/316/

37.
In viaggio verso il Gudrù:
a Gobbo, Giarri, Gombò. Vaccinazioni.

nuove istanze di Gama, e si pensa di partire. Dal Gudrù Gama Moras era impaziente di vederci arrivare in Gudrù, e non faceva che spedire corrieri a Lagamara per accelerare la nostra partenza. Si fissarono quindi le persone che dovevano partire con me, e quelle che dovevano restare con Monsignore Coadjutore in Lagamara. [2a metà di mar. 1862].
affare di abba Fessah.
Si trovava in Lagamara il Sacerdote indigeno Abba Fessah, [p. 369] quello, di cui si è parlato in Ghera, dove nel mio ingresso l’aveva lasciato custode della missione nella mia partenza per Kafa, e che, pochi mesi dopo, per gravi scandali ho dovuto far partire di là per l’Ennerea. Questo individuo, essendo di quelli che non si può lasciar solo in un luogo, Monsignore Coadiutore lo prese con se andando in Lagamara, e quindi andando in Gudrù con intenzione di farlo partire per il Tigrè sua patria, ma avendo rifiutato di andare, ritornò in Lagamara con Monsignore. Ora questo prelato nell’acconsentire alla mia partenza per la costa mi pregava di portar via con me questo soggetto pericoloso in tutti i sensi, ho dovuto perciò prenderlo con me. Un bel giorno adunque senza che nessuno se ne accorgesse la mattina di notte ho lasciato Lagamara accompagnato da Abba Fessah, da Abba Joannes, da uno dei catechisti convertiti con altri due catechisti, i due schiavi novelli venuti dall’Ennerea, ed alcuni altri di servizio con una carovana di circa 10. persone e siamo partiti per Gobbo, distante poche ore, perché io ancora debole non poteva reggere gran cammino.

arrivo a Gobbo Siamo arrivati a Gobbo come all’improvviso pensando di schivare così il movimento della popolazione che già mi conosceva nel mio passagio venendo, ma non tardò a sapersi il mio arrivo e correre molta gente bramosa [p. 370] di vedermi, e sperando l’inoculazione del vaivolo. inoculazioni e complimenti al popolo Io, benché ancora molto debole, pure non poteva rifiutarmi, perché Gobbo, e Giarri sei anni prima a mia istanza sono venuti in ajuto a Lagamara contro Celia; più ancora, perché sono popoli questi, dissi, i quali /317/ poco per volta, a misura che la missione troverà preti, dovranno essere evangelizzati. Feci perciò spargere la voce che io non poteva fermarmi più di tre giorni, e che avrei inoculato solamente in picoli neonati dopo il mio passagio. Così si fece, ed inoculati i pochi che si sono presentati, ho fatto un’allocuzione ai vecchj del paese, nella quale gli ho ringraziati del servizio che mi hanno fatto anticamente, e delle mie speranze future sopra di loro, mi sono congedato, e partimmo per Giarri. Essi andavano superbi perché io aveva lasciata la strada di Nunnu per rivederli.

arrivo a Giarri, una mia parlata alla popolazione. Lo stesso ho fatto in Giarri, dove arrivato, radunata molta gente publicai subito che io non poteva rimanere più di tre giorni, nei quali avrei inoculato i neonati dopo il mio passagio; io sono [sono] passato qui invece di passare per Nunnu, dissi, perché io era debitore verso di voi per il gian servizio che mi avete fatto [p. 371] venendo a Lagamara per soccorrermi nella guerra contro Celia; sono venuto per ringraziarvi; io vi considero come figli, ed anche trovandomi in Kafa non ho lasciato di pensare a voi. carezze della gioventù, quanto deliziose, e pesanti. Avrei voluto parlare di più, ma una turba di ragazzi che mi conobbero mi saltò intorno per farmi delle carezze chiamandomi il Padre del fantatà (vaïvuolo), essi mi mostravano il bracio che era guarito, e mi cantavano una specie di stroffa, della quale non mi ricordo più, ma poco presso così concepita: non più schiavi non più [s]chiavi non più schiavi del fantatà. Tutti quei ragazzi e ragazze, dopo che gli ho inoculati aggiunsero sette anni, epperciò i piccoli erano divenuti grandi, ed alcuni incomminciavano a cantare da gallo, e non era più innocente come l’aveva lasciato. La loro conversazione per quanto semplice e tenera che Ella sia non lascia di essere pesante ad una persona che si pascola di idee superiori; ma il prete che parte da luoghi topici molto alti nei suoi ragionamenti, e nella sua popolarità, tutto può, e tutto pazienta, perché è proprio in quell’età che si forma il cuore del uomo.

