/63/

8.
Razze: schiava e «mangiò». Vendite e sequestri.
Medicina del «budda». Due mogli cristiane.

gran quantità di schiavi in Kafa. Ho già detto qualche cosa sopra dei schiavi, penso far conoscere qui la gran quantità dei medesimi, i quali formano quasi la metà della popolazione di Kafa. In quel paese la pena di morte o di carcere essendo quasi nulla, quasi tutte le punizioni finiscono [quasi tutte] nella schiavitù, motivo per cui questa casta si è moltiplicata tanto, a fronte della grande quantità che sorte venduto ai mercanti [p. 792] per l’estero. Il Nagadaras, il quale riceve le dogane mi raccontava che sortivano dal mercato di Bonga per l’estero da sette a otto mille [schiavi] ogni anno. Però non tutti nativi, calcolati i provenienti da Moccia, da Vallamo, e da Gobbo e Kullo. Quelli che sortono la più parte sono di Kafa, perché questi sono più cari e più ricercati all’estero; in Kafa poi gli indigeni sono più ritrosi all’ordine, a preferenza degli esteri. Lo schiavo di Kafa è pigro nel, suo paese, ed è pieno di pretenzioni a preferenza dello straniero; mentre all’estero è molto laborioso, prende affezione alla casa. Sopratutto poi lo schiavo di Kafa è prezioso pel suo tipo e bellezza, e ciò per i sciocchi che cercano queste materie, essendo il kafino il più bei tipo di tutta l’Etiopia.

lo schiavo in Kafa era una vera passività per noi. Lo schiavo in Kafa è una rendita per i suoi prodotti generativi, come una mandra per chi gli vende; altrimenti è molto poco ciò che fa per il padrone: [per] la missione, che non vende, anzi avendo per essi un vero rispetto di figli, lo schiavo è più una passività [per la missione] che una rendita. La missione al tempo mio contava circa un centinajo di schiavi distribuiti sui vari terreni dati dal Re alla medesima, e con tutti questi schiavi la casa della missione faceva della fame. La gran quantità di grani che ho veduto al mio arrivo in Kafa, sui terreni immensi [p. 793] che là missione possedeva, [se fossi stato] fra i galla ne avrei avuto per tre anni, in Kafa invece dopo tre mesi non ve n’era più. Con tanti schiavi io non aveva gente per mandare al mercato a comprarne, e doveva mandare i miei giovani Seminaristi, ancora mal pratici. /64/ pretensioni dei schiavi in Kafa. Il re avendomi dato una provista di grano un poco lontano dalla casa, i schiavi rifiutarono di portarmelo; i mercanti galla ed abissini, vinti dalla compassione, uniti ai miei Seminaristi, me lo portarono. Dopo, chi il crederebbe? i schiavi ne pretendevano ancora una parte. Nelle gran feste io amazzava un bue in casa per avere un poco di carne pella mia numerosa famiglia; i schiavi si radunavano per prendere il loro pezzo di uso, e non me ne restava più; mi trovava costretto [ad] amazzarne segretamente un’altro per trovarne. Per tutti gli altri giorni poi mi contentava di amazzare una pecora, alla quale gli schiavi non hanno diritto.

cosa riceve, cosa da una famiglia di schiavi. Uno schiavo colla sua moglie e famiglia ha dalla missione colà un gran terreno, due buoi, ed una vacca; con ciò egli è obligato a dare alla missione un pane di Cocciò il quale basta appena per dieci persone [in] un giorno; [in] più è obligato [a dare] un carico di birra, e ciò ogni settimana, e nulla di più, ne in frutti, [p. 794] ne in lavori manuali; anzi egli pretendeva ancora carne nei giorni di uso, ed altre piccole cose. rubarizio dei grani impunito. Il pastone fermentato che portava per la birra ogni settimana era macinata solo per metà; una volta bevuta la birra, egli aveva il diritto al deposito della medesima, quale macinato di nuovo, ne ricavava una seconda birra per se. Io ho misurato in una chiccara questa pasta di birra, e poi l’ho sciolta nell’aqua, e dopo colato il glutine, [ed] ho misurato il grano in natura che vi rimaneva ed era più della metà della chiccara di puro grano. Da ciò si vede come gli schiavi lavorano, e rubano lavorando. E quì bisogna notare che in questi [paesi] non si può procedere, perché dicono che è loro diritto; i schiavi sono molto potenti, guai se incomminciano [a] prendere a traverso un padrone, essi fanno star quieti anche i gran signori. Lo schiavo ladro non trova altra punizione che quella di essere venduto, cosa che noi non potevamo fare.

