/317/

36.
Nel deserto degli Adal. Sete ardente.
Zimbello del fanatismo islamico.

nostro viaggio Si continuò il nostro viaggio tenendo sempre ancora il littorale della baja di Tagiurra; camminando i nostri occhi si occupavano dei cameli e del nostro bagaglio. Invece di venti cameli erano forze [venuti] più di quaranta, perché si aggiunsero altri mercanti ed altre mercanzie in gran quantità, ed il nostro bagaglio era disperso e mescolato colle mercanzie altrui, in modo da non [p. 165] poter distinguere il nostro dall’altrui; le stesse provisioni nostre non si vedevano più sopra alcuni cameli particolari, come era stato conchiuso, era perciò questa una gran preocupazione. stazione di mezzo giorno Si camminò circa tre ore, e quando il sole incomminciava ad essere molto caldo si fece alto in un piano non molto lontano dal mare, dove vi era un poco di erba; il nuovo nostro padrone, e capo della carovana fece aggiustare le casse in circolo, e ci fece fare con delle pelli distese una specie di sosta per ripararci dal sole; ci siamo corricati, ma il nostro cuore non era tranquillo sia per il bagaglio, e sia ancora principalmente per le provisioni di viaggio.

Durezza del capo della carovana Ho voluto dire qualche parola in proposito al capo della carovana, ma egli fece il sordo, come se nulla avessi detto; solamente dopo un quarto d’ora ci fece portare un’otre di aqua, un paniere dove vi era del biscotto, ed un’otre di datili senza nulla dire. Abbiamo gustato un poco di biscotto bagnato nell’aqua con alcuni datoli, e bevuto un poco d’aqua, e questo fu il nostro pranzo. Il Signor Mekev vedendo quella durezza del capo della carovana volle parlargli anche egli, ma non fù più fortunato di me. [p. 166] Il Padre Prefetto ancora giovane di missione ed amico di osservazioni volle allontanarsi qualche centinaio di mettri per esaminare il luogo; ma ebbe, una solenne strapazzata, che gli fece abbandonare ogni progetto. fine della baïa di Tagiurra Verso le tre di sera, il sole essendo meno forte, il nostro capo diede ordine di caricare i cameli, e si cammino più di due ore e siamo arrivati al fine della baja di Tagiurra; siamo saliti sopra una piccola collinetta poco lontana dal mare, dove si passò la /318/ notte. istmo tra il mare ed il lago del sale Mentre si stava scaricando ed aggiustando la nostra specie di stanza fatta coi nostri involti collocati all’intorno, noi stavamo contemplando la punta della baja di Tagiurra che dovevamo lasciare forze per sempre, ed avanti di noi il lago salato non molto lontano che dovevamo passare l’indomani. Il lago presentava un basso anfiteatro circondato da basse colline tutte volcaniche, e largo forze più di due kilometri, due terzi del quale era tutto sale cristallizzato, ed un terzo a levante in stato liquido

opinioni degli indigeni La sera conversando cogli indigeni, alcuni mi assicuravano, che sotto l’istmo che separa il mare dal lago [vi] esistono delle grotte, per le quali l’aqua del mare nelle grandi maree si getta nel lago. Nelle basse maree quelle grotte sono visibili, ma nessuno può dire di aver veduto l’interno delle medesime; è questa una semplice supposizione degli indigeni, ma molto ragionevole, perché altrimenti non si potrebbe concepire, come potesse un sì gran lago riempirsi [p. 167] di aqua marina; difatti la parte liquida del lago è verso il mare, dove non riceve lo scolo di aqua dolce nelle pochissime pioggie che vi sono in quei luoghi. Dalla riva del mare sino alla riva del lago vi saranno dai tre ai quattro kilometri.

regalo di una capra, ed una buona cena Della stessa sera il capo della carovana ci fece una cortesia regalando a noi cristiani una piccola capra venuta da Borzano, ed i mussulmani uccisero un camelo; stassera mangiate bene, disse il capo della carovana, perché domani avremo una cattiva giornata per passare il lago; oggi avete dell’aqua a petizione, ma domani saremo un poco più scarzi di aqua. I giovani amazzarono la capra, e ne fecero cuocere circa la metà, riservando l’altra metà per l’indomani. Come avevamo trovato tutti gli atrazzi di cucina, e di tavola ci fecero un buon riso cotto nel brodo della capra e ci siamo regalati. La mattina prima del giorno ci fecero bollire il caffè, ed il Padre Prefetto fece anche una buona minestra di paste che ancora avevamo, e prima del giorno si fece anche il pranzo. Appena abbiamo avuto tempo a mangiare, che allo spontare dell’aurora fu ordinata la partenza.

