/338/

38.
Sosta nel regno di Goma.
L’angelico giovane Gabriele. Nel Ghera

si passa i confini, entrata a Gòma. L’indomani, fatta la collazione, abbiamo camminato circa tre ore quasi sempre di dolce discesa per arrivare al Kella o porta di sortita dal regno, dopo la quale siamo entrati in un deserto di confine, ed in meno di un’ora abbiamo passato un fiumicello che divide i confini trà il regno di Ennerea, e quello di [di] Gomma, dove siamo arrivati dopo un’altra ora di deserto. Dalle due alle tre dopo mezzo giorno siamo entrati nella casa di un ricco Signore di Gomma, il quale ci aspettava per darci l’ospitalità, come amico di Abba Baghibo [p. 600] abbiamo passato presso di lui la notte lautamente trattati; l’indomani egli stesso ci condusse al Re di Goma in meno di tre ore di viaggio. re di Goma; stazione;
festa dell’Ascenzione
[2.6.1859].
Il Re, chiamato semplicemente Abba Dula, era un giovane da 16. a 17. anni, ancor nubile, sotto la direzione della sua madre e di un suo zio; volle ad ogni costo fermarci qualche giorno, ed abbiamo volentieri acconsentito, perché era l’Ascensione di nostro Signore, bramosi di poter celebrare la S. Messa. Come [abitavamo in] casa mussulmana, ci siamo alzati la notte per celebrare, e fare le nostre preghiere. La mattina il giovane Re amatore dei cavalli fece sellare tre cavalli in lusso e voleva condurci a fare una passeggiata a cavallo; io ho fatto le mie scuse dicendo che non sapeva andare a cavallo, ma fortunatamente Monsignore Cocino col P. Hajlù erano in caso di contentarlo. la madre del re. Mentre erano a spasso venne la madre del Re a trovarmi dicendo che aveva bisogno di parlarmi in secreto. [Disse:] Consigli il mio figlio a maritarsi; il matrimonio è giù convenuto colla figlia del Re di Gemma, ed egli non ne vuole sapere, voi siete un uomo di Dio fatemi una preghiera affinché perda l’amore ai ragazzi, perché appena ne vede uno che gli dia nel genio perde la testa ed è capace di fare qualunque bassezza; badi bene che è già innamorato d’un suo ragazzo.

Vedendo così ho detto a questa Signora che io pensava di partire appunto per salvare quel mio ragazzo da un’incontro simile, e che facesse /339/ il piacere di farci accompagnare a qualche casa poco lontana, [p. 601] ma essa sperando che io avrei potuto far del bene al suo figlio non volle prestarsi, e fummo costretti a passarvi la notte. stazione sulla frontiera di Goma. Io ho fatto dormire il ragazzo in mezzo a me ed Abba Hajlù; vennero parecchie volte, a cercarlo in nome del re, il quale era furioso non vedendolo arrivare. L’indomani ritornò la madre raccontandomi tutto ciò che passò nella notte. Io ho instato di nuovo di farci partire, e così ci siamo liberati da quel flagello d’immoralità. Io ho consigliato la madre di mandate questo re al suo zio Abba Baghibo, col quale io aveva fatto conferenze dirette in proposito di questa malattia, e che egli solo poteva guarirlo. Nel congedarci il Re fu molto freddo con me, ed io aspettava solo di essere attaccato, ma [egli] usò prudenza. Quì ci siamo separati da Monsigno[re] Cocino, il quale della stessa giornata se ne ritornò all’Ennerea coll’uomo di Abba Baghibo, ed alcuni ragazzi che erano venuti con lui e con Abba Joannes, il quale doveva ritornare a Lagamara per custodire le cristianità lasciate da me.

Di quella sera non siamo sortiti dai confini di Goma, ma abbiamo passato il resto del giorno; e la notte con un signore che ci aveva accompagnato. Goma è un piccolo regno, appena la metà di quello di Ennerea, ma molto popolato, confina al sud con Ghera, all’est con Gemma, all’ovest con Guma, ed al Nord coll’Ennerea. [p. 602] Goma si direbbe un vero giardino, tanto è ben coltivato. La casa del re è molto corrotta dai fakir mussulmani; il resto del paese poi conserva ancora molta moralità, è quasi tutto galla di un carattere molto dolce, come l’Ennerea, e generalmente tutti quei principati del Sud. L’Islamismo entrato nelle corti è un vero flagello.

La mattina seguente, accompagnati dall’Abba Korò, abbiamo passato una foltissima foresta di grandi alberi che separa Goma da Ghera. Questa foresta e tagliata da un fiumicello che segna i confini dei due principati. arrivati a Ghera, si spedisce [un] messaggio al re. Dopo circa due ore siamo sortiti da questa foresta, e siamo entrati nel regno di Ghera; il nostro Abba Korò di Goma ci consegnò ad un’altro Abba Korò di Ghera, e se ne ritornò a casa sua. Il nuovo nostro padron di casa mandò subito un cavaliere ad Abba Magal re di Ghera, e noi restammo ad aspettare gli ordini reali.