racco[l]ta negligentata eseguita Bisogna dire che lo schiavo di Kafa lavora molto, e semina anche molto, ma poi raccoglie poco, perché guasta il grano nella raccolta stessa negligentata e mal eseguita. Il poco poi che raccoglie è da lui rubato in gran parte. La raccolta del grano, come ognun sa, deve farsi proprio nel momento che arriva [al]la sua maturità, [p. 795] altrimenti pericola o di cadere, o di germogliare, se vengono delle pioggie, principalmente il tieffe, della natura del nostro miglio, e ciò oltre agli uccelli ed alle scimmie che lo distruggono; ebbene questi grani maturi sul fine di ottobre si veggono ancora in piedi nel mese di Decembre. Innoltre in tutti i paesi si usa [di] tagliare i grani colla falcetta, ma in Kafa invece sono sradicati, e sradicandoli i più bassi e minuti, sono negletti e lasciati; prima di depositare il manipolo sradicato è battuto nella radice per /65/ purgarlo dalla terra. rimedio tentato e mall’accolto. Trovandomi in gran bisogno di grano per la casa, e vedendolo così trascurato e sciuppato, nel mio secondo anno, ho fatto venire mietitori dai paesi galla a mie spese; tagliato e ritirato ne ho dato un terzo allo schiavo, e l’ho dispensato dal farmi la birra. Dopo tutto ciò ebbi quattro volte di più della raccolti degli anni precedenti. I miserabili schiavi mi dovevano ringraziare, eppure mi fecero tante caricature come novatore, che tutti gli amici mi esortarono ad abbandonare questo sistema, ed a rimettermi al sistema antico. Non parlo del rubatizio, perché è divenuta una cosa normale: i schiavi hanno i loro piccoli mercati a parte, ai quali i liberi non potevano andare senza esporsi; così vendono ciò che rubano con tutta libertà; il governo tollera tutto ciò in pace.

la casta detta Mangiò in Kafa, in Abissinia e nei paesi galla. Avvi poi in Kafa una casta detta dei Mangiò, detta Wata nei paesi galla, e Woïto nell’Abissinia. Questa casta è sparsa in tutta l’Etiopia, ma in diverse condizioni. In Abissinia il Woïto [p. 796] è una casta minima che raramente coltiva i terreni, poss[i]ede pochi bestiami, abita sulle rive del Nilo, e del lago Tsana, e vive in gran pane di pesca, di cacia di ogni specie di animali, anche di scimmie. Fra i Galla, è appena conosciuta fra i galla liberi, e più conosciuta nei principati del Sud, ma è fusa coi galla, ed è onorata al pari di loro; frà questi si dicono Wata. usi particolari relativi ai Mangiò. In Kafa poi, è chiamata Mangiò, ed è numerosissima; ma sono tutti schiavi del Re, e raramente di altri grandi stati dati dal Re. Come è una casta infame il Re se ne serve come di poliziotti per le cose odiose. Coltiva il grano sino vicino alla sua maturazione, e poi non può più avvicinarsi, altrimenti il grano toccato dal Mangiò diventerebbe immondo. Serve a portar legna, ma appena può entrare nel reci[n]to, mai nelle case. Se il kafino gli da qualche cosa glie lo getta per terra come a un cane. In Kafa egli è peggio del Paria delle indie, e la missione è imbarazzata per evangelizzargli, perché il prete [stato] in contatto [con lui] non potrebbe più trovarsi con altri.

i schiavi incutono timore al governo. Per fortuna che questa casti, eminentemente [s]chiava, con un capo a parte, direttamente sotto gli ordini del Re, non può communicare cogli altri schiavi, del resto, se questi potessero unirsi cogli altri schiavi, [p. 797] la casta dei schiavi sarebbe così forte da far temere una rivolta, come è accaduto in qualche piccolo paese non lontano da Kafa, dove i schiavi si sono rivoltati e sono diventati padroni, facendo schiavi i loro padroni. Per questa ragione la guerra è privativa della casta libera, e lo schiavo non va in guerra, anzi cammina raramente armato. Il lavoro manovale essendo cosa propria di schiavi, e poco onorato fra la casta libera, ciò e stato causa della moltiplicazione dei medesimi a segno da /66/ mettere il governo in attenzione. Nel momento della mia partenza la casta libera incomminciava già [a] lavorare un poco di più, ed il governo agiva sordamente a diminuire il numero dei schiavi.

