/287/

33.
Conflitto anglo-abissino: preparativi.
Snervante attesa ad Ambàbo.

arrivo dei fucili
[gen. 1868]
Ritornando ora alla storia del nostro viaggio; per parte nostra tutto sarebbe stato in ordine di partenza; gli stessi fucili promessi ad Abu beker erano venuti, [p. 108] e stati depositati presso il Console francese, dal quale Abubeker gli avrebbe ricevuti, cento alla nostra partenza da Aden, ed altri cento dopo il nostro arrivo ad Ankober. Io aveva preso questa misura onde assicurare l’operazione del nostro viaggio, perché il cane colla speranza del pane segue il padrone. Difatti Abu beker al sentire che i fucili erano venuti conobbe subito che la mia parola era seria, ed avrebbe voluto farci partire subito per ricevere presto i fucili. Ma il tempo della guerra inglese con Teodoro si avvicinava a gran passi. L’operazione non era più un mistero; tutto era deciso: persino il luogo dove sarebbe entrata l’armata ingle[se]; porto di Zula, o antica Adulis era stato scielto a questo effetto il porto, o meglio golfo di Zula, cioè l’antica Adulis vicino a Massawah.

preparativi della guerra
[ott. 1867]
Centinaja di operai lavoravano già ad aggiustare detto porto. Già [i] mercanti venivano d’europa a stabilirvisi. Tutta la costa orientale di Massawah sino a Gardafui era in movimento. Emissarii inglesi si erano sparsi da tutte le parti di detta costa, e compravano tutti i cameli che potevano trovare a prezzi anche favolosi. [p. 109] Da Suez, e da tutti i porti dell’Arabia arrivavano bastimenti e barche cariche di paglia, di legni, e di viveri, e si cercavano anche uomini in quantità per il servizio di ogni genere con paghe anche favolose. Aden centro di operazione Aden era il centro di operazione, dove una grande quantità di indiani, di parsi, di arabi, di egiziani, ed anche di europei venivano sia per le loro speculazioni commerciali, e sia anche per l’esecuzione degli ordini del governo inglese.

conseguenze per il nostro viaggio Questo gran movimento da una parte sarebbe stata una cosa favorevole anche per il nostro viaggio. Alcuni agenti del governo inglese: perché non venite con noi, mi dicevano, il governo farebbe la spesa, e vi sareb- /288/ be anche riconoscente. La guerra estera è sempre una cosa odiosa ad un paese, io rispondeva loro, e la mia posizione di missionario, universalmente conosciuta in tutta l’Abissinia, sarebbe stata molto compromessa, epperciò mi era impossibile [aderire alla proposta, quantunque allettante]. Anche la parola data a Minilik in Scioha, ed in Zeïla, era una cosa troppo sacra per sacerdoti che vi andavano per rimanervi ad esercitare il sacro [p. 110] divino ed apostolico ministero. Lo stesso governo inglese comprese la nostra posizione, e non fece maggiori istanze; anzi ci favorì raccomandando il nostro affare ad Abu beker, e pregandoci di prestarci per il porto delle lettere, e per l’interpretazione delle istruzioni che mandavano a Menilik.

