/319/

36.
Da Lagàmara a Limu-Ennèrea.
Carattere, regno, reggia di Abba Baghibo.

disposizioni per la partenza. Arrivato adunque il corriere, era duopo [dunque] pensare alla partenza; eravamo sul principio della quaresima abissina, secondo il kalendario giuliano; e bisognava calcolare di arrivare prima della Domenica delle palme. La distanza da Lagamara a Saka, dove si trovava la casa nostra e la dimora di Abba Baghibo, non domandava più di quattro giorni di commoda carovana, ma l’uso mio era di fare sempre un poco di apostolato viaggiando; d’altronde bisognava calcolare l’inoculazione del vajvolo che non avrebbe mancata sia in Leca, sia in Roghiè, sia in Nonno Billò: tutto ciò calcolato, mi vedeva nel bisogno di accelerare la partenza per arrivare a tempo. Affinché poi l’affare del vaivolo non ci trattenesse troppo in strada, Abba Joannes partì due giorni prima per disporre le nostre stazioni.

[p. 566] Il mercordì delle ceneri della nostra Quaresima ho fatto la funzione, ed ho spiegato al popolo il mistero; si trovava in quel giorno un gran concorso [di gente]. In questa funzione ho annunziato la mia partenza per il lunedì seguente, invitando tutti ad accostarsi ai Sacramenti nei quattro giorni che ancora rimanevano; la comunione fatta in questi giorni, dissi loro, potrà servire per l’adempimento del precetto pasquale, se mai il P. Hajlù avesse dovuto trovarsi altrove per la S. Pasqua. Questi quattro giorni si passarono, parte nel s. ministero, e parte in visite ed inoculazioni del vaivolo.

partenza da Lagamara
[4.4.1859].
Arrivato il Lunedì si celebrò la S. Messa di notte, dopo la quale ho recitato l’itinerario, e sortito dalla cappella tutto Lagamara era in movimento; più di 50. cavalieri, tutte persone di distinzione, mi aspettavano per accompagnarmi sino al fiume Ghiviè; era un gran mercato di gente che ci seguiva; ogni istante doveva fermarmi per congedare qualcheduno, e quella continua commozione era una vera fatica. Per questa ragione ci riuscì di arrivare al fiume Ghiviè che si avvicinava il mezzo gior- /320/ no. passaggio del fiume Giviè. Si passò il fiume sopra una piccola zattera fatta con legni legati insieme, ed alla riva opposta [p. 567] ci aspettavano tutti i lagamaresi, abitanti al di là del fiume. Qui devo fare osservare che il paese di Lagamara circa dieci anni prima solamente aveva conquistato questo paese, anticamente appartenente, parte a Leca, parte a Nonno Roghiè, e parte anche a Celia. Dopo la conquista è stato diviso fra le diverse caste di Lagamara, le quali tengono casa di quà e di là del fiume. Anche là avevamo dei nostri cristiani, presso i quali abbiamo dimorato due giorni per amministrare alcuni Sacramenti, e per inoculare il vaivolo. Dopo il Pranzo Abba Joannes partì per Leca, ove esistevano anche alcuni cristiani, e ci aspettavano molte inoculazioni del vaivolo.

arrivo a Leca; Siamo rimasti in Ciau (dall’altra parte) due giorni per istruire alcune donne, alcuni schiavi, ed alcuni ragazzi che non erano venuti in Lagamara, e per terminare tutte le inoculazioni che vi erano; finita ogni cosa Giovedì mattina colle persone del mercato siamo partiti per Leca alcune ore distante. suo gran mercato. Tutti i prodotti dei paesi negri esistenti all’Ovest verso il Fasuglu, prodotti di oro, di avorio, ed altri minori articoli, provenienti dall’Ovest, cioè da Dabbo, mercato dell’oro e dell’avorio di quei confini; quindi al Sud-ovest confini del principato di Baccarè; come altresì il commercio di Ennerea e di Kafa, tutto passando a Leca, ne viene per conseguenza [p. 568] essere Leca una gran piazza o centro di tutto il commercio di tutto l’interno dei paesi oromo-galla del Sud nel quale si suoi fare il cangio in detaglio degli indigeni coi gran mercanti venuti dal Gudrù. sacro ministero;
inoculazioni in quantità.
Esistevano perciò anche in Leca dei mercanti cristiani nostri, i quali ci aspettavano per il ministero. Benché Leca fosse molto vicina a Lagamara, e molti fossero soliti [di] venire sia per il ministero spirituale, che per altri servizii materiali di medicine, e principalmente per l’inoculazione del vaivolo, pure la gran massa del popolo non potendo sempre venire, fù di mestieri restarvi qui molti giorni, pendenti i quali i nostri catechisti non riposavano, ed io [non] ho mai avuto meno di 50. inoculazioni. Ho fatto publicare subito da principio che non sarei rimasto più di cinque giorni, eppure dopo gli otto giorni, invece di diminuire cresceva il numero degli inoculandi, e non fù che dopo dieci giorni che si poté parlare di partenza, facendo violenza ai gran numero di quelli che venivano da lontano, persino da Sibu per essere inoculati. Si ricevettero molti regali di miele, di butirro, di pecore o capre, ed anche alcuni buoi. Una parte di questi regali fù rimandata a Lagamara, e date alcune riconoscenze ai nostri cristiani che ci mantennero, tutto il resto venne con noi alla nostra partenza per Nonno Roghiè dodeci giorni dopo il nostro arrivo.