loro docilità nel s. ministero. Dopo aver detto schiettamente il mio sentimento rapporto ai schiavi di Kafa debbo far loro giustizia rapporto al ministero nostro apostolico. Prima di tutto ho voluto pensare a mettere in regola la casa mia, ed in primo luogo tutta quella caterva di schiavi maritati a modo pagano. Come la maggior parte erano dispersi sopra terreni uno lontano dall’altro, l’istruzione di una gran parte diventò un poco difficile, ma debbo confessare che corrisposero molto bene a tutti i nostri sforzi, e dopo poco più di tre mesi [p. 798] tutti i miei schiavi già maritati poterono celebrare il loro matrimonio ecclesiastico; una parte anche hanno potuto ricevere la Confermazione e l’Eucaristia.

vendita di figli non ancora nati Per terminare la materia dei schiavi, e dare un’idea completa della schiavitù, dirò che l’uomo in Kafa può vendere i figli, la moglie, ed anche se stesso in caso di bisogno, ed arriva ben soventi di vedere venduto il figlio ancor da nascere. Una donna nostra cristiana, dopo [avere] ricevuto il battesimo, avendo partorito, volendo far battezzare il neonato si presentò in casa mia un mussulmano e [me lo] proibì dicendo che il neonato era stato venduto. Dopo [aver] esaminato il caso risultò che questa donna, unitamente al suo marito, aveva ricevuto del grano da questo mussulmano senza nulla dire, ma ciò non ostante dal giudizio dei vecchj fu considerata come valida la vendita. La moglie fù obligata ad allattarlo gratis sino ai due anni, e poi consegnarglielo. Ho cercato di dare qualche cosa per redimerlo, ma il mussulmano rifiutò di acettare, probabilmente in odio del battesimo. Il povero in Kafa deve guardarsi di acettare qualche [p. 799] cosa, perché se dopo non potrà provare il contrario, il solo ricevere qualche cosa può essere considerato come vendita del figlio, o di se stesso.

confiscazione per delitti. Tuttavia la quantità dei schiavi non è per questa via che si moltiplica in Kafa, bensì per la via di confiscazione publica per qualche crim[in]e politico, ma più frequentemente per una causa nel fondo superstiziosa detta del budda (in Francese loup grarù, o maliarde strega nociva) cosa universale in tutta l’alta etiopia. Se una persona è provata budda, allora tutta la sua schiatta in linea di consanguinità è confiscata. Il giudice ordinario di ciò è un mago che dà una medicina, la quale ubriacca, dietro la quale il supposto budda confessa di aver fatto male a qualche ammalato, oppure morto. Il seguente fatto statomi rivelato da persone in caso di saperlo spiega molto bene ciò che dico.

/67/ bevono la medicina; 20. sono budda; 200. case confiscate. Nel 1860. i schiavi in Kafa erano divenuti molto cari, e molti gran mercanti di schiavi erano fermi in Bonga senza poter comprare; fecero complotto, ed acaparrarono gli impiegati di una Provincia per far bere la medicina del budda. La cosa passò al governo [p. 800] e fù publicato che in quella Provincia ad una certa epoca fissata si sarebbe recato il mago giudice dei budda per far bere la medicina a tutti gli accusati. Gli impiegati prendono il tempo necessario per verificare il nome degli accusati, e qui si mangiano regali secreti dalle due parti, cioè dagli accusatori, e dagli accusati. Una volta riconosciuto il numero degli accusati, lo presentano al mago; e questi mangia anch’egli dalle due parti regali secreti per dare una medicina più o meno efficace. Bevuta la medicina risultano i dichiarati [colpevoli]. È inutile dire che in questo giudizio c’entrano le passioni di interesse di inimicizie particolari. Il mago ha tanto per cento sui schiavi confiscati, e così gli impiegati in proporzione del loro impiego; il residuo [dei beni] poi sono [devoluti] al governo. Furono riconosciuti più di venti budda; furono per causa loro confiscate 200. case, epperciò un milliajo di schiavi. Così furono appagati i mercanti mussulmani.