sento il ragazzo Gabriele Appena si è gustato qualche cosa nella casa di questo nostro Padrone molto cortese, il giovane Gabriele di Lagamara mi prega di sortire un momento fuori di casa, perché aveva bisogno di parlarmi, sorto con lui e mi allontano un tantino [e] vado [a] mettermi sotto un’albero, dove, appena seduto, il mio caro Gabriele mi cade ai piedi quasi piangendo, /340/ ah Padre mio, mi dice, io temo che il nostro Signore mi abbia abbandonato, e pareva che avesse una gran cosa da dirmi, e che non osasse dirmela; gli ho domandato se voleva confessarsi, mi disse di no e che non era preparato; come io sapeva ciò che forze egli non sapeva, ho temuto [p. 603] subito che il ragazzacio di Goma me l’avesse guastato, fui come desolato, perché era un vero angelo, che io [lo] custodiva come una perla della missione, epperciò inquieto, gli ho parlato con tono risoluto [e] l’ho obligato a dirmi ciò che vi era di nuovo. Un nuovo Giuseppe. Allora il poveretto mi raccontò che avendo seguito Monsignore nella passeggiata a cavallo col Re, passando frammezzo [ad] un boschetto, all’improvviso il Re discese da cavallo, lo prese per la mano e lo condusse framezzo [a un] cespuglio ed incomminciò [a] baciarlo e ribaciarlo molte volte, e poi[:] aspetta gli disse, e credendo che il principe si svestisse per fare i suoi bisogni, egli incomminciò a ritirarsi per modestia, ma poi vedendosi seguire dal principe mezzo nudo se ne fuggì al luogo del cavallo, dove il palafarniere lo prese e voleva condurlo al suo padrone, [allora] diede [in] uno slancio e fuggì [al] galoppo e raggiunse Monsignore Felicissimo; in poche parole si rinnovò la storia del Patriarca Giuseppe colla differenza solo che nella storia della Genesi la donna per occultare il suo tentativo accuso il povero Giuseppe, mentre qui tutto l’opposto il principe senza pudore non sentiva neanche questo bisogno, e diventò come matto, ed impegnò poscia tutti i suoi fidi per arrivare al suo intento.

origine di Gabriele. Fin qui non ho parlato di questo giovanetto, ma siccome in Ghera ha avuto gran parte nell’apostolato di questo paese, che coronò con una morte da angelo, mi veggo obligato a riferire la sua origine ed il suo principio nella missione. Egli naque in Lagamara da un mercante [p. 604] di origine Cristiana, ma divenuto mezzo galla, dei quali aveva preso quasi tutte le superstizioni; si chiamava Boca, detto più comunemente Abba Gigio. Questo Boka aveva ancora un’altro fratello per nome Binagdè; questi due fratelli, tutti [e] due con moglie e famiglia erano i più vicini nostri, dopo che si trasportò la casa di Lagamara da Tullu Danco a Tullu Leca, e queste due case presero parte molto attiva nella costruzione della nostra casa medesima; la loro famiglia divenne ben presto tutta cristiana fervente. Il solo Boca con sua moglie mantennero sempre le loro superstizioni, con gran pena della loro famiglia, del suo fratello, e dalla sua madre ancor vivente.

biografia sul giovane Gabriele. Ciò posto io non intendo qui di fare una biografia di questo giovane, perché altrimenti dovrei scriverne un libro non piccolo; d’altronde lavoro già fatto in lingua del paese, e che in Kafa soleva leggersi dai nostri /341/ giovani come lettura spirituale, ma si perdette nel mio esilio. Dirò perciò qui tanto che basti per attirare l’attenzione di chi legge queste mie memorie, affinché sentendo in seguito certi tratti d’istoria del medesimo non si creda una cosa superficiale e transitoria. Questo giovane adunque due anni prima del mio arrivo a Lagamara, quando veniva solamente Abba Hajlù qualche volta per amministrare [sacramentalmente] il vecchio Abba Gallet, di cui si è parlato sopra, egli non se ne staccava più da lui ne giorno ne notte, ed avrebbe voluto venire in Gudrù col medesimo, ma aveva solamente otto anni, ed i suoi parenti non vollero. Al mio arrivo in Lagamara fu fra i primi che ricevette[ro] il santo battesimo, l’Eucaristia, e la confermazione, e fù per lui un giorno di vere nozze memorando. visioni ed illustrazioni sue. Cosa Iddio gli abbia fatto vedere in quel gran giorno, nulla si può [p. 605] affermare, ma stando ai discorsi che soleva far dopo a sangue freddo ai compagni, tutte cose che si seppero poi dopo, e che hanno del verisimile, perché a dieci anni manca ancora ad un bimbo l’invenzione, e la passione d’inventare, pare che in quel giorno abbia avuto grandi partecipazioni celesti, cosa che siasi anzi ripetuta, perché egni [egli] ne parlava indifferentemente con tanta semplicità e sicurezza ai suoi compagni, come la credesse cosa ordinaria a tutti. Fù in questo modo che si sciolse la lingua di questo bimbo in un’apostolato ammirabile già da quel tempo, apostolato che continuò sempre con gran vantagio delle anime. In questi ultimi tempi di gran febbre scientifica abbiamo avuto sufficienti prove, come Iddio si compiacia invece di queste anime semplici e candide in queste simili visioni, come se là solamente si trovi il cuori abbastanza mundo per vederlo, invece di grandi uomini insigni anche in meriti di ogni genere. Io conscio di tutto quello che accadeva in quella creatura non ho voluto parlarne a suo tempo per non essere troppo precoce a danno della verità stessa, ma il fatto è che nel mio cuore era geloso, e lo confesso. Oggi che questo ragazzo [è] arrivato a 15. anni [con] voli di virtù simile al sopra riferito caso, credo arrivato il tempo per mettere una base a ciò che si vedrà fra poco.

