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6.
Riparazione pubblica e assoluzione.
«O felix culpa!». Ministero eroico.

vino di 12. anni Finiti tutti questi lavori, era questione di celebrare la S. Messa, e fissarne il giorno, ho visitato il vino fatto col zebibo, ma questi non era ancora ben fermentato, epperciò si dovette ritardare qualche giorno la solennità che io aveva fissato di celebrare pro gratiarum actione, quando il P. Cesaare portò una bottigl[i]etta di vino che aveva portato con se da principio, e trovò inviluppata cogli arredi [p. 765] sacri, i quali per tutti [i] cinque anni del suo pellegrinagio in Babilonia, senza neanche slegarli, conservò sempre sospesi al tetto in un’angolo della casa. Fù aperta questa bottiglietta di circa un quarto di litro, e si trovò che il vino invece di guastarsi, aveva anzi aquistato, ed era divenuto più potente, perché era vino d’Europa venuto con noi da principio, ed essendo ermeticamente chiuso aveva resistito a tutti i calori del viaggio, e sopra quelle altezze, dopo dodeci e più anni aveva avuto tempo a maturare e farsi vecchio. Messa secreta;
comunione di Gabriele
Trovato questo vino, la prima cosa è stata quella di avvertire Gabriele che si disponesse a ricevere la santa comunione in secreto. Come già è stato scritto Abba Magal quando mandò questo giovane come nostra guardia la seconda volta gli aveva dato la facoltà di seguirci, ed anche di farsi Cristiano colla condizione che tutto restasse in secreto. Per questa ragione, quando ricevette il battesimo in Afallo si fece di notte alla presenza del solo Abba Hajlù suo Padrino e di Abba Paolo. Nel battesimo fu chiamato Gabriele, ed io mi servo di questo nome oggi, fuori di ogni pericolo, ma questo nome non era conosciuto neanche in casa nostra. Frà noi era chiamato il mussulmano; egli poi si dava il nome di cane di Abba Magal. Non essendo ancora arrivato il tempo di publicare il battesimo di questo giovane, fummo obligati a dargli la comunione anche secretamente. Si celebrò quindi la Messa secretamente di notte ad insaputa dei nostri stessi [familiari], e nella medesima Gabriele ebbe la tanto desiderata grazia di ricevere il suo Signore. Nel riceverlo, non essendo ricco come Zaccheo, [diede al /48/ Signore] [p. 766] povero schiavo come era, diede a nostro Signore la sua persona col voto di castità, e quello di servire la missione come catechista sino alla morte. Dopo la Messa, mentre io, Abba Hajlù, e Paolo stavamo facendo il nostro ringraziamento, Gabriele, come fuori dei sensi si mise a gridare[:] oh Signor mio! questo mio corpo pieno d’immondezze, sia tutto vostro sino alla morte io ve lo do, acettatelo, perché è tutto quello che posso darvi. In seguito gli ho fatto qualche rimprovero per aver fatto questo senza parlarmene prima, ma ho veduto che la cosa si passò in una sfera così alta da non potervi mettere con sicurezza le mie mani senza pericolo di guastare ciò che Iddio ha fatto. Iddio ti dia forza, dissi, a mantenere la tua parola; così ho lascito questa questione col giovane, come la lasciò il curato di Lourd[es] con Bernardetta, quando voleva obligare la Madonna a far fiorire la rosa del suo giardino, perché noi colle nostre regole della grammatica disciplinare [non] abbiamo mai torto, mentre Iddio ha sempre ragione.

