo a Massawa ho dovuto consegnare il piego ad un certo Ghebra Mariam di Gondar, il quale passava come servo di Desta Quancul, figlio del più gran nego- /315/ ziante di Gondar nostro grande amico, il quale aveva casa e deposito in Massawa, in Soccota, in Gondar, in Iffagh, ed in Basso. Questi si obligava non solo di dar franco il piego, ma anche la persona suddetta al nostro Procuratore Padre Gabriele da Rivalta, oppure al P. Leone des Avançer, e in difetto di questi a Monsignor Dejacobis. Con questo corriere io domandava una somma al più presto possibile, e raccomandava al Procuratore di fare un contratto con questo negoziante di Gondar, in forza del quale io potessi ricevere soccorso da questo negoziante dai suoi corrispondenti in Basso, oppure anche in Kafa, dove io stava per andare. Che il contratto fosse registrato al consolato, ed anche presso il governo locale.

incagli alla prossima partenza. Appena spediti questi affari un gran pensiero mi occupava, ed era quello della partenza per l’Ennerea e Kafa, con tutta quella caterva di forestieri. Quando il paese di Lagamara sentirà che io debbo partire cosa dirà? Cosa diranno quei di Gobbo, e quei di Giarri? Sopratutto, cosa diranno questi forestieri? Chi lascierò alla custodia di questa cristianità? Giorno e notte io non faceva che pensare a tutte queste questioni, e più vi pensava, più l’orizzonte mi si faceva oscuro. Eppure era arrivato il tempo di pensarvi, potendo venire da un giorno all’altro qualche ordine dall’Ennerea per la partenza. Fra tutte la [la] questione [p. 560] dei gondaresi emigrati era quella che più premeva di provedervi. parlata ai gondaresi; progetto di emancipazione. Ho chiamato perciò le persone principali frà i medesimi, e dissi loro, cari miei, da un giorno all’altro può arrivare il momento di dover partire, e non potendo prendere con me tutti, dobbiamo pensare per tempo al partito da prendere. Come sapete, la missione galla è lontana dal mare; la persecuzione rende ogni giorno più difficile le communicazioni per avere di che [da] vivere; per conseguenza io non posso mantenervi tutti, come ho fatto fin qui, e dobbiamo pensare ad aggiustare i vostri affari. Fra i piccoli ragazzi i più grandicelli potranno venire con me, facendo qualche servizio di casa, ed io gli istruirò. Per gli altri poi vi darò qualche pezzo di terreno che tengo in affitto, e così lavorando ciascuno pensi a se fino al mio ritorno.

distribuzione loro fatta. Ciò fatto, ho assegnato a ciascheduno il pezzo di terreno secondo la maggior o minore quantità di persone; ho assegnato qualche bove da lavoro e qualche pecora o capra ai più bisognosi, ed ho ordinato che ognuno incomminciasse a farsi una piccola casetta da dimorarvi. [Li assicurai:] Io poi prima di partire vi metterò sotto la custodia di qualcheduno del paese, [p. 561] affinché vi protegga in facia al paese in tutte le questioni che potranno nascere d’accordo col prete che resterà qui alla custodia delle anime vostre. Alcuni piansero, ma pure dovettero /316/ rassegnarsi. Quando la loro casetta fù in ordine ho fatto assegnare un poco di grano per vivere sino alla raccolta sui pochi fondi che vi erano; ho dato loro qualche sale per gli atrazzi di casa da comprarsi, e così gli ho congedati. In questo modo la casa della missione restò libera da tutta quella quantità di forestieri, e [e] ciascheduno incomminciò a pensare a se stesso.

crisi nel paese contro il progetto di partenza. Questo primo passo fatto diede un’alarme al paese, ed incomminciarono i reclami in grande. Io aveva preso nel paese una posizione direi quasi più paterna che politica. Quando nascevano questioni fra i capi casta io era per lo più avertito, chiamava or l’uno, or l’altro e soleva occuparmi per rimettere frà loro la pace e l’equilibrio, per questa ragione al sentire il mio progetto di partenza, incomminciava a manifestarsi una specie di crisi nel publico. Un bel giorno circa 15. capi si radunarono, e vennero da me per vedere d’impedire la mia partenza. Cari miei, dissi loro, io non parto per sempre, anzi protesto che Lagamara sarà sempre il paese [p. 562] di mia dimora, e dove vorrei essere sepolto, ma avendo case nell’Ennerea ed in Kafa ho bisogno di visitarle per alcuni bisogni occorrenti; ciò finito io ritornerò qui. Fratanto se qualcheduno ha bisogno che si inoculi il vaivuolo venga per tempo, e non aspetti sul momento della mia partenza.