nostro viagio a Ciala. Riprendo ora la storia: arrivarono adunquè dal re Abba Magal gli ordini di progredire il nostro viaggio. Col nunzio mandato dal re arrivarono pure la sera tardi circa dieci capi di famiglia [p. 606] venuti a complimentarci; alcuni di questi avevano dei piccoli ragazzi di compagnia per custodire i loro muli di cavalcatura. entusiasmo dei giovani. Il nostro Gabriele lasciò i grandi a noi e si trattenne tutta la sera ed una parte della notte coi medesimi, e mentre noi eravamo coi grandi in conferenze di complimenti preparatorii coi vecchj Gabriele diede la prima academia ai suoi nuovi compagni, /342/ e l’indomani mentre noi stavamo camminando ci siamo accorti che tutti quei giovinetti incominciavano con entusiasmo a profetare raccontando ai loro padri il catechismo e le cose mirabili sentite nella sera e nella notte. Naturalmente tutti quei vecchj cristiani discorrendo colle persone di Goma che ci accompagnavano [avevano] sentito la storia accaduta a Gabriele col giovane Re di Goma nel giorno avanti; ciò unito all’oracolo della sua parola, al volto angelico che innamorava tutti con quel tanto che Iddio per parte sua suole aggiungere come a Giuditta, fatto sta che incomminciavano ad abbandonare noi per trattenersi con quel giovane da loro chiamato portentoso fin dal primo giorno.

arrivo a Ciala
[18.5.1859];
ricevimento.
Intanto siamo arrivati a Ciala, dove si trovava la regia di Abba Magal; fummo subito introdotti dal Re, il quale ci ha ricevuti molto cortesemente ed anche maestosamente, s’intende, a modo suo. Il Re Abba Magal era già saturo di tutte le notizie e storie, sia di Ennerea, e forze anche di Goma. Senza neanche che io sospettassi, [p. 607] tutte le nostre cose erano già conosciute da lui, ed anche in parte dalla sua cor[te] [sua corte]. La casa dove ci ricevette il Re era piena di grandi, fuori della porta si trovava una calca non indifferente di gente accorsa per vederci. Ci siamo trattenuti quasi un’ora dal Re in discorsi e racconti indifferenti, come suole accedere in simili circostanze, e poi il Re ci congedò, dando ordine che fossimo condotti alla casa stata preparata per noi. si va alla cena preparata; i Bosassi. Mentre noi sortivamo dalla regia ho veduto Gabriele in circolo coi ragazzi Bosassi (Bossassi è un nome che si da colà alla razza di Kafa, quasi tutti antichi parenti del Re di Kafa stati esiliati in Ghera per gelosia di regno), ai quali si erano aggiunti altri anche mussulmani. Il novello apostolo dispensato da tutte le convenienze del gran mundo, egli non vedeva altro che il suo affare. Camminando Gabriele era circondato da un ragio di giovinotti. Fra questi [c’era] uno favorito dal re stesso [che] per tre volte [lo interrogò:] perché hai rifiutato le carezze di Abba Dula in Goma? egli per due volte non rispose, ma seccato con uno sguardo di sdegno rispose bella sentenza di Gabriele. = Sentite, fratelli miei, i cani quando si trovano invece di baciarsi nella figura si baciano nel derettano, l’odore di questo gli ubriacca = al sentir ciò [fù] uno scoppio di riso.

Fummo introdotti in casa, dove poco dopo ci seguì il pranzo reale sufficiente per una cinquantina di persone che eravamo, compresi i Bossassi, ed i portatori. [p. 608] Non tardarono a spargersi le notizie del nostro arrivo anche ad Afallo villagio dei cristiani Bossasi, ed ancor della sera arrivarono molti, e fu una gran festa per tutti. Gran quantità di ragazzi si aggiunsero, ed il piccolo Gabriele bastava per [intrattenerli] tutti. Ora si sentiva [a] ripetere e far ripetere le preghiere del matti- /343/ no e della sera, ora il catechismo, ed ora una storia della Sacra Scrittura tal quale l’aveva sentita egli, ma sopratutto gli tratteneva con qualche storiella della vita dei Santi, in specie di S. Luigi Gonzaga, di cui era divotissimo; come quel ragazzo abbia potuto imparare tutto quel materiale, a me stesso era un vero mistero, ma cosa non impara un’anima raccolta? un’anima sopra la quale Iddio largheggia delle sue grazie?