messa di ringraziamento. L’indomani [ci] fù una Messa Solenne per quanto fù possibile in quei paesi, e correva il 18. Ottobre, giorno di S. Luca. Tutta la famiglia volle confessarsi e fare la sua comunione in ringraziamento a Dio per la grazia ottenuta. Fu una vera solennità per tutti dopo le preghiere e penitenze fatte ad oggetto di piegare la misericordia di Dio [a favore] del convertito Sacerdote. Egli però, ancora vincolato di Scomunica maggiore, volle ad ogni costo osservare gli antichi canoni penitenziali, e prima ancora che si radunasse la numerosa famiglia in Chiesa, egli alla porta in abito di penitenza inginocchiato, con un cereo acceso in mano, domandava pietà e perdono a tutti quelli che passavano. Stette in questo atteggiamento tutto il tempo della Messa. predica di perdono del padre Cesare. Dopo questa, appena la famiglia fù sortita di Chiesa, ed ancor radunata intorno alla medesima, domandò permesso di parlare, ed essendogli accordato: Fratelli miei, [p. 767] disse, non è necessario che io vi dica cosa ho fatto, perché tutto il mondo [ne] ha parlato, e voi avete sentito; ed appunto l’eco di questo scandalo è quello che mi opprime. In questi passati giorni, mentre coi flagelli, e colle ortiche voi dicevate a Dio[:] perdonate, perdonate, ed io tutto vicino a voi senza che voi ve n’accorgeste, sentiva queste vostre afflizioni, questi vostri pianti, queste vostre lacrime unite a quelle del mio Padre, erano per me vere spine al mio cuore: questo mio Padre che piange, [mi domandavo,] questi nuovi cristiani suoi figli chi sono? non sono forze quegli stessi che io ho scandalizzato ed ucciso coi miei scandali? dove hanno imparato tanta carità verso di me? non è forze da questo mio Padre che ho tanto afflitto; mentre egli si batteva col demonio per salvarvi, io militava nelle sue file per prendervi; e con tutto /49/ questo voi avete vinto il nemico, e staccativi dai vostri parenti ed amici, vi siete uniti al mio Padre, siete arrivati qui con mille vostre pene per rompere le mie catene e salvarmi, ah Padre mio, ah fratelli miei! come potrò io pagare questo debito a tanta misericordia vostra? Oggi non parlo a Kafa, sia questo per un’altro giorno, oggi parlo a voi, ah perdonatemi prima di tutto lo scandalo con cui vi ho perduto invece di salvarvi, e poi perdonatemi il debito immenso di avermi salvato. Ciò ottenuto dalla vostra misericordia, [p. 768] questa grazia, da voi sostenuto, avrò coragio [di] prostrami ai piedi di questo mio Padre per ottenerne il perdono; ottenu[to] questo, e preso per mano da lui oserò, con tutti voi, prostrarmi ai piedi di Gesù tanto offeso da me. Senza di questo sappiate che io sono scommunicato, sono fuori della Chiesa di Dio caciato via come un’essere perverso, e pernicioso; non è che per voi, e con voi che io posso sperare tanta misericordia e pace...

Io non ho fatto che riprodurre l’idea espressa in quel prima giorno dal P. Cesare a tutta la famiglia: protesto quì, dopo tanto tempo, [di] non aver fatto altro che riprodurre l’idea, affinché non vada perduta per l’edificazione della Chiesa di Cristo... commozione generale dirò che fù tanta la commozione provata da tutti, che la predica finì con un pianto universale, e quindi con un silenzio più eloquente della parola. L’ultima chiusa di questa sua predica fu di pregare Kafa a venire alla Chiesa di Ghiddi Ghiorghis per il giorno fissato dall’abuna per la sua riconciliazione colla Chiesa di Cristo, e per la publica assoluzione dalla scomunica che ancora lo teneva [av]vincolato. assoluzione dalla scomunica fissata i[l] 23. Ott. anno giuliano
[decreto: 25.10.1859]
A tale effetto fu scielto il giorno 23. di  Ottobre, festa mensile di S. Giorgio secondo il calcolo Giuliano vigente in tutti quei paesi, giorno che corrisponde al nostro due Novembre, se non erro; perché in quel giorno [p. 769] una gran parte della popolazione appartenente al distretto di quella Chiesa soleva recarvisi a portare il tributo di un piccolo cereo, e di un grano d’incenso, pratica che forma tutto l’esterno culto dei cristiani di Kafa, oltre all’adempimento di qualche voto, cosa particolare di qualche famiglia, e non generale.