bordo del lago di sale
[6.2.1868]
Al sortire del sole fummo già in viaggio, ed in poco più di un’ora siamo arrivati sul bordo del lago. Io temeva di camminare a cavallo del mulo sopra quel lago cristallizzato, ma quando ho veduto che gli stessi cameli carichi, [p. 168] e molto più pesanti vi camminavano molto bene, allora ho fatto coragio, e mi sono posto a camminare; in alcuni luoghi dove era stato tagliato il sale ho veduto [e] che il buco non era ancora stato riempito da una nuova cristalizzazione[:] il sale cristallizzato il blocco di sale aveva uno spessore di circa mezzo mettro, sotto il quale esisteva l’aqua marina; a /319/ misura che si taglia il sale l’aqua marina di sotto riempie il buco, e nelle prime pioggie di nuovo si cristalizza. Sia i cameli che i muli camminavano adagio, perché il sale cristallizzato in alcuni luoghi non era perfettamente eguale, e faceva anche male ai piedi. Noi per avere maggior tempo per esaminarlo l’abbiamo percorso quasi la metà a piedi, tenendo pero sempre il passo della carovana, e per attraversarlo tutto vi volle quasi un’ora e mezza. gran calore nel lago Eravamo nel mese di Febbrajo, stagione la più fresca dell’anno anche in quei paesi, pure, a misura che si alzava il sole, si sviluppava sopra quel lago un calore, accompagnato da una certa esalazione, da non poter più reggere per mancanza di respiro.

gran sete in tutti
breve fermata
Passato che fù il lago, e sortiti dal letto del medesimo, quasi tutta la carovana si lagnava di una gran stanchezza, ed il capo della carovana non tardò molto ad ordinare il solito riposo del mezzo giorno, a poca distanza. Quell’ambiente salino, oltre il calore straordinario haveva lasciato in tutti una gran sete; tutta l’aqua degli otri non avrebbe bastato per tutti, tanto più che essa era calda, ed un poco salmastra. Due bravi denakil che conoscevano [p. 169] il paese, con due cameli andarono a cercarne dell’altra più fresca, e più dolce; quando arrivò questa, ci apparve così buona, che nel mondo non si sarebbe trovato un liquore più squisito di essa. In quel luogo nessuno cercava di mangiare, il senso non domandava altro che caffè ed aqua. il caffè estingue la sete Noi avevamo una gran provista di caffè macinato [e] ne abbiamo fatto parte a tutti. Questo ancora più dell’aqua è stato quello, che calmò la sete. Preso che fu un poco di respiro, bisogna cavarci di quì, disse il capo della carovana, e benché fosse ancor presto, pure ordinò la partenza. Partiti di là si camminò quasi tutta la giornata per sortire da quel luogo di un’atmosfera soffocante. I denakil più accostumati soffrirono meno, ma noi europei non tardammo a provare una gran sete; io più di tutti non ne poteva più.

un gran rimedio per me Un vecchio denakil, conoscendo che io soffriva molto si privò egli stesso di un piccolo otre di aqua, e me lo diede. Ma ancora questo non bastava, e, fatto portare del caffè macinato, [e] me ne fece bere un poco sbattuto coll’aqua; fu questa la medicina più efficace per restituirmi un tantino le perdute forze da poter continuare il viaggio, del resto [p. 170] non avrei potuto sortire da tutto il basso fondo del lago per respirare un’aria un poco più pura ed ossigenata, dove siamo arrivati verso sera ad un’ora circa prima della notte. Benché non fosse quella una grande altezza, pure il solo vedere un poco di vegetazione ci rallegrò tutti, e parve che gli stessi animali partecipassero del nostro piacere