partenza da Giarri, ed arrivo a Gombò Intanto, terminato il mio lavoro d’inoculazione, e dato sfogo all’affezione del popolo, il quale non lasciò di trattarmi con piccoli regali più che bastanti per me, e per tutta la mia famiglia; [p. 372] ciò che più m’importava, dato un poco di tempo ai miei catechisti per spargere un poco di seme evangelico, e far gustare la parola di Dio a tutta quella gioventù che mi era così cara, e che non mi lasciava; io mi sono congedato dalla popolazione di Giarri, e, sono partito per Gombò; ma i capi del popolo con una gran parte dei giovani vollero seguirmi in tutta la salita dell’alta montagna sino alle frontiere di Gombò, dove già mi aspettavano, molti venuti ad incontrarmi, la ho dato l’ultimo addio a tutte le popolazioni del versante Sud alle quali aveva lasciato una speranza di prossimo ritorno, ma che non viddi piu, ne spero di rivederle.

/318/ due amici pretendenti Gli abitanti di Gombò in contatto col Gudrù e con Nunnu già sapevano la mia venuta dalle due parti. Dal Gudrù un messagio [era] venuto da Loja mandatomi da Avietu e da Negus, i quali mi aspettavano al di là del lago; Da Nunnu un’altro cavaliere mandato da Natan, il quale aspettava una mia risposta per venirmi a prendere ad ogni costo col suo figlio, il quale era già capace di venirmi a ricevere a cavallo. Frattanto la comitiva di Gombò ci conduceva fra le acclamazioni alla casa del parente [p. 373] di Avietu, dove venendo abbiamo passato quasi due settimane, e fatto un milliajo d’inoculazioni. entusiasmo del popolo di Gombò. Strada facendo dai villagi vicini sboccavano le popolazioni cantando gli evviva al Padre del Fantatà; in mezzo a tutta quella calca di gente era una vera delizia vedere tutta quella gioventù alzare le bracia per farmi vedere il vaïvolo sortito nel luogo dell’inoculazione: rivolto ai miei catechisti, vedete tutta questa gioventù, dissi, ebbene i loro cuori sono tutti i vostri orti da coltivare, fra tutti il catechista convertito acarezzandoli già incomminciava [ad] istruire ancora in strada; così in mezzo alla calca siamo arrivati alla casa del nostro antico amico, dove ho cercato di riposare un poco; ma i due corrieri non mi lasciarono e volevano una risposta da portare ai padroni.

si riprende la via di Natan La strada di Natan e di Nunnu era all’est senza passare il lago verde, ma costegiandolo. Dalla casa di Natan potevamo andare a Cobbo per visitare quella piccola cristianità, che, appena fatta è stata da me abbandonata. La strada per andare ad Avietu era verso il Nord e dovevamo passare il lago verde. Io inclinava piuttosto di prendere la prima che la seconda; ne parlai ad Abba Jaonnes, il quale conosceva meglio, non solo le strade, ma le persone [p. 374] ho trovato che egli pure la pensava come la pensava io; ordine di viagio come è così mandarai a dire ad Avietu che noi dobbiamo restare quì tre o quattro giorni per l’inoculazione, e per catechizzare qualche poco questa gente. Dopo di quì andiamo da Natan, dove pure ci fermeremo due o tre giorni. Di là anderemo a Cobbo a visitare i pochi cristiani che abbiamo là. Di Cobbo anderemo a Loia, o in casa tua, opure in casa di Negus. Ecco dunque il nostro itinerario, e tu anderai ad aspettarci in Loja. Così pure lo stesso spedirai a Natan; bada bene però di raccomandar loro di non disturbarsi a venire quì, altrimenti non saremo più amici.

mia grande stanchezza. Ciò detto, ho raccomandato a tutti di lasciarmi un poco riposare, perché mi trovava molto stanco, ed aveva anche bisogno di pensare qualche momento al mio Dio, mentre i catechisti potevano fare la parte loro. Appena ebbi un momento di tempo [riservato] a me, senza neanche poter dire qualche preghiera sono caduto per terra sopra la mia /319/ pelle da viaggio, vinto, non so se più dalla stanchezza del viaggio, oppure dalle continue [p. 375] emozioni del cuore non meno faticose dello stesso viaggio, perché nell’ordine fisiologico della vita, il cuore è la sorgente di tutto, e stanco questo la stanchezza di questo passa alle gambe. appena un’oretta di riposo Appena ho potuto avere un’oretta di riposo, che [ci si rovesciò addosso] la piena del popolo impaziente, chi per salutarci, chi per farci lavorare, e chi per farci mangiate, come la piena dell’aqua faceva forza ai miei giovani che proibivano [di disturbarmi], ed alla povera capanella, quasi portata in aria dalla moltitudine, mi obligarono ad alzarmi per gustare qualche cosa, e mangiato un poco io, [ho dovuto] lasciare mangiare anche la mia povera gente bisognosa di refiziarsi anche essa.