descrizione di una festa votiva. Fissata la funzione per l’assoluzione della scomunica del P. Cesare, per non ingombrare questi solennità con una descrizione estranea alla medesima penso prevenirla con una descrizione di una di queste feste mensili o votive, le quali occorrono sempre nello stesso giorno del mese in cui cade la festa annuale; così per cagion d’esempio la festa annuale di S. Giorgio è il 23. Aprile, sia per noi latini, sia per gli orientali che seguono il calendario giuliano. Per questa ragione il 23. d’ogni mese cade la festa votiva o mensile, per lo più meno solenne, e di minor concorso. Il voto facendosi sempre nelle mani del Prete d’accordo col- /50/ l’oracolo del tabbot (prima della nostra venuta a Kafa, supposto parlante al prete): questi soleva regolare l’acettazione di simili voti infra annum, in modo che fossero distribuiti, affinché ve ne fossero sempre in tutte le feste votive dell’anno. Il Prete dunque dava l’ordine al capo fabriciere, il quale avvertiva quei tali votanti [dell’offerta] di una testa bovina, o di una pecora, oppure di una capra. Arrivato intanto il giorno della festa votiva, i votanti colle loro famiglie solevano venire colla loro vittima, con pane, e birra, in proporzione della qualità del voto, da distribuirsi al Prete, al Fabriciere, e per loro, regolandosi di arrivare un poco prima del popolo: Appena arrivati, il prete a nome dell’oracolo [p. 770] riceveva la vittima, la quale veniva immediatamente scannata dal votante a nome del Prete, e distribuita la carne in tre [parti], una al Prete, l’altra al fabbriciere, e la terza al votante. Così del pane e della birra. Le parti del prete e del fabriciere erano immediatamente portate alle loro case; quella poi del votante era mangiata dalla sua famiglia in una delle capanne vicine alla Chiesa, dove il votante soleva ancora chiamare qualche amico a far parte della festa di famiglia. Ciò fatto, supponendosi intanto il popolo radunato, il prete, seduto alla porta della Chiesa, riceveva le solite oblazioni di un cereo, e di un pacco d’incenso. Dell’incenso se ne prendeva una parte per incensare l’oracolo, e rimaneva alla Chiesa il resto; è da osservarsi però che sopra un centinajo di oblatori arrivava raramente ad una mezza libra il totale, non arrivando l’oblazione di ciascheduno ad uno scrupolo. Delle candele poi un quarto circa, legate insieme, le accendeva in un candelabro in mezzo alla chiesa, sino alla consummazione del quale il popolo, col prete nel santuario, gridavano ad alta voce[:] Eghziò (Signore). Il resto poi delle candele era un’incerto [provento] del prete. Nel caso che esistessero nuovi votanti, questi conservavano il loro cereo e incenso, e dopo la funzione suddetta, il prete riceveva a parte la loro oblazione, col lume acceso e turribolo fumante entrava nel santuario, dove incensato l’oracolo, portava la parola dei votanti e ne publicava la risposta ad alta voce significando la qualità della vittima che quel tale nominato avrebbe dovuto portare nel giorno fissato dall’oracolo col mezzo del prete.

difficoltà del ministero in Kafa. Da questo schizzo di feste celebrate in Kafa può ognuno formarsi un’idea del brutto campo di battaglie che stava per inaugurarsi al nostro ministero. Un nuovo missionario venuto d’Europa, senza tanto riflettere avrebbe certamente deciso di fare man bassa sopra tutte quelle Chiese e pratiche religiose, a preferenza di navigare trà il s[c]illa del fanatismo popolare intransigente, ed il cariddi [p. 771] delle moltiplici superstizioni, delle quali erano piene tutte quelle ed altre osservanze di un /51/ sedicente cristianesimo stabilito da secoli ed abbrutito sino al dissotto della stessa casta [pa]pagana. Io stesso per un certo tempo sono stato sempre di questo parere, ma a misura che l’orizzonte mi si fece più chiaro calcolando le conseguenze delle due parti, ho veduto sempre il bisogno pratico di ritardare e tastare meglio le cose per non esporre ad una perdita irreparabile la missione e le anime di Kafa.

