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37.
A Herer. Le formiche bianche.
Razza e religione Danakil. A Mullù.

l’arte della bugia Incomminciando dal nostro arrivo in Herer il nostro capo della carovana teneva un linguagio, come se pensasse di restarvi colà almeno otto giorni in riposo, e noi eravamo in pena per timore che ci mancassero i viveri; tanto più che [lo] vedevamo larghegiare [p. 187] di riso, di biscotto arabo, e di datili ad ogni sorta di persone; ma poi ci siamo convinti che tutto era pura e calcolata bugia per ingannare il publico. Si fermò un giorno, nel quale diede degli appuntamenti in quantità per l’indomani, fingendo di avere affari da trattare, ma verso mezza notte al sortire della luna fece caricare i cameli e siamo partiti. Sembrava che volesse andare per un’altra strada, perché aveva dato appuntamenti diversi, ma tutto fù calcolo e bugia, perché a mezza notte si partì e ci fece camminare per tutt’altra strada. Da ciò si vede che non si credono a vicenda, e l’ingannarsi è per loro un’arte.

arrivo ad un villaggio di un capo tribù
[25.2.1868]
Partiti di Herer, tenendo sempre vie tortuose, e [a] marcie forzate mattina e sera interrotte da un breve riposo nel mezzo giorno, siamo arrivati la sera del quarto giorno ad un piccolo villagio, dove si trovava un capo tribù, vecchio venerando, il quale ci ricevette con molta cordialità. Alcuni dicevano che era quello un parente di Abubeker. Dicendo villagio non vorrei si credesse fosse quello una piccola città; egli contava circa 25. capanne, al più due mettri larghe, circondate da muro secco di pietre dell’altezza poco più di un mettro, coperte, alcune di erba posticia, ed altre di una pelle di bove distesa, nelle quali potevano dormire due persone con qualche bimbo, a condizione di entrarvi a quattro gambe, e non stare in piedi, ma seduti di giorno. Villaggi di questo genere già ne avevamo trovato molti, strada facendo, ma abbandonati, e scoperti [p. 188] prova questa, essere una specie di sistema nei loro piccoli campi provisorii, ove sogliono rimanere fino a tanto che dura l’erba, e poi si trasportano altrove, comunque in quel luogo fummo molto ben trattati, trovammo latte a petizione, e fu l’unico luogo di /330/ tutto il nostro viaggio, dove noi ebbimo tutta la libertà di trattare con ogni specie di persone, massime colle donne curiosissime di vederci, e coi ragazzi, i quali erano famigliarissimi con noi. Mi rincresce di non ricordarmi più del nome, ne del luogo, ne del capo di questa tribu, il quale, essendo noi partiti dopo un giorno di riposo, ci seguì con alcuni cameli carichi, e uomini di servizio, sino al paese di Scioha.

le formiche bianche fra i denakil In quel villagio acaddero due cose che meritano [di] essere notate. Io mi sono allontanato un poco dai compagni per parlare ad un giovane servo del Signor Mekev che soleva qualche volta istruire a parte, e ci siamo seduti tutti [e] due sul terreno quasi nudo e senza erba. Siamo rimasti al più un’ora a discorrere, quando tutto all’improvviso [ci] si sente replicatamente [a] morsicare; [il servo] si leva sul momento e guarda, tutto lo spazio in contatto colla parte nuda della sua persona [e nota che] era già occupato da un mucchio di formiche bianche; appena levato si viddero, ma subito sparirono; colla sua lancia scavò credendo di trovare vicina la casa di dette formiche bianche, ma, anche alla profundità di un palmo, [non] vidde nessun segnale della loro esistenza. Io mi sono alzato, ed ho trovato la camicia bucata, ma poche erano le formiche radunate. le stesse formiche in altri l[u]oghi
[1852]
Io ho già scritto in due luoghi in proposito di queste formiche [p. 189] bianche, in queste mie memorie. La prima volta descrivendo il mio viaggio sopra il Sennar da Rosseres al Fasuglu, quando coricatomi la sera circa le sette, dopo mezza notte, circa sei ore dopo mi sono sentito mordere e mi avevano già mangiato quasi tutta [la] pelle su cui dormiva. La seconda volta ne ho scritto [1855-1859] [trattando della mia permanenza] in Lagamara, molto più a lungo, dove ho fatto molte esperienze sopra questi insetti, in particolare sulla maniera [che hanno] di correre sotto terra, e di sentire la presenza di una cosa o di un fatto in lontananza e di corrervi con prestezza senza vestigio di comunicazione; là frà i Denakil fu un vero portento trovarsi subito in meno di un’ora; quando la terra è secca, dissero gli indigeni, vi corrono più presto; in quel luogo la casa di quelle formiche era visibile circa dieci mettri lontano dal luogo, dove io era seduto