osservazioni di abba Tabacco. Abba Tabacco capo di tutti i Busassi di Affallo venne da me e disse, o Ella venga ad Affallo, oppure bisogna pensare ad organizzare qualche cosa qui per tutto questo mondo [di gente] che viene per farsi istruire; la sua casa non può mantenere tutti, come faciamo? Nel caso gli uomini potrebbero venire qui portandosi il necessario da vivere, ma e le donne? e le figlie? Le difficoltà esposte da Abba Tabacco erano troppo ragionevoli; io stesso non ci teneva per restare in Ciala troppo vicino alla corte mussulmana con delle abitudini e corruzioni poco favorevoli ai giovani, [p. 609] sia neofiti che vi restavano per l’istruzione, sia anche per quelli della nostra stessa casa. Una grave difficoltà si opponeva alla mia andata in Afallo, ed era il Re, il quale non avrebbe permesso tanto presto il mio allontanamento dalla corte. progetto di una cappella provisoria. Si fece perciò consiglio, e si conchiuse di fabricate subito in Afallo una Chiesa provisoria sopra il terreno di Abba Tabacco, e che sarebbe andato colà Abba Hajlù con una quantità sufficiente di giovani per istruire. Abba Tabacco partì per Affallo con alcuni vecchj per combinare colà i preparativi della Chiesa. Ma intanto in Ciala della sera stessa vennero più di 15. persone si presentarono, e si dovette passare la notte ad istruire. Il povero Gabriele non ne poteva più. dissi ad Abba Hajlù di organizzare la cosa in modo che i giovani avessero un poco di riposo; sopratutto bisognava pensare al povero Gabriele; il quale contava già circa 24. ore di fatica continua, avendo dormito quasi nulla nella notte precedente.

Il re ci aveva fatto preparare una casa provisoria lontana circa mezzo kilometro dalla sua regia. Questa era abbastanza grande per la nostra famiglia, avendo una baracca vicina per le donne, ma mancava di una cappella, ed avendo dovuto prenderne una parte per l’altare, ed un’altra per il deposito del bagaglio, la casa diventò molto piccola, ed appena poteva contenere otto persone sedute. Non bastava perciò per ritirare [durante] la notte una metà della famiglia. un nuovo villagio di capanne Quindi tutti i catechizandi dovendo dormire fuori all’aperto si fecero [p. 610] delle capanne, di modo che in pochi giorni il recinto nostro diventò come un villagio di capanne, cosa che io non amava molto, essendo poco favorevole alla moralità fra una moltitudine di giovani. La capanna è buona per la notte onde riparare uno o due individui dalla roggiada; ma non serviva /344/ per riparare il sole nel giorno, motivo per cui si pensò meglio [di] comprare della tela e fare ogni giorno una tenda posticia a questo fine onde poter avere tutta l’udienza radunata per l’istruzione. Nel giorno venivano anche alcuni mussulmani, [at]tirati, alcuni dagli amici, ed alcuni anche dalla curiosità, oppure anche mandati dallo stesso Re, per sapere cosa si passava. Il certo si è che lo stesso Re secretamente di notte venne egli stesso per sentire cosa si diceva. Ciò ci mise in riguardo, ed io ho dovuto avvertire i catechisti di guardarsi bene di non dire cose che potessero in qualche modo irritare i mussulmani, oppure la politica loro.

un improvisata del re incognito. La sera del terzo giorno mentre si faceva il catechismo viene un messagiere del re pregandomi di a[n]dare subito da lui per un’ammalata. Ho preso con me la mia piccola farmacia e sono partito. Come era di notte il domestico portava un grosso fanale avanti di me. Appena sorto [da]lla porta ho trovato quattro o cinque persone che aspettavano, passato mi seguirono, e mi facevano certe questioni sul catechismo che avevano sentito, alle quali io rispondeva dando certe spiegazioni generiche senza interessare molto il discorso, [p. 611] perché non conosceva le persone che mi accompagnavano. Arrivando alla gran porta del masserà o regia, dalla moltiplicità dei lumi che venivano ad incontrarlo mi sono accorto che era Abba Magal stesso. Gli ho fatto i miei complimenti, e così mi condusse tutto solo in una piccola cameretta interna, e là mi spiegò il motivo che l’indusse a chiamarmi; una malatia ed una medicina curiosa. una sua concubina venuta di fresco da Kafa era gravemente ammalata da due giorni, e non parlava più, anzi quasi non dava più sensi di vita; gli ho fatto odorare dell’amoniaca liquida, gli feci frizioni alle tempia, ma non poteva scuoterla; per altro il complesso della persona non annunziava gravi disordini interni, teneva gli occhi chiusi, ma io aprendoli [notavo che] erano quasi naturali, il polzo solamente era convulzo. Non sapendo come scuoterla, e mancante di altri eccitanti, ho fatto portare un poco di pepe rosso polverizzato, ne misi dentro un pezzo di mossolina, lo diedi ad Abba Magal stesso raccomandandogli d’introdurlo un tantino nel luogo che egli solo conosceva. Appena fe[ce] [fece] questa operazione [l’ammalata] si scosse, aperse gli occhj, ed incomminciò [a] parlare. Da quanto mi disse essa pareva che avesse un’atacco di vermi. Ho dato al Re quattro pillole di calomel, affinché le prendesse; stette meglio, e dopo due giorni fece gran quantità di vermi.