per causa della guerra tutto a triplo prezzo Tuttavia bisogna confessare, che tutto questo movimento di guerra sconcertò non poco il nostro viaggio, e lo fece ritardare di alcuni mesi. Prima di tutto Abubeker essendo il centro, anzi monopolista di tutto il commercio della costa di Zeïla e di Tagiurra, egli speculava per se, ed aveva bisogno di utilizzare degli uomini, dei cameli, e di altri oggetti cercati dagli inglesi a caro prezzo; epperciò non poteva occuparsi di noi, e tanto meno degli affari del nostro vi[a]ggio, per il quale vi bisognavano uomini e cameli in quantità. In secondo luogo bisognava rassegnarci a pagare il tutto a triplo prezzo, cosa naturale in simili circostanze, massime con persone le quali non cercano che un motivo per utilizzare. anche gran ritardo nella partenza La prima conseguenza perciò fu un ritardo di circa tre mesi della nostra partenza. Non [= Noi] eravamo partiti per Ambabo, paese di Abubeker, sul fine di Ottobre, ed il piano nostro era quello di partire [p. 111] per lo Scioha circa la metà di Novembre, invece siamo poi partiti sul principio di Febbrajo [dell’anno seguente]. proviste per la partenza Per quella nostra fermata in Ambabo si dovette[ro] far venire altre provviste da Aden di ogni genere, massime di biscotto, perché in Ambabo non si trovava pane [d]a comprare; solamente dalla casa di Abubeker ci veniva verso sera una piccolissima quantità di pane abissino bastante appena per due persone, e noi eravamo dieci, compresa la casa di Abubeker, la quale era per la maggior parte a nostro carico; benché Abubeker fosse obligato a mantenerla.

Già prima di partire da Aden noi dubitavamo che Abubeker, atteso il movimento della guerra, non avrebbe mantenuta la parola di farci partire in Novembre, pure noi abbiamo voluto tenerci gelosamente alle istruzioni del suddetto, ed abbiamo deciso di partire negli ultimi giorni di Ottobre, ma non abbiamo lasciato di partire con grandi proviste di ogni genere per ogni caso di fermata. La più grande difficoltà fu quella di trovare una barca araba per il tragitto del golfo da Aden a Tagiurra /289/ o Ambabo, piccolo villagio di Abubeker a qualche kilometro da Tagiurra più all’Ovest nella stessa baja di Tagiurra. nolo di una barca con 100. talleri Dopo aver cercato inutilmente da tutte le parti ci riuscì di trovare una barca di proprietà privata al prezzo di cento talleri, mentre in altre circostanze una barca [p. 112] simile a pieno nolo non ayrebbe passato i 40. talleri per un simile viaggio di sola andata da Aden a Tagiurra. Trovata la barca, ci siamo occupati seriamente a completare le proviste. raccomandazioni di Abubeker Abu beker per mezzo del suo figlio Maometto ci aveva significato di recarci direttamente ad Ambabo ad aspettarlo, dove egli sarebbe venuto per organizzare la carovana, la quale doveva partire di là, e non da Zeïla. Ci faceva pure raccomandare di andarvi ben provvisti del necessario da vivere, sia per tutto il tempo che dovevamo aspettare là, e sia ancora per la strada per noi, e per la scorta che ci avrebbe accompagnati, non minore di venti persone; portava la ragione che in Ambabo nulla si sarebbe trovato fuorché un poco di carne.

provviste di commestibili
[19-29.10.1867]
In vista di tutto ciò ho fatto comprare due sacchi di riso, e due altri sacchi di grano arabo detto durrah, otto sacchi di datoli ordinarii, ed un sacco di datoli secchi, una gran quantità di biscotto arabo, ed un’altra quantità di biscotto di fromento per noi con qualche condimento. Non parlo del butirro, formagio, di carne secca per i mussulmani, e di carne salata per la nostra famiglia. Poscia un sacco di buon zebibo da venire con noi per fare del vino per le messe, e di farina di grano per le ostie; [p. 114 = 113] altri detagli di proviste quindi parecchi fagotti di tela di cotone indiana azzurra, e bianca per le vesti di casa, per regali, e per le dogane; e parecchie balle di drappo rosso, di pelli per dormirvi sopra. Dopo tutto ciò [procurai] arredi di cucina in quantità. Era questa una provvista che poteva bastare anche per molti mesi a tutta la famiglia per ogni caso di dimora in Ambabo, e per il viaggio sino allo Scioha, calcolandolo anche di alcuni mesi. Dopo tutto ciò ancora un sacco di pepe, e di garofani, ed altre proviste, delle quali [ora] non mi ricordo. Tutto ciò fù imbarcato unitamente al bagaglio di parecchie casse destinate per lo Scioha; tutto era diviso in molti colli numerati e registrati.