/321/ partenza da Leca, arrivo a Nonno Roghiè. Partiti da Leca dopo poche ore di viaggio siamo arrivati a Nonno Roghiè, dove ci aspettava da alcuni giorni Abba Joannes in casa dell’Abba Dula nostro Cristiano, [p. 569] persona molto ricca, ed affezionata alla missione, benché poi di pratica mezzo galla, per il quale poco vi era da sperate per la parte spirituale, per quel momento: dopo poi, massime in morte Dio [solo lo] sa. Appena noi eravamo arrivati, subito si radunarono molti per l’inoculazione del vaivolo. Anche per il ministero era stata fatta espressamente una bella capanna, dove si poteva celebrare la S. Messa ed amministrare i Sacramenti. Con tutta la volontà che io aveva di sbrigarmi presto, e con tutte le raccomandazioni fatte, pure non abbiamo potuto finire le inoculazioni prima di dieci giorni; non è che verso la metà di Quaresima che ci riuscì di partire per Nonno Billò.

Da Nonno Roghiè a Nonno Billò sarebbe stato un viaggio di quattro ore circa per una strada tutta piana, ma siccome vi erano colà molti cristiani di quelli stati battezzati in Ennerea ad ogni tratto eravamo trattenuti dai medesimi, ora per vedere qualche ammalato, ed ora per inoculare qualcheduno. bellezza del paese di Nonno Billò. Per altro poi il viaggio era così delizioso, che invitava a restarvi: un vasto piano tutto coltivato e seminato di case, ornato di basse montagne, o piuttosto colline a destra e [a] sinistra da potersi dire un vero Eden. La nostra carovana [p. 570] piuttosto numerosa con una piccola mandra di bestiami ricevuti in strada aveva l’aria di quella del patriarca Abramo. Era digiuno e non si poteva mangiare ne carne, ne latte, altrimenti i nostri giovani ad ogni tratto avrebbero trovato di che saziarsi. Abba Joannes, venutoci all’incontro, ci aveva preparato un luogo, dove ci aspettava un piccolo pranzo di semplice pane con scirò all’abissinia, ed un poco di birra, [e] gustata qualche piccola cosa, e fatte alcune inoculazioni, abbiamo proseguito il viaggio sino quasi alla frontiera di Limu-Ennerea, luogo fissato per la nostra dimora di alcuni giorni, onde soddisfare al dovere del ministero apostolico, ed appagare il desiderio della popolazione per l’inoculazione del vaivolo.

nostro arrivo ai confini; nostro oratorio. Ci siamo arrestati in un piccolo villagio di Cristiani, dove si trovava un piccolo oratorio con altare; ornato di qualche stracio rosso, e piccole imagini, dove i pochi cristiani dei contorni venivano la Domenica a fare le preghiere, e dove il P. Felicissimo celebrò qualche volta la S. Messa nel suo passagio. Ivi siamo stati visitati dall’Abba Dula per nome Kumma, accompagnato da molti altri. Era quello il luogo di un mercato ordinario del paese, dove i mercanti usavano fermarsi andando o venendo [p. 571] da Leca a Saka Ennerea. Poco lontano di là incomminciava il piccolo deserto che separava Nonno Billò dal regno di Abba Baghi- /322/ bo. La abbiamo sentito tutte le notizie di Saka, e della missione; in Saka era già conosciuta tutta la storia del mio viaggio, e ci aspettavano. Di là ho scritto al P. Felicissimo annunziando il mio arrivo, e fissando il giorno in cui sarei entrato [attraverso] il Kella (porta) del regno di Abba Baghibo, affinché egli potesse prendere tutte le misure che avrebbe creduto opportune col Re per la nostra venuta.