Ottenuta questa tregua, con pena, fu forza sortire dalla mia capanna troppo piccola, e scielta da me a tale effetto per poter essere solo qualche momento; andai a sedermi sotto un’albero sortito adunque andai a sedermi sotto un’albero, e mi trovai come abbandonato alla moltitudine che non fu possibile contenere. Mi saltarono adosso per baciarmi, e si noti che [nel]l’uso di quei paesi il bacio non è come presso di noi alle guancie, ma il vero incontro delle due bocche che si combaciano, e ciò non una sol volta, ma replicato [p. 376] il bacio almeno quattro o cinque volte; lascio considerare che bel piacere [fosse quello di] passare quasi un’ora in simile carezza. un bacio delizioso Qui voglio notare una circostanza che rendeva ancor più deliziosa questa carezza. Credendosi da molti che la virtù dell’inoculazione stesse nella mia saliva colla quale io soleva bagnare il vetro contenente il virus secco, come già ho osservato altrove, alcuni, massime giovani, erano avidi della mia saliva, e se io non stava attento a tenere le labbra e i denti ben chiusi, spingevano anche, la loro lingua dentro la mia bocca per succhiare un poco di saliva, come un gran talismano.

l’amicizia di Gombò In Gobbo, ed in Giarri non osavano pretendere di baciarmi, ma in Gombò paese molto più semplice e grossolano, ed anche più barbaro e crudele quando è nemico, arrivarono a questo punto per eccesso di tenera amicizia; la prima volta che vi son passato, forze per timore di un bianco, [non] hanno mai cercato di baciarmi, ma la seconda volta la loro amicizia arrivò all’eccesso.

Di quella sera ho fatto poche inoculazioni dei vicini, ed ho passato qualche tempo in conversazione colle persone gravi, del paese, le quali erano venute per onorarmi. I miei giovani catechisti tenevano occupati una cinquantina di ragazzi o giovani divisi in quattro o cinque sessioni; i più grandi coi sacerdote Abba Joannes, e gli altri [p. 377] ripartiti fra i catechisti. Facevano il catechismo, ma poi per interrompere la mono- /320/ tonia il catechismo interpolato da storie. di quando in quando [raccontavano] una piccola storia presa dalla Sacra Scrittura, oppure qualche [episodio della] vita di Santi, che io faceva imparare dai catechisti a questo fine. Io però stanco del viagio, e debole ancora dalla malatia passata, stava aspettando la notte che venisse per pagare qualche debito di preghiera e per riposarmi. ritornarono i giovani per passarvi la notte Venuta l’ora della cena tutti i ragazzi estranei sparirono, e andarono alle loro case, ed io sperava di passarmi la notte tranquilla, ma tutto all’opposto, dopo un’ora ricomparirono in maggior quantità e circondavano la gran casa dei forestieri, dove io doveva dormire colla mia famiglia, venuti tutti disposti a passarvi la notte.

Per una parte era per me una vera delizia al vedere tanti ragazzi, ed anche molti giovani già arrivati, ed abituati nelle grandi passioni del mondo sensuale, [a] lasciare le loro case, per passare la notte con noi a sentire le cose di Dio; per altra parte poi vedeva la brutta notte che mi stava preparata da impedirmi anche un poco di riposo, e prevedendo i gran disturbi dell’indomani. Abba Joannes, io ho compassione di Lei, mi diceva, perché so che ha bisogno di riposo; ma cosa vuole in questo paese la nostra apparizione ha fatto [p. 378] una gran crisi, e noi dobbiamo avere pazienza. Tutti questi giovani han fatto un gran sacrifizio lasciando le loro case, dove non mancano di quanto occorre alle loro passioni. la corruzione di Gombò è minore Gombò è un paese ben conservato, perché non vi è gran commercio come [a] Lagamara e Gudrù, la sua corruzione è tutta concentrata nelle case, ed ella conosce quanto costò al povero nostro Avietu per conservarsi intatto dalle schiave introdotte dalla stessa vecchia nonna. Qui non vi sono tante altre corruzio[ni] dei mercanti, ma la corruzione in casa non manca; epperciò è già molto che questi giovani siano venuti a passare la notte con noi per sentire il catechismo. In verbo di Avietu, dissi io, credi tu che domani verrà? Se lo legassero anche con catene, rispose egli, egli le romperebbe per venire, e domani a due ore di sole sarà quì immancabilmente. Quando è così, dissi io, per carità procurami un poco di riposo, altrimenti domani non potrei resistere.