alcune ragioni dell’operato Alcuni potranno dire che simili detagli sono inutili; anzi sono i più utili per illuminare le persone in caso di viaggio. Se io fossi andato solo, forze avrei preso altre misure più economiche aggiustandomi con qualcheduno, ma chi viaggia con famiglia deve prima di tutto pensare che la medesima non manchi delle cose necessarie alla vita, e ciò non solo per la propria casa, ma anche per le altre eventualità che si possono aggiungere, calcolando persino la limosina che si deve fare, tanto in caso [p. 114] di lunga fermata in Ambabo, quanto per il viaggio sino /290/ allo Scioha. Non mi bastò questo, ma ho lasciato in Aden istruzioni al P. Alfonzo di tenersi pronto ad altre spedizioni in caso di domanda. partyenza da Aden
[29.10.1867]
Ciò fatto, ci siamo imbarcati la sera, se non erro, del 28. Ottobre 1867. venendo ad accompagnarci sino alla barca il Console francese, il capitano del porto arabo, e molti altri nostri amici. Siamo partiti con raccomandazioni particolari del governo inglese. Si trovava con noi anche un figlio di Abubeker, il quale portava gli ordini del suo Padre alla casa di Ambabo, affinché ci ricevessero, e ci dassero un’alloggio sufficiente.

arrivo a Tagiurra
[31.10.1867]
ed Ambabo
[1.11.1867]
Partiti di Aden, Iddio ci diede un vento sufficientemente favorevole, e siamo arrivati a Tagiurra verso mezzo giorno del 31. dello stesso mese, e passati avanti [a] Tagiurra, un’ora dopo fummo ad Ambabo, dove arrivati gettarono l’ancora in luogo tutto vicino ad una piccola moschea in semplice legno e paglia, all’ovest della quale esisteva una casa parimenti di legno e di paglia, ma abbastanza grande con un cortile sufficiente, chiuso con porta, ma tutto semplice ed in modo che una persona [in qualunque luogo] poteva aprirsi una brecia in qualunque luogo del recinto tagliando alcune legacie di semplice corda. Era quella la casa [p. 115] che Abu beker aveva ordinato per noi. Dalla barca era lontana appena dieci mettri. si scaricano gli effetti nostri Discesero i due Padri Prefetto Taurino, e Ferdinando con alcuni dei nostri giovani e barcajvoli per il trasporto degli effetti, i quali furono tutti contati e disposti in ordine. Nessuna questione per il trasporto dei comestibili, delle mercanzie imballate, oppure di altre cose [custodite] dentro cestoni. le casse coperte di pelle di cinghiale Ma quando si arrivò alle casse, si prestarono tutti per il trasporto delle casse di semplice tavole nude; ma per molte casse in forma di valigie, coperte di pelle di cinghiale, nessuno dei mussulmani volle prestarsi, dicendo che non potevano toccarle come immonde; furono perciò tutte portate dalla nostra gente; la quale se ne rideva; quando sarete nel paese vostro, dissi ai miei, allora conterete queste storie, e sarete padroni di ridere quanto vorrete; ma oggi in paese altrui ridere non va bene, perché potrebbe sollevare questioni, ed anche disordini; in questi paesi mussulmani fanatici, vedete, e state quieti, ecco la regola vostra.

