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7.
Caste: «Kaficiò» pagana e «Amàra» cristiana.
Usi: testimonio, malocchio, cavalcatura.

le due caste di Kafa; la kasta pagana, ed il Deoce. Lo scopo della mia andata a Kafa era appunto l’affare del P. Cesare, e richiamare a vita la missione. Basti perciò per ora il surriferito sulla missione, e diciamo qualche cosa sul paese. Il paese di Kafa si divide in due caste poco presso eguali in numero. La prima e più antica è la casta pagana detta Kaficiò, cioè vera razza di Kafa. Questa casta adora uno spirito chiamato Deoce; la radice di questo nome sarebbe Deo, perché in lingua del paese il ce aggiunto in fine equivale al per o all’in nostro, dimodoché si potrebbe egualmente tradurre in latino in Deo, oppure per Deum. Come però la parola Deo è anche parola di lingua Kaficiò, la quale significa bene, o anche buono l’etimologia del nome Deoce potrebbe anche rilevarsi dalla lingua indigena, ed allora si potrebbe interpretare nel bene, per il bene, oppure per il buono. Quest’ultima interpretazione è probabile, ed è probabile anche la latina, perché in lingua [kafina] si trovano radici latine, o portoghesi, come il Dono per Signore e Donoce vuoi dire nel Signore, per il Signore. Fuori di questo Deoce in Kafa non si adora altro dalla casta Kaficiò. Esistono poi molti maghi o indovini che si vogliono chiamare, i quali fanno parlare questo Deoce, ed esercitano sul popolo un religioso prestigio; essi sono distribuiti in gerarchia, e sono sotto l’autorità di un capo, nel quale si suppone risiedere lo spirito Deoce. Questo capo anticamente [p. 782] era un secondo potere religioso gerarchico, ricchissimo di beneficii distinto dal Re. Un’anno prima della mia andata colà, essendo morto quei capo, tutti i maghi uniti per fare un contrapposto a me hanno deciso che lo spirito Deoce aveva fatto la sua residenza nel Re, il quale perciò ha unito colle ricchezze anche il potere religioso, come il gran Turco. Il Re è sempre di stirpe cristiana, ma egli solo, non la sua famiglia, diventa pagano o kaficiò dal giorno che regna. Questa casta pagana, in certe tradizioni religiose dipende dal Re di Gingirò, paese più al nord verso il regno di Scioha..

/58/ la casta cristiana di Kafa
[2a metà del se. XVI]
La seconda casta di Kafa è la casta cristiana detta anche Amara, oppure Tigrè. Sono razze cristiane, residenti anticamente nell’Ennerea e paesi circonvicini, fuggiti al Sud, staziona[te] prima a Ghera, e poi passate a Kafa, nella circostanza che i Galla provenienti dall’Est, occuparono tutti quei paesi successivamente sino a Ghera inclusivamente. Nel 1860. e 1861., trovandomi io in Kafa, esisteva ancora un Re, detto di Enerea, con tutti i suoi onori reali, ed alcune rendite, per il mantenimento della sua regia dignità, ma soggetto al Re di Kafa, dal quale riceveva la sua investitura da Padre in Figlio ereditaria. Esso poteva portar l’oro, distintivo reale in tutti quei paesi, ed il baldachino; privilegio accordato anche a me in tutti quei paesi. Questa Casta cristiana di nome, ma di fatti forze ancora più corrotta della pagana, come casta forze più forte della pagana, obligava il governo a fargli venire dei preti dall’Abissinia, per non altro che per tenere aperte alcune Chiese che esistevano senza funzioni, fuori delle sopra descritte, e per le assoluzioni funebri dei morti. Per pura gara di onore colla casta pagana, questa casta bramava molto la mia andata a Kafa, per poter contare un dignitario religioso eguale al summentovato

