/304/

36.
Pace con Gemma-Nunnu sancita da Cocino.
Grave malattia. Restituzioni e quesito.

conferenza sopra gli affari d’Europa, dell’Egitto e di Massawah Sbrigati i principali affari della missione nella parte spirituale, ci aspettavano tutti gli affari dell’alta amministrazione, stati tutti sospesi da molti mesi. Con Monsignore Cocino si lessero tutte le let[te]re venute dall’Europa, dall’Egitto, e dalla Costa. Dall’Europa molti mi consigliavano a recarmi colà, perché io solo avrei potuto terminare le questioni, e le difficoltà che si opponevano alla spedizione di nuovi missionarii, dei quali vi era gran bisogno nella missione. In Egitto essendo morto quasi all’improvviso Monsignore Perpetuo Guasco, il suo successore [p. 345] Pasquale Vuicic (Vujcic), O.F.M. 1826-1888 M.P. Monsignore Pasquale Wicicce nuovo Delegato d’Egitto, anche egli teneva lo stesso linguagio affermando che una mia apparizione sarebbe stata di tutta necessità per sistemare gli affari della Procura mentre si trovavano ancora in Egitto alcuni dell’antica amministrazione, i quali conoscevano meglio gli affari. Anche in Massawah molte lettere di amici mi facevano una descrizione poco soddisfacente, sia della Procura, che della stessa persona del nostro Padre Procuratore. questione sopra la mia partenza per la costa. Tutto messo insieme, un mio viaggio fu giudicato come di assoluta necessità, ma si opponevano ancora più gravi difficoltà, sia per lasciare la missione, e sia ancora per [affrontare] il viaggio nei tempi di Teodoro [e] sotto l’onnipotenza ecclesiastica del Vescovo eretico Abba Salama. In quanto al viaggio, dissi a Monsignore Cocino, non pensateci, perché io soglio rimettermi a Dio senza tanti calcoli preventivi. Io cerco solo due cose, se cioè la causa di andarvi debba considerarsi come obligatoria per me; in secondo luogo, se le circostanze della missione, che dovrà essere da voi amministrata lo permettano; pensateci e mi risponderete.

questione sul Gudrù Dopo si parlò del Gudrù; io ho esposto la domanda di Gama Moras, il quale mi pregava di andarvi ad ogni costo. Monsignore Cocino per parte sua, io vengo di là, disse, conosco tutto, e posso dire che ho veduto tutto. [p. 346] Il Gudrù minacia di dividersi in due; già si sono battuti e ricomposti; come il Gudrù ha una gran simpatia per Lei, e /305/ nelle ultime crisi di Ennerea il Gudrù si risentì molto, Gama mi chiama per la pace col Gudrù Gama Moras spera nella sua andata colà di ricomporre le cose. Per questa ragione egli mi raccomandò molto di fare in modo che non manchi di andare. Oltre a tutto questo, tutte queste missioni del nord sono una creazione sua, certamente che Ella andando farà del gran bene come ha fatto quì in Lagamara. È da temersi però che alla sua partenza di quì se ne risentiranno i Lagamaresi, ed anche i Nonnesi dopo tutto questo movimento di questi due paesi. Peggio poi quando tutti questi paesi, compresi anche Ghera e Kafa, dubitassero anche solamente che Ella pensa più in là, di andare cioè alla Costa, e di arrivate sino all’Europa, oh allora io temo un vero disastro per tutte queste missioni da Lei abbandonate.

affare di Natan Abdì. Dopo Monsignore Coadiutore mi trattenne dell’affare di Nunnu, e della pace con quel paese per il sangue sparso da [Walter] Plauden e Giovanni Bel inglesi nel 1844. [Confidò:] Le trattative di questa pace sono state incomminciate da Natan Abdì grand’amico della missione, e grand’amico suo, per [la] causa del figlio ricevuto da Dio colla sua benedizione. Tra i motivi che mi fecero partire dall’Ennerea pochi mesi prima [p. 347] del suo arrivo da Kafa, uno era questo, perche Natan suddetto mi aveva mandato [a] dire che la cosa, sarebbe stata possibile, ma che conveniva che io fossi venuto per le dovute formalità e rappresentanze. Arrivato in Lagamara, avendo significato a Natan che io era venuto dall’Ennerea, mi rispose fissando il giorno in cui egli, con tutta la sua gente armata, sarebbe venuto sulle frontiere di Nunnu ad incontrarmi. monsignore Cocino parte per Nunnu Così sono partito da Lagamara, ed arrivato a Tullu-Amara ho trovato Natan, il quale mi portò direttamente in casa sua. Io fui il primo europeo che abbia attraversato il paese di Nunnu dopo il fatto di Plauden, e non lasciava di tremare ogni volta che si trovava in strada qualcheduno, benché circondato da gente che mi scortava.