I mussulmani venuti con noi da Aden, assuefatti agli europei, dai quali erano dominati, erano trionfanti nel loro cuore, ma non erano da temersi; non così quei di Tagiurra e di Ambabo, essi ci chiamavano spiatellatamente kafer (infedele) e ci guardavano da lontano cogli occhj di tigri, e non si avvicinavano affatto, [p. 116] Ho veduto subito il gran bisogno di fare una lunga conferenza alla mia casa stessa a scanzo d’inconvenienti. I vecchi che frequentano Aden sono più rispettosi, perché temono gli inglesi, ma non dovete credere, dissi, alle loro belle parole, /291/ perché sono anzi essi la sorgente di tutto questo disprezzo; i musulmani giovani, o ragazzi i ragazzi e le ragazze, le stesse loro madri, cosa ne sanno? se non avessero sentito le minacie dei loro padroni? prudenza, figli miei, altrimenti possono accadere delle scene; un rispettoso sussieguo, ed una bella parola a tutti quelli che si avvicinano, ecco il rimedio unico se volete conciliarvi il rispetto. In seguito in Ambabo abbiamo avuto molti affronti, anche dei colpi di pietra, massime la sera sortendo alcuni dei nostri per i bisogni naturali, ma queste cose vennero sempre dai ragazzi, e mai dagli adulti, perché questi sono ipocriti e sanno fingere, laddove il ragazzo è schietto e non sa nascondere il veleno preso in famiglia dai genitori. Anzi qualche volta si ottiene qualche conversione di ragazzi o di giovani mussulmani isolati, prima dello sviluppo totale delle grandi passioni materiali, come si è veduto altrove, i musulmani adulti ma dei musulmani adulti mai e poi mai; perché in loro la religione che canonizza le loro grandi passioni è passata in sistema; essi sono divenuti vasi immondi abbandonati dallo Spirito Santo, nei quali la coscienza non solo tace, ma si rivolta in veleno.

il villagio di Ambabo In tutto il resto Ambabo è il più bel luogo che vi sia in tutta la costa orientale da Gardaful sino quasi a Suez. Un litorale piano pieno di vegetazione, largo [p. 117] più di un kilometro, e lungo quattro è più kilometri, migliore di Tagiurra, di Zeïla, di Berbera, di Obok, di Reïta, di Assab, di Anfila, e di Massawah stessa. La sola baja di Zula o Adulis può lottare con Ambabo. baïa di Tagiurra La baja poi, per quanto io posso giudicare, è suscettibile di grandi lavori per un porto marittimo, ancor più in grande di Zula. La baja di Ambabo ha un’ingresso a prima vista grande, benché non arrivi al kilometro, epperciò facile a chiudersi, perché il gran fondo si trova solo in mezzo. La lunghezza poi ha molti kilometri, e conta molti seni o piccoli porti nel suo interno. Al nord ha una catena di colline coperte di vegetazione ad una distanza dal mare, come sopra si è detto; al Sud ancora ha dei scogli in quantità. Essa naturalmente è riparata dai venti del Nord e del Sud; è soggetta a grandi correnti, ma non ai venti marini, da quanto mi pare. In tutta quella spiaggia di Ambabo a pochi metri di profundità si trovano sorgenti di aqua dolce bonissima; io credo che siano depositi d’infiltrazione dalle vicine colline. L’estremità Ovest della baja è a qualche kilometro dal lago che somministra il sale gemma a tutto l’interno dell’alto piano etiopico al Sud.

nostre opinioni sopra la baïa Noi solevamo fare le nostre passeggiate seguitando il litorale della baja detta di Tagiurra e parlavamo frà noi, come mai, dicevamo, questo bellissimo luogo è sfuggito al calcolo di una potenza europea, [p. 118] /292/ eravamo stupiti, massime dopo, quando [1858]
[15.11.1869]
la Francia ha comprato Obbok, e l’Italia ha comprato Assab, tutti [e] due luoghi incapaci di grande sviluppo, ci parve incredibile come non abbiano rivolto là i loro calcoli. Noi come missionarii, ne eravamo in caso di un’apprezzamento completo, ne tanto meno era questa la nostra missione, ma intanto non potevamo darci pace, come quel luogo fosse stato così abbandonato dalla marina europea. Come l’estremità della baia di Tagiurra è l’unico luogo dove il mare s’introduce più nell’interno dell’Africa orientale f[r]a i confini delle due razze Denakil e Somauli, e tutta vicina al lago del Sale, sotto questo aspetto essa va considerata, perché con questo elemento si presta non solo al dominio dei mari, ma anche dell’interno dell’Africa.