arriva Avietu. Difatti l’indomani, appena finita la preghiera consueta, il padron di casa con tutti i suoi giovani armati partì verso il lago verde per ricevere Avietu, e mentre noi stavamo facendo inoculazioni verso le nove egli arriva. È indescrivibile la crisi del nostro incontro dopo sette anni. bellezza, e migliori sue qualità Quando io partiva [p. 379] egli contava appena 17. anni, maritato da alcuni mesi, era già Padre di una creatura ancora invisibile, ma non aveva ancora perduto niente di quel bel fiore verginale che nell’opinione publica lo faceva stimare per il più bel giovane di tutto il Gudrù. Nel giorno del nostro incontro a 24. anni era ingrossato, ma non aveva /321/ perduto nulla della sua bella fisionomia, e del suo bel cuore, fatto per farsi amare da tutti. il gran bene fatto alla missione il suo esempio Nell’opinione publica passava come un galla il più ricco del Gudrù, ed anche il più nobile, eppure nell’arrivare, in facia a tutti i galla di Gombò non ebbe rossore di gettarsi per terra e baciarmi i piedi. Avendo veduto a caso un giovane di Gombò che avvicinatosi a me [e] mi baciò nel modo sopra esposto [cioè sulla bocca], egli come in collera, come, disse, abusate voi di questo uomo mandato da Dio? non avete veduto che io gli ho baciato i piedi? bastò questo, che nessuno più osò [di] baciarmi.

Ma questo è poco; egli rimase presso di me tutta la giornata, perché aveva molto bisogno di parlare con me sulla situazione del Gudrù un poco cangiata, e per darmi alcuni consigli che potevano essere utili a quel paese; egli per quel poco di tempo che stette là non mancò mai di assistere a tutti i catechismi ed alle preghiere, e, fare il suo segno [p. 380] della croce con tutta esattezza; abilità di Abba Joannes coi giovani. epperciò non si può dire il bene che fece la sua apparizione alla missione nostra di Gombò, massime ai giovani, ai quali Abba Joannes in secreto soleva fare la descrizione di Avietu, e del modo con cui seppe conservarsi intatto dalla peste delle schiave contro tutte le insinuazioni della vecchia sua nonna; come Iddio lo benedì facendolo Padre nello stesso primo giorno del suo matrimonio, e continua [a] benedirlo dandogli figli in quantità. Abba Joannes era più maestro di me nel maneggiare simili argomenti alla gioventù, senza perdonarla anche ai vecchi. Avietu intanto era una persona troppo grande per restare più di un giorno in Gombò; partenza di Avietu; l’indomani perciò, concertate tutte le cose nostre, e presa la mia benedizione in ginochio, ripassò il lago verde e se ne ripartì.

restano due giorni per noi Partito Avietu, non restando più che due giorni alla partenza io ho dovuto passare l’intiera giornata occupato nell’inoculazione del vaïvuolo; il popolo temendo che [che] il tempo mancasse poi in fine correva coi loro figli e si disputava la precedenza dell’operazione; per fortuna che io era coperto di una pelle, altrimenti i poveri bimbi al vedere comparire l’ago strepitavano [p. 381] e mi lasciavano andare contro loro voglia ben soventi orina od altro peggiore. Per questa ragione l’inoculazione dei piccoli occupava maggior tempo ed affaticava di più. I catechisti poi vedendo che i loro giovani e ragazzi prendevano gusto nel sentire la parola di Dio godevano [di sfruttare] tutto il tempo ed incomminciavano [a] sentire il bisogno di un maggior spazio di tempo. progetto di prolungo impossibile Ma la parola era stata data a Natan, il quale nel giorno fiss[at]o non avrebbe mancato di venire. Incomminciarono alcuni a sollevare la questione sulla necessità di prolungare il tempo [di permanenza], ed avver- /322/ tire Natan, ma Abba Joannes che aveva mandato la parola, e che conosceva le cose di Natan era di contrario parere, perché, diceva, bisogna calcolare, non solo la volontà di Natan, ma tutto l’organizzato da lui nel paese di Nunnu.

