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37.
Abba Baghibo e la questione del Kaffa.
Consacrazione di Mons. Felicissimo Cocino.

conferenze col re
[14.4.1859];
questioni diverse.
Nella prima visita Abba Baghibo non mi trattenne molto, perché vi era troppa gente; vi andai poi molte altre volte col solo P. Felicissimo, ed allora abbiamo parlato dei nostri affari. Egli mi fece molte questioni sopra alcune superstizioni del paese, principalmente sopra i maghi, ai quali esso non credeva. Gli ho raccontato alcune storie arrivatemi coi maghi, delle quali ho già parlato, ed ebbe molto piacere. Come ve la caverete, disse, col Re di Kafa, il quale è capo di tutti i maghi? Come re lo rispetterò, dissi, come mago poi nel mio cuore lo disprezzerò. Dunque come mussulmano mi disprezzate? soggiunse. Voi, risposi, vi siete fatto mussulmano, perché in quel momento non avete trovato qualche cosa di meglio, epperciò vi debbo compatire, ma disprezzare mai. Mi parlò poi anche direttamente dell’islamismo, in modo [p. 586] da far conoscere che non era poi tanto tranquillo. Abba Baghibo era una persona troppo riflessiva e calcolista per non vedere alcune lacune nel suo corano, ma il poveretto trovandosi legato cercava [di] tranquillizzarsi, con un certo deismo tutto proprio, col quale rispettava tutte le religioni, facendo però elogi alla religione cristiana.

Abba Baghibo mi fece poi molte altre questioni, delle quali non posso riferire tutte le sue parole, sia perché non me ne ricordo più, sia ancora perché egli parlava con un linguagio forze troppo libero per la nostra educazione cristiana, ma non lascierò di dire nella sostanza tutte le difficoltà da lui fatte, frutto dei suoi dubbi e delle sue meditazioni, alle quali io doveva rispondere per debito del mio ministero. la questione del celibato. Prima di tutto egli mi sortì con dirmi, voi proibite le donne. Allora io ho risposto, non io, ma Iddio non proibisce le donne, che anzi ha creato per l’uomo, e benedice le unioni, ma proibisce solamente il numero delle donne per molte ragioni, frà le quali le principali sono tre[:] 1. Per una legge economica essenziale della generazione stessa. 2. Per la salute anche /331/ corporale del uomo. 3. Per la pace domescica. Se V.[ostra] M.[aestà]. potesse soffrire una lunga spiegazione di queste tre ragioni potrei anche darla, benché rapporto alla terza ragione forze la M.[aestà] V.[ostra] stessa ne saprebbe anche più di me. Allora il [re] si mise a ridere, [p. 587] ma intanto passò ad un’altra questione, quando è così, disse, perche voi siete così in collera col prete di Kafa, e voi andate a fate questioni con quel Re, mentre egli intendeva onorare quel prete facendolo suo parente? Io sapeva che V.[ostra] M.[aestà] voleva cadere sopra quel terreno, [dissi io,] ma pure debbo rispondere: quel prete prima di essere prete era libero di far questo come era libero io ed il P. Felicissimo, ma ora non lo siamo più, perché abbiamo giurato a Dio ed a tutto il mondo di rinunziare a tutte queste cose per occuparci solamente di istruire gli altri [nel]le vie di Dio, e quel prete ha violato il suo giuramento.

pregiudizii mussulmani Ma dunque essendo così, [riprese il re,] se mai viene il bisogno voi dovete avere di necessità qualcheduno che si unisca a voi, altrimenti da solo non si può, lasciare anche non si può, perché non si può andare contro Dio. Goftaco (Signor mio), [ribattei io,] voi dite[:] da solo non si può, lasciare non si può, perché non si può andate contro Dio, perdonatemi, ma debbo dirvi che questo è un grande errore, dovete anzi tutto all’opposto dire[:] si può lasciare, si deve lasciare, perché facendolo sarebbe andare contro Dio. Iddio ha creato questo bisogno unicamente per la generazione dei figli, e non per il piacere del uomo; come è la sola moglie che da figli, con essa sola è lecito [unirsi], epperciò da solo è gran peccato, con altri è gran peccato, anzi doppio peccato, perché non [sono] più uno, ma due che peccano. Da solo non si può[:] V.[ostra] M.[aestà] ha detto bene, [p. 588] ma doveva dire invece che non si può, ne da solo, ne con altri. Ma voi siete cristiani, disse il Re, ed io non so cosa abbia detto [Dio] ai cristiani, ma ai mussulmani ha detto diversamente. Permetta, Maestà, [conclusi,] ma un Dio solo non può dire ai Cristiani che non si può, e dire ai niussulmani che si può, qui sta il grande errore.