una barca di Zeïla
[5.11.1867]
Dopo pochi giorni dal nostro arrivo in Ambabo, venne da Zeïla una barca mandata da Abubeker carica di viveri per la sua casa. Colla medesima veniva pure la nostra guida Signor Mekev; noi, che non sognavamo altro che partenza, speravamo di vedere arrivata l’epoca della medesima, tanto più che il Signor Mekev era andato colà, appunto per spingere questo affare, divenuto per noi l’unico importante; la partenza differita
[9.11.1867]
ma all’opposto [p. 119] si seppe anzi che l’affare della partenza andava allontanandosi sempre più. Da una parte, ci diceva Abu beker, le due razze Somauli e Denakil sono in guerra frà [di] loro, e si stanno battendo proprio nei luoghi del nostro passagio. Dall’altra parte gli inglesi hanno spogliato il paese di cameli e di uomini, e spingono ogni giorno più le loro compre. Egli perciò ci esortava alla pazienza, assicurandoci che sarebbe venuto al più presto possibile. Il Signor Mekev anche egli era desolato, mi fece vedere una lettera ricevuta da Menilik, nella quale questo Re si lagnava fortemente del ritardo. Lo stesso Maometto figlio di Abu beker, il quale aveva mogli e famiglia in Scioha soffriva di questo ritardo della partenza.

la nostra malinconia incommincia La nostra dimora in Ambabo diveniva anche ogni giorno più odiosa e pesante: il missionario abituato già al sacro ministero in Europa, lo lascia indotto da una speranza di un ministero di maggior gloria a Dio e di maggior merito per se; ora Ambabo presentava tutt’altro aspetto che di speranza; si trovavano in Ambabo una gran turba di ragazzi e ragazze, quasi tutti schiavi, ma noi in questa materia essendo persone sospette, nostro isolamento, causa malinconia i padroni si guardavano bene [p. 120] di lasciargli venire, perché ci guardavano come spie inglesi, e temevano che noi non fossimo d’accordo con loro per prendere gli schiavi. Questa era già una gran ragione; ma non era la principale, perché i capi di famiglia, e sopratutto Abubeker, padrone assoluto di tutto quel piccolo villagio /293/ conosceva benissimo come passavano le cose in politica relativamente alla tratta dei neri, e tutta la latitudine secreta che si accordava alla turchia dalla diplomazia europea; epperciò che l’avversione che il villagio manifestava a noi missionarii, non poteva essere tanto un’effetto della paura suddetta, quanto l’antipatia religiosa, sempre più viva nelle famiglie che non nei capi abitualmente in contatto col governo di Aden. Il nostro quasi totale isolamento perciò nasceva piuttosto dalla bassa amministrazione delle diverse famiglie, fomentata dagli stessi padroni, e sopratutto dai dervis da loro mantenuti, e fanatici maestri di religione mussulmana. Ciò non era pero ancora tutto il male: ogni qualvolta sortiva qualcuno della nostra famiglia, massime di sera dopo il sole, eravamo come sicuri di ricevere qualche pietrucia, o nelle spalle, oppure nella testa; più volte ho sentito [questa] lagnanza, ma per prudenza si stette quieto.

Ancora un’altro inconveniente di diverso genere: la nostra casa come ho già notato, si trovava tutta vicina alla moschea, dove [gli abitanti] si radunavano alla preghiera araba, e dove i dervis [p. 121] solevano contare i loro sogni e le loro storie: là era come un luogo publico, dove si trovavano sempre musulmane radunati e si sentivano le publiche notizie del paese. A levante la moschea era appena lontana due o tre mettri dal mio recinto; al Sud poi, appena quattro o cinque mettri lontano incomminciava il mare, dove alle ore prescritte, si solevano fare le purificazioni musulmane di uso, le quali non farebbero una tollerabile comparsa neanche in un teatro, anche dei meno riservati della nostra Europa cristiana. Il p. prefetto custodiva la casa Come la casa non era abbastanza grande per tutta la famiglia, il P. Prefetto ed il P. Ferdinando si erano fissati in casa con alcuni giovani, alla custodia di tutti gli effetti, e dove si eriggeva ogni notte l’altare per la celebrazione di una Messa detta per turnum nelle ore più quiete verso [la] mattina. io custodiva la porta Io poi, accompagnato da un servo, aveva preso posto nel canile sotto una stuoja che mi serviva di tetto per ripararmi dal sole. Il mio letto era tutto vicino alla moschea, ed al mare. Dal mio letto io sentiva tutto, e quasi poteva veder tutto. Naturalmente io mi era posto là come [di] guardia, affinché nessuno dei nostri venissero a curiosare.