Dichiarato impossibile ogni prolung[ament]o, i giovani ritornando alle loro case a mezzo giorno lo fecero conoscere a tutti [annunziando] che la partenza è stata irremissibilmente fissata per la mattina del posdomani, si dovette perciò lavorare in modo che le inoculazioni terminassero. Nel poco tempo che rimaneva ancora io non ebbi più riposo ne giorno ne notte. Non potendo parlare di giorno, perché [p. 382] l’inoculazione premeva, tutti coloro che avevano qualche cosa [d]a dirmi lo riservavano per la notte. Fu inutile quindi sperare compassione, tanto per me che per i catechisti. Lo stesso Abba Joannes, il quale vegliava, affinché io potessi avere un poco di riposo, non era più ascoltato. l’africano è crudele se nemico, è crudele anche troppo amico Viddi proprio allora verificato il detto, che cioe l’africano è crudele quando è nemico, e non lascia di esserlo anche divenuto troppo amico. Il povero missionario dal momento che ha aquistato fiducia, stenta [di] potersi reggere col suo sistema di bontà e di misericordia. Eppure Gombò era un paese sopra cui tutto si poteva sperare per l’avvenire della missione, e ciò bastava per noi per renderci quasi omnipotenti nella pazienza.

una mia esperienza[:] diversità tra i paesi isolati e barbari, ed i paesi frequentati. Colla mia esperienza di molti anni mi sono convinto che in Africa i paesi più isolati, epperciò più barbari, sono i più difficili ed anche pericolosi per incomminciare [ad aprire] la brecia, ma una volta ottenuta una brecia sul loro cuore sono quelli, sui quali si può contare, perché più ben co[n]servati, e più indipendenti dai pregiudizii in grande; [p. 383] essi non mancano di passioni, e di corruzione, ma sono più impressionabili, e dominabili. Laddove alcuni centri più accostumati ai forestieri essi ricevono e trattano meglio, servono di veicolo, come gli asini; qualche volta sono anche furbi, perché accostumati a calcolare sui forestieri per i loro interessi, fingono anzi di sentire volontieri il missionario, come forestiere per lo più migliore degli altri, e che si presta meglio per le sue speculazioni materiali, ma poi il suo cuore per lo piu è [di] pietra, e dopo molto tempo continuerà sempre ad essere quello che era. Per questa ragione in simili paesi la missione sarà sempre stazionaria, ed appena potrà calcolare sopra la gioventù, la quale sarebbe meglio disposta, se non avesse lo scandalo della propria casa, la quale è sempre là per paralizzare i progressi della grazia.

argomento dal piccolo al grande per altri paesi Dal piccolo al grande, ciò che si dice dell’interno dell’Africa, si può dire del Sennar, ed anche di tutto l’oriente. I gran centri, dove si trova- /323/ no coll’islamismo regnante, tutte le comunioni eterodosse, solamente sotto questo aspetto il cuore del uomo diventa come una pietra affatto insensibile al nostro ministero, anche il più animato. La ragione è che la base essenzialmente religiosa [p. 384] e sopranaturale non esiste più, anche frà il clero delle comunioni eterodosse; per loro tutto si riduce ad una differenza di nazione, di razza, o di casta, della quali i custodi naturali e gelosissimi sono i sacerdoti.

mezzi che poss[i]ede la vera chiesa La Chiesa Cattolica ha dei mezzi potentissimi, che mancano a tutte le altre sette eterodosse, anche europee. Oltre la grazia, la quale è capitale tutto suo proprio, che non passa alle altre sette; ha poi dei mezzi colossali di educazione nei due sessi da schiacciare tutti. A dir vero, umanamente parlando, questa era la gran speranza della Chiesa per riunire tutte queste frazioni di Cristianità dissidenti dell’Oriente in una fede sola cattolica.