/320/ prima stazione dopo il lago Appena sortiti dal cratere del lago, ci fermammo nel primo luogo un poco conveniente, sia per noi, e sia ancora per le nostre bestie, fù ordinato l’alto per la stazione della notte. Appena scaricati i cameli, ed aggiustato il campo, un buon caffè ed una bona cena la prima cosa fu di preparare un buon caffè ben carico, con un poco di zuccaro e di aquavite che non mancava. Per quei paesi caldi bisogna confessare che il caffè è la bevanda che può fare più [del] bene di ogni altra cosa. Dopo si fece un buon riso con delle sardine; e come eravamo tutti sfiniti il Padre Prefetto ha voluto aprire una bottiglia di vino delle messe, nel quale io ho messo un poco di biscotto, e questo mi fece gran bene. Anche il povero P. Ferdinando, il quale molto soffriva di stommaco, soffrì tutta la debolezza che ho sofferto io, ed egli pure riprese le sue forze. Il più forte è stato il Padre Prefetto Taurino, il quale nulla aveva sofferto nella traversata del lago. Si passò la notte in quel luogo, ma come eravamo già molto lontani dalla costa, il capo [p. 171] della carrovana venne egli stesso, e volle mettere un’ordine per la sicurezza, prima delle persone nostre, e poi anche del bagaglio, affinché servisse di norma in avvenire in tutto il viaggio.

ordine del campo per la notte Prima di tutto fece aggiustare i nostri effetti in linea quasi circolare [quasi] in forma di muro a cinta, dentro cui eravamo noi missionarii europei; accanto di me dormiva il Signor Mekev, perché io soleva di notte istruirlo, e dormivano i due suoi servi, affinché anch’essi potessero senti[re] qualche cosa delle istruzioni che io faceva al loro padrone. Alla parte opposta vicino al P. Ferdinando si trovavano i nostri giovani, i quali potevano anche fare qualche preghiera in lingua nostra. Alle due estremità dormivano due vecchi denakil dei più fidi. Avanti di noi si trovavano in circolo due file di cameli, ed i nostri muli. Quindi all’intorno erano distribuite tutte le guardie in pochissima distanza l’uno dall’altro. Lungo la notte vegliavano due guardie sino a mezza notte, e due altre dopo mezza notte sino [alla] mattina. Se qualcuno di noi avesse avuto bisogno di sortire nella notte, le due guardie dovevano seguirlo sino al suo ritorno.

Questo ordine fù sempre eseguito pontualmente sino ai confini del regno di Scioha, epperciò io non ritornerò [più] sopra questo punto. una mia dichiarazione Debbo anche quì prevenire chi leggerà queste mie memorie [p. 172] che cioè io non mi occuperò di cose puramente scientifiche, essendo cose fuori del mio scopo, ed anche perché io senza stromenti, e senza studi particolari a questo riguardo non potrei certamente misurarmi con persone che hanno già viaggiato [per] questi stessi deserti, e con quelli che certamente verranno dopo con fini più diretti. Difatti per quella /321/ stessa strada, come già si notò, [1841 e 1842] passò il Capitano Harris inglese andando allo Scioha, e venendo di là alla costa; passò pure due volte [1839 e 1840] il Signor Rocher d’Hericour, cioè, quasi trent’anni prima. Questi signori avevano una missione diretta, ed erano forniti di tutto il necessario. In seguito poi, aperta di nuovo la strada, già m’imaginava che non avrebbero mancato di seguirci altri parimenti con missioni speciali, come seguì poi la Spedizione italiana [1876] circa sette anni dopo di noi. Io perciò non farò altro che riferire alcuni fatti particolari più notabili.

stazione di mezzodì dentro la grotta Così la mattina seguente si camminò circa tre ore per colline vulcaniche, quasi prive affatto di vegetazione, ed abbiamo passata la stazione di mezzo giorno in un luogo piuttosto stretto, di cui manco del nome; ci siamo accampati in una grotta sufficiente per la famiglia nostra e per il nostro bagaglio. passa una carovana di Aussa
[8.2.1868]
Appena fummo stabiliti venne da me il capo della nostra carovana: mettetevi a dormire, disse, e non lasciatevi vedere, [p. 173] perché deve passare una grossa carovana di denakil, i quali vanno a caricare del sale; essi vengono dal lago di Aussa, e non sono molto amici con noi. Ciò detto egli se ne andò, e noi [per forza], benché più bisognosi di mangiare che di dormire, pure fù forza fare di necessità virtù, noi missionarii europei abbiamo inviluppato la nostra bianca figura, e ci siamo corricati, lasciando al Signor Mekev di vigilare, ed avvertirci di quanto si passava. La carovana suddetta si fermò più di mezza ora discorrendo coi nostri; alcuni avrebbero voluto vederci, ma noi ci siamo guardati bene di metter fuori la testa inviluppata nella tela, perché l’ubbidienza fra i selvaggi deve essere molto più c[i]eca di quella del Convento, e senza il permesso del Padre guardiano non potevamo moverci, e dovevamo dormire anche tremando.