fermata in Billò; ministero apostolico. Nella lettera al P. Felicissimo io aveva fissato otto giorni di fermata in Billò per esercitare un poco di ministero ai cristiani di quel paese, e per le inoculazioni del vaivolo. Ho ordinato che mattina e sera si facessero le preghiere e catechismo di uso, come era l’uso della casa della missione, oltre ai catechismi ordinarii che solevano farsi tutto il giorno dai giovani. Ho fissato pure tre giorni, nei quali ad una certa ora vi sarebbe stata la celebrazione della S. Messa, e l’amministrazione di altri Sacramenti. Da tutto Nonno Billò le famiglie cristiane venivano colle loro proviste, e vi rimanevano anche due o tre giorni [p. 572] alcune per ricevere l’istruzione ed i Sacramenti, alcune per ricevere inoltre l’inoculazione del vaivolo; per quest’ultima poi moltissimi galla venivano continuamente, e mi davano [d]a fare quasi tutto il giorno. Così passarono gli otto giorni, pendenti i quali si amministrarono battesimi in quantità, ed a molti anche altri Sacramenti.

disposizioni per la partenza Passati gli otto giorni, ed arrivato il giorno fiss[at]o per la partenza, mi si facevano istanze per restare ancora alcuni giorni, ma risposi essermi impossibile, e che nel caso potevano venire a Saka, dove l’avrei fatto, ma con gran secretezza, attesoché colà ancora non erano accostumati, ed alcuni potevano pensare male e credere che io veniva a portare il vaivolo nel loro paese, come si sa da molti. Essendo fissa[ta] la partenza, e non volendo introdurre nel regno da Abba Baghibo tutti quegli animali di regalo, ho pregato Kumma di farmeli custodire, e si stabilì un pastore per guardarli sotto la sua protezione. Fra tanto si sarebbe pensato o a venderli, oppure [a] farli venire a Saka. Ciò fatto, all’ora convenuta siamo partiti, accompagnati da molti nostri cristiani, e dallo stesso Kumma.

nostra [entra]ta in Limu Ennerea
[9.4.1859]
Dopo un’ora di viaggio siamo entrati nel deserto, sempre ancora sui confini di Nonno Billò, luoghi di pascoli, [p. 573] circa un’ora di viaggio, e siamo entrati sui confini del regno di Abba Baghibo, dove il nostro Abba Dula ci consegnò alle guardie dei confini, e così siamo passati sotto la giurisdizione del Re di Ennerea. fortezza e porta del regno. Appena continuammo ancora un poco, circa un quarto d’ora al più ci siamo trovati in facia ad una gran fossa a picco profunda circa cinque metri di pura verticale, /323/ larga quasi altrettanto, della lunghezza che l’occhio non poteva misurare, e passato un fiumicello detto il piccolo Ghiviè, e passata la fossa suddetta, ci siamo trovati al Kella o porta del regno di Ennerea-Limu, dove l’Abba Kella già ci aspettava, ed in casa sua ci attendeva il P. Felicissimo coi suoi giovani. Vennero subito a visitarci i doganieri, e questa gente che ad altri sogliono far vedere le stelle di giorno per le loro vessazioni, vennero a noi per farci delle pure riverenze.