conferenza diretta sugli affari di Kafa. Il Re avendo veduto che io mi riscaldava si mise a ridere, e cangiò discorso. Si parlò quindi dell’affare di Kafa. Io ho aggiustato tutto, disse, e voi potete partire quando volete, ma io non vi lascio partire, perche dovete restare quì con me almeno un mese. Io mando al Re di Kafa la notizia che voi siete venuto, e voi potete scrivere se volete, al ritorno dei miei Lemmy (Lemmy è nome che si da solo agli ambasciadori reali), voi partirete, ed io fra tanto aggiusterò ogni cosa col Re di Goma, dove /332/ dovete passare, e col Re di Ghera, il quale dovrà farvi accompagnare sino a Kafa. Così io avrò tempo di parlare con voi da solo, perché, benché io sia mussulmano, pure desidero [di] sapere da voi molte cose. Anche l’affare vostro di Kafa è un grande affare, affare molto difficile, perché avete là dei grandi nemici, ed io dopo che vi ho conosciuto ed amato non vorrei che vi arrivasse poi colà qualche cosa di brutto. Il re avendo parlato così, gli ho fatto un [p. 589] complimento troppo giusto, ringraziandolo di tutto quello che aveva fatto per la missione; quindi l’ho pregato di finire questo affare in modo che nulla lasciasse a temere. Io vado a Kafa, soggiunsi, non vado a nozze, lo so, vado per compire un mio dovere confidando in Dio, e vado disposto anche a soffrire e morire. Spero che Iddio mi ajuterà, e finiti i miei affari, potrò ritornare da voi contento. Così finì la nostra conferenza per quel giorno, e fummo congedati.

gravi pericoli; gravi riflessioni. La conferenza fatta con Abba Baghibo mi fece riflettere seriamente ai miei affari, ed a quelli della missione: quelle sue parole[:] l’affare vostro di Kafa è un grande affare, affare difficile, perché avete là dei grandi nemici... non vorrei che vi arrivasse poi colà qualche cosa di brutto... dunque, dissi tra me stesso, il re ha ancora dei timori; le cose [sono] arrivate sino a questo punto, io non posso recedere, io anderò certamente coll’unica speranza in Dio, e se piace a Lui anche morirò, e la mia morte sarà per me una gran gloria; ma intanto, e la povera missione? questa operazione appena incomminciata dovrà restare senza un padre, senza una guida? penso alla consacrazione del compagno in vescovo.
[brevi: 10.11.1855; 18.12.1855]
Se il Papa mi ha mandato quel certo documento al di là di tutte le regole ordinarie per consacrarmi un coadiutore e successore, non potrebbe essere ques[ta] [p. 590] [questa] appunto la circostanza di farlo? è vero che il Breve pontificio mi lascia il Breve suddetto supponendo che vi siano molti missionarii fra i quali si possa sciegliere, e trovasi in strada il Padre Leone forse più degno, ma questi chi sà se arriverà felicemente, e nel caso io dovrei aspettare a far questa operazione in Kafa, ma e se Kafa, o non permette la venuta, oppure permettendola non permettesse poi la sortita, oppure malignando rendesse impossibile l’operazione? Ho passato la notte in pensieri, e l’indomani mattina prima della Messa ho raccomandato preghiere per un’affare molto grave della missione. Passai ancora il giorno a riflettere, e dissi al P. Felicissimo che avrei bramato che la nostra numerosa famiglia avesse nella stessa giornata qualche conferenza, e si disponesse l’indomani alla s. comunione; io stesso non ho lasciato di parlare alla famiglia medesima in una conferenza che ho fatto, ma tutto ancora era secreto, e lo stesso P. Felicissimo nulla sapeva.