missione dell’Africa centrale
[3.4.1846].
Kartum e suo clima, sua popolazione.
Ma lasciamo l’Oriente e ritorniamo in Africa, e diciamo due parole della missione d’Africa Centrale fondata da Gregorio XVI. nello stesso tempo che quella dei Galla a me affidata, Kartum capitale del Sennaar, come sede del governo, al più poteva servire da principio come punto d’appoggio per le comunicazioni col Kordofan, col fiume Bianco, col Fasuglu, e colle provincie a levante verso l’alto piano etiopico, ma mai per fare una missione centrale, e ciò per due ragioni; la prima per il suo clima micidiale, il più mal sano di tutti quei paesi. La seconda ragione, perché la quasi totalità della popolazione è mussulmana fanatica, e la parte minima cristiana appartiene alle diverse sette [p. 385] orientali, [costituite di] persone furbe che ingannano, ma che [non] saranno mai cattolici. Questa Città infelice ha servito di esca micidiale alla missione senza presentare nessuna risorsa al ministero. Da principio la missione doveva ad ogni costo cercare una posizione isolata ed indipendente con un clima più sano. Io non conosco ne il Kordofan, ne le regioni del fiume bianco, ma solo il Fasuglu, a ponente del quale esiste il gruppo di montagne detto Tabi popolatissime di una razza tutta originale ed ardita. Per entrarvi [vi] bisognerebbe una grande industria e costanza di operazione, ma una volta entrata la missione, e guadagnata la fiducia [della popolazione], sarebbe in casa sua, dove potrebbe educare [la] gioventù. In caso impossibile, più basso di Kartum [la città di] Berber sarebbe migliore, almeno per la salute. Ma io sono certo che in Kordofan, oppure nelle regioni del fiume Bianco non mancherebbero simili posizioni. Senza di questo Kartum è la rovina di quella povera missione.

/324/ Gombò paese feroce; sua conquista. Chi mi ha somministrato l’idea di queste osservazioni è il paese di Gombò, paese che nell’opinione di tutti i mercanti, ed anche dei galla vicini, passava per un paese barbaro e nemico dei forestieri. Nel mio primo viaggio per Lagamara, invece di passare a levante di Nunnu, avendo trovato buone raccomandazioni, ho voluto passare a ponente per esaminare questo paese: [p. 386] in verità, senza l’inoculazione del vaïvuolo, non avrei potuto passare senza pericolo grave; le notizie di questa più ancora della raccomandazione di Avietu e di Negus calmarono il carattere feroce di quel paese. Con tutto ciò, appena arrivato là, mi guardavano con un’occhio di diffidenza tale, che non lasciava d’incutermi paura. Quando viddero le inoculazioni sortire un buon’effetto, allora mi aprirono le porte del cuore, ed io sono diventato padrone della fortezza. Divenuto padrone del cuore di Gombò io viddi subito una vera conquista fatta alla missione, perché [in] tutto il resto non era più questione che del tempo per possederla.

esso è ancor troppo vicino del Gogiam. Una sol cosa restò sempre ancora sul mio cuore, ed era che Gombò non era ancora abbastanza lontano dal Gogiam in modo da metterlo in sicuro da una invasione di forza maggiore; in tutto il resto Gombò diventò sul momento un paese, dove la missione avrebbe potuto lavorare senza pericolo alcuno. Nel mio ritorno da Lagamara, io sapeva [di] certo di entrare come in casa mia. desolati per la mia partenza Ora nel viaggio che sto descrivendo, avvicinandosi [p. 387] il giorno di dover partire da Gombò era per me una vera crisi di separazione di un Padre dai suoi figli, benché non fossero ancora cristiani; essi erano figli grossolani, e la loro amicizia stessa era pesante, ma meritava di sopportarla, perché tutto il paese era di un sentimento solo, e la loro amicizia era forze ancor più sincera di Lagamara e del Gudrù, paesi già posseduti in parte, ma che [non] si possederanno mai in tutta la sua totalità, come Gombò, essendo paesi centrali, dove esistevano caste diverse, le quali [non] si sarebbero mai conquistate nella parte più nobile della fede e del cuore.

sono soffocato dalle loro carezze Se qualcheduno di quelli che leggeranno queste mie memorie avessero veduto la mia persona in Gombò nei due giorni che precedettero la mia partenza per Nunnu, mi avrebbero certamente compatito, vedendomi preso in modo da non aver più un sol momento di libertà, ne per dormire, ne per pregare, ne per le cose di prima necessità: io era una vera vittima suffocata dalle carezze, anche di notte. Io aveva raccomandato ad Abba Joannes di non lasciare avvicinare [p. 388] persone nella notte, affinché mi lasciassero riposare, ma tutto fu inutile, quantunque Abba Joannes dormisse là tutto vicino a me, essi qualche volta venivano furtivamente, e mi baciavano la mano o il piede. io fingeva di dormire /325/ per non essere obligato a dire qualche cosa: ah Padre, diceva un ragazzo stringendomi la mano, voi dite che ritornerete presto, ma io stento [a] credere [ciò].