confiscati i miei cristiani. Ma intanto, come io [ne] ho dubitato allora subito da principio, la cosa non era tanto in favor dei mercanti, quanto contro la missione, la quale camminava a vele gonfie, ed incomminciava [a] sollevare le passioni degli uni e degli altri. Per questa ragione si fece la così detta prova dei budda appunto nella provincia, dove più [p. 801] fioriva l’entusiasmo del proselitismo nostro, e fecero cadere la confisca sopra parecchie case dei nostri cristiani. Questi vedendosi presi fuggirono alla missione, e ci sollevarono mia questione terribile. mando al re; belle risposte; enormi regali Ho mandato tutti i Preti al Re pregandolo di lasciarmi in pace quei schiavi fatti cristiani, e facendogli alcune osservazioni troppo giuste sul sistema di fare tanti schiavi per ragioni ridicole, ed ingiuste; alla fine, dissi, a forza di moltiplicare schiavi, quando tutto Kafa sarà partito per l’estero in favor dei mercanti per voi rimarranno le scimmie, non sapete voi che la prima richezza del regno è il popolo? Il Re sentì tutto, e promise tutto, tale essendo l’uso del paese, anche quando si trattasse di una negativa assoluta, o qualche cosa di più. Del resto poi ricevette i miei preti con una cortesia affatto insolita, pregandoli di persuadermi della sua più sincera amicizia ed ataccamento alla missione. Essi arrivarono a casa trionfanti, ed appena arrivati, dopo di loro arrivarono due vasi fusiformi portati ciascheduno da dodeci persone, uno pieno di miele, ed un’altro di butirro in regalo a me.

Tutto ciò però non fù ancora una realtà. Ho ricevuto tutto questo colla /68/ dovuta riconoscenza, ma passarono appena alcuni giorni che la questione ritornò sul tappeto: ultima risposta del re; Il Re mi mandò un grande, anzi uno dei consi- [p. 802] glieri suoi: Padre mio, disse, questi, se voi avete bisogno di schiavi io ve ne darò tanti che volete, sappiate però che non mi è stato possibile aggiustare l’affare vostro, perché tutti i confiscati erano già stati venduti ai mercanti, epperciò voi non potete più tenergli in casa vostra senza la tacia di averli rubati. risultato simile a quello di Pio IX. Al sentire questo sono caduto dalle stelle, come Pio nono cadde dalle stelle il giorno della brecia di Porta Pia dopo [aver] ricevuta la lettera di assicuranza pochi giorni prima; il caso era quasi identico, colla sola differenza che il Re di Kafa coi suoi consiglieri erano pagani antichi, non ancora istruiti, e forze in buona fede nelle loro pratiche antiche, mentre il nostro governo di Roma agiva con vero inganno tutto satanico; essendo tutto composto di figli publicamente cattolici, e segretamente frammassoni, entrati direttamente a Roma per distruggere il governo Papale, ed Il Papato.

In quanto a me, l’affare di Kafa non era un’affare di un’importanza così vasta come quello del Papa e di Roma, ed io aveva sempre ancora un poco di buon senso sù cui poter calcolare, e la mia guerra era piutosto contro l’ignoranza che contro una malizia di puro calcolo come quella [p. 803] dei nostri governi divenuti pagani e barbari di nuovo conio, epperciò già mi era preparato a medicare la piaga alla meglio senza espormi ad una guerra più diretta con nuove istanze. un aboccamento col re fallito. Tutti speravano ancora in una mia visita al Re e me ne facevano le più vive istanze per determinarmi a fargliela. Io sapeva [di] certo che la visita non avrebbe avuto luogo, perché tutti i maghi avevano consigliato il Re a non ricevermi, anzi a non trovarsi con me per il pericolo che lo spirito Deoce non l’abbandonasse. Non volendo tuttavia aver l’aria di negare a questi miei cristiani fatti schiavi la soddisfazione da loro desiderata, ho aggiunto ancora delle demarcie per un aboccamento col Re, ma tutto fa inutile, perché il Re, da una parte non poteva dirmi la ragione che impediva il nostro aboccamento, e per l’altra, sapendo benissimo ciò che io desiderava non essere possibile, fu costretto a prendere un altro li[n]guagio di menzogne per allontanare indefinitivamente l’aboccamento in discorso.