notizie della passata carovana Passata ché fù la carovana abbiamo avuto il permesso di levarci, di mangiare, e di conversare liberamente, benché ancora vi passassero [ancora] alcuni isolati che la seguivano in lontananza. Il Signor Mekev, il quale aveva tutto sentito, questa carovana, mi disse è partita jeri mattina dal lago di Aussa, ed è una carovana mandata dallo stesso Re Hanferiè, a caricare del sale, per portare in Scioha, oppure ai Wollo, a lui più vicini del regno di Scioha. Il capo di questa carovana avrebbe desiderato di vedervi, sperando qualche [p. 174] regalo o tributo da voi, ma il nostro capo seppe ingannarlo così bene che se ne andò senza vedervi; ah questi bianchi, dissegli, se avete qualche cosa da dare loro, essi la riceveranno volontieri, ma cosa [essi] vi daranno? Essi [non] hanno nulla; una bella bugia il mio padre gli ha già mantenuti molti mesi in Ambabo a sue spese, ed ora a sue spese deve fargli accompagnare sino al Re Menilik, il quale è matto di vedergli presto arrivare; essi vanno in Scioha /322/ per far fortuna a spese del Re Menilik; essi sono preti, ed i preti sono come i nostri dervis; come sapete i nostri dervis prendono da tutti e [non] danno a nessuno; solamente questi preti frangi non si possono capire, essi non possono sentire [trattare] ne [di] maschi ne [di] femine, tutto all’opposto dei nostri; essi non conoscono altro che il loro corano ed il loro profeta Aïssa (Gesù) (1a)

continuazione del viaggio
[11.2.1868]
Dopo un breve riposo fu ordinata la partenza; strada facendo si trovavano ancora di quando in quando avvanzi della carovana suddetta rimasti indietro. Abbiamo camminato quasi dure ore tenendo sempre la strada di Aussa. Il capo della nostra carovana, non essendo tranquillo nelle vicinanze di Aussa, dopo due ore di viaggio al nord-ovest, lasciò la strada della carovana di Aussa, e girò al sud-ovest, appena entrato nel grande piano, o basso anfiteatro, di cui più non mi ricordo il nome, e ci fece camminare sino a notte in direzione opposta, onde avvicinarsi alle tribù amiche di Abubeker più al sud. Dopo quel giorno abbiamo quasi sempre camminato nella [p. 175] stessa direzione in mezzo alle tribù amiche di Abubeker e non soggette al Re di Aussa, per quasi otto giorni, e non molto lontani dai confini Somauli. Si camminava poco presso da sei a sette ore ogni giorno, cioè circa tre ore la mattina e tre ore la sera. descrizione del paese;
gran siccità
Il terreno era generalmente piano, e leggermente undeggiato in alcuni luoghi. L’erba per le bestie non mancava, ma era tutta erba secca, perché da quasi due anni non [non] aveva piovuto. Mancava però l’aqua, massime per gli animali; erano seccate tutte le piccole sorgenti, e non vi rimanevano che le grandi sorgenti, ma tutte lontane. I cameli potevano rimanere anche tre giorni senza mangiare e senza bere, ma non così i muli, i quali avrebbero dovuto bere due volte ogni giorno, perché mangiavano erba secca.

prudenza del capo della carovana Le popolazioni colle loro mandre si tenevano più che potevano nelle vicinanze delle sorgenti, e lasciavano dei gran spazii affatto abbandonati, ora il capo della nostra carovana aveva adottato il sistema di fuggire i gran centri abitati, dove appunto si trovavano le grandi sorgenti; per la ragione[:] prima di risparmiare [le] dogane, e poi anche per risparmiare certe publicità, alle quali poteva dare motivo la veduta di europei, cosa affatto nuova per una gran parte della popolazione. [p. 176] I Cameli ed anche i muli si conducevano a bere di notte dalle guardie /323/ del rispettivo paese e da altre persone, ancorché [in] luoghi molto lontani; ma gli uomini avevano bisogno di aqua, sia per bere, e sià anche per cuocere le vivande. Noi non potevamo a meno che lodare la prudenza del capo della carovana, il quale col suo sistema di schivare le sorgenti ci risparmiava molti pericoli, e ci [ci] avrebbe risparmiato anche alcune dogane di più, se un tale risparmio fosse stato per noi, ma dal passato ben potevamo arguire che tutto sarebbe stato per lui. Comunque però da questo lato si meritava tutte le lodi. Dal lato però della sete che soffrivamo, e che più di noi soffrivano gli uomini della carovana, non era certamente da lodarsi.