arrivo di Natan, e mi trovo in arresto. Fratanto era arrivata l’ora della separazione. Si sente dire che Natan stava per arrivare; questo Signore era una persona dal paese molto conosciuta, e rispettata, perché Gombò e Nunnu era[no] quasi lo stesso paese fra loro divisi, da poco tempo; all’arrivo di Natan si fece il grido di guerra, come se arrivasse un’armata a battere il paese: ecco arrivano a gran galoppo una decina di cavalieri, fra i dieci un cavalierino piccolo, ma vivo, il quale faceva pompa a manovrare il suo cavallo. Appena arrivati, fanno un giro intorno a me, e mi trovo serrato in mezzo e mi intimano l’arresto. Natan parla al paese di Gombò Tutto il paese di Gombò era afollato, e schierato in semicircolo, ed allora prese la parola Natan, Gombò, disse, senti un momento la mia parola: noi siamo amici, e tu conosci [p. 389] tutta la storia che sto per narrarti, ma la sentano dalla mia bocca i tuoi figli e le tue mogli, affinché la faciano passare ai loro posteri: io dopo dieci anni di matrimonio mi trovava senza figli; gli cercava aggiungendo donne, ma inutilmente, quando arrivò in Assandabo questo uomo di Dio; un’anno dopo Tufa Boba mio amico del Kuttai mi dice, che trovandosi egli nella stessa condizione mia aveva ricorso a questo uomo di Dio, il quale gli aveva prescritto alcune astinenze e preghiere a Mariam Ghisti; dopo un mese la sua prima moglie fù gravida, ed a suo tempo gli diede un figlio. La mia prima moglie al sentire questo spedì un corriere a questo uomo di Dio, dal quale, [ebbe] ottenuta la benedizione colla prescrizione di astinenza e di preghiere; appena incomminciato questo esercizio, dopo alcuni giorni mia moglie già come passata [di età] pareva divenisse più giovane, e più bella. Finito il mese fissato, nel quarto giorno mi diede la bella notizia che era già madre, ed a suo tempo mi diede questo erede.

sua domanda al paese di Gombò Ora sappiate che sono nove anni dacche sospiro di vedere questo mio benefattore, che ancora non conosceva, [p. 390] la mia moglie poi è matta per vederlo, e se oggi non lo porto essa non mi riceverà in casa. Più di tutti questo mio erede, se non viene con noi, egli dichiara di voler restare quì con lui. Gombò, vuoi tu farmi la guerra? Tu sai che ho travagliato due anni per fargli fare la pace con Nunnu per il sangue versato da Plauden, a questo scopo; oggi la pace è conchiusa, e quì con me vi sono tutti gli oracoli [di] Nunnu venuti per riceverlo; io dunque non te lo restituisco più, se non colla forza.

i vecchi di Gombò si ritirano in consiglio.
il cavalierino.
Terminata l’allocuzione di Natan i vecchj di Gombò si ritirarono per conferire sopra la domanda di Natan. Fratanto il piccolo caalierino /326/ erede discende come un fulmine da cavallo, e corre ai miei piedi gli stringe, gli bacia, e non sa staccarsene, versandovi anche qualche lacrima di tenerezza; poscia ammaestrato da Abba Joannes, si alza in piedi, fa il segno della croce, e dice il pater noster nella sua lingua; questo fatto mi intenerì tanto, che non ho potuto a meno di abbraciarlo, e stringerlo teneramente in modo che quasi lo battezzava con lacrime di consolazione, Padre, disse, io non [p. 391] conosco ancora Iddio, perché sono ancora galla, per ora parlate voi a Dio per me, ed intanto io vado da Abba Joannes per imparare. Ciò detto lasciò il suo cavallo al suo paggio e si unì ai catecumeni di Abba Joannes. risposta dei vecchi, e si conchiude la partenza Ritornarono intanto i vecchi di Gombò, e così risposero a Natan = noi conosciamo tutta la cosa come è, e non vogliamo privarvi di questa consolazione, ma vi domandiamo due cose: la prima, il Padre non ha ancora gustato nulla, e non possiamo lasciarlo partire così; tanto più che ancora restano alcune inoculazioni da fare; egli dovendo gustare qualche cosa voi dovete fargli compagnia. La seconda cosa è che il Padre nel suo ritorno da Assandabo per Lagamara ripassi quì per il nostro paese.