[p. 783] osseervanze cristiane di Kafa. I cristiani di Kafa si dicono cristiani, come provenienti dall’Abissinia, ma [non] sono neanche battezzati, se pure non si vuole considerare come un battesimo l’entrare nel fiume nel giorno dell’Epifania dopo che il prete ha benedetto il fiume. L’unica osservanza che ha il cristiano di Kafa è il digiuno; questo digiuno è strettamente canonico in quanto alla qualità del cibo, non gustando affatto carne o latticini, fosse ben anche gravemente ammalato; in quanto poi a[l] tutto il resto è perfettamente libero di mangia[re] dalla mattina alla sera quando vuole, e quanto gli piace. Le quaresime e giorni di digiuno sono i medesimi dell’Abissinia colla sola differenza che l’Avvento in Kafa è più osservato che in Abissinia. Oltre il digiuno in Kafa si osserva la Domenica, le feste principali cristiane, come Natale, Epifania, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, la morte della Madonna il 21. Gennajo detta Asteriò, e l’Assunta, come altresì alcune feste mensili, come S. Giorgio, S. Michele, ed alcune altre. Nell’Epifania si va al fiume con gran solennità, e si promulgano le feste mobili, ed il digiuno, cosa molto rimarchevole in uso anche fra noi. I cristiani innoltre sono sepolti nel cimittero vicino alle Chiese, a differenza dei kaficiò pagani, i quali sono sepolti vicino alle loro case. Di più i cristiani sono circoncisi a differenza dei pagani. Quando muore un cristiano adulto si chiama il Prete per benedire il sepolcro; si fanno le esequie die obitus, tertia, septima, duodecima, vi- /59/ gesima, et quadragesima; il prete facendo questo ha una decima sull’eredità a giudizio dei vecchi del paese.

[p. 784] la casta mussulmana di Kafa. Oltre le due caste dominanti anzidette, esiste poi ancora una minima quantità di mussuiniani, i quali vi stanno come mercanti, e raramente divenuti nativi del paese e riconosciuti come tali. I pochi più stabili sono richissimi, e molto influenti, anche alla corte, dove alcuni sono scrivani di lettere fra i principi di quei contorni, e per gli affari di alto commercio, perché in tutti quei paesi la lingua per le corrispondenze scritte è la sola mussulmana, per la ragione che anticamente il monopolio del commercio era degli arabi, e non è che da poco tempo in quà che i cristiani d’Abissinia si sono messi a commerciare. I mussulmani di Kafa sono gli unici che coltivano gli animali che danno il muschio, essendo mestiere come infame per tutti i nativi di Kafa. I mussulmani vivono di questo prodotto molto delicato e [di]spendioso, possibile solo ai grandi capitalisti. Vivono poi ancora del commercio dei schiavi, articolo molto notabile e lucroso in Kafa.

citta del commercio in Kafa. In Kafa i commercianti di qualunque nazione o religione hanno una città a parte in Bonga, e non possono recarsi in altre provincie del regno senza un permesso limitato al luogo indicato, e senza un’accompagnamento di persona data dal Nagadaras con permesso del Re. Tutti gli articoli di commercio venuti dall’estero, da Kullu, da Gobbo, da Wallamo, ed altri paesi dei contorni sono visitati [p. 785] dal Nagadaras e non possono essere venduti al gran mercato di Bonga senza suo permesso, dopo che la corte ed i grandi del paese hanno comprato. Alla città dei mercanti di Bonga [giunge] da tutti i contorni della provincia farina, pane, birra, miele in detaglio per il mantenimento di tutti i forestieri venuti dall’estero, i quali si trovano in gran quantità, e vi rimangono anche dei mesi per la compra di schiavi, di muschio, di avorio, di kaffè, di corriandro, di cera, e simili prodotti. In questa città i mercanti possono vivere bene comprando a buon mercato ciò che abbisognano. I gran mercanti stranieri, quando hanno finito i loro affari non possono sortire senza un’accompagnamento, dopo aver pagato le dogane di sortita. Il mercante straniero in Kafa è protetto non solo nel personale, ma anche nella sua proprietà; non si vedono in Kafa le vessazioni, rappresaglie di tutta l’Abissinia del Nord. Solamente il governo vi esercita qualche monopolio secretamente.