Fatta questa operazione Abba Magal mi ricondusse nella piccola stanzetta, e si parlò di Kafa. Mi domandò prima di tutto, se non era possibile far la pace con quel Prete, ed avrebbe voluto ad ogni costo /345/ [p. 612] avere questa pace; domandino, risposi, al prete stesso, se io posso fare la pace con lui stando le cose come sono, ed egli stesso vi risponderà per me, che cioè assolutamente non posso, lo stato suo attuale essendo inconciliabile colla pace. Ma dunque, disse egli, Iddio proibisce la moglie? Già risposi, dissi io, ad Abba Baghibo che no, anzi Iddio vuole che tutti siano maritati; egli stesso poteva maritarsi prima di essere prete, ma egli ha rinunziato di sua volontà dichiarando di voler essere Prete libero da moglie per potersi occupare delle cose di Dio, e darsi tutto a lui; dopo ciò non può più [retrocedere] senza rompere il giuramento fatto a Dio, come non posso io per la stessa ragione. nuovi pericoli e tentativi. Ma come va questo? [riprese il re:] in Kafa ancora si spera questa pace, anzi sperano di maritare anche voi? Conobbi allora che eravamo ancora molto lontani. Allora ho domandato ad Abba Magal: ma questa questione non è stata sciolta da Abba Baghibo? Si, rispose Abba Magal, ma cosa volete? vogliono ancora sperare e fare gli ultimi tentativi; essi credono che un’uomo in presenza di un bel partito, e di una bella donna non possa resistere. Cosa singolare, ma pure reale! lo stesso Abba Magal di quella stessa notte avrebbe voluto tentare la questione... Ma quando vidde che nulla poteva fare senza publicità, e che io avrei resistito sino alla morte, allora si dette per vinto, e disse: [p. 613] quando è così, domani mando i miei Lemmy a Kafa, e farò conoscere le cose come sono. Ieri, soggiunse Abba Magal, persone di Goma mi raccontarono la storia di quel vostro giovane con Re di Goma, e mi pareva incredibile come un giovanetto del popolo lusingato da un Re potesse arrivare a simile risoluzione; sono ora convinto, e veggo che voi avete qualche cosa di superiore che io non comprendo. Andate dunque tranquillo, e siate certo che io farò i miei passi. Così mi fece accompagnare alla casa, e vi sono arrivato pieno di pensieri, e di grandi malinconie.

temo per Gabriele, e lo facio partire. Dopo questo solenne tentativo fatto con me stesso, temendo che non si tentasse qualche scena col povero giovane Gabriele, ho passata la notte [a riflettere] sul quid agendum? Io ho passata la sera senza mangiare, feci mangiare la famiglia, ed [ho] invitato tutti a prendere un poco di riposo. Intanto, senza dire ciò che mi era arrivato, dissi ad Abba Hajlù che, cercato un giovane di Affallo fra i catecumeni per guida, e prima dell’aurora partisse con Gabriele per Affallo, e là lavorassero a catechizzare; direte ad Abba Tabacco di custodirmi questo giovane, [dissi,] perché io aveva qualche timore dalla parte della corte stessa, ma intanto si guardasse bene di lasciare trasparire qualche cosa. partenza di abba Hailù con Gabriele per Afallo. Così si fece; dopo le quattro io ho [p. 614] [io ho] celebrato la S. Messa, nella quale Gabriele, Abba Hajlù ed alcuni altri fecero la S. Comunione, con un /346/ piccolo involto contenente il necessario per la celebrazione della S. Messa, prima dell’aurora partirono per Affallo. Quando i catecumeni si aviddero che partiva Gabriele tutti volevano seguirlo, e mi volle tutto per trattenerli; ne lasciai andare alcuni, ma mi volle tutto per trattenere una parte, promettendo loro che sarebbero partiti l’indomani, perche non voleva aver l’aria di fuggire, e far troppo chiasso. Con Abba Hajlù partirono pure alcuni giovani dei nostri, ed io pensava di trattenermi un piccolo giovane di Affallo per nome Camo, uno dei discepoli più ferventi di Gabriele, il quale pareva incamminarsi per la stessa via; mi volle un poco di pena per trattenerlo, perché, diceva, non voglio staccarmi da lui, essendo egli che mi ha staccato il cuore dalle mie iniquità per darlo a Dio; ma poi avendo inteso la mia volontà si aquietò.

sono rimasto solo a catechizare. Io dunque son rimasto solo a fare il catechismo in Ciala; era rimasto con me Abba Fessah, ma questi era un’albero senza frutto, anzi con un umbra pericolosa; [io] aveva alcuni bravi giovani, i quali potevano aiutarmi. vengono i giovani della corte Appena sortì il sole vennero dal Masserà del re parecchj giovani della corte, e domandarono subito di Gabriele, [p. 615] ma quando sentirono che non vi era, furono molto afflitti; io ammaestrato dal giorno precedente aveva poca confidenza nei medesimi. I miei giovani uno ore mi assicurarono che alcuni fra [di] loro era[no] molto boni, ed uno pensava di domandare al Re per passare alla casa nostra; ma comunque fossero per essere io temeva. Quando ho terminato il catechismo, i miei giovani si divisero i catecumeni permanenti per insegnare loro le preghiere da [ap]prendersi a memoria. Camo venne da me, e mi domandò di parlare a qualcheduno dei giovani della corte in particolare, ed avendolo interrogato per qual motivo, egli mi rispose che era per domandargli perdono di scandali dati; va bene, dissi, ma non va lontano. Poco dopo questo giovane mi disse: i nostri padri quando vanno dal Re ci conducono per custodire il mulo, essi stanno quasi tutto il giorno col Re, e noi fuori con questi mussulmani impariamo e ci accostumiamo a tutte queste miserie; bisognerebbe proibire di [non] condurci più.