Le condizioni furono acettate, e venne conchiusa la partenza. La comitiva di Nunnu era curiosa di vedere l’operazione dell’inoculazione, e feci venire subito gli inoculandi, ed in meno di mezz’ora tutto fu finito; si presenta i[l] cavalierino all’inoculazione finite le operazioni, vien quì tu, dissi al figlio di Natan, egli subito tutto contento si presento estendendo il suo bracio; ma io allora, no, dissi, quando ti inoculerò sarà con tutta la famiglia, perché un solo non conviene, altrimenti [p. 392] tu porterai il fantatà in casa ai tuoi parenti. veduta l’inoculazione prese la parola Natan La comitiva di Nunnu, veduta l’inoculazione del vaïvolo, non bastava questo guadagno per il nostro paese, disse Natan ai suoi compagni, per conchiudere la pace fin dall’anno scorso? Se questo uomo di Dio invece di passare a Gombò per andare a Lagamara fosse passato per Nunnu, oh quanti nostri parenti morti di fantatà [non] vi sarebbero ancora! sino al giorno d’oggi non arrivano forze a mille? invece il sangue di uno morto in guerra lo pagarono mille, non è vero? esclamazione di un giovane oh me infelice, esclamò un giovane nipote dell’ucciso da Plauden, tre anni sono, voi lo sapete, sono rimasto quasi solo in famiglia, quasi tutti [i parenti sono] morti di fantatà, mentre questa malatia lasciava questo paese di Gombò in perfetta pace, il solo nostro paese fu vittima, non basta questo? oh che il mio Padre oggi vi sarebbe ancora! evviva la pace, io orfano ho trova[to] oggi il mio Padre; ciò detto diede la mano al figlio di Natan, e tutti [e] due si misero a ballare, dicendo[:] evviva il nostro Padre[!].

Dopo ciò si passò al pranzo, al quale assistevano tutti i vecchi di Gombò. In tempo del pranzo ebbero luogo grandi evviva al Padre del fanta- /327/ tà, e si raccontarono le storie dell’inoculazione di sette anni prima, come si racconterebbe la storia di una gran vittoria riportata. Finito questo gli oracoli di Nunnu e quelli di Gombò fecero [p. 393] patti di un’eterna pace fra i due paesi, giurata sul nome mio, e si pensò alla partenza. le prime mosse da Gombò. Una gran parte del popolo di Gombò ci aspettava fuori della casa coi trilli consueti di gioja, ed in mezzo a tutta questa turba di gente io colla mia gente, ed una gran parte dei giovani di Gombò andavamo avanti; ci seguivano a cavallo tutti gli oracoli di Gombò e di Nunnu. Il cavalierino di otto anni, egli non pensò più al suo cavallo, ma se ne stava con Abba Joannes, come un bambino alla mamella della madre, succhiando qualche sorso di latte spirituale. il vero pretendente del sangue versato da Plauden
[2a metà 1845]
Il nuovo figlio della pace sopracitato, giovane già arrivato alle grandi passioni del mondo in primavera, egli non mi lasciava, sempre [stava] al mio canto, dicendo che bramava di dirmi qualche cosa; era questi il vero pretendente del sangue versato da Walter Plauden, epperciò il vero mio nemico in rigore di legge senza la pace, benché ancora sotto tutela. Egli pure non pensava al suo cavallo, ma aspettava il momento di potermi aprire il suo cuore.

accompagnamento e congedo di Gombò. Ma io mi trovava an circondato da tutte le parti dalla popolazione di Gombò, e sopratutto da una gran quantità di giovani, molti dei quali avrebbero voluto seguirmi; non mancavano poi alcuni, i quali, seguiti dalle loro mogli, avrebbero voluto parlarmi in particolare: dissi a tutti questi [p. 394] di parlare ad Abba Joannes, il quale avrebbe a tutto risposto, essendo cosa impossibile occuparmi di altre questioni; Al novo figlio della pace poi, [dissi:] abbi pazienza, appena questo mondo sarà ritornato, parleremo con tutto nostro commodo. Dopo quasi un’ora di viaggio vediamo in lontananza una quantità di gente ferma, e domandato chi erano, mi risposero che erano i Nunnesi venuti all’incontro. Di fatti eravamo sulle frontiere: gli oracoli di Gombò discendono da cavallo e vengono a congedarsi, e dopo di loro tutta la moltitudine; una vera confusione per dare un segnale di amicizia a tutti, ma colla pazienza tutto finì in pace, meno alcuni, i quali non hanno potuto ottenere quello che volevano: erano per lo più donne, le quali domandavano qualche cosa di benedetto, ma furono congedate da Abba Joannes con promesse [di ottenerla] in futuro. Mai un paese mi è stato tanto simpatico; io sperava di rivederlo e, di piantarvi la missione, ma non lo viddi più. Una quantità di giovani ci seguirono, e restarono con noi.