suo arrivo alla casa di Natan Al mio arrivo in casa di Natan fù una vera festa: la moglie di Natan, accompagnata dal suo piccolo figlio, chiamato per sopranome il piccolo Messia, vennero ad incontrarmi coi trilli di allegrezza, e mi condussero in casa. Il piccolo ragazzino credeva che io fossi Abba Messia. Mentre stavamo mangiando, ecco all’improvviso [insorgere] tutto il paese di Nunnu col grido di guerra [p. 348] ed in meno di un quarto d’ora più di 200. cavalieri si trovarono schierati avanti [al]la casa di Natan a domandare la consegna dell’europeo fratello di Plauden; lascio a Lei considerare la mia paura, diceva Monsignore Cocino, benché io sapessi nel mio cuore che questa doveva essere una semplice formalità, pure non lasciava di atterrirmi. la prima sessione per la pace. La parte che pretendeva il sangue di Plauden /306/ con 200. Cavalieri erano schierati da una parte; altri circa 200. cavalieri schierata da un’altra parte, erano quelli di Natan; il Bukù con una quantità di vecchi di Nunnu stavano in mezzo come giudici. Natan fu riconosciuto come mio sicurtà, e fissò l’avvocato difensore; il partito pretendente, col quale si trovava anche Cadida, futuro genero di Gama, fissarono anche il loro avvocato difensore; allora il Bukù fissò il giorno della questione, e diede tre settimane di tregua alle due parti, e così si ritirarono.

partenza di monsignore Cocino per Cobbo Così il paese restò tranquillo, ed io ho passato ancora un giorno in casa di Natan a godermi la festa col suo piccolo Messia. Dopo ciò Natan mi fece scortare sino alle frontiere del Gudrù, ed io sono andato a Cobbo, [p. 349] dove ho visitato la nostra piccola cristianità, e vi ho passato un giorno, nel quale ho potuto confessare qualcheduno e celebrarvi la Santa Messa; promettendo quindi a quei cristiani di ritornarvi dopo due settimane, suo arrivo in Assandabo, e suo ministero colà. io sono partito per Assandabo, dove sono rimasto circa quindcci giorni per rallegrare un poco quella piccola nostra cristianità colla parola evangelica, e coll’amministrazione dei Sacramenti. Gama fu sommamente contento del mio arrivo, e mi prodigò di [sostanze] comestibili. Là Bascià Walde Ghiorghis capo dei soldati di Gama nostro cattolico fervente faceva da catechista ed aveva convertito al cattolicismo quasi tutti [i] soldati suoi sudditi, dei quali una gran parte avevano seguito il suo esempio, ed erano cattolicamente maritati. Là si è parlato molto di Lei; anzi dirò, non si può parlare con uno senza parlare di Lei; Abba Messia in Gudrù è in bocca di tutti, e si giura anche da molti in nome suo.

arriva la notizia della mia espulsione da Kafa, ed arrivo in Ennerea Ho passato quasi due settimane in Gudrù con grande mia consolazione, ma nel giorno stesso in cui io pensava [di] ripartire per Cobbo, ecco arrivare una gran notizia: Gamma tutto affacendato viene da me e mi dice che Ella era arrivata in Ennerea caciata da Kafa. Gama era nelle furie per il modo infame [p. 350] con cui lo fecero sortire, ma poi era fuori di se per la speranza di rivederla. Dietro questa notizia ho deciso di ritardare la mia partenza da Assandabo per aspettare qualche sua lettera; notizia della morte di abba Baghibo, e del mio es[i]lio dal[l’]Ennerea ma non passarono dieci giorni che arrivò la notizia della morte del mio grande amico Abba Baghibo, notizia che fece grande impressione in me, ed in tutto il Gudrù. Gama spedì subito un corriere per le condoglianze dovute al defunto Abba Baghibo, e per le congratulazioni di uso al nuovo Re, aggiungendo a questi raccomandazioni per Lei; intanto io aspetto quì, la risposta sua. Ma il nostro corriere non era ancora arrivato all’Ennerea, che una terza notizia si aggiunge: l’abuna è /307/ stato caciato dall’Ennerea convinto di magia contro il nuovo Re. Questa notizia mise il colmo alla nostra desolazione.