sistema nel catechismo ragionato. Ho passato quella giornata ad istruire spiegando il catechismo, perché i catechisti non possono spiegare, anzi sono proibiti. La maniera di spiegare però deve essere tutta propria di quei paesi; presso di noi si spiega più con delle ragioni che partono da principii conosciuti; ma queste spiegazioni per poco che abbiano dello speculativo o non sono capite, oppure sono subito dimenticate e non fanno impressione in quei paesi; là sono utili le similitudini di cose popolari, e conosciute nel paese; ma più di tutto sono comprese [p. 616] le storie edificanti, sia che siano prese dalla Sacra Scrittura, sia anche dalla storia, fosse anche dal prato /347/ fiorito, perché quei popoli non sono capaci di distinguere e pesarne la maggiore o minore autenticità. soverchia eloquenza. Il Sacerdote dei nostri paesi, anche mediocre, fatto sufficientemente frammezzo le scienze, ed abituato a leggere sempre libri, o direttamente scientifici, o almeno scritti con uno stile quasi matematicamente condotto per via di prove, di ragioni, di periodi come obligati, ed in una lingua rigorosamente dotta; questo Sacerdote stenta [a] formarsi un’idea dell’orizzonte, in tutti i sensi ristretto, delle masse, egli guidato da un’educazione, da un’emulazione, da una critica di moda che lo invita e lo spinge a sollevarsi sopra la corrente delle masse, sopra l’orizzonte delle medesime si affatica a scrivere quattro quinterni in uno stile, più alto ancora della stessa sua capacità, monta ben soventi in cattedra a recitate la lezione studiata più nel quinterno che ai piedi del crocifisso, ed incatenato da un’abitudine, e da un timore che incatena alcune unità di gusto depravato, non è più capace di dire due parole fuori del suo manoscritto, quand’anche il suo cuore fosse una fornace di zelo, egli fuori del suo quinterno sarà sempre muto.

un missionario schiavo dell’eloquenza. Ora si supponga che questo Sacerdote vada nelle missioni estere, non dico nelle missione d’oriente, dove esiste una colonia europea di qualche coltura, ma in una missione anche di selvagi, dove egli è supremo maestro, e nessuno affatto è capace di analizzare un periodo, dove forze la lingua scritta per comporre [p. 617] in lingua indigena manca affatto, eppure il poveretto, pieno di abilità e di zelo è ancora incapace di dire due parole senza il suo quinterno; accostuntato a tremare in facia ad un’uditorio colto, o almeno civilizzato della nostra europa, il suo sentimento è in apprensione, come se quelle poche teste che lo ascoltano fossero tutte di ifiosofi, mentre sono tutte zucche piene di aqua. Ho veduto eccellenti missionarii pieni di abilità con un bisogno di versare un sacco di idee che hanno in capo, lambiccarsi il cervello nel tradurre delle antiche prediche fatte per l’europa e non per quei paesi, e ciò per recitare una lezione mal compresa da tutti. Se poi questo Sacerdote non sarà in una missione, ma in Europa, allora il poveretto diventa la metà di un Sacerdote; egli seduto in confessionale oppure sopra un segiolone a confesare e consigliare sarà un vero oracolo, come sarà un fedele Servitore di Cristo nell’amministrazione dei Sacramenti, al letto degli ammalati, alla casa dei poveri; ma quando sarà il caso di predicare, colla museruola di una legge di eloquenza, divenuta una necessità, se predica reciterà fedelmente il suo manoscritto, ma quando è [è] il caso di profetare con certi slanci nati proprio in quel momento, e figli dello spirito animatore dell’apostolo è incatenato; tanto peggio poi se all’im- /348/ proviso dovesse salire in pulpito per sfogare il bisogno del suo cuore al gregge, e riempire un dovere pastorale, oh allora non è capace, e non sa [si] azzarderà affatto. Con ciò io non vogli[o] poi dire che tutti siano divenuti [p. 618] a questo stato di schiavitù, sapendo benissimo che molti ve ne sono anche troppo liberi, e molti anche divenuti veri oracoli in seguito ad una pratica di ministero di predicazione regolare, che gli ha resi padroni della parola, e dell’arte nello stesso tempo, epperciò veramente liberi di parlare, e parlare con gusto di lingua e di eloquenza senza uno studio speciale.