la casa di quelle formiche La casa di questi insetti, nel luogo in discorso, era un mucchio di terra alto circa un mettro di una terra compatta che impedisce anche la penetrazione dell’acqua nelle pioggie. Vicino al villagio dove noi eravamo ve ne erano tre o quattro. Il giovane suddetto mio catecumeno, il quale conosceva un poco la lingua denakil, andò a veder[ne] una di quelle case, circa mezzo kilometro lontano, essa era alta più di due mettri; gli indigeni vi fecero un buco, come specie di piccola porta nella base, e col mezzo del fuoco [p. 190] distrussero quegli insetti e tutte le loro /331/ piccole cellette che vi sono dentro, per lo più di natura vegetale, e rimase un tugurio, dove sogliono entrare i custodi delle mandre per ripararsi dalla pioggia, e dal sole. Potrei dare altri detagli, ma sarebbero poco diversi da quelli che già si trovano nella storia di Lagamara dell’anno circa 1856., epperciò passo alla seconda cosa rimastami [d]a riferire prima di abbandonare quel luogo.

la carne secca detta quanta Io soleva portare qualche volta con me in viaggio alcuni pezzi di carne secca, detta in Abissinia quanta, e soleva prenderne in bocca qualche piccolo pezzetto e masticarlo lentamente per fare della saliva prima d’inghiottirlo. È questo un sistema di uso fra gli indigeni abissinesi, in viaggio. facezie di un’ragazzo denakil Mentre stava discorrendo col giovane servo del Signor Mekev uno di quei ragazzi di quel villagio si divertiva ora con me, ed ora col giovane suddetto prendendo la nostra mano, oppure qualche altra cosa, e per ben due volte prese il pezzo di carne secca che io stava per mettermi in bocca, e se lo mangiò. Come io considerava i denakil come mussulmani, i quali non sogliono mangiare la carne amazzata dai cristiani, mi stupiva vedendo come quel ragazzetto mangiasse con indifferenza quei pezzi di carne, ed ho sollevato la questione col giovane suddetto mio interlocutore, il quale lo interrogò direttamente; come, gli disse, mangi tu la carne dei [macelli] cristiani? [p. 191] una confessione del ragazzo quando vi sono i tugurri che vedono non ne mangiamo, perché ci gridano, confessò candidamente il buon ragazzino, ma quando essi non veggono, ne mangiamo sempre, e ne mangia anche il mio Padre stesso: quando non vi sono i tugurri noi mangiamo la carne dei [macelli] cristiani, e mangiamo anche quella dei corcorò (cinghiali), e non diciamo[:] allah ac bar, Dio, dei musulmani, ma preghiamo il nostro Dio dei Dei denakil, il quale si chiama Xuyer, come quello dei cristiani (sarebbe[:] Eghziabier), che il ragazzino non seppe ben esprimere. Come io non capiva la lingua denakil, mi sono ritirato per lasciargli più liberi a discorrere, ed il mio giovane dopo poté raccontarmi molte cose, che ora non potrei tutte riferire.

sviluppo di una massima Chi leggerà queste mie memorie dirà che sono queste minutezze, le quali non meritano, ne di essere riferite, ne di essere lette. Eppure a chi brama di conoscere la vera storia di quei poveri popoli nomadi, è appunto con queste piccole astuzie e bassezze che si può avere [una certa cognizione di essi]. Il viaggiatore che pretende di scrivere ed illuminare i nostri dotti d’Europa, se non si abbassa in questo modo, si esporrà a publicare ciò che non è. Più ancora, il missionario, il quale deve occuparsi dell’educazione del cuore e della mente dei popoli barbari, deve prima di tutto così esplorare il capitale precedente delle tendenze e dei /332/ pregiudizii dei medesimi per poterli [p. 192] distruggere per vie dolci e simpatiche senza irritare la suscettibilità delle persone. la massima nella pratica In fatti noi, sia in Ambabo, sia dopo in viaggio, vedendo che i poveri denakil, secretamente con certe cautele, si lasciavano indurre da noi a mangiare la carne da noi uccisa colle forme cristiane, credevamo che facessero così indotti dalla miseria e con mala fede, e temevamo anzi d’indurli a mangiare con conscienza erronea, vedendo che essi publicamente facevano professione d’islamismo. Invece il caso era tutto diverso, ed il piccolo ragazzo fù quello che mi svelò tutto il mistero.