Passati i convenevoli abbraciamenti con P. Felicissimo, e data la mano ai giovani ci siamo avviati ad una vicina casa di cristiani, dove abbiamo preso un poco di cibo, e dove pensavamo di passarvi la notte. Discorrendo dei nostri affari [p. 574] più prossimi col P. Felicissimo gli ho consegnato circa un centinajo di pecore e capre lasciate in Nonno Billò, che poteva far venire a suo talento, e che esistevano pure alcuni buoi; tutti regali guadagnati coll’inoculazione del vajvuolo. difficoltà opposte dal p. Felicissimo contro l’inoculazione. Questa consegna portò la questione sopra l’inoculazione del vaivolo ed il P. Felicissimo si credette in dovere di avvertirmi di lasciare una tale pratica in Limu per molte ragioni. La prima e principale cagione è, diceva, quella che in Limu i facara, o predicanti mussulmani faranno credere al publico che noi siamo padroni del vaivolo, e venendo l’epidemia diranno che siamo noi che l’abbiamo chiamata; per questa ragione, diceva, noi l’abbiamo lasciata, come abbiamo lasciato di piantare le patate, perche hanno fatto credere al Re, il quale le amava molto, che, le patate estinguono nel uomo la forza generativa. La seconda ragione, diceva, con ciò sta di mezzo la dignità vescovile, e sacerdotale, facendoci passare come semplici medici e specolisti. La terza ragione, proseguiva, sarebbe quella di non fa[r]ci [s]chiavi, perché una volta che questa gente han trovato qualche cosa di utile in noi ci vogliono obligare a farlo, ed occorrendo di voler partire ci faranno restare.

mie risposte a tutte l[e] difficoltà. A tutto ciò dissi, caro mio, negli altri paesi di republica e libertà galla, io ho sempre rifiutato, e non l’ho fatto se non pregato e scongiurato; trattandosi di un paese di monarchia sarà molto più difficile, e ciò perché calcolo l’ultima delle tre vostre ragioni, come l’unica [p. 575] che abbia qualche peso, e che meriti di essere calcolata da noi nei soli paesi di dispotismo, come tutti cotesti principati galla. In quanto alla prima vostra ragione, la quale sarebbe molto più da calcolarsi nei paesi galla liberi, è una ragione che crolla dopo la guarigione di alcuni, come è accaduto dovunque; ed io non vi lodo d’aver lasciato di seminare le patate per il pregiudizio da voi citato, perché ognuno che ne mangia può ben provare l’effetto, tutto opposto in se stesso dopo poco tempo, come è accaduto in Lagamara, dove le patate hanno regnato, e dove /324/ regna pur troppo la lussuria e si combina benissimo colle patate. In quanto al decoro vescovile e sacerdotale, io sono convinto che si perde piuttosto colla condotta troppo materiale e sensuale, che non coll’esercizio della medicina ed in specie dell’inoculazione, la quale tutto all’opposto apre la strada al ministero nostro, e ci guadagna un capitale di simpatia popolare, la quale rende quasi impossibile una sommossa popolare contro di noi; come è arrivato in Gudrù ed in Lagamara, e sopratutto in Gombò, ed in Giarri, paesi i più barbari di tutti quei contorni, i quali oggi sono abbandonati da noi per sola mancanza di missionarii. Caro mio, una mezza ragione o pregiudizio [non] deve mai trattenere uno slancio che può contenere il germe di una grande operazione.

consigli del padre Felicissimo. Fino a quel punto io sono andato sempre vestito come tutti gli altri nostri missionarii con una camicia ed un turbante ordinario, e sopra una tela bianca più che ordinaria, ancora inferiore a quella vestita dallo stesso P. Felicissimo; ma questi non era contento [p. 576] di questo mio sistema di vestire, ma, se non altro, in questa circostanza avrebbe voluto qualche distinzione come Vescovo, adducendo per motivo che in Kafa doveva di necessità avere qualche distinzione, affinché alle volte non mi facessero passare come semplice prete eguale agli altri, e così non andasse a male la mia operazione; che perciò essendo di necessità in Kafa, doveva incomminciare in Ennerea, dove vanno e vengono gli ambasciadori di Kafa, diceva egli. Sentendo questo suo ragionamento, l’ho trovato giusto, e mi sono [ar]reso al consiglio datomi. Di quello stesso giorno ho vestito qualche cosa di particolare che egli stesso mi diede, e poi, arrivati in casa si aggiustò qualche cosa di più completo, per la visita del Re. Padre Felicissimo, l’indomani mandò subito un corriere al Re informandolo del mio arrivo, e dell’itinerario che eravamo per fare.

[10.4.1859] L’indomani del nostro arrivo in Ennerea siamo partiti dalle vicinanze del Kella, ed in due ore o poco più siamo arrivati alla casa di un nostro cristiano poco più di un ora lontano da Saka, dove abbiamo passato la giornata e la notte aspettando la risposta del Re, la quale arrivò la sera prima della notte. arriva un figlio de[l] re. Il Re mi mandava uno dei suoi figli all’incontro, il quale aveva ordine di portarmi direttamente in casa della missione, di dove egli mi avrebbe fatto chiamare.