gran sete ed un’estremo rimedio Io quì potrei riferire alcuni fatti, i quali passarono innosservati ai miei compagni, perché non avevano ancora sufficiente esperienza in simili viaggi di gran deserti, ma che io già aveva conosciuto altre volte. Nei giorni di gran sete si vede qualche volta l’arabo o bedovino che al vedere il camelo che si ferma per orinare corrervi subito per raccogliervi l’orina, e qualche volta si vede raccogliervi la propria orina; alcuni possono pensare che si servano di quell’orina per farvi la purificazione [musulmana], per mancanza di aqua, ma [invece] è per bere a preferenza di morire di sete. Un bel giorno, mancando l’aqua in tutta la carovana, io mi trovai travagliato da una sete tale, che mi sono veduto nella necessità di discendere dal mulo per timore di cadervi, perché il cuore non [p. 177] mi reggeva più; camminando vicino ad un bedovino, il quale aveva un piccolo otre di circa un litro appeso ad un piccolo involto; persuaso che fosse aqua, l’ho pregato di darmene un poco, ed a prima vista egli mi fece qualche difficoltà, ma poi ripetendogli l’istanza me la fece passare; gustatala conobbi subito cosa era, e ne provai un poco di ripugnanza, ma vinse la necessità ed ho bevuto sufficientemente, e mi fù un vero balzamo alla bocca ed alla gola. Mi sono guardato bene di dire cosa era, perché alcuni dei nostri che mi erano vicini mi avrebbero riso in facia; mi sono trovato contento, ho ringraziato il bedovino, e fattogli segno di star quieto, nessuno seppe nulla come se fosse stata aqua.

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un’altro fatto conosciuto da tutti In una traversata di deserto in cui si dovette camminare due giorni senza trovare vicine sorgenti, e con scarsa provista per tutto il viaggio; sia stata incuria nella custodia dell’aqua lasciata troppo libera nel primo giorno, oppure perché dovettero darne un poco la sera ai muli, che mangiavano erba secca, e l’indomani non avrebbero potuto camminare, fatto stà che la mattina del secondo giorno, alla nostra famiglia non ne passarono che una tazza caduno, una parte della quale dovette servire a farci un poco di caffè; si fece una colazione di datili, e bevuta la poca /324/ aqua che vi era, siamo partiti prima ancora che si levasse il sole; i nostri muli stentavano a seguire il passo dei cameli, ed abbiamo dovuto camminare anche a piedi un buon pezzo per non stancarli di più. [p. 178] nostro sfinimento e marcia forzata
[14.2.1868]
Dopo una lunga camminata di quattro o cinque ore ci siamo riposati un poco nel mezzo giorno, ma non abbiamo potuto mangiare, perché mancando aqua la grande arsura ci impedì affatto di gustare altro che pochi datili, [i] quali pure non potevamo inghiottire. Noi stessi, benché stanchi, desideravamo di camminare per arrivare presto all’aqua, divenuta di una necessità imperiosa. Appena passato mezzo giorno la carovana fu allestita, e col sole ardente in facia, abbiamo camminato, quasi sempre a piedi, sino dopo le quattro di sera. stazione di sera Il capo della carovana, vedendo la nostra stanchezza, ordinò, un poco prima del luogo ideato, la stazione della sera, ed, appena caricati i cameli, fece partire subito gli uomini in cerca dell’aqua ancor molto lontana; noi non potevamo più parlare, perché la lingua, e la bocca nostra non erano più in caso di articolare la parola per l’arsura. Si prendeva qualche dattile per eccitare la saliva, ma le g[h]iandole salivarie irritate non facevano più la loro funzione. Il P. Prefetto ci diede un piccolo bicchierino di aquavite, ma ci trovammo ancor peggio.