Dal poco quì detto, ma molto più da ciò che ho taciuto per troppo conveniente modestia, potrà capire ognuno in quale stato noi eravamo, e se la nostra malinconia non era ragionevole. [p. 122] legenda di s.  Ignazio m. e storia di Ambabo Nel giorno in cui scrivo 20. Febbrajo 1883, qualche ora prima dicendo il matutino col mio compagno P. Erasmo da Montilio, questi mi leggeva le lezioni del secondo notturno di oggi, nelle quali S. Ignazio di Antiochia, nella /294/ sua epistola ai romani, parlava dei dieci leopardi, o soldati, che lo accompagnavano a questa città di Roma, ed io pensava in quel momento alle nostre vicende di Ambabo sopra riferite, dove gli uomini che ci custodivano non erano molto diversi dai dieci leopardi di S.t Ignazio; forze in certo senso ancor peggiori, perché i soldati romani erano pagani, e forze schiavi senza una religione, e ma[n]canti solo di educazione, mentre i nostri musulmani di Ambabo nodrivano un vero odio religioso contro di noi, e non contenti di tirarci pietre, e minaciarci anche di morte nei loro discorsi che io sentiva, perché io comprendeva la loro lingua, sia che parlassero arabo, sia che parlassero in lingua galla, sia in lingua abissina, [per] certe parole, o atti turpi, erano ancor peggiori, perché minaciavano la moralità del nostro povero cuore, per grazia di Dio molto lontano dalle loro passioni materiali.

la storia di Ambabo, e quella di Roma del 1883. Come io era abituato ai musulmani di simili villagi isolati, poco mi facevano impressione, anzi il sentimento di compassione per loro mi dominava; in quel momento perciò [p. 123] io pensava invece ai miei poveri missionarii, ed ai giovani nostri non abituati, i quali venivano dai nostri paesi; allora questi nostri paesi erano molto riservati, cosa che oggi mentre scrivo, non è più così in questa nostra stessa Roma, divenuta immonda, peggio dei musulmani, perché questi alle parole, a certi atti aggiungono ancora gli scritti e le imagini, e la richezza dei teatri diabolici. In Ambabo io pensava alla mia sola piccola famiglia, quì in Roma oggi penso a tutta questa popolazione cristiana scandalizzata turpemente nelle scuole, nelle contrade, nei postriboli, nei teatri, con tutti i mezzi che non si trovavano in Ambabo; il mio cuore perciò non sta meglio in Roma nella capitale dei cattolici di tutto il mondo, di quanto fosse in Ambabo fra pochi musulmani fanatici; quì in Roma non sono piccole pietre, dalle quali siamo minaciati, ma sono bombe, più terribili del fulmine; oh che i barbari antichi, dico fra me, sono risorti dall’inferno, peggiori dei leopardi, i quali non hanno che cinque unghie per ciascheduna mano!