facio comprare tutti i schiavi. Per questa ragione io ho preso il partito di persuadere questi [di]sgraziati miei Cristiani a rassegnarsi, assicurandoli che avrei fatto ogni mio possibile per farli comprare tutti per mandarli o in Ghera, oppure in Lagamara, dove la missione aveva terreni [d]a dargli, e mezzi per mantenergli. Difatti feci chiamare subito un mercante mio fido [p. 804] per comprare, o far comprare secretamente da altre persone di sua confi- /69/ denza tutti i schiavi suddetti in numero di 15. o 16. due mogli generose. Una gran difficoltà inconciliabile rimaneva per due maritati, le mogli dei quali non essendo state inchiuse nella confisca rimasero libere, ritornate presso i loro parenti. Avendo fatto conoscere sia ai mariti che alle mogli la loro delicata condizione futura, per la quale, ne gli uni, ne le altre avrebbero potuto più contrarre ulteriori nozze, perché avanti [a] Dio il loro matrimonio era indissolubile, appe[na] la compra dei schiavi e della prole fu fatta le due donne dichiararono generosamente di voler seguire i loro mariti e la loro prole od ogni costo, anche di dichiararsi schiave per tutta la loro vita.

Questo fatto fece una grande impressione nel publico dallo schiavo sino al re. Da una parte la mia decisione di comprare tutti questi schiavi per salvargli dal cadere nelle mani dei mussulmani; dall’altra parte la risoluzione generosa e forte di queste due donne risolute ad ogni costo di vincere tutte le attrattive, e direi quasi violenze dei loro parenti, per seguire i loro mariti nella disgrazia, verificandosi in esse a puntino il precetto dei divino maestro[:] il relinquet homo... adhærebit... relinquet... et adhærebit... Tutto ciò, dico, entrò nell’intimo del cuore di tutti, e fece conoscere a tutti [p. 805] la forza dell’apostolico ministero, e della divina parola. La storia del P. Cesare scosse questa nazione, forze la più corrotta di tutto l’alto piano etiopico dal letargo mortale, nel quale altrimenti sarebbe forze stata invulnerabile; questo secondo fatto diede di nuovo un gran movimento di vita, da compensare con usura il colpo della confiscazione sopra narrata. germe fecondo di frutti e di spine. Questi fatti del Vangelo vivente sono un germe che suol produrre gran frutti nei terreni fecondati dalla grazia, ma sono spine che pungono, ed anche irritano il cuore di Caïfa contro Cristo, come oggi lo vediamo nel cuore reprobo dei frammassoni, i quali fremono vedendo moltiplicarsi i pellegrinaggi a Roma. Così in Kafa incomminciò allora il movimento [del] quid facimus[?], il quale diventò poi un temporale un’anno dopo in ruinam.

il linguaggio vivente del vangelo. Il linguagio del vangelo vivente è sostanzialmente tutto il bello ed il buono obiettivo ideale che abbaglia l’intelletto del uomo, ravviva la sua volontà, e crea nella fantasia nuove idee e nuovo linguagio. Tutto ciò fa nascere dei sentimenti affatto nuovi in contradizione con tutti gli antichi bisogni fabricati dalle passioni materiali di Kafa. tre oracoli mandati da Dio Il P. Cesare divenuto uomò tutto novo con passioni e bisogni [p. 806] di nuovo genere; egli ha dimenticato affatto le antiche relazioni ed amicizie; egli non parla più di altro che dei suoi scandali da riparare, delle anime da salvare, chi vuole sentirlo bisogna sentire parlare di Cristo; chi vuole trattarlo bisogna che entri in discorsi di anima da salvare, di eternità, di /70/ Paradiso e di inferno, ed ecco un gran prodigio, perché egli non vuole sapere più di mondo. Un giovane mussulmano venuto da Ghera, un’antica creatura di Abba Magal, creduto una spia di questo Principe per spiare tutti i nostri andamenti, egli ancora catecumeno racconta in confidenza a tutti tutte le storie più edificanti di Ghera, racconta i tentativi fatti da Abba Magal sopra di noi per provarci, racconta le cose mirabili del defunto Gabriele, le sue apparizioni, le sue profezie, i suoi miracoli, racconta le storie di tutti i diavoli dell’inferno scatenati, che egli stesso ha sentito, veduti [a] fuggire sconfitti, e ciò con un calore, ed un’entusiasmo incredibile che tutti innamora e rapisce.