/333/ Felicissimo cerca di consolarmi L’indomani dopo la Messa il P. Felicissimo vedendomi molto concentrato, ha creduto un momento che io spaventato dalle parole del Re temessi il gran passo di Kafa, e venne da me, [dicendomi:] forze qualche timore lo conturba? Se ella teme io parlerò al Re e si potrà sospendere la partenza. dibattimento col padre Felicissimo. No, caro mio, [risposi,] io non temo Kafa, ed il pensiero che mi conturba siete voi, io mi sento tentato di crocifiggervi, epperciò tremo; ma si spieghi, Padre mio, [replicò,] cosa vuoi dire tutto questo turbamento? [p. 591] cosa significano tutti questi giri? Allora ho [ho] sortito la questione, ma egli non sapendo che io possedessi tutti i documenti opportuni; [obiettò:] ma Ella non può far questo senza [l’autorizzazione di] Roma, epperciò avremo tempo a pensarvi. Allora ho tirato fuori il Breve del Papa, leggete, dissi, e poi rispondetemi. Letto che ebbe, ma Ella pensa sopra di me, disse, ma è impossibile; Ella, mio Lettore, deve sapere che io non sono a quell’altezza di capacità per un’affare simile, epperciò, ripeto, è impossibile; deve venire il P. Leone, si tardi l’andata in Kafa, e si aspetti, la sua venuta; perché in quanto a me è assolutamente impossibile acconsentirvi. Caro mio, dissi, ritardare la mia andata a Kafa? cosa mi dite? non è dar la causa vinta al diavolo? Quel giovane prete ancor da istruire non sarebbe esposto a nuova perdizione? ah questo è impossibile; io partirò e vi lascierò [a] piangere tutto solo a preferenza di ritardare questa operazione. Voi dite[:] venga il P. Leone, ma sappiamo noi se verrà, e quando verrà? e poi, se voi non [lo] conoscete, io conosco il P. Leone... pensate e rifletteteci.

riprendo la delicata questione. L’ho lasciato riposare tutta la mattina, abbiamo pranzato senza quasi parlarci, e prima di ritirarmi, io riposo un poco, [dissi,] poi quando mi leverò mi farete portare un poco di caffè. Venne difatti verso le tre e preso un poco di caffè amaro, come si usa in quei paesi, rimasti soli, meglio battere il ferro quando è caldo, dissi, e rientro nella questione: altro genere di argomentazione. caro mio, dissi, bisogna ragionare, nei nostri paesi ci lamentavamo quando il pane o il vino non era abbastanza buono [p. 592] ma qui dove è il pane dei nostri paesi? dove si trova del vino da bere? un cattivo pane con un poco di aqua ci bastano, e grazie trovarne sempre; qui, caro mio, servono per la prima classe i stracj sospesi dal vescovo nei nostri paesi, non è vero? ebbene così va anche nel resto. Certamente che nei nostri paesi non solamente voi, ma io pure non avrei acettato, ma qui è questione di rapezzare una vecchia veste, è il caso di riempire un buco, ed il nostro stracio basta; in mancanza di cavalli anche gli asini possono servire; noi serviremo la Chiesa nel modo nostro, e come possiamo, e quando il lavoro sarà ben disgrossato verran- /334/ no i sapienti a dare l’ultimo colpo di pennello; caro mio, non è tanto la sapienza quella che ci manca, ma l’umiltà, e lo spirito di sacrifizio; ne io, nel consacrarvi vescovo, penso coronarvi di rose, ma di spine e crucifiggervi con nostro Signore. la questione finì col comando. Dunque lasciate ogni questione e lasciatevi guidare da me, come vi ho guidato sin quì incomminciando dalla vostra gioventù; così mi dissero in Roma quando io parlava come avete parlato voi stamattina, così dico a voi, andate, e preparatevi a fare i santi spirituali esercizii. Il poveretto ha cercato ancora di parlare, ma un mio andate con voce più viva bastò.

Fu dunque questione dl consacrare Monsignore Felicissimo Cocino in Vescovo di Marocco; funzione di grande eclatto, e di prima importanza, e di consacrarlo in una capanna che ci serviva di Chiesa, e consacrarlo in Ennerea, dove mancava quasi la maggior parte degli abiti pontificali. chiamata degli artisti pei preparativi. Bisognava [p. 593] perciò pensare a dettare gli esercizii spirituali al consacrando, e preparare una gran parte delle vesti. Si trattava nientemeno di fare due tunicelle, e due dalmatiche, quattro calzetti e quattro scarpe, una mitra e un baston pastorale, quattro guanti, e due piviali per i due Preti assistenti, tutto è stato tagliato da me, e cucito o aggiustato dai miei giovani nello spazio di circa 15. giorni; solamente debbo confessare che non era un lavoro da mandare all’esposizione di Parigi, dimodoché nulla mancò di ciò che è prescritto a simile funzione, di quello che le mani degli uomini possono farsi, restava solo ciò che doveva discendere dal cielo direttamente sul cuore del consacrando, ed anche [per] questo, affinché non mancasse si fece tutto quello che si è potuto.

giorno della consacrazione
[3.5.1859].
Per fissare il giorno della famosa funzione da farsi si doveva pensare non solo ai santi spirituali esercizii del consacrando, ai molti lavori per i preparativi sopra esposti, ma ancora alle persone che dovevano venire da lontano, fra le altre, al Sacerdote indigeno Abba Hajlù rimasto in Lagamara per amministrare la cristianità non solo di Lagamara, ma quella di Cobbo, e quella di Assandabo nelle circostanze di Pasqua, fu perciò indispensabile di ritardare la funzione suddetta sino a dopo Pasqua; fù fissato quindi il 3. Maggio, giorno dell’Invenzione di S. Croce.