la lettera di st Ignazio ai romani Quando io leggo le parole suddette di S.t Ignazio nella sua lettera ai romani ci trovo qualche cosa di misterioso e direi quasi sacramentale [come si trattasse di] terra del calvario bagnata col sangue di Cristo, la quale si impadronisce del mio cuore [p. 124] e lo getta un momento in una misteriosa ammirazione, come quel campione della fede Cristiana potesse talmente rendersi padrone del senso, tanto naturale al uomo per la conservazione della propria vita, da chiamarsi fromento di Cristo, e bramare di vedersi una volta macinato coi denti delle bestie feroci[;] dentibus bestiarum molar; ma poi riflettendo alle critiche circostanze di /295/ quei tempi di persecuzione, il martirio di ogni giorno nei quali la pena del martirio diventava pane di tutti i giorni, e martirio di ogni genere, come di quello che ha fatto sudar sangue allo stesso Cristo nel Getsemani, allora incommincia [a] dileguarsi il mistero e l’ammirazione; sì, io dico, per un’uomo che ha fede, questa stessa presenta soventi al cristiano una lotta così dolorosa, da vederla con festa coronata colla spada infedele, e coi denti delle fiere; oh allora si comprende, come la sola verginità facia i martiri! In ciò posso assicurare che parlo, perché ho provato.

Noi dunque abbiamo passato in Ambabo tutto: il mese di Novembre in un vero martirio, sperando ogni giorno di vedere arrivare Abubeker per finire la nostra questione del viaggio; contratto di Abubeker coll’armata ma Abubeker era un principe mercante, e guadagnava molto più cogli inglesi che non con noi poveri missionarii, egli gran monopolista di tutta quella costa orientale dell’Africa, [p. 125] aveva contratti in grande coll’armata inglese sopra tutti i cameli che si compravano, e sopra gli uomini che prendevano servizio colla medesima, epperciò [gli] era impossibile poter venire, e senza di lui nulla si poteva fare. Passò perciò Novembre, passò Decembre, e passarono le feste del Santo Natale, e non si ricevevano da Abubeker, che belle parole, nessuna decisione, e nessuna speranza. Cresceva la malinconia nella famiglia, crescevano le ingiurie di quei fanatici musulmani, si prolungava il martirio; nostri progetti inutili si facevano progetti anche da noi, ma tutto era inutile: ritorniamo in Aden, dicevano alcuni dei nostri: vada qualcuno di noi a Zeïla a gridare da Abubeker, proponevano altri, ma tutto era inutile, poiché mancavano le barche, e si doveva friggere.

una mia conferenza Vedendo che gli animi erano molto agitati, ho radunato la famiglia nostra e quella del Signor Mekev, e feci loro una conferenza: figli miei, dissi loro, abbiamo pazientato fin quì, pazientiamo ancora, ed avremo il merito del nostro continuo martirio avanti il nostro buon Dio, ed alla fine saremo vittoriosi. Gli arabi non calcolano il tempo, e per loro un giorno, una settimana, [p. 126] un mese ed un’anno è quasi tutto lo stesso; il gran valore per essi è il guadagno materiale; Abubeker ha trovato un gran mercato, ed un gran guadagno; ecco tutta la ragione di questo ritardo. una bella lezione Ora siccome il guadagno non sazia l’uomo; appena il suo mercato coll’armata inglese sarà passato, egli penserà a noi, e non disprezzerà quel poco guadagno che vi è da fare con noi; allora penserà ai fucili che gli ho promesso, e non mancherà di prenderci alle buone. Solamente dovremo pagare tutto più caro. Fatevi dunque coragio, fratelli miei, abbiate pazienza, e pensate, che appunto questa pazienza nostra del giorno d’oggi è il nostro gran guadagno, ed il nostro gran mercato. il diavolo non sa fare i suoi conti Cari miei il diavolo non sa sempre, [a] far bene i suoi conti: /296/ quando soffiava nel cuore degli ebbrei contro cristo, egli pensava di perdere Cristo, e con Cristo perdere ancora la causa del uomo; ma è appunto nel venerdì santo, che Cristo e l’uomo ha[nno] guadagnato la gran Pasqua di resurrezione. Tale sarà il caso nostro, se pure noi non perderemo il gran bel momento che è oggi del nostro mercato. Sappiate dunque soffrire oggi per godere domani; perché non si da festa senza vigilia.