gran fermento in Gudrù Come la notizia portava alcuni detagli relativamente allo spoglio della casa, della morte di un mussulmano caduto dall’altare, e dell’Abba Misan [svenuto] mentre scavava la latrina per cercare il tesoro. L’insieme di tutte queste notizie produsse una fermentazione tale in tutto il Gudrù, che, dato per impossibile, [che] Gama si fosse messo alla testa del suo paese per andare a vendicare un simile misfatto, la metà del Gudrù e moltissimi dei paesi circonvicini, massime di Gombò, di Giarri, [p. 351] di Gobbo, di Lagamarà, e di Nonno avrebbero messo insieme un armata da mangiar vivo tutto l’Ennerea. Ma il genio dei Galla, massime liberi, non è fatto per sortire dal suo paese, e tanto meno unirsi con altri paesi vicini per simili spedizioni eclcatanti; ed è per questa ragione che il Galla, di sua natura troppo isolato e diviso, può essere distrutto con tutta facilità o dominato da qualche nazione vicina, come l’Abissinia.

monsignore parte da Assandabo per Nunnu. Io intanto, proseguiva Monsignore, al sentire tutto questo, mi sono congedato subito da Gama, e sono partito sul campo per Cobbo, dove mi aspettavano, ed ho dovuto fermarmi per amministrare [i sacramenti ad] alcuni di quella missione. Di là ho spedito [un corriere] a Natan, il quale mandò subito al mio incontro sulla frontiera, e così sono ritornato in casa sua in ritardo quasi di un mese. Il mio ritardo aveva sospeso le trattative della pace, le quali al mio arrivo furono subito riprese, tanto più che Gama aveva mandato una forte raccomandazione sia a Natan, sia a Cadida. Natan non aveva bisogno di questo, perché avendo sentito il mio prossimo arrivo spinse l’affare per quanto ha potuto, ed io avrei creduto che in una sessione tutto sarebbe stato terminato, ma tutto all’opposto l’affare andò molto a lungo. Per fortuna [p. 352] [che] venne la notizia del suo richiamo a Saka, del resto non avrei potuto terminare questo affare. La questione della pace passò i tre mesi. articoli per la pace Gli articoli da me presentati erano due. 1. Che la pace fosse gratuita, perché trattandosi di Preti, essi non sono ricchi, e sarebbero costretti a domandare [prestiti] agli amici per pagare. 2. Che la pace fosse generale per tutti i bianchi, massime europei, perché altrimenti qualche prete, non conosciuto come tale, poteva sempre ancora essere amazzato impunemente. Il primo articolo passò con facilità, essendo stato ridotto ad uno per cento (1a) , epperciò riduzione nominale in proporzione del prezzo del sangue di un’Abba Dula, secondo l’uso del paese, e ciò anche con speranza di remissione. Il secondo articolo poi presentò delle /308/ difficoltà senza fine, e fù necessario ricorrere ad altri motivi estranei per vincere la causa. (2a)