un fatto più barbaro della sete Mentre noi eravamo dominati da una vera smania di trovare un bicchiere di aqua, cogli occhj aperti verso la fonte, aspettando i cameli che arrivassero a rinfrescare le inaridite nostre labra, oh spettacolo! il capo della carovana a due mettri di [distanza da] noi, con un bel vaso di aqua fresca, si mise a fare la sua purificazione di uso, e ne versava con gran prodigalità per lavarsi le mani la facia e tutti i sensi, ma in modo [p. 179] particolare il grand’idolo dei musulmani, quello stesso che ad un cristiano non licet nec videre nec tangere; al vedere questo spettacolo scandaloso, i missionarii dovevano naturalmente farsi una gran violenza per contenere la piena dell’ira che minaciava una rottura, e contenersi nei limiti di una prudente pazienza. Uno dei giovani del Signor Mekev, più affezionato a noi, con bel garbo, non sarebbe meglio, gli disse, sospendere la purificazione per dare un poco da bere a questi nostri padri che mojono di sete? egli al sentire simili parole si mise beffardamente a ridere, e [a] rendersi ancor più petulante e direi quasi immorale da obligarci a voltare altrove la nostra figura per modestia, lasciando i due che se la battessero frà [di] loro.

un sogno di acqua che passa Quasi in quel momento ecco spontare un cameliere in lontananza, Deo gratias, abbiamo esclamato tutti noi, l’aqua è finalmente venuta! un momento di speranza ci valse quasi un bicchiere d’aqua per calmare l’ardore della sete, e nel tempo medesimo l’impeto dell’ira interna che ci /325/ rodeva il cuore. Ma non tardò a dileguarsi la nostra speranza come un sogno a chi si sveglia...! era un cameliere staccatosi dagli altri quattro per venirci ad annunziare una disgrazia venuta, come [p. 180] [come] il caso di Giobbe gli otri erano già pieni di aqua, disse tutto agitato il cameliere, i compagni, versata l’aqua, partirono per un’altra fontana più lontana, ed io sono venuto a cercare nuovi otri, perché gli altri sono immondi, un cinghiale morto fù trovato nella fontana; l’aqua non potrà arrivare che più tardi. Ciò detto si cercarono otri, ed aggiunti altri camelieri, partirono a[l] galoppo. Lascio pensare quale desolazione: [stare] in quei paesi caldi, viaggiando tutto il giorno con un sole ardente, senza mangiare e senza bere. I mussulmani ricorrevano alle sorgenti animali, come già si noto; io nel giorno non ho osato, ma arrivata la notte me la sono cavata come ho potuto.

arriva infine l’acqua bramata, ma quale...? Arrivò l’aqua dopo le otto di sera, fu una vera festa. Prima di tutto si pensò a fare un gran caffè, affinché la stessa aqua non facesse del male. Per fortuna che arrivò di notte, e l’aqua non si poteva vedere; nel prendere il caffè ci siamo accorti che l’aqua era mezzo sterco di animali. L’aqua fu presa in un laghetto, dove tutti gli animali entravano dentro per bere e per rinfrescarsi, e facevano di tutto dentro, e come quel laghetto era per seccare era divenuto niente altro che un deposito puzzolente. Si fece un riso, il quale prese un’aspetto nero, e si sarebbe creduto un riso condito cogli ucelli pestati; di gusto poi non ne parlo: fame, sete, pazienza, tutto unito insieme, e santificato da una dose di amor di Dio, diventava una salsa da cangiare il calvario in paradiso terrestre. [p. 181] Se i camelieri avessero portato l’acqua che gettarono per causa del cinghiale morto sarebbe stato per noi un piccolo male, e si sarebbe bevuta con molto maggiore soddisfazione, perché un gran deposito d’acqua non poteva essere guastato da un piccolo animale, probabilissimamente neanche ancora corotto, ma transeat, era là il caso di pagare il tributo ad un pregiudizio popolare.