[p. 594] bellezza della funzione. La funzione certamente non fu eguale a quella che suoi farsi in Roma, e nelle nostre città di Provincia d’Europa, sia nella quantità e qualità delle persone che vi concorrono, sia nel lusso degli apparati esterni, sia ancora in tutte le altre cose che si possono chiamare l’equipagio esterno e materiale del grande atto; ciò non ostante, attesa la circostanza del luogo, non lasciò di essere imponente. Fra noi questa /335/ gran funzione, suol perdersi sempre ancora fra l’immensità di un gran tempio, nel quale viene assorbita. La nostra invece dentro una capanna, illuminata dalla sola sua porta, lasciava tutta la grandezza alla funzione medesima, e l’idea sua regnava sopra la Chiesa stesa; le tenebre stesse della medesima servivano mirabilmente a coprire l’imperfezione degli apparati mal fatti, e tutte cose di un valore ridicolo per i nostri paesi. Il trasporto poi che regnava nella nostra piccola cristianità sorpassava certamente quello di Roma, dove è una funzione comune.

consolazioni. Nulla perciò ha mancato alla solennità della nostra funzione; non parlo del prestigio che la medesima esercitò sul cuore di tutti; argomentando da me e dal consacrato, che eravamo ad ogni tratto costretti ad asciugarci le lacrime, si potrà argomentare in proporzione anche degli altri quando si pensa che tutta quella piccola cristianità, [p. 595] comunque miserabile, era tutta generata da noi stessi, cosa che non si trova certamente nelle nostre stesse cattedrali d’Europa, e tutti generati di fresco, epperciò ancor tutti bambini [aderenti] alle mistiche mamelle di una sposa ancor giovane ed inesperta.

ordinazione di un sacerdote
[e tonsura a Gabriele Gherba: 26.4.1859].
Fatta la bella funzione della consacrazione di Monsignore Cocino, prima di partire rimaneva ancora una funzione da farsi, la quale ebbe luogo nella Domenica seguente, ed era questa l’ordinazione in Sacerdote di Abba Matteo, uno dei giovani che Abba Baghibo mi mandava in Gudrù come regalo sei anni prima; era questo giovane nativo di Limu-Ennerea, ed apparteneva alla razza Sapera, epperciò lontano parente del Re medesimo. Ho dovuto fare questo passo come di necessità per lasciare al nuovo mio Coadjutore un compagno sacerdote, ed un prete di più per le cristianità che io era obligato a lasciare alla cura del suddetto fra i galla, nella mia partenza per Kafa.

timori di abba Baghibo per me Fatto tutto questo, non mi restava più altro che pensare a disporre ogni cosa per la partenza, aspettando gli ordini reali. In tempo di tutte le operazioni sopra riferite Abba Baghibo non aveva lasciato di chiamarmi parecchie volte anche da solo per conferire con me; fra le altre moltissime cose che egli desiderava [p. 596] conferire con me una era l’affare nostro di Kafa per sapere fin dove io poteva andare nelle mie concessioni, onde sapermi consigliare, e sapere anche come doveva parlare col mezzo dei suoi Lemmy a quel Re; con questi re galla miei vicini io posso tutto, [diceva il re,] ma con quel Re di Kafa l’affare è più delicato. Quando vidde che, assolutamente io non poteva transigere col delinquente, allora egli temette, e quasi mi avrebbe consigliato a sovrasedere, Kafa, disse, non ha parola, ed il suo giuramento stesso non deve calco- /336/ larsi molto; di una cosa sola posso assicurarvi, ed è che non vi amazzeranno, ne vi faranno morire con dei veleni, essendo ciò fuori del loro uso, ma in tutto il resto possiamo aspettarci [di] tutto.