Ella intanto, dopo l’esilio, ritornata in Saka vi restò ancora più di un mese; partita di Saka venne in Nonno, e vi restò quasi un mese per la missione di quel paese. Quando ho sentito il suo arrivo a Leca, io voleva partire ad ogni costo per recarmi a Lagamara per riceverla, ma non mi fù possibile, e Natan non mi lasciò partite sino alla fine della questione, terminata finalmente per l’affermativa, rifiutato l’articolo per gli europei.
altri privilegi alla missione.
ma sempre tenendo fermo sul punto dei soli [p. 353] missionarii conosciuti con certe formalità. Si aggiunse per sopra più il condono delle dogane dei Gaddà per tutto il paese di Nunnu. Per compimento di questa mia lunga narrazione, disse Monsignore Cocino, aggiungerò ancora un’altro privilegio ottenuto da Natan per la Missione. Egli nell’ultima sessione che si tenne per la pace così parlò in facia a tutto il paese di Nunnu. Nunnu, disse, senti, tu sai che io mi trovava senza figli eredi: mi sono raccomandato ad Abba Messia, ed egli, mentre stava ancora in Assandabo, mandò alla mia moglie più vecchia una benedizione, per la quale essa, dopo alcuni giorni diventò madre del mio figlio unico, cosa conosciuta da tutto il paese, sappi perciò che Abba Messia è mio Padre, e tutti i suoi preti sono fratelli carnali del mio figlio e come tali voglio che siano rispettati nel Paese di Nunnu. [Per di] Più desidero che venendo a Nunnu Abba Messia, sia ricevuto con tutti gli onori che si merita. Il Bukù ha riconosciuto per atto publico Abba Messia come Padre di Natan, e tutti i missionarii come fratelli del suo figlio.

Fratanto restava ancora un residuo della missione data a Lagamara, ed era la comunione dei penitenti. Come già diceva essi avevano aggiunto alcuni giorni di ritiro particolare per prepararsi [p. 354] alla confessione sacramentale, ed alla Santa Comunione. Questi poveri giovani, dopo aver tanto lavorato per gli altri onde riparare i loro scandali, aggiunsero ancora altri cinque giorni di preghiere e penitenze straordinarie lontani da tutto il mondo non mangiando che pochi ceci, e dormendo sopra le ortiche oltre le discipline a sangue [eseguite] due o tre volte nella notte. gran festa nella comunione dei giovani Terminate le loro confessioni, ed arrivato il giorno fiss[at]o, si fece una gran festa, nella quale si celebrò una Messa Solenne per quanto fù possibile in simili paesi. Il giovane catechista colla sua semplice, ma patetica eloquenza prima della messa parlò alla moltitudine colla parabola del figlio prodigo che ritorna al suo Padre, e maneggiando quelle parole[:] non sum dignus vocari filius tuus disse tanto sulla propria indegnità che faceva piangere tutti: Se veramente o Padre avete fatto la /309/ pace con me, che questa pace si facia con tutte le persone da me perdute, altrimenti con qual coragio potrò io ricevervi?

Dopo molto tempo, io non ho parole per esprimere tutto quello che disse quel giovane, ma l’impressione che fece fù tale, che la tengo ancora tutta viva. Quel giorno fu un vero giorno di nozze per tutti quei giovani, e nozze [p. 355] fecondate da Dio, perché, per quanto io sappia furono nozze durevoli, e molto feconde nella missione. Fu per me quel giorno di grande consolazione. Ma in questo mondo le grandi consolazioni devono essere temperate da una contrarietà o tribulazione, affinché la stessa consolazione sia temperata nella sua parte sensibile, la quale [non] manca mai fino a tanto che l’uomo e in carne mortale. una mia grave malattia mi riduce agli estremi
[30.12.1861]
Difatti, siano le tribolazioni degli esili moltiplicati, oppure siano le ultime fatiche apostoliche non lo so, il fatto si è che la stessa sera incomminciai a sentirmi male, e questo male crebbe tanto che si spiegò in me una febbre ardente, e quasi continua che io stesso non seppi caratterizzare. Nei quarto giorno seguì una diarrea fortissima ed ostinatissima. La malatia prese un’aspetto molto grave, Monsignore Cocino non sapendo più cosa dirsi incomminciò a temere della mia vita.