ragioni di tolleranza. La missione in Kafa era arrivata ad ottenere un’esistenza civile ed officiale con tutti i diritti che [ne] sono come una conseguenza. Ora un’urto popolare avrebbe minaciato di divenire anche governativo con pericolo di [di] perdere questa posizione civile non ancora ben stabilita e nazionalizzata. In questo caso qualunque ipocrita avrebbe potuto introdursi presso il popolo, come anticamente accadeva, e prendervi la nostra posizione officiale, e procurarci una persecuzione sino all’esilio totale nostro: l’ipocrita ha un’elastico [atteggiamento] molto utile in simili circostanze, che non abbiamo noi obligati a camminare per la via retta senza ambagi. Per questa ragione ho preso il partito di soprasedere in molte cose, ordinando ai Sacerdoti di schivare prudentemente tutti gli atti superstiziosi, e prestarsi negli utili fino a tanto che il paese avesse gustato sufficiente istruzione per poter pretendere una rinunzia di ciò che cristianamente non si poteva amettere.

Difatti il Re si era obligato con giuramento ad Abba Baghibo di lasciarmi tutto il potere sui preti, ma, arrivato che fui non solo mantenne tutto il suo potere sopra i medesimi, ma prese egli la loro diffesa nel- [p. 772] la rivolta, ma la favoriva ancora, e Dio solo fù quello che spianò la difficoltà nell’affare del P. Cesare, come persona che ancora non aveva fatto naufragio nella fede; non fu così nel vecchio prete antico, unico esistente ancora; questi non rispettò il potere del vescovo, e con un’audacia senza pari egli dogmatizzava ancora contro di lui, seguitando a mantenere un partito; non è che un’anno dopo, quando il paese aveva gustato l’istruzione cattolica, e che incomminciava [a] farsi un certo movimento spontaneo per la medesima che mi riuscì di vincerlo, e fargli confessare publicamente che non era prete, anche nel senso antico voluto da Kafa, e che non era neanche Cristiano battezzato, come si dirà a suo tempo. Bisogna dire adunque che un sistema troppo spiegato e duro contro gli usi superstiziosi, avrebbe certamente da principio alienato i cristiani da noi, e messo in pericolo la missione medesima; essere stata perciò di tutta necessità una tolleranza negativa.

quanto utile fu la confessione del p. Cesare. In ciò ajutò molto l’affare del P. Cesare, egli, entrato a noi per puro impulso della grazia divina contro la corrente dello stesso governo, nel- /52/ la sua conversione esercitò un grande apostolato per stabilire la missione nel suo pieno potere accordato dal governo. Venuto difatti il giorno della solenne assoluzione dalla scomunica, fu allora che egli montò in cattedra per condannare se stesso, [p. 773] e condannando se stesso, condannare tutto l’antico sistema dei preti e di tutti gli usi precedenti. Ghiddi Ghiorghis essendo una Chiesa che apparteneva a lui, la mattina di S. Giorgio prima della funzione solenne della propria assoluzione dalla scomunica, egli vi si recò, come sempre faceva anticamente, e come sempre si usava di fare, in tutte le altre chiese dagli altri preti nelle rispettive loro feste, per acettare i voti e le oblazioni sopra narrate. Ma egli invece di prendere parte attiva nelle oblazioni precedenti delle vittime lasciò fare, ed egli si occupò invece del suo affare che più l’occupava, e qui incomminciò una predica famosa della propria confessione, nella [quale] condannando se stesso, come [come] scandaloso e traditore del suo dovere, non solo nell’affare del matrimonio sacrilego contratto per debolezza, ma anche nel secondare tutte le superstizioni e le menzogne in uso, condannò tutto il sistema degli antichi Sacerdoti, come falso, sacrilego, e superstizioso, ed affatto anticristiano.

di una cosa mi rincresce... Di una sol cosa mi rincresce, ed è di non essere più in caso di riferire tutte le parole sue e dipingere al vivo tutto questo gran male da lui fatto, e sopratutto le lacrime che accompagnavano le sue parole di collera contro se stesso, perché la gran quantità di anni passati non solo cancellarono dalla mia memoria molte delle sue vivissime espressioni, ma ancora raffreddarono la mia commossione nell’esprimerle. Dirò perciò solamente le cose principali che mi rimasero più impresse