usi generali di Kafa. In Kafa vi sono degli usi molto curiosi, i quali si distinguono dagli usi degli altri popoli dell’alta Etiopia. Fra gli altri usi, il più generale a tutte /60/ le caste di Kafa è quello che una persona adulta [non] può gustare nulla, neanche una medicina, se non in presenza di un testimonio legale sotto pena di una grave infamia. Per far capire questo uso, voglio raccontare una piccola storia arrivata a me nei primi giorni della mia dimora in Tadmara. Come già dissi, [p. 786] sopra, io restava abitualmente in una capanna vicino alla Chiesa, dove soleva lavorare, o conferire con alcuni di casa. Lontano una cinquantina di mettri si trovava la gran casa di ricevimento; frammezzo si trovava un piccolo orto, dove vi erano delle fave ed altri prodotti per la cucina. Vengono a chiamarmi per andare alla gran casa, dove era aspettato. Passando nell’orto ho preso delle fave verdi e le mangio; appena sono veduto da alcuni di casa mi saltano addosso, oh Padre cosa fa mai? come se avessi amazzato una persona. ma cosa ho fatto? dissi: [a cui essi risposero:] qui in Kafa è una grande infamia gustare una qualunque cosa da solo. In altro paese si direbbe una cosa ridicola, eppure in Kafa è una cosa gravissima, entrata così in abitudine che equivale ad un gran peccato, e potrebbe essere anche motivo di separazione tra marito e moglie; una persona convinta d’aver gustato qualche cosa da solo in giudizio non sarebbe più considerato come testimonio in giudizio.

il testimonio legale per gustare una cosa Ho detto[:] senza testimonio legale, perché per essere testimonio legale si esiggono alcune condizioni. 1. Deve essere della stessa casta. 2. Il testimonio deve essere adulto. 3. Deve essere ammesso e riconosciuto coll’unzione dell’oro da persona avente questa facoltà. Quando si trovano in famiglia il marito e la moglie devono mangiare e bere insieme; quando si dice[:] [p. 787] il bere insieme dallo stesso corno. bere insieme s’intende che devono bere nello stesso como tutti [e] due nello stesso tempo, e con atto unito avvicinando tutti [e] due la loro bocca allo stesso corno ed assorbendo insieme; è cosa che fa stupire due persone che bevono contemporaneamente senza versarne una sola goccia. Così si deve dire di due fratelli o sorelle, oppure amici o compagni; sono atti che non si possono rifiutare, ancorché uno dei due non ne avesse bisogno. Il Re ha un testimonio a parte che costituisce un’impiego di grande onore; egli non può prendere neanche una medicina senza il suo testimonio legale; se non è in casa lo manda a chiamare, fosse anche in letto di notte quando ha bisogno di gustare qualche cosa. Una persona in viaggio morirà di sete se non ha un testimonio legale per gustare un poco di aqua alla fontana.

tre segni prima di entrare in casa Ancora un’altro uso in Kafa generale per tutti, e che appartiene all’educazione, come massima di primo ordine nella loro civiltà. Una persona qualunque sia, fosse anche il padron di casa, oppure un Principe che entra nella casa di un suo subalterno di bassa estrazione non può avvi- /61/ cinarsi, ed entrare in casa senza dare tre segni distinti della sua venuta. Il segno più in uso è un’atto come di tosse [p. 788] in modo da essere inteso. Il primo si da alla distanza di circa dieci mettri entrando nel cortile, se esiste; il secondo segno a cinque metri circa dalla porta; il terzo segno vicino alla porta. Chi è in casa se sente, dopo il secondo segno sorte alla porta, oppure, impedito, domanda chi è, oppure manda qualcheduno ad incontrare. Se poi è il marito, la moglie gli porta una sedia fuori, e seduto gli lava i piedi, e poi l’introduce a mangiare la cena. Chi è dentro, occorrendo che non senta, nessuno entra in casa, [fosse] anzi lo stesso padrone. gravità di questo uso. Per confermare la gravità di questo uso, divenuto come legge potrei raccontare due storielle, delle quali io fui testimonio. Un marito avendo avuto sospetti di relazioni contro la sua moglie, contro l’uso, entrato in casa, la trovò difatti in tresca immorale; volendo caciarla via, il consiglio di famiglia la condannò, perché la prova era immorale, come avuta contro gli usi del paese. Si noti quì che la casa di Kafa ha sempre una seconda porta di sortita, oltre la porta di entrata ordinaria.