il bisogno della parola da cosa nasce. Pensando ciò non ostante a quei molti che lasciano di bandire la parola divina, per causa di un timore forze esaggerato, e di un gusto forze viziato di molti, sia fra i nostri predicatori, sia ancora nell’uditorio, ingenuamente confesso di sentire una vera pena nel vedere ancora la scarsità della parola, mentre le masse del popolo sentono ancora un vero bisogno della medesima, massime in questi tempi di grandi crisi, nei quali si dovrebbe sentire dovunque la parola degli apostoli e dei profeti che avertono e gridano al lupo introdottosi nel gregge. Io stesso dopo aver passata la mia vita in una predicazione quasi continua, ma di diverso genere, in una predicazione tutta semplice ed elementare, senza predicar mai con stile ed argomenti di lusso, divenuti una vera necessità fra noi, trovandomi qui oggi vecchio e privo di forze per studiare e preparare nuovi lavori all’altezza del gusto nostro, sento un vero rimorso restandomene in ozio in mezzo [p. 619] a tanti bisogni di ministero. Per grazia di Dio i paesi nostri non mancano di Sacerdoti, e di Sacerdoti capaci e ferventi, come dunque si spiega tanta declamazione dei scrittori in detaglio sull’ignoranza delle nostra masse popolari? Vuoi dire adunque, o che la parola manca, oppure la parola non è alla portata della capacità dell’uditorio. In tutti [e] due i casi la malattia è una sola[:] quella di rendere il Sacerdote più popolare, e la parola più facile portandola dolcemente alla sua semplicità evangelica. L’arte troppo sviluppata e complessa, da una parte stuzzica le passioni, tanto nel ministero, quanto nel popolo meno bisognoso, e le passioni diminuiscono lo spirito, il quale è il principio d’azione, e di fecondazione.

sacrifizi della chiesa di Dio per l’educazione dei sacerdoti. La Chiesa fa dei gran sacrifizii per educare apostoli nella parte della scienza, affinché siano all’altezza del giorno, quanti professori dei Seminarii! ma il diavolo fa anche la sua parte per impedire che la parola arrivi al cuore del popolo e delle masse più bisognose sollevando la barriera dell’arte. La scienza nel Sacerdote, intanto è benefica, in quan[to] versa [principi spirituali] nel popolo, massime nel popolo più basso, per l’ordinario il più bisognoso, altrimenti la scienza nel Sacerdote /349/ nodrisce le passioni, e non solo cessa di essere utile alla Chiesa, ma qualche volta [diventa] anche dannosa; minacia poi ben soventi di secolarizzare il Sacerdote stesso, e cangiarsi in esca di perdizione per lui. Molte volte arriva così nel Sacerdote europeo, come l’esperienza quasi continua ce lo fa vedere, persino fra le pianticelle elette dei chiostri [p. 620] si è introdotta questa fatale malatia, e rende il povero religioso un parassite alla congregazione sua madre che l’ha penato a quell’altezza. Quando poi questa malaria si è impadronita del cuore di un missionario, ed ha incominciato a mettersi in relazione colle academie, allora diventa affatto inutile per il suo apostolico ministero, anzi diventa una gran passività alla missione stessa.

La parola di Dio, come tale, è tanto sublime, che presentata al popolo con un’arte visibile qualunque, oppure impastojata con dei concetti scientifici umani cade dalla sua altezza, e perde tutta la sua sublimità. Quando essa è pronunziata da una persona che presenta il carattere di vero apostolo nella sua condotta e nel suo zelo non ha bisogno di altro per agire sui cuori degli uditori; altrimenti prende l’aspetto di una creazione umana, e non sarà più quella [autentica]. oracoli modelli. Iddio ci ha dato in tutti i tempi dei tipi per farci comprendere questa gran verità. Il curato d’Ars della diocesi di Bellej in Francia è uno di questi, divenuto oracolo in quasi tutta l’Europa. Egli è oggi troppo conosciuto, senza che io lo descriva. Io ne ho conosciuto un’altro suo contemporaneo nella diocesi di Valenza, curato di Rocherfort per nome Borron, il quale è meno conosciuto, ma era una coppia del suddetto; io l’ho sentito parecchie volte: ogni mattina sonava egli stesso la campana, si radunava la popolazione agricola di notte, faceva le sue preghiere [p. 621] e meditazione, dopo l’uomo di Dio celebrava la S. Messa, nella quale faceva ogni giorno la spiega[zione] del vangelo di un quarticello d’ora, nella quale diceva il triplo di quanto suol dire un predicatore ordinario in un’ora; l’uditorio venuto anche dai paesi vicini pendeva immobile dalla sua parola come un bimbo [d]alle mamelle di sua madre. Io poi nella missione ne ho avuto tre, [di simili apostoli,] dei quali parlo in queste mie memorie; essi benché fossero indigeni, ed ancora semplici catecumeni, pure [per] la gran convinzione, il gran zelo con cui parlavano, solo riferendo il poco che avevano sentito da [da] me, facevano dieci volte maggior frutto di me: sono questi[:] Abba Joannes, Gabriele, ed un certo Melac [frequentato da me quand’ero] ancora in Abissinia, come ognuno può vedere a suo luogo.