[p. 774] gran predica del p. Cesare. Fratelli miei, così incominciava il P. Cesare, un traditore, un ladro, un falsario, un’ipocrita cosa si merita? d’essere preso a pietre e caciato via voi dite, e dite bene. Ebbene sappiate che io appunto sono il traditore, il ladro, il falsario, l’ipocrita in questione. Voi vi stupite a sentirmi parlare in questo modo, perché non mi avete conosciuto, e non mi avete conosciuto, perché io ho saputo fingere bene e mentirvi meglio. Kafa è un paese che manca ancora di Preti, disse Iddio al mio Vescovo, vi sono colà alcuni che si dicono preti e non lo sono; tu sceglierai un buon prete e lo manderai là con un compagno, affinché insegnino a quei popoli la legge cristiana... Sono venuto io con Abba Jacob per istruirvi, e distribuirvi i tesori celesti... Appena arrivato quì, voi lo sapete, ho messo da una parte la parola di Dio ed i tesori celesti per voi preparati, e come gli antichi se dicenti preti, me la sono goduta continuando lo scandalo. Gli antichi preti meritavano compassione, /53/ perché erano semplici uomini, come voi, i quali nulla sapevano, ma non così io che tutto conosceva. Giudicate ora voi se non sono un traditore, un ladro, un falsario, un’ipocrita. Oh se voi mi aveste conosciuto nel primo giorno del mio tradimento, e caciatomi allora, quanti peccati di meno avrei oggi [d]a rendere conto al mio Dio!... Alcuni potranno dire oggi, che venuto l’Abuna ho cangiato linguagio per [per] paura di lui... chi dicesse, così sarebbe da compatire, perché gli ho dato motivo colla mia perversa condotta, ma prostrato ai suoi piedi lo prego e lo supplico a non crederlo: pensi che il fiore, per bello ed incantevole che sia, non ha vita che per pochi giorni; si persuada quindi, che io incatenato dal diavolo con catene di ferro, divenuto schiavo di un padrone crudele, come quel figlio prodigo mentovato nel Vangelo, [p. 775] il quale, figlio di Re come era, obligato a dividere la cena di ghiandi coi porci, dei quali era il custode, io era un uomo infelice, e passava dei giorni infelici pieni di rimorsi e di pene, mi mancava solo la forza del cuore per dire come quello[:] Surgam et ibo ad patrem meum, oh come il peccato è un vero flagello per chi conosce Iddio! oh come il diavolo paga male i suoi schiavi! credetemi fratelli! quando moriva un sedicente cristiano di Kafa, ed io era chiamato solo per fargli le esequie, mi pareva di vederlo precipitarsi all’inferno mandato da me, e doverlo io seguire in quell’abisso; senza la pace del cuore, io era l’uomo il più infelice. Tutto all’opposto, l’arrivo dell’Abuna è stato per me una grande, consolazione; io sentiva un gran bisogno di ritornare a lui...

assoluzione dalla scomunica. La predica del P. Cesare era tutta in questo senso, e non la finiva più. Ma doveva finirla, perché era arrivato il gran momento: arrivava intanto il Vescovo in processione pontificale col suo clero, alla Chiesa di Ghiddi Ghiorghis; una folla immensa stava alla porta della Chiesa osservando questo spettacolo mai veduto in Kafa. Il P. Cesare si presenta ai piedi del Prelato con [con] una gran pietra al collo in segno di penitenza; coll’interpretazione di Abba Jacob fece una breve allocuzione al popolo di Kafa; apostrofe mia a Kafa, ed al p. Cesare. povero Popolo! dissi io allora, tu non conosci l’amore che Iddio ti porta; tu non sia da quali brutte catene il diavolo ti stringe per impedirti di andare a Dio! Vedi tu o Kafa questo infelice P. Cesare, era egli un Angelo [p. 776] che Iddio ti mandava per salvarti dal regno della menzogna, e condurti al Cielo, era egli il mio figlio più diletto, che mio amava più di me stesso; il diavolo che vi dominava, è arrivato a vincere anche lui, Povero Cesare mio! caro figlio! sei caduto, hai prevaricato con gran danno di questo povero paese; per ubbidire a Dio; ho dovuto scomunicarti, ma oh quante lacrime mi costò questa tua scomunica! Oggi il tuo ritorno, e la tua penitenza è arrivata sino a Dio, /54/ e sono mandato da lui per assolverti. Questo paese di Kafa da te tradito, è disposto a fare la pace con te, se tu la farai di cuore col tuo Dio.