la notizia della partenza solleva il bisogno dell’inoculazione Fratanto incomminciò [ad] andare la notizia della mia partenza a Gobbo, e vennero anche di là deputazioni a pregarmi di non partire; dopo di Gobbo vennero quei di Giarri, e persino vennero da Gombò a portare alcuni bimbi per l’inoculazione. Questi ultimi riferirono una notizia curiosa: in quel paese ogni anno dopo il mio passaggio si è fatto sempre la festa anniversaria di quella che si fece [fatta] dopo la famosa inoculazione, ed i giovani in quel giorno cantavano il Pater e l’Ave in lingua galla che avevano imparato dai nostri catechisti. La notizia, a misura che arrivava in tutti i contorni, sollevò un gran movimento per l’inoculazione, ed i due mesi che [che] passarono sino all’arrivo del corriere d’Ennerea, io fui obligato a passare quasi tutta la giornata ad inoculare il vajvolo; venivano da tutte le parti, persino da Nunnu, e dal Gudrù. Coi regali che mi portarono in tutti quei giorni, regali di pecore, di capre, di galline, ed anche di alcuni bovi, ho potuto darne a tutti i m[i]ei gondaresi e riservarne ancora una bella quantità [p. 563] per l’uso della casa nostra. Come poi incomminciavano a venire delle [persone per le] inoculazioni dalla parte del Sud al di là del Ghiviè, si fece correre la voce, che dovendo io passare per quei paesi gli avrei inoculati al mio passagio. Compresi subito perciò che il mio viaggio per l’Ennerea mi avrebbe trattenuto una quantità di giorni.

/317/ notizie contradittorie sul p. Leone. Verso la metà di Gennajo 1859. arrivarono alcuni mercanti che sparsero alcune notizie contradittorie sull’arrivo del P. Leone al campo di Teodoro; alcuni dicevano che questo imperatore lo aveva ricevuto ed onorato molto, ma non mancavano all’opposto altri che affermavano di averlo subito obligato a retrocedere, anzi di averlo battuto. Fummo perciò per alcuni giorni molto in pena per lui; ma non tardò ad arrivare un nostro gondarese, il quale ci assicurò che il padre Leone aveva incontrato tutta la simpatia dell’imperatore suddetto, e che anzi molti dei nostri cattolici si erano messi al suo servizio, disposti a seguirlo dovunque. Però alla loro partenza dal Beghemeder nulla sapersi ancora della strada che avrebbe fatto. Questa notizia ci tranquillizzò un tantino [ne]i nostri timori.

grande auge dell’imperatore Teodoro; sue crudeltà
[Uollo: 22.9.1855]
[Scioa: fine 1855 - mar. 1856;
morte di Malakot: 9.11.1855].
Questo imperatore si trovava in quel momento nell’auge del suo potere; egli aveva in quell’anno battuto i Wollo, dove aveva sparso un’incredibile terrore, amazzando, e tagliando gambe e bracia senza misericordia. Battuti i Wollo, arrivò sino allo Scioha, mentre il Re Hajlù Malacot [p. 564] si trovava gravemente ammalato tutto all’improvviso; il Re fu salvato, sopra un letto volante, e vi morì profugo, e Teodoro regnò, quasi senza battersi. Dopo questo fatto Teodoro sparse un [un] prestigio di terrore sopra tutte quelle altezze etiopiche. Di ritorno da tutti questi trionfi, Teodoro, come io m’immagino, volle dare al mondo una prova della sua benignità, alorquando arrivò al suo Campo il P. Leone suddetto, Teodoro lascia passare p. Leone
[mar. 1859].
lo ricevette, lo trattò mirabilmente bene, prescindendo dal suo carattere di Sacerdote, anzi di proposito volendo ignorarlo, per non adumbrare il suo vescovo Salama. Il P. Leone avendo esternato di voler passare ai paesi galla, egli fingendo di non sapere che era missionario, lo fece passare, lo fece accompagnare, e lo raccomandò a tutte le autorità locali. Così poté passare il P. Leone, ma noi nulla ne sapevamo, e mentre io era in movimento per Kafa, egli veniva verso di noi.

notizia di lui a proposito. Questa notizia però mi arrivò molto a proposito per consolarmi nel bisogno che io aveva di missionarii, ed anche per tranqu[i]llizzare le missioni di Lagamara e di Gudrù colla speranza del prossimo suo arrivo. Arrivato difatti il corriere d’Ennerea, col quale il P. Felicissimo mi raccomandava di partire al più presto, annunziandomi che tutte le conferenze erano finite, e che in Kafa mi aspettavano, io ho potuto tranquillizzare le missioni di Lagamara e del Gudrù, [p. 565] assicurandole che frà poco [p. Leone arriva a Lagamara: 21.6.1859]. sarebbe arrivato il P. Leone il quale avrebbe preso il mio posto. Questa notizia innoltre fu un vero balsamo per sanare la piaga della persecuzione passata, la quale non mancò di fare un’impressione /318/ poco favorevole alla missione fra gli stessi paesi galla, atteso il gran timore che incuteva Teodoro anche in tutti quei paesi.