descrizione della malattia
[25.1.1862: verso le ore 9;
26.1.1862: s. Viatico]
La poca facoltà medica esistente in paese nell’opinione del publico andava eclissandosi colle mie facoltà intellettuali. Dopo dieci giorni di malattia, ricevuti tutti i Sacramenti della Chiesa, io mi trovava sfinito di forze, la febbre sempre continua con un parossismo ogni giorno, pendente [p. 356] la quale le scariche si succedevano senza interruzione, e ogni momento due giovani dovevano portarmi al buco stato scavato in terra ad una piccola distanza dal mio letto, il quale era già il terzo da me riempito e chiuso: Pendenti le scariche [mi assalivano] delle sincopi frequentissime, che mi privavano affatto dei sensi. Dopo questo parossismo, il quale mi portava ogni giorno alla porta dell’eternità, soleva succedere un poco di miglioramento, appena sensibile, il quale mi permetteva un poco di riposo quasi fuori dei sensi. Fu allora, dopo 15. giorni di malattia, come un baleno si presentò alla mia mente l’idea che la malattia poteva avere una [forma] di febbre periodica, e che perciò sarebbe stato bene tentare [la terapia di] una buona dose di solfato di kinino, e lo dissi a Monsignore, il quale lo eseguì [il suggerimento] senza quasi che io me ne accorgessi.

piccolo miglioramento Dopo questo [rimediò di] solfato di Kinà, sul finire della terza settimana, cessò quasi affatto il terribile parossismo, si diminuirono le scariche, e vi restava ancora una febbre sub-continua, la quale pure quasi scomparì dopo una seconda dose di solfato somministra- [p. 357] tomi da /310/ Monsignore, e dopo la quarta settimana solamente ho potuto giudicare di trovarmi affatto senza febbre, meno un piccolo movimento verso sera, cosa ordinaria dopo grandi malatie ed sfinimento di forze. estremo abattimento di forze. Grazie a Dio ritornarono in pieno le mie potenze intellettuali state eclissate, e quasi interrotte per molto tempo; non così della mia macchina materiale del corpo, divenuto un vero schelletro, il quale non poté reggersi in piedi per molto tempo, ed appena poté dirsi un poco ritornato nel suo stato normale dopo co[n]valescenza di tre mesi tre mesi di convalescenza. La stessa convalescenza andò molto adagio, perche la base della malatia passata essendo stato un disordine bilioso mi lasciò un disgusto quasi totale per ogni sorta di cibo, e per molto tempo non ho potuto prendere altro che un poco di latte agro, e mangiare alcuni pani impastati di butirro e di miele, e ridotti a specie di biscotto sulla piatta forma.

Questa malatia produsse una vera crisi nel paese. In tempo del periodo più forte tutto il paese e circondano veniva a domandare notizie, e da quanto mi dissero quei di casa [p. 358] era un mercato di gente continuo che andava e veniva per domandare notizie. mia prima entrata alla cappella
[16.2.1862].
La prima volta che sono disceso alla cappella per ringraziare Iddio, Monsignore Coadjutore mi fece vedere sei grossi cerei a norma di cerei Pasquali stati preparati in avanzo per essere accesi intorno al feretro. Dopo il Te Deum, passati in Sacristia, nella parte del terrapieno, io anticamente aveva fatto scavare una grotta, a forma di catacomba, là ho veduto un bellissimo loculo stato pure preparato dai miei giovani, così ben aggiustato, che invitava ad entrarvi vivente. Con tutto ciò io era ancora vivo in Lagamara, ma [ma] in molti paesi lontani io era già morto, e si vedrà in seguito che la notizia di morte arrivò in Europa, dove si presero delle misure per la missione.

La mia convalescenza durò tutta la stagione delle pioggie equatoriali, detta kemt in quei paesi, nome che corrisponde al nostro inverno, il quale nel paesi galla incommincia da Giugno e prende quasi tutto Settembre, nel qual tempo [non si può viaggiare]. mia prima messa. Il 25 Agosto ho potuto celebrare la mia prima Messa dopo la malattia, e si fece una festa [p. 359] molto grande, alla quale intervennero quasi tutti i cristiani di Lagamara, molti si confessarono, e fecero la s. comunione. prime parole al popolo Io ho fatto un piccolo sforzo per dire al popolo qualche parole, ringraziarlo delle loro sollecitudini in tempo della mia malatia; ma questo è poco, dissi loro, oggi è l’anniversario della mia espulzione da Kafa, e vi raccomando di pregare per quella missione, colla quale oggi siamo in pace, benché si trovi colà il solo Abba Hajlù, che voi conoscete, con più di 4000. [mille] cattolici praticanti.