[p. 577] il pranzo reale ci aspetta. Arrivati difatti in casa abbiamo trovato colà il pranzo reale che ci aspettava. Era un pranzo preparato dalla sua gran moglie sorella del Re di Kafa, consistente in cinque pietanze preparate in magro a modo /325/ di Kafa, tege o idromele di prima qualità per me, ed altro inferiore per il mio seguito, e poi latte di tutte le qualità, per le persone che non digiunavano. Appena abbiamo finito di mangiare un suo fido era già là che ci aspettava col mulo realmente adobbato per prendermi. Incomminciando dalla nostra casa sino alla regia un mondo di gente [che] ci aspettava per vederci e salutarci. Arrivato alla gran porta io voleva discendere dal mulo, ma mi proibirono dicendo che il Re aveva ordinato che io entrassi sino alla sua presenza a cavallo, cosa unica in quei paesi, perché anche i più grandi ancor lontani dal recinto reale sogliono discendere.

sono alla pr[e]senza del re
[11.4.1859].
mie prime impressioni.
Arrivo alla casa detta del trono, e sono introdotto alla presenza del Re circondato da tutti i suoi grandi. Ho veduto molti di questi principi d’Etiopia, sia Re che imperatori, ma posso assicurare che nessuno mi fece l’impressione che mi ha fatto Abba Baghibo, sia nella sua persona, sia nelle grandezze esteriori della sua casa. Il tipo di questo Re [non] aveva nulla dell’africano: un’uomo grande, grosso, con una testa tutta dignitosa, [p. 578] di un carattere imponente, una facia piena, di un colore rosso bruno, voce sonora e piena, modo di trattare grazioso nel tempo stesso e dignitoso. Egli è seduto sopra un trono che si direbbe d’argento, tutto lavoro fatto sotto la sua dittatura, lavoro che non ha dell’africano. La sua presenza spira un’idea tutta straniera e peregrina al paese. La prima comparsa che fa lo straniero avanti di lui trasporta in certo modo l’imaginazione alle idee che noi siamo soliti [a] formarci di Salomone. Non parlo della casa, della regia, e del suo recinto reale, perché basta dire che non si trova in tutta l’etiopia l’eguale. Nella sua corte tutto è ordine, grandezza, e maestà in proporzione delle idee ristrette che l’europa suole farsi in quei paesi.

Dopo i primi convenevoli, alla presenza della sua corte composta di 50. persone almeno, senza contare il basso servizio, mi fece molti complimenti, fra gli altri mi disse queste precise parole = io vi rispetto molto perché ancora non vi comprendo, a noi voi siete un gran mistero = ho studiato per capire queste parole di Abba Baghibo: certamen[te] che egli non intendeva parlare, ne della mia bellezza, ne della mia richezza esteriore, epperciò io credo che le sue idee in così dicendo volavano più alto, [p. 579] egli voleva parlare certamente del complesso del ministero nostro apostolico, di cui noi eravamo come l’unica espressione esterna. doti singolari di questo re. Egli era di un genio molto riflessivo, e se avesse avuto l’educazione europea sarebbe divenuto un gran filosofo; sarebbe stato anche capace di governare un regno. Difatti, egli restando in casa sua teneva la chiave di tutti quei piccoli regni, si faceva la guerra se egli voleva, e /326/ non si faceva se egli era contrario. Non solamente i regni circonvicini, e Kafa stesso, erano dominati diplomaticamente da lui, ma anche i galla liberi dei contorni erano sotto la sua influenza. Se d’Abbadie ha potuto arrivare a Kafa e ritornarvi, se ha potuto fare delle osservazioni in tutti quei contorni, lo deve a lui. Io poi, già prevenuto dal suddetto, appena arrivato in Gudrù, sentendo i galla, ho concepito di lui un’idea grande, ed ho voluto subito mettermi in relazione; a misura che le relazioni divenivano più intime, e che l’opinione publica di tutti quei paesi mi si palesò, l’idea di Abba Baghibo crebbe sempre in me, ma arrivò all’apogeo, quando lo viddi io stesso, e quando ho dovuto trattare affari con lui. Ciò basti per rendere giustizia a quel grande originale [di regnante], forze unico.