parlare al padrone voltandogli il dorso. maggiore o minor estensione di detto uso; ragioni di esso. Un’altro uso fa grande impressione al forestiero europeo che arriva in Kafa, uso tutto particolare che non vi è in tutto il resto dell’alta Etiopia, ed è quello di parlare ad una persona grande oppure anche padrone immediato, parlare, dico, voltando il dorso al medesimo. Questo uso [p. 789] [Questo uso] è universale nei schiavi [rispetto] al suo padrone, e posso anche assicurarlo per le persone di bassa estrazione per un Signore, perché si usava anche in casa mia, non solo [riguardo] a me, ma anche ai preti miei, benché la casa della missione fosse considerata universalmente come una casa di benignità, dove simili rigori non erano tanto ricercati. Lo schiavo dunque, oppure suddito di ritorno da qualche incombenza, oppure chiamato per qualche affare, arrivato avanti al suo padrone, bacia la terra, e poi alzatosi in piedi, gli volta il dorso per dire ciò che ha da dire, oppure per sentire da lui gli ordini che occorrono. Frà il ceto civile di una certa elevazione ciò non si usa, almeno in casa mia non si usava, non posso poi assicurare con esattezza tutto quello che si praticasse nelle grandi case, perché raramente mi sono trovato nelle medesime. Io, come io, volendo dare una ragione di questo uso l’ho attribuito a certi pregiudizii o superstizioni vigenti in tutta l’alta Etiopia dette del cattivo occhio, come se alcune persone potessero magicamente far del male anche col solo sguardo.

lusso di cavalcatura in kafa. In Kafa la persona civile di qualche rispetto va raramente a piedi, fuor di casa o proprio recinto, ma quasi sempre a cavallo. Quando poi si trattasse di una persona di qualche distinzione qualunque, non basta /62/ che egli solo sia a cavallo, ma deve avere ancora qualche altro cavaliere che lo accompagni [p. 790] in maggiore o minore quantità, secondo la sua maggiore o minore dignità. Ciò non solamente [per] l’uomo, ma anche [per] la donna di qualche distinzione. Il cavallo, che in Abissinia è montura semplicemente militare e non civile, nei paesi galla incommincia ad essere montura anche civile; in Kafa poi diventa un lusso quasi insopportabile, per una persona che voglia rispettarsi e non abbia mezzi in proporzione. Si trovano in Kafa persone che fanno sacrifizii mangiando malissimamente in casa propria, ma pure vanno a cavallo, ed anche accompagnati da altri cavalieri per mantenere una certa posizione civile. Lo schiavo in Kafa, anche onorato in casa, cammina raramente a cavallo, epperciò non può essere compagno onorato di una persona qualificata qualunque. Benché il cavallo sia anche montura civile, il mulo lo sorpassa, ed una persona di gran dignità cavalca il mulo; questo solo per lo più ha un’apparato di gran lusso.

lusso di necessità alla prima missione Questo lusso sociale di Kafa imbarazza un poco la missione, dove il prete, per un’antica tradizione è una delle prime persone nel regno. Non convenendo che la missione si privasse di questa sua posizione onorata nella società civile per l’influenza che avrebbe potuto esercitare, anche sopra l’alta società ha dovuto là sacrificare un poco della sua semplicità evangelica, ed inclinarsi un poco verso questo lusso, massime da principio, per mantenere la sua posizione, benché ciò dovesse poi influire un tantino sulle missioni già stabilite fra i galla [p. 791] montate esse molto alla semplice, e poveramente. accompagnamento del vescovo e del sacerdote. Io stesso, benché accostumato a camminare quasi sempre a piedi frà i paesi galla, in Kafa ho dovuto acconsentire a certe formalità di lusso, le quali da principio tutti mi facevano credere essere necessarie per dare un’idea, a quei popoli materiali, della mia superiorità gerarchica sopra gli stessi preti. Ho dovuto perciò rassegnarmi, non solo di andare a cavallo di un mulo adobbato con lusso, ma ancora con un’accompagnamento di 50. e più cavalieri, i quali, essendo della casta dei Preti, oppure dei fabbricieri delle Chiese, erano tutti miei sudditi, ed erano obligati a seguirmi in tutte le mie mosse alle Chiese. I preti semplici poi nei loro movimenti erano accompagnati solamente da cinque persone a cavallo.