nostro pratico errore Ora fin là io stesso missionario avrei scritto indifferentemente in Europa che i denakil erano musulmani di convinzione, mentre lo erano solo per una prepotenza dei musulmani della costa. Sotto la pressione di un prestigio e di una prepotenza dei musulmani della costa, simili misteri di religione tradizionale non si spiegavano publicamente, ma solo in famiglia ai lumi del focolari della sera, e la sola semplicità della colomba, che è dote esclusivamente dei ragazzi, poteva svelarcelo. un’applicazione opportuna Acadeva a quella gente ciò che acade ai novantanove per cento dei nostri liberali atei, i quali perseguitano il cattolicismo da loro segretamente professato, fingendosi liberi pensatori, per godere della liberalità di un governo massonico. Certamente [p. 193] che ciò non è una cosa lodevole, essendo una debolezza scandalosa in famiglia, massime nei nostri paesi, ma intanto per i futuri cal[c]oli, è questa una cosa che interessa molto di sapersi. conseguenze pratiche Nel caso pratico poi nostro dei denakil interessa molto di saperlo in Europa, non solo al missionario che va per istruire, ma molto più per un viaggiatore mandato espressamente col denaro publico, perché in caso di bisogno, simili tendenze secrete valgono più di un’armata. Tanto più poi che una simile religione tradizionale è per lo più una prova scientifica per chi desidera sapere la vera origine di simili tribù o razze: perché la lingua e la religione vanno d’accordo col sangue più che colla politica dominante.

notizie sopra la razza denakil La razza denakil è la medesima razza padrona della costa orientale, incomminciando dalla baja di Tagiurra, sino agli Ahab, al Nord di Massawah, chiamata in alcuni luoghi con diverso nome, come di Taltal, e di Soho sui confini del Tigrè. Hanno tutti la stessa lingua e le stesse tradizioni nella sostanza. Essa ha regnato in Tigrè sul principio di questo secolo, perché [1822-1831] Sabagadis Re del Tigrè prima di Ubiè era un denakil Taltal, come ognun sa, ed io ne sono [stato] acertato dai suoi figli e parenti stessi. Io ho veduto le due tribù denakil, Taltal e Soho, ai piedi di Monsignore [p. 194] Dejacobis al mio arrivo d’Europa nel 1846. ... 47. ... 48. ... 49. come altrettanti figli inclinatissimi al cattolicismo, e /333/ molti già battezzati con una Chiesa in Alitienà fra i denakil Taltal, dei quali [2.2.1847] tre sono stati ordinati sacerdoti da me. Questi tre sacerdoti chiamati col nome cristiano[:] Tekla Haïmanot, Ghebra Mariam, e Tekla Ghiorghis, dei quali ho già parlato altrove, sono stati quelli, i quali mi hanno dato queste prime elementari notizie sopra la razza Denakil.

tradizioni particolari della razza dankali o denakil Questa razza Denakil è stata sempre gelosissima osservatrice delle sue tradizioni patriarcali in due punti, quello cioè della vita pastorale della quale suole vivere, lasciando da una parte la coltura dei terreni, unicamente per non essere assalita dai popoli organizzati in società dell’alta etiopia, ai quali ha usato più o meno [di] pagare qualche tributo per conservare la propria indipendenza pastorale. Il secondo punto, nel quale la razza Denakil fu sempre gelosa osservatrice, è quello della schiavitù; il vero denachil compra schiavi, ma gli adotta come figli e non suole vendergli; esso, nel suo cuore odia i mussulmani della costa appunto per causa della tratta dei schiavi. una rivelazione del ragazzo Fra le rivelazioni fatte dal ragazzo suddetto al giovane abissino, servo del Signor Mekev, una era questa: questi mercanti di Tagiurra io non gli amo, diceva, perché vendono di uomini, e ne fanno dei capponi, o meglio copponi (eunuchi); essi hanno preso un mio compagno, da me molto amato, l’hanno tagliato, non per ingrassarlo, ma per ingrassarsi; oggi il poveretto non è più ne uomo, ne donna, e forze a quest’ora sarà già venduto.

tribù e regno di Aussa La razza denakil finalmente ha una venerazione per la tribù residente nei contorni del lago di Aussa, dove sbocca e si perde l’Awaz. Il capo di questa tribù oggi detto Hanferiè è come l’oracolo, oppure diciamo, come il Re di tutta la razza denakil. [p. 195] Questo Re di Aussa è ancora un mistero; alcuni vogliono che sia un musulmano fanatico, perché è nemico dei forestieri, massime degli europei. Non mancano però di quelli che negano in lui un sincero islamismo, e dicono che questo odio dei forestieri non sia altro che una politica conservatrice della sua indipendenza; oppure un’odio ai mercanti di schiavi, come pretendono altri. guerra con Tagiurra Il certo si è che l’attuale re di Aussa, e prima di lui il suo Padre, ha sempre avuto la guerra con Tagiurra, sia per odio al commercio dei schiavi, ossia piuttosto per politica contraria al governo della costa, il quale ne pretende il domino; ossia ancora più probabilmente, perché Tagiurra ha sempre lavorato per rendergli indipendenti le tribù denakil del sud, per aprirsi la strada al commercio del regno di Scioha, come già si è parlato più sopra, quando si parlò di Abubeker.