probabile origine di abba Baghibo. Abba Baghibo è probabilmente di razza europea, e nel caso affermativo, certamente portoghese. Fra le razze o caste dominanti in Limu Ennerea ve ne sono due, una chiamata razza Sapera, quella appunto di Abba Baghibo, e l’altra detta Sigarò[:] [p. 580] queste due caste in Limu-Ennerea si disputarono [per] lungo tempo il potere nel paese con differente esito di fortuna. principio del regno Sul principio di questo secolo Abba Gomol Padre di Abba Baghibo arrivò a dominare la casta sua emola, e regnò pacificamente in Sappa estremità sud di quel paese. Abba Gomol morì circa l’anno 1825. lasciando un piccolo regnocolo al suo figlio Abba Baghibo, il quale arrivava appena alla montagna detta Ennerea, oggi nel centro; perché Abba Baghibo fece grandi conquiste al nord sul terreno di Nonno Billò, e Nonno Roghiè. Fu egli che piantò la sua gran regia di Saka al nord dell’Ennerea. Sapera e Sigarò due [nomi] portughesi. Ciò detto a gloria di questo principe, per dire il poco che ho potuto comprendere sull’origine della sua razza, prima di tutto facio osservare il nome di queste due caste Sapera, e Sigarò, due nomi che hanno del portoghese, e se non mi sbaglio mi pare di avergli riscontrati nelle storie. Dalle tradizioni dal paese poi, da quanto ho potuto ricavare, queste due caste, come caste straniere, ed adottive, nei primi tempi che cercarono di dominare ebbero molto a combattere colle razze galla e veri padroni del paese, e non è che dopo molto tempo che diventarono come padrone. E probabile perciò che queste due caste abbiano avuto origine da due soldati Portughesi fugiti dall’Abissinia nelle persecuzione che ebbe luogo dopo l’espulsione dei Padri Gesuiti.

regno di Limu-Ennerea. Il regno di Limu Ennerea in tempo di Abba Baghibo, quando io sono arrivato colà era nel suo apogeo sotto ogni riguardo: al nord arrivava sino al piccolo Ghiviè, ed all’est sino ai piedi delle montagne [p. 581] di Agalò. Nel commercio Abba Baghibo aveva saputo cattivarsi i mer- /327/ canti, e Saka era dienuto un gran centro; dove si trovavano i mercanti provenienti da Kafa, da Guma, e da Gema Abba Giffar, e quelli provenienti da Leca e dal Gudrù. In diplomazia la chiave era Abba Baghibo, come già dissi. In Settembre 1861. io mi trovava in Saka esiliato da Kafa [e vi] morì Abba Baghibo, e lo sucedette suo figlio Abba Bulgu, il quale prese il nome di Abba Gomol, uomo fanatico mussulmano; di là incomminciò la decadenza del regno Limu-Ennerea sotto ogni riguardo, ed oggi si trova ridotto all’antico retagio dei suoi Padri al Sud della montagna di Ennerea, Nonno ed Agalò avendo ripreso [in] tutto l’antica loro possessione sino a Saka. L’Ennerea oggi [non] ha più nessuna importanza, ne in commercio, ne in diplomazia. Ma siccome dovrò ritornare su questo argomento quando riferirò il mio esilio di Kafa, posso ora riprendere il filo della mia narraziòne.

città di abba Bagibo. Per terminare la mia narrazione sulle impressioni che lasciò nella mia imaginazione il mio arrivo ad Abba Baghibo debbo ancora dare un’idea del recinto, ed almeno di una casa. Sopra la vetta della montagna detta Saka s’imagini il lettore di queste mie memorie un recinto in circolo, la cui linea potrà arrivare [a] circa un kilometro; questo recinto [è] fatto con pali tutti eguali [p. 582] della grossezza, a diametro di almeno otto centimetri; tutti uniti, [di] altezza sopra i tre mettri, in cima tutti tagliati in linea con una specie di guernitura tutta eguale che si direbbe una capi[g]liatura sciolta fatta di arbusti spinosi ben legati e tagliati in simetria. Una porta d’entrata larga almeno tre mettri e alta quattro circa; ecco il recinto. descrizione della città interna Dentro questo recinto circa 300. case divise in quartieri diversi, dove, abitano almeno 500. persone, con qualche centinajo di bestie, come cavalli e muli di lusso, e di porto, bovi, pecore da amazzare, galline e simili. Ho detto 300. case, non tutte egualmente grandi, ma di tutte le dimensioni, fatte tutte a padiglione rotondo. Nel quartiere centrale all’ingresso abita il Re con tutti i suoi officiali dell’interno con case tutte di lusso indigeno. In un’altro quartiere suddiviso abitano le mogli con tutte le loro schiave di lusso. Un terzo quartiere per i cavalli e muli con schiavi di servizio. Un quarto quartiere [in cui] vi sono tutte le proviste di grani, ed abitazioni di schiave che fanno la farina; ecco poco presso la regia, o città interna del Re.