Quì il Cesare fece un’apostrofe a me, al clero, ed a tutta la popolazione di Kafa che fece piangere tutti, e poi rivolto di nuovo a me, oh Padre, disse io mi merito mille morti, la sola misericordia di Dio infinita può coprire le mie iniquità...

liturgia dell’assoluzione. Incomminciò quindi la liturgia dell’assoluzione, e mentre si recitava il Salmo[:] miserere io lo perquoteva dolcemente col bastone pastorale, [seguitando] col resto della cognita liturgia, quale finita, lo feci alzare, gli diedi il bacio di pace; lo baciarono Abba Hajlù, ed Abba Jacob. Tutti i chierici gli baciarono la mano.

Kafa non aveva ancora veduto la funzione del battesimo solenne; si passò [p. 777] alla funzione del battesimo solenne dei due figli [del convertito]; quale finita il P. Cesare riprese la sua predica al popolo di Kafa, predica che non cessò più fino alla sua morte. Difatti il P. Cesare aveva il debito d’istruire il Sacerdote Abba Jacob in virtù di una dichiarazione giurata che egli mi mandò dall’Ennerea, dietro la quale questo Sacerdote indigeno era stato ordinato da me in Gudrù, come trovasi scritto a suo tempo.

primi lavori ap.[ostolici] del p. Cesare. Appena assolto dalla scomunica incomminciò subito l’istruzione di questo Sacerdote, lavoro che non lasciò più sino alla sua morte. Dopo due settimane circa, il P. Cesare essendo stato liberato dalla sospensione a Divinis col suddetto Abba Jacob diedero una specie di missione alle sette Chiese antiche di Kafa restandovi circa otto giorni per ciascheduna ad istruire, ed amministrare il Sacramento del battesimo a tutti i bimbi sotto i tre anni. In questo giro di missione i bimbi battezzati oltrepassarono i mille. In tutte le sue prediche o istruzioni precedeva sempre una confessione ad lacrymas dei scandali passati; dimodoche si può dire di lui che una gran parte del terreno di Kafa fu bagnato dalle sue lacrime di penitenza.

lavoro della grazia. Dopo questa missione data dai due suddetti alle varie chiese, nelle quali non fu amministrato il battesimo agli adulti, frà questi i più disposti incomminciarono [a] venire alcuni alla casa madre di Tadmara colle loro provvisioni, onde esservi istruiti, e battezzati. Questo numero non tardò a crescere, facendosi ognuno una capanna [p. 778] e non tardò a comparirvi intorno alla nostra casa di Tadmara un piccolo villagio flottante di catecumeni. A misura che brilla il vero dell’istruzione all’intelletto dei selvagi, il buono è sempre là dietro che lo accompagna, e la fantasia che ne è come il connubio fa subito i suoi lavori sulla volontà e /55/ sul cuore. Questo processo, anche semplicemente come metafisico è molto più netto ed attivo fra i popoli meno travagliati dal frastorno di idee complesse, ed anche false dei popoli civilizzati dei paesi nostri. Ciò che più monta ancora [oltre] il turbine delle grandi passioni che strascinano l’uomo all’infedeltà contro il vero conosciuto, è poi ammirabile il lavorio della grazia di Cristo e dello Spirito Santo in certi esseri meglio conservati, e più disposti, come fa vedere ad evidenza la storia dei due Gabrieli pocanzi narrata, e di alcuni altri antecedenti da me narrati molto prima.