uso delle carovane nei deserti Ma andiamo più alla radice: se Abubeker fosse stato più alla parola data, non solamente noi pochi europei coi nostri pochissimi giovani, ma tutta la carovana avrebbe potuto camminare anche otto giorni senza bisogno di andare alle sorgenti, bevendo sempre aqua dagli otri, la quale, come ognun sa, aspettando guadagna in freschezza ed in purezza; io conosceva tutti gli usi, perché aveva viaggiato molto altre volte nei deserti. Ogni camelo carico, oltre il suo carico, nei deserti senza aqua, doveva portare ancora due otri appesi, uno per parte. nella nostra carovana si contavano almeno 30. cameli, dei quali 20. erano esclusivamente per noi; di questi 20. quattro dovevano essere liberi dal carico, perché /326/ due erano sta[ti] calcolati per i giovani, e due esclusivamente per l’aqua, dei quali uno doveva essere esclusivamente per la nostra casa. In Ambabo furono comprati 24. otri nuovi preparati per l’acqua; [per di] più ogni arabo o bedovino qualunque, prima di partire per simili viaggi, deve avere sempre a suo conto un’otre per l’acqua a proprio uso. [p. 182] calcolo dell’acqua dovuta Ciò posto il calcolo è molto facile a farsi. Nella carovana si potevano contare al più 50. persone, e compresi i muli possiamo mettere 60. persone, perché ogni mulo deve contare per due, o al più per tre persone, secondo la diversa qualità dell’erba che mangia, o secca, oppure verde. Ora 30. e più cameli, calcolando solo due otri ogni camelo carico, davano già 60. otri di acqua, la quale avrebbe bastata per otto giorni a tutta la carovana. Ma restavano innoltre quattro cameli sopra citati, i quali dovevano restare senza carico di altro genere; un camelo suole portare al minimum otto otri di aqua, ed anche dieci, i quattro perciò ne avrebbero portato dai 32. a 40. e questa quantità d’acqua poteva bastare per abeverare i cameli una volta negli otto giorni. E questo un calcolo matematico in prova di quanto si è detto sopra.

la vera causa della sete Nella radice adunque tutto il male è stato di Abubeker, il quale, non contento di farmi pagare i cameli ad un prezzo triplo, come già si disse avanti, volle ancora utilizzare sul porto dei cameli medesimi. i cameli erano tutti stracarichi di mercanzie di sua proprietà; le spese della carovana erano tutte sopra di me, ma essa, nei due terzi, portava per lui; ecco la ragione unica per cui mancava l’aqua. Abubeker aveva il monopolio di tutto, e della stessa giustizia, perché era mercante e giudice, e noi per essere sicuri delle nostre persone [p. 183] dovevamo aver pazienza, e lasciarlo fare; questo stesso suo gran guadagno era il prezzo della nostra sicurezza. questione del leone colla pecora In tutto quel viaggio era la questione del leone e della pecora; egli, fingendo un caso di forza maggiore, poteva farci uccidere tutti, e salvare la sua riputazione in facia all’Europa, e dello stesso Re Menilik. Io che conosceva tutto questo, mi vedeva obligato ad una pazienza da stoico, o da pazzo che si voglia chiamare, ma io amava meglio essere considerato come stoico o pazzo, a preferenza di compromettere la vita mie e quella dei miei compagni, e più di tutto l’opera di Cristo mio vero ed unico padrone. colla morza si domina il ferro L’uomo colla morza domina il ferro, e colla leva e punto d’apoggio alza il mondo. Nel caso nostro la morza, oppure il punto d’apoggio per la leva sarebbe stato il timore di Dio e della giustizia, ma questa mancava.

Non è già che Abubeker non conoscesse Iddio, anzi pretendeva di conoscerlo più di noi, infedeli in facia sua. Egli però colla morale del suo /327/ progressi [di] Maometto Profeta, passata in natura fra i musulmani, era divenuto padrone, non solo delle nostre sostanze, ma delle stesse nostre persone; egli sperando anzi di farsi un merito avanti [a] Dio poteva non solo [de]rubarci, ma farci assassinare, e poi mettersi a piangere, cogli europei, e con Menilik per declinare la risponsabilità. Una falsa morale, che parta da basi [p. 184] teocratiche false è più terribile dello stesso ateismo. Se Maometto avesse incomminciato la sua pretesa riforma predicando un’ateismo schietto, mai sarebbe arrivato a corrompere una parte del mondo e stabilirvi una larva di religione più terribile dell’ateismo stesso. Invece col punto di appoggio di un Dio uno, prima base della legge naturale, Maometto ha potuto mettere la leva sotto le radici stesse dell’albero e sradicare il decalogo p[er] stabilirvi una morale nuova agli stessi barbari, sul punto massime della schiavitù, e di certi disordini sul sesto precetto. progressi [di] Lutero Lo stesso e genuino caso è stato quello di Lutero capo e patriarca di tutte le massonerie e sistemi di rivolta in questi ultimi secoli dell’era cristiana. Se Lutero avesse incomminciato col sistema dell’empio Renan, predicando direttamente contro Cristo, sarebbe stato preso a pietre dalle popolazioni cristiane. Invece questo vero diavolo, l’uomo più furbo del suo secolo, col nome di Cristo in bocca, e con una bibia senza vita, perché colle radici secche al sole di un razionalismo velato, e con dolci ed insinuanti titoli di riforma per ingannare i popoli tendenti alla libertà, per una via tortuosa arrivò sino a Renan, facendo di Cristo un uomo grande, ma non sorgente di rivelazione viva ed inapellabile al tribunale della ragione e del senso privato, ultimo tribunale da lui stabilito.