descrizione della casa del trono. Per dar l’idea compita delle case io descrivo la più grande, quella detta del trono, e di gran ricevimento, e da questa, dal grande al piccolo si avrà l’idea di tutte le altre.

Per formarsi l’idea di questa casa del trono [p. 583] si deve imaginare due circoli uno dentro l’altro; il circolo dell’interno da un’estremità /328/ all’altra almeno [di] dodeci mettri; la zona esterna almeno sei mettri larga, e divisa in quattro parti quasi eguali, le quali danno quattro belle sale bislunghe. I muri del circolo interno sono alti da nove a dieci mettri; il muro del circolo esterno [è] alto circa sei; ho detto muri, perché sembrano muri, ma sono grossi travicelli tutti eguali ed uniti insieme; quindi ben impiastrati di fango, sterco di bue, e finissima paglia impastati insieme, ben [ar]riciati, e poi imbiancati, ed anche coloriti con qualche dissegno. Sopra questi muri si stende un’immenso padiglione a parasole coperto di paglia [dello] spessore di due palmi, ma così ben aggiustata e tagliata che in poca lontananza si direbbe un veluto. La sommità del padiglione è coronata di guscii di ovi di struzzo. Le porte della casa, sia le interne che le esterne sono in proporzione, e chiuse con tavole sufficientemente ben fatte che non lasciano a desiderare. Ecco la casa principale; tutte le altre sono fatte per lo più in questo modo, ma con proporzioni diverse.

sala di ricevimento. Ho detto che la zona esterna della casa e divisa in quattro. La più grande è quella del trono, e di ricevimento publico. Il trono si presenta in facia alla gran porta, con quattro [p. 584] gradini, ed una sede poco presso simile ad una cattedra vescovile di una delle nostre cattedrali, ma tutta argentata con foglia di stagno ben placata, in modo da crederla argentata; essa è senza baldachino, ma ha lo schienale che finisce in punta sulla quale è posato un globo. Alcune sedie parimenti argentate che il re offre a persone di riguardo. Per il resto della sala vi sono dei banchi a destra e [a] sinistra del trono, nei quali siedono i dignitarii del regno per ordine, cioè prima di tutti i suoi figli, dopo gli abba korò o generali, e presso di loro gli abba ghenda; altri grandi impiegati subalterni.

la regia di abba Baghibo non ha eguale in Etiopia. Ho voluto dare un’idea della regia di Abba Baghibo, per non ritornare su questo punto parlando di questi principi galla, ed anche di Kafa, perché, da quanto si diceva, Abba Baghibo è quello che ha dato l’idea agli altri in ciò; sono quasi tutti dello stesso genere, benché non tutti eguali, ma molto più piccoli. Lo stesso Abba Baghibo ne aveva ancora altri quattro masserà, ossia regie, ma molto più piccole. Saka era la sua sede principale; si recava qualche volta altrove in campagna, ma in tal caso non andava con lui tutta la casa, [ma] una sola moglie, e qualche impiegato, col numero dei schiavi che occorrevano. Fra i galla liberi, nessuna grandezza simile ai principi galla del Sud. L’Abissinia, la quale crede di essere padrona e maestra in ciò è la più povera di tutti gli altri paesi. In Abissinia per trovare [p. 585] qualche costruzione un poco più solida e grandiosa bisogna cercarla nelle chiese; fra queste si trova /329/ qualcheduna anche più grande della casa del trono di Abba Baghibo. Nell’ordine poi, nella proprietà, ed in tutto il resto la casa abissinese è a tutta l’etiopia inferiore. La stessa casa dell’imperatore vale affatto nulla.