Qualunque sia la questione di questo re di Aussa, è certo però che la razza denakil [non] ha mai voluto stabilirsi sulla costa del mare in tutto /334/ il litorale da Tagiurra sino sopra Massawah. ragione del suo isolamento Io credo che la ragione principale sia stata, perché tutto quel litorale, essendo tutto arido e secco, quasi senza vegetazione e senza acqua, si prestava poco al loro stato di tribù [di] pastori per le numerose mandre di animali che [le] mantengono. [p. 196] Tuttavia non mancano altre ragioni, fra le quali non deve essere dimenticata quella dell’amore alla sua vita pastorale e patriarcale, lontana da ogni commercio, massime dei schiavi. Dalle rivelazioni del ragazzo che ci ha introdotti in questa materia, si conoscono le tendenze della razza Dankali. La storia poi di essa prova che questa razza è una razza per se stessa pacifica, come avrò occasione più diretta di provarlo, quando io stesso mi sarò trovato in contatto colla medesima, raccontando la storia della colonia da me incomminciata quasi frammezzo di loro in Rasa, alcuni anni dopo la mia entrata nel regno di Scioha.

il capo della carovana solleva una questione Nel lasciare il villagio, del quale è stato questione sin quì, il capo della carovana mi fece intendere di regolare un poco più il consumo delle provisioni, per la ragione che esse erano diminuite notabilmente, pensando che ci rimaneva ancora circa una metà del viaggio. Al sentire questa intimata avrei avuto ragione di sollevare molte questioni tutte gravissime. Infatti, come già si è notato di passaggio, tutte le provisioni statemi messe in nota e pagate da me non sortirono dal suo magazzino, o non furono che una finta; delle stesse proviste venute da Aden, egli ne prese e ne mandò alla sua casa di Borzano; e quindi in viaggio non fece che dare ai suoi amici, come tutti vedevano. ma vince la pazienza Ma pure, fatto bene i miei conti, ho creduto meglio [di] usare prudenza, perché eravamo ancora [p. 197] troppo lontani dal regno di Scioha; i miei stessi compagni fremevano, ma pure usavano prudenza; la cosa arrivo ad un punto tale che un bel giorno, strada facendo, essendosi aperto un’otre di datili da noi comprati si sollevò la questione, che mi volle tutto a poterla calmare, perché il Signor Mekev stesso furibondo non seppe contenersi. Io stesso, per rimettere l’equilibrio, e la pace, mi viddi costretto a prendere le parti del ladro oppressore, cosa farci? la povera pecora non era ancora sortita dalla unghie dell’amico leone.

nostro arrivo a Mullù
[27.2.1868]
Alla meglio intanto, soffrendo, or di fame ed ora di sete, in quattro altri giorni siamo arrivati a Mulù. Fosse questo il nome del luogo, oppure del fiume, il quale desse il nome al luogo, non saprei dirlo; fatto sta che siamo entrati in una vasta pianura, quasi priva di vegetazione, al nord del gruppo di montagne tutte vicine degli Ittu Galla; abbiamo passato il letto molto vasto di un torrente tutto secco e senza acqua, il quale discendeva dalle vicine montagne degli Ittu galla suddetti. Il torrente /335/ correva fra due rive alte circa quattro mettri tagliate a picco dall’aqua in un terreno di puro humus. Passato questo torrente, la nostra carovana si riposò all’umbra di alcuni grandi alberi tutti vicini alla riva dello stesso torrente. il torrente secco di Mullù. Appena fermi il primo bisogno in quei paesi [p. 198] è quello di cercare acqua più preziosa del vino, a cui, non ci si pensa[va] più, ma in tutto quel vasto letto di torrente, [non si trovava] neanche una goccia da poterci rinfrescare le arse labra. Un bravo dankali tutto amico del P. Prefetto, a cui aveva dato la sua borza [d]a guardare in segno di amicizia, preso un’otre vuoto, ed accompagnato da uno dei nostri giovani, andò a cercarne, e discesi nel torrente, camminando circa un quarto d’ora a lungo del torrente, trovarono un pozzo scavato dai viandanti, dove alla profundità di qualche mettro trovarono dell’acqua freschissima, la quale ci consolò più che non ci avrebbe gustato una bottiglia di Sciampagne, eppure di scielta acquavite della nostra Europa. Questi fiumi o torrenti che discendono dalle altezze nei grandi piani deserti in Africa, passata la piena, pochi giorni dopo, si presentano secchi all’occhio del viaggiatore, anche per uno spazio di molte leghe; ma il calcolista, sotto lo strato mobile di ghiaja, o arena trova dei piccoli depositi, ed anche dei piccoli filoni di aqua, come io stesso ho potuto convincermi in una piccola cataratta di simili fiumi.