/311/ questioni sopra la strada da prendere Dopo le pioggie, conosciuta la mia guarigione in Gudrù Gama incomminciò a sollecitare la mia andata colà. Come la mia risoluzione era già presa prima della malatia, incomminciò la questione sulla strada da prendere. Tutta la famiglia di Natan mi aspettava in Nunnu, e sarebbe stata quella la strada più breve, e più diretta, ed ogni ragione voleva di passare per quella strada; perché la pace era stata conchiusa a questo scopo. Ma le popolazioni più a ponente di Gobbo, di Giarri, e di Gombò, dove era passato venendo, instavano per farmi passare da quella parte, ed io calcolava molto sopra la loro simpatia [p. 360] sia per l’avvenire della missione, sia ancora per alcune altre ragioni in caso di bisogno per la pace del Gudrù. Anche Abba Joannes, il quale doveva accompagnarmi inclinava per questa seconda [soluzione]: potremo visitare Natan dal Gudrù molto vicino, diceva egli. conclusione della questione Ebbene va da Natan [e] aggiusterai con lui l’affare in questo modo; e così prenderemo questa seconda strada. Aggiustata così la questione del viaggio per il Gudrù, rimaneva ancora una questione di mandare [ancora] una lettera all’imperatore Teodoro per ogni caso che io mi risolvessi di discendere alla costa, onde ottenerne in consenso per il passagio dell’Abissinia.

spedisco un corriere a Teodoro Questo imperatore sul fine del 1862. si trovava non molto lontano dai nostri paesi galla, egli si trovava accampato frà i Galla Borrena al Sud-ovest di Saint patria di Abba Jacob, epperciò paese molto conosciuto da ques[to] mio Sacerdote. Scrissi dunque una lettera a quell’imperatore di tutta l’Etiopia, nella quale ho fatto uso delle tre potenze dell’anima, ed [anche de]i cinque sentimenti del corpo per farla bene ed incontrare l’approvazione di questo gran despota, la cui rinomanza arrivò sino all’Europa; [p. 361] consegnatala quindi al Sacerdote indigeno suddetto colle istruzioni opportune, egli se ne partì. Arrivò felicemente sino al campo del terribile Teodoro, il quale lo trattenne quasi due mesi, e poi lo spedì con tutte le belle maniere desiderabili, e con una risposta tutta piena di convenienze, senza però sbilanciarsi in materia di diritto Copto ed abissino. scopo di questa spedizione La ragione per cui io ho spedito questa lettera non era tanto per domandargli la facoltà di passare per il suo impero, ma piuttosto per tastare le sue interne disposizioni in ogni caso di bisogno che sarebbe occorso. In ciò posso dire di essere stato favorito, come si vedrà poi a suo tempo quando dovrò parlare dell’incontro avuto con lui in Abissinia.

ritardo della mia partenza per il Gudrù La mia partenza per il Gudrù era una cosa decisa, come decisa era la questione della strada che doveva prendere, ma una cosa mi faceva ritardare questa partenza, ed era la speranza di poter ricevere un poco di virus di vajvuolo o da Kafa, dove io l’aveva lasciato nella mia parten- /312/ za, oppure da altri luoghi dove io aveva spedito [incaricati] per cercarne. Mi arrivò finalmente il tanto desiderato corriere di Kafa.

arrivo di Negusiè da Kafa Abba Hajlù mi spediva Negussiè con molti [p. 362] oggetti di prima necessità colà rimasti, fra gli altri la mia farmacia contenente molte medicine, e con esse, anche la raccolta di virus per l’innesto del vajvuolo, di cui io [non] ho mai fatto uso da quelle parti, perché in molti paesi di quelle parti non essendo ancora affatto conosciuto il vajvuolo, non avrei voluto introdurlo col pretesto dell’innesto. In molte provincie del regno di Kafa più al Sud il vaivuolo non era ancora penetrato; in Bonga solamente è scoppiato qualche volta ed era conosciuto sotto il nome di malattia dei mercanti. Così pure in tutti i paesi galla al Sud di Ghera e di Ennerea. Io aveva preso molte memorie a questo riguardo, le quali sarebbero state interessantissime, ma sgraziatamente queste sono state perdute.