una gran rivelazione. Voi ignorate una cosa a sapersi, [continuò il re,] ed è la ragione per cui vi desideravano, tanto il Re che tutti coloro che si dicono Cristiani. In Kafa vi sono due razze, la razza Kaficiò, la quale, come i galla ha i suoi maghi, e sopra tutti questi maghi aveva un capo molto grande e ricco quasi più del Re stesso. L’altra razza che si dice cristiana era gelosa della razza Kaficiò più onorata, e desiderava la vostra venuta per fare un contraposto; il re stesso di razza cristiana, ma fattosi Kaficiò anch’egli vi desiderava. Quel gran personagio della razza Kaficiò essendo morto, tutti i maghi del paese fecero consiglio [p. 597] e dichiararono lo spirito Deòcce risiedente nel Re, e questi diventò sul fatto capo di tutti i maghi di Kafa, erede di tutte le richezze del morto. Questo fatto è stato fatto contro di Lei da tutti i maghi del paese, i quali sono tutti vostri nemici, oltre quelli che si aggiungono per l’affare del prete. Pensate ora in mezzo a quanti nemici voi andate; e quanta prudenza vi è necessaria per cavarvi [da tali impicci]. Mi sono creduto obligato ad avvertirvi, ma vi assicuro che non lascierò di fare tutto per voi. Se voi ve la cavate da tutti questi intrighi sono obligato a confessare che Iddio è con voi.

Abba Baghibo mi fece ancora molte altre confidenze particolari concernenti la sua persona, ed alcune anche che mi riguardavano, motivo per cui sentiva una gran pena nel congedarmi, ma pure alla fine decise la mia partenza e fissò alla medesima il giorno 25. Maggio, accordandoci otto giorni di tempo per disporre tutti i nostri bagagli, ed organizzare la nostra carovana. udienza di congedo; Fummo chiamati il 24. Maggio per l’udienza di congedo, e volle vedere egli stesso tutti gli individui nella nostra carovana schierati avanti di se, per vedere se avevamo un sufficiente mondo [di gente] per il servizio, oppure se occorreva aggiungermi schiavi per portare. ultima conferenza.
i lemmì ci rivelano molti secreti.
Ciò fatto, fece sortire tutti, e si fece [p. 598] ancora una lunga conferenza, alla quale chiamò i suoi Lemmì di Kafa, dando loro facoltà di dire tutto ciò che sapevano, e che poteva essermi utile. Fu allora che conobbi molte pratiche che si stavano facendo in Kafa per impedire che il delinquente entrasse in trattative con me. La maggior parte dei sette consiglieri del Re erano complici di queste pratiche ed il Re stesso, il quale aveva giurato di darmelo nelle mani pendeva anche da quella parte. Tutti poi erano in una persuasione e speranza di guadagnare anche me stesso allo stesso precipizio del povero prete. Dopo tutto ciò, il re, fatto sortire i Lemì, mi domandò se dopo aver tutto inteso io era /337/ ancora fisso di partire? Avendo risposto di sì [anche] a costo di morire: Va bene, disse, mi diede ancora alcuni consigli; e poi mi congedò con queste parole: vedo che siete fermo[:] dunque dovete avere Iddio con voi, ed io non oso più aggiungere, ma starà tutto ciò che ho detto, e preparatevi a partire domani; così dicendo era commosso, ed io più commosso di lui sono partito.

partenza da Saka
[13.5.1859].
passaggio della montagna Ennerea, e stazione.
L’indomani celebrata la S. Messa e fatta un poco di collazione la carovana nostra, guidata dalle persone del re stesso si moveva da Saka montando l’ultima vetta della montagna detta Ennerea, la più grande altezza di quel regno, passata la quale, abbiamo perduto di vista Saka, e discesi siamo passati vicino ad una vasta selva tutta di caffè di proprietà del re. All’ovest pochi kilometri lontano si vedeva scorrere il fiume Didessa che segnava i confini del regno di Ennerea da quello di Gumma, altro regno [p. 599] galla; noi abbiamo costeggiato [per] qualche ora questo fiume conservando sempre poco presso [sempre] la stessa lontananza sino all’arrivo ad un’abitazione reale molto piccola, di cui non mi ricordo il nome, dove eravamo aspettati per passare il resto della giornata e la notte, secondo gli ordini dati dal re. Là abbiamo trovato pranzo e cena, sempre a spese della corte. arrivo e staz[i]one di Sappa. L’indomani siamo partiti dopo la collazione, ed in meno di cinque ore siamo arrivati a Sappa, dove siamo entrati nella regia di Abba Baghibo, dove egli suole abitare alcuni mesi dell’anno. Era quella la regia dove naque e fu educato questo Principe, e dove morì il suo Padre Abba Gomol, di [cui] abbiamo visitato il sepolcro. La regia di Sappa è circa la metà di quella di Saka, e vi abbiamo passato pure il giorno e la notte sempre a spese del Re; in quei paesi vi è un proverbio che dice: quando il padron di casa ama una persona, persino il cane gli fa delle riverenze e gli lecca i piedi; quando la odia, i cani la mordono e gli straciano la veste; epperciò molte cortesie abbiamo ricevuto da tutta quella gente, segno evidente che il Re ci amava.