o felix culpa Certamente che dobbiamo attribuire anche a questo lo sviluppo quasi subitaneo delle missioni di Ghera e di Kafa. Tuttavia io sono persuaso, almeno per ciò che riguarda la missione di Kafa, che se il P. Cesare col suo compagno Abba Jacob, subito da principio, rimasti fedeli al loro ministero, avessero incomminciato ad esercitarlo, avrebbero avuto qualche risultato di alcuni individui, ma certamente avrebbero incontrato delle gravi difficoltà, perché i popoli, più sono selvagi, più sono tenaci conservatori dei loro usi, e delle loro pratiche religiose, essendo per i medesimi come un codice tradizionale, tanto più che resterebbero [p. 779] interessate le loro passioni in favore della religione loro tradizionale medesima, la quale gli lascia in perfetta pace con ogni specie di vizio e di corruzione. nella morte stessa trovò la vita. Iddio ha permesso un’eclisse, un naufragio, o dirò meglio, un vero cataclisma, il quale ci fece piangere molti anni la perdizione di questo nostro fratello, e della missione di Kafa, tenuta quasi come certa ed inevitabile. Io partiva da Lagamara col dubbio di riuscirvi; il mio dubbio non si dissipò in Ennerea; esso crebbe in Ghera, e crebbe talmente che ad una cert’epoca disperava persino della sincerità dei principi galla che mi giurarono fedeltà. Arrivato poi in Kafa mi viddi un momento tutto l’inferno armato contro, e tutti i calcoli umani sparirono affato. Ma Dio, che voleva salvarla senza tanti calcoli umani, operò la salute colla stessa rovina; colla conversione del P. Cesare distrusse tutte le tele ordite dal nemico, e la missione trovò la sua completa salute. I nemici si trovarono sul momento dell’imaginata vittoria, caduti vinti, e svergognati, mentre la missione trovò un valente apostolo, un lampante argomento a dissipare le tenebre, e nella stessa sua morte la sua risurrezione.

Quando io penso a questo celebre fatto, ancora oggi dopo più di venti anni, sono obligato a confessare che Iddio, permetteva appunto quel[la] grande eclisse per far vedere l’opera sua. Questa grande economia divina non è una cosa nuova arrivata in Kafa nella storia che ci occupa, ma è la storia di tutti i giorni, ogni qualvolta [p. 780] meditiamo seriamen- /56/ te le vie misteriose per le quali Iddio conduce la sua Chiesa incomminciando dall’Eden sino al calvario, dove si innaugurò solennemente il sistema di vincere morendo. Mentre sto scrivendo, pare arrivato il momento che il Leone, sempre vincitore, debba cader vinto; la guerra contro Cristo e la sua Chiesa non è più un mistero; i nemici già cantano vittoria, è finita per Dio, per il Cristo, e per la sua Chiesa; già l’uomo del peccato è a cavallo che gira il mondo cantando vittoria, ma chi vive di fede, accostumato a vincere morendo, oggi appunto incommincia [a] sperare.

fu allora che incomminciò la missione in Kafa. In Kafa difatti fù appunto allora che la missione incomminciò. Il Cesare, passato per tutte le vie, divenuto apostolo della missione poté impunemente publicare e far conoscere tutte le ipocrisie e le vergogne dell’antico clero, ed il grande inganno in cui fu sempre tenuto per l’avanti da sedicenti preti; fece conoscere cosa è il prete, cosa è il vescovo, e così pure fece conoscere i doveri cardinali del cristiano col suo continuo piangere i scandali dati. Kafa conobbe allora ciò che [non] mai conobbe, Kafa fù allora che si sveglio dal suo profundo letargo d’infedeltà fino allora più negativa che positiva. Se tutti non si convertirono perché vinti da passioni, ciò non fù più come prima per ignoranza, ma per debolezza. Bisogna però confessare che incomminciarono le conversioni sincere in tutti i ceti, ed in tutte le categorie. Incomminciò allora [p. 781] un movimento che crebbe sempre, e crebbe talmente da insospettire lo stesso governo, e somministrare un’arma ai nemici per ordire nuove trame di rovina in futuro.