osservazioni sul vaïvolo del sud In Kafa, prima ancora del mio arrivo colà il vajvuolo aveva fatto molte apparizioni in Bonga, nella sola città dei mercanti senza spargersi nelle provincie, io aveva argomentato che questa malatia si sviluppasse solo nella casta venuta dal Nord, paese infetto, come avente qualche predisposizione, e non negli indigeni per ragioni non ancora [p. 363] abbastanza conosciute, forze, diceva tra me, le regioni equatoriali, a misura che più si avvicina l’equatore sono meno favorevoli allo sviluppo di questa malatia. Io temeva che lo stesso virus del vajvolo rimasto quasi tre anni in Kafa avesse sofferto, epperciò ho voluto subito provarlo sopra alcuni bimbi stati inoculati, ma ho veduto che dopo i sette giorni produsse il suo effetto.

arrivo di oggetti spediti da Kafa. Negusiè, oltre le medicine ed il virus del vajvolo portò ancora un carico di oggetti di Chiesa, ed alcuni libri indispensabili. Gli aveva raccomandato di raccogliere i molti manoscritti, e memorie, ma sia che questi siano stati distrutti dai soldati nei tre giorni di pigliagio, ossia che Abba Hajlù non abbia potuto conoscerli come scritti in lingua italiana da lui non conosciuta, di manoscritti e lettere poco o nulla è venuto. Per compensarmi i talleri rimasti nelle mani del Re, questi mi mandò alcuni denti di elefante, ed una quantità di muschio. Frà i denti d’elefante venuti, uno era di una grossezza e di una lunghezza tale, che i mercanti di Lagamara protestavano di [non] avere mai veduto il simile. conti fatti col re di Kafa. Come io non conosceva il valore di questi denti e del muschio [p. 364] ho fatto stimare tutte queste mercanzie dai mercanti secondo il valore di Kafa; il valore di tutto fu approssimativamente giudicato di 1100. talleri. Il capitale della missione rimasto in Kafa nel mio esilio era di 700. talleri /313/ effettivi, un carico di rame rotto, circa cento libbre, 150. tele nere di circa 3. franchi l’una, e quindi una quantità di veroterie di Venezia di diverse specie. Oltre [a] ciò il Re prese per se la tenda di lusso fatta con tele europee, la quale mi serviva di cappella nei viaggi, ed alcuni altri oggetti. Però dei 700. talleri 150. effettivi mi furono spediti in viaggio per i miei bisogni. Di modo che, fatto un calcolo, i valori della missione sumentovati non arrivavano a mille talleri, ed il Re compensò largamente gli oggetti colà lasciati.

regali del re di Kafa alla missione. Ho voluto scrivere questo conto approssimativo [per dimostrare] come il Re nel mio esilio non fù guidato da passione alcuna d’interesse. Oltre di ciò egli mandò parecchi carichi di caffè e di miele, ed ordinò a Negussiè che tutte le bestie da soma che servirono a portare tutti questi effetti in N° di 8. cioè due muli, e sei asini con due schiavi custodi delle medesime [bestie], tutto restasse alla missione. proteste del re di Kafa. Oltre di tutto questo mi fece scrivere da Abba Hajlù queste parole precise = come voi vi trovate lontano dal vostro paese, e potrebbe darsi [p. 365] che qualche volta abbiate bisogno [di mezzi], vi prego di non nasconderlo, perché io vi considererò sempre come Padre e farò tutto quello che posso per soccorrervi. Spero che voi ritornerete dopo qualche tempo, e fin là consideratemi sempre come figlio = Le stesse parole mi riferì Negussiè. sua giustificazione. Postoché si parla del Re di Kafa debbo quì aggiungere una cosa in sua difesa. Già si è detto che il mio esilio di Kafa fù una decisione del Consiglio secreto; si disse di più, essere stato deciso nel medesimo tempo che io fossi mandato a Gengirò per farmi perdere; fu questa una verità e la parola del governo mandata al Re di Gemma Kaka era appunto quella; ma il Re di Kafa, non come Re, ma come privato, per altra via con gran secreto pregava e scongiurava Abba Boka Re di Gemma Kaka di fare in modo che io fossi invece mandato ad Abba Baghibo, come difatti avvenne. La persona stessa che portò la parola me la riferì con giuramento. Come io era ancora molto debole, Monsignore Coadjutore rispose per me al P. Hajlù, e per mezzo suo [scrisse] anche al Re lettere di ringraziamento, con raccomandazioni, e così fu spedito Negusiè per Kafa.