Ciò detto ritorno al mio catechismo ragionato. modo di predicare fra i galla. In quei paesi non è il caso di far prediche, discorsi, o ragionamenti per molte ragioni. La /350/ prima, perché non si può avere sempre l’udienza a volontà, ma bisogna prenderla quando viene, e questa in piccole frazioni, ben soventi quasi continue, cosa che ci obliga ad un ministero di tutto il giorno in certi luoghi ed in certe epoche. La seconda ragione è perché quella gente non è capace di sostenere un ragionamento lungo, massime troppo speculativo e complesso. Quei popoli sentono volontieri storie edificanti, e racconti di parabole, e solamente allora possono sostenere un discorso anche lungo. Per queste ragioni [p. 622] non hanno luogo, che semplici conferenze e catechismi brevemente spiegati. Le stesse similitudini non sono sempre intese, se non sono prese da cose che cadono sotto i loro occhj. È difficile fare comprendere una cosa fuori di loro uso, massime cose metafisiche, o tras[c]endentali spettanti alla fede, ma dal momento che hanno compreso, hanno poi una retentiva ammirabile, ed un prorito di farla conoscere ai loro compagni, o ai loro eguali. Dimodoché una cosa compresa da uno in poco tempo [questo] la propaga agli altri.

modo pratico dell’istruire i giovani della missione. Vedendo questo io mi aveva preparato un compendio scritto in lingua galla, contenente le parti principali del catechismo, massime le più difficlii a comprendere; quindi una quantità di parità [cioè di paragoni] per le cose più speculative, come il mistero della Trinità spiegato colla parità del sole, e sue virtù calefaciente ed illuminativa distinte frà [di] loro. L’occhio, diceva loro, riceve la luce e non la mano, una pietra al sole si riscalda e condensa il calore, ma non la luce; così quella dello specchio, ed altre simili. Fatto ciò, mi studiava di farle capire ai miei giovani. Lo stesso di alcune parabole, massime evangeliche, di una quantità di esempj dei Santi rapporto a certe virtù; così parimenti fatti scritturali i più classici, come quello di Sodoma, quello del diluvio, quello del patriarca Abramo, e del patriarca Giuseppe. Una volta che tutti questi materiali erano ben posseduti dai miei giovani [p. 623] io era certo che poco per volta questi materiali in poco tempo sarebbero passati ai giovani dei contorni che frequentavano magiormente la casa, e da questi passavano alle case private, e così andava disponendosi il popolo. efficacia dell’elemento indigeno. Il missionario europeo dopo qualche anno possiede la lingua tanto che basta per farsi capire dai suoi di casa, ed anche da alcuni pochi che [a] poco a poco si abituano alla sua pronunzia, ma per farsi capir bene da tutti vi vuole molto tempo, perché dipende molto dall’accento della lingua, e questo non si può [ap]prendere che dopo un lungo tempo. Se dunque il missionario vuole fare qualche cosa bisogna saper maneggiare, e quindi far lavorare l’elemento indigeno. Saper maneggiare, scegliere cioè le persone che a preferenza delle altre possono [ap]prendere, e scegliere per loro i materiali più simpatici. Quindi farli lavorare, non /351/ colla forza, ma sibbene col simpatizzarli, e cercando il modo di entusiasmarli. Iddio poi suole aggiungere molto dalla parte sua, ed io, come già dissi, ho veduto cose mirabili.

Nella mia casa io possedeva una quantità di giovani di tutti i paesi. Aveva alcuni abissini, i quali mi avevano seguito nella mia entrata in Gudrù, e contavano già quasi sette anni d’istruzione. Ne aveva di quelli che mi avevano seguito dal Gudrù, ed avevano veduto tutto ciò che era stato fatto colà. Altri poi si aggiunsero in Lagamara, dove sono stati testimonii di molte cose colà avvenute; fra questi aveva preso gran sviluppo [p. 624] il caro Gabriele. Finalmente alcuni mi seguirono dall’Ennerea, in parte allievi del P. Felicissimo. Tutti questi affievi, in numero di dodeci, [erano venuti con me] sino a Ghera.

come [erano] istruiti gli alunni della missione Il mio sistema di scuola non poteva essere regolare per molte ragioni. 1. Perché [io] era solo. 2. Perché mancava di tempo. 3. Perché mancava persino di libri i più essenziali. Ciò non pertanto non si potevano dire ignoranti, avendo inteso nel corso di cinque o sei anni dalla mia bocca forze il doppio di quello che sogliano intendere dalla bocca di un professore nell’intiero corso di studio regolare d’Europa nei nostri Seminarii, colla differenza che i miei non avevano libri da leggere, ad eccezione della Bibbia amarica dei protestanti, della quale mi trovava in necessità di servirmene per mancanza di altri. Essi perciò sapevano la sacra bibbia forze meglio di molti nostri studenti d’Europa, ad eccezione dell’Apocalisse, che lasciava leggere, ma proibiva loro di studiare a memoria, e di questionarvi sopra.

cessazione della scuola per catechizare. Questi alumni, arrivati che furono in Ghera non ebbero più scuola. Ne io trovai più tempo per istruirli, e tanto meno essi. Una metà dei medesimi andò in Afallo per catechizzare i Busassi sotto la direzione del Sacerdote indigeno Abba Hajlù. Colà vi era un’affluenza tale, che tutti i miei alumni non trovarono più riposo ne di giorno ne di notte. Io poi in Ciala non fui meglio [tranquillo] di essi; il giovane Gabriele aveva tirato a se in Afallo la maggior parte dei catecumeni, [p. 625] ma non lasciarono di venire a me i gran pezzi per le questioni più gravi, relativamente ai Sacramenti, oltre agli affari delle relazioni con Abba Magal, e con Kafà, i quali si rendevano da un giorno all’altro sempre più complicati.