castighi di Dio sopra l’oriente L’islamismo è stato un gran castigo all’oriente, perché lo rovinò sotto ogni aspetto in modo, che divenne un paese barbaro e quasi selvagio. La collera di Dio non so se sia stato più contro il clero, perché si attaccò all’impero per sostenere i suoi errori, o se sia stato di preferenza contro l’impero per avere abusato del suo potere contro [p. 185] la Chiesa di Dio lavorando a dividerla per dominarla, povero oriente a chi medita la storia della sua sorte! castighi di Dio sopra l’occidente Il Protestantismo poi alla sua volta fu il gran flagello all’occidente. Qui Iddio aveva dato dei governi paterni, i quali assistiti dal dolce controllo della Chiesa e del Sacerdozio, avevano sollevato la nostra società da renderla in tutti i sensi il vero miracolo del mondo; noi ci siamo veduti un momento questi padroni dell’intiero mondo. Ma questi nostri governi restii sempre agli avvisi ed agli anatemi della Chiesa presero combatterla, e ad avvilirla. Nel momento in cui scrivo le ultime conseguenze della rivolta Protestante, le quali parevano rivolte solamente contro la Chiesa, hanno già sepolto tutti i poteri /328/ civili. La nostra società attuale si trova sul pendio di una rovina e di uno sfacelo tale da minaciarci un castigo più terribile dello stesso islamismo. Lo stesso progresso delle scienze, divenuto orgoglio contro Dio, ha[n] somministrato le armi per distruggerla. E la Chiesa intanto? La Chiesa soffre, e soffrirà, ma protetta da Dio aspetta il suo momento per stenderci la mano e darci una seconda vita, se la misericordia di Dio non sarà vinta dalla sua giustizia.

Ciò notato, come di passaggio, ritorniamo a continuare il nostro viaggio. Noi missionarii nella mani di Abubeker fummo condannati ad una pazienza da stoico in facia al nostro secolo ateo, ma generosamente Cristiana per chi riflette che noi non eravamo più [p. 186] nelle epoche felici di una Francia Cristianissima, ne di una Spagna Cattolica, ne di un Portogallo zelantissimo, ne di un’Italia veneziana o genovese, ne di altre potenze dispotissinie a prestare il loro soccorso all’apostolato frà le barbare nazioni, divenuti tutti sogni nella Chiesa di Dio abbandonata a se stessa, ed al suo divino Padrone; io poi in particolare, come ammaestrato dall’esperienza, [ero] particolarmente obligato a non esporre la vita dei miei compagni ancora inesperti, e sopratutto la causa santa delle anime, per un’imprudenza o materiale risparmio. nostro arrivo in Herer
[23.2.1868]
Noi dunque colla nostra pazienza, contando per nulla tutte le avanie ed ingiustizie dei musulmani, dopo due altri giorni, se non erro, nel 14. giorno dalla nostra partenza da Ambabo, siamo arrivati ad Herer, paese, dove regnano le febbri, ma abbundante di acqua. Benché Herer fosse un paese deserto, come tutti gli altri, pure attesa la gran siccità, che aveva seccato tutte le sorgenti altrove, si trovava colà una popolazione non lontana da mille persone venuti colle loro mandre in cerca dell’acqua. Per la gran quantità di mandre che venivano da tutte le parti a bere, a due miglia circa tutto all’intorno non esisteva più segnale di erba. Là si dovettero pagare molte dogane, e fare moltissimi regali.


(1a) Presso gli arabi il nome Corano non è solo per significare il loro libro santo, ma è ben soventi sinonimo di libro in generale. Chiamano Cristo Profeta, perché Maometto nei suoi viaggi di Siria aveva conosciuto il cristianesimo da un monastero ariano, e Sergio scrittore del Corano era un monaco ariano; era un’apostata di Cristo che seguì Maometto. [Torna al testo ]