deputazione del re di Ennerea. Non era ancora partito Negusiè che arrivò una deputazione del Re di Ennerea, o piuttosto della regina madre; vennero due persone [p. 366] della più stretta confidenza della Regina madre, conosciute da me particolarmente ed anche da Monsignore Coadiutore. consegna dei regali, e parole della regina madre. La Regina madre per compensare la missione dei danni ricevuti ci mandava qualche centinaio di talleri, ed innoltre cinque asini carichi, due di caffè, due di miele, ed uno di cera per la Chiesa; anche i cinque asini [furono lasciati] di /314/ regalo con due giovani schiavi che conducevano le bestie. I due inviati, dopo i complimenti del Re e della regina madre: noi siamo incaricati di parlare a voi solo, dissero, della malatia dei Re in gran secreto; Monsignore Coadjutore voleva andarsene, ma io lo feci restare; continuate pure, dissi loro, perché Monsignore è bene che senta, e ne rispondo io del secreto. Il Re, dissero, incommincia [ad] essere un poco più calmo nelle sue stravaganze di lussuria; oggi ciò che più ci fa paura è la sua malatia; quel certo affare è divenuto grosso e duro e quasi nero; gli cagiona dei gran dolori che lo fanno gridare giorno e notte; Un oghessa (perito) mandato dal Re di Guma ha deciso di tagliarlo; ora voi cosa ne dite[:] è bene tagliarlo?

miei consigli e mia risposta giustificativa. Obligato io a dare una risposta, ho domandato ai due inviati se l’avevano veduto? uno dei due avendomi detto che l’aveva veduto parecchie volte, ed anche medicato, allora ho preso quello in disparte, [p. 367] ed esaminatolo bene, ho trovato dei segnali come certi di un cancro sifilitico molto innoltrato; ritornati alla presenza dei suo compagno, allora ho detto: Sentite, dietro tutti i segnali che ho potuto avere, mi pare che l’Oghessa di Guma sia una persona come si deve, epperciò dite alla regina madre che lo lasci fare; il Re di Guma avendolo mandato è segno che è una persona sicura. Prima di partire la Regina Madre mi aveva proposto di vederlo, e confesso che nel mio cuore l’avrei veduto volontieni, allora la malatia era ancora da principio, ma confesso ingenuamente che ho avuto paura di mischiarmi di questo affare, perché dopo essere stato accusato una volta di avere ucciso la sua moglie che io [non] aveva mai veduto, cosa avrebbero detto se io fossi entrato dal Re? Se il Re fosse stato un mussulmano come il suo Padre, che rispettava tutti, oh allora avrei messo la vita anche per lui, ma Abba Gommol non sente altri che i suoi Santoni, [perciò] io ho avuto paura. Così finì la sessione, e con mille ringraziamenti gli ho congedati e partirono.

do ragione a monsignore delle cose occorse in Ennerea Ora dopo la storia accaduta, l’affare di quel Re, come ognuno può immaginarsi, era un’affare troppo delicato per me. Quando la madre del Re mi propose di vederlo, io ho creduto una cosa più [nell’interesse] della madre che dello stesso Re. In quel tempo il Re faceva ancora le unzioni [p. 368] di quel tale unguento satanico e si trovava ancora molto esaltato. La madre che aveva veduto il peccato di Adamo di suo figlio, mi disse che era un poco gonfio, ma non si accusava di dolori; io perciò ho creduto che non fosse altro che una semplice irritazione prodotta dall’abuso di quel unguento diabolico, e mi sono contentato [di] raccomandargli di levargli di mano quel unguento. Oggi poi ho potuto comprendere che quel Scierif prestigiatore non contento di dargli l’un- /315/ guento misterioso, gli communicò ancora la malatia nel famoso ritiro di cui si parlò già. Io per me, dissi a Monsignore che mi ascoltava, all’arrivo di questa deputazione l’avrei rimandata [indietro] coi suoi regali; ma noi siamo Preti, ed abbiamo colà cristiani, e dobbiamo vincere colla pazienza. Quel povero Re con cinque mesi di regno ha già compromessa la sua stessa vita, e la metà del suo regno [è] già in combustione.


(1a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]

(2a) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]