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9.
Accademia religiosa. Un Abuna cattolico.
Prodotti agricoli di Fekeriè-Ghemb.

un’academia di canto e poesie L’indomani ho visitato la Chiesa di S. Giorgio, dove gli alumni mi diedero una specie di academia di canto indigeno, e mi fecero alcune brevi poesie. Avrei bramato di avere quelle poesie in scritto, ma, cosa strana! in tutto quel collegio di 50. giovani nessuno sapeva scrivere; cosa vuole? mi disse l’alaca, uso di non scrivere nelle scuole superiori sarebbe un disonore [usare] la scrittura, [p. 376] ed io stesso non so scrivere, ma nei nostri bisogni abbiamo il nostro scrivano. Oggi per noi è una cosa stravagante, ma se meditiamo la storia dei nostri secoli passati prima della stampa non era cosa strana trovare allora una persona classica, ed anche dottissima, la quale non sapesse scrivere, come noi oggi non sappiamo stampare; era allora, anche fra noi, l’epoca degli amanuensi, classe molto inferiore alla classe dei dotti e [dei] pensatori; gli amanuensi erano persone stipendiate, epperciò poco rispettate nella società di quei tempi. I secoli girano e cangiano costumi, ma non in tutti i luoghi, e lasciano dietro di se monumenti viventi. L’Abissinia è un’affare simile; il nostro secolo è il secolo della caligrafia e della stampa, esse si elevano, mentre si abbassa il regno delle idee. Nella chiesa però vi è stato in ciò sempre qualche eccezzione, perché i nostri monasteri antichi coltivavano l’uno e l’altro. La nostra è l’epoca del bel parlare, del bel scrivere, del bel stampare, del bel stile, uno verbo è l’epoca degli artisti.

[un’academia di canto e di poesia]
la chiesa di san Giorgio e il suo orizzonte
Dopo l’academia abbiamo visitato la Chiesa: una vecchia capanna, la quale contava già 40. anni dacché era stata fabricata; essa era circondata da un boschetto di alberi di gran fusto; intorno alcune altre capanne più o meno grandi, [come] abitazioni degli inservienti immediati e nulla più. Nel circondario vi era [p. 377] il cimittero, l’abitazione dei morti, e poi un poco più lontano una quantità di piccole capanne [come] abitazioni degli alumni e di alcune generose [= prostitute], perché nella povera Abissinia la religione era divenuta un secondo cimittero di ossa aride che aspettavano un profeta per risorgere. L’orizzonte di S. Gior- /80/ gio era bellissimo; a ponente la visuale incontrava l’altezza dominante di Emmavret, e la sua subordinata di Condy; del resto all’intorno, poteva spaziarsi, non solo l’occhio del presbite, ma del canochiale e del telescopio. Dopo la visita di S. Giorgio abbiamo visitato Ato Walde Ghiorghis, ed il Governatore Ghebra Salassie. schiavi del Guraguè Mi fu presentata là una quantità di giovani schiavetti, affinché io scegliessi quelli che mi occorrevano per il servizio della casa; così è l’ordine del Re, dissero gli amministratori. Io ne ho scielto due dei Goraguè, pensando all’avvenire di quel paese cristiano in origine, ma decaduto affatto. Questi due schiavi, dopo essere stati istruiti, nel partire non ho avuto il coraggio di prenderli, perché un poco guasti, e seppi con gran pena che furono dati dal Re ai musulmani come merce. (1a) Ho cercato di richiamarli, ma non fui più a tempo, perché erano già partiti per la Costa.

occup[a]zioni in Fekeriè Dal detto sin qui potrà il lettore formarsi un’idea del bel riposo che io poteva trovare a Fekeriè Ghemb, ma ripeto ciò che già ho detto, il sacerdote riposa [p. 378] non lasciando di lavorare e dormendo, oppure divertendosi in cose mondane, ma lavorando di più con qualche speranza di esito felice, oppure [con] qualche consolazione accordatagli da Dio per sostenerlo. Benché tutti quei discepoli di Alaca Tekla Tsion, [non] avessero ancor nulla di spirituale, perché tutti giovani ancora digiuni, i quali non avevano ancora seduto alla mensa del Signore, per godere la pienezza delle sue grazie, pure il vedere solo in alcuni un certo desiderio di sentire la parola di Dio, mi dava un tale vigore da non sentire più la fatica. orario stabilito La mattina sul fare del giorno, quando più e quando meno, una quindicina di giovani era già alla porta che aspettava l’ora della preghiera e del catechismo; lo stesso accadeva la sera sul fare della notte. Si recitavano le preghiere in lingua volgare del paese; quindi si faceva [si faceva] il catechismo sull’unità e trinità di Dio, sopra il mistero dell’incarnazione, e poi qualche altro articolo a scielta del catechista. Dopo di ciò [seguiva] una conferenza, o morale, oppure dogmatica. Questo [non] si lasciava mai, mattina e sera.

esercizii quotidiani Ciò fatto il popolo venuto alla preghiera se ne andava, ed io passava ancora un’ora a sentire le difficoltà che mi opponevano, cioè mezz’ora in publico, ed un’altra mezz’ora in particolare a chi mi domandava /81/ [p. 379] nella mia particolare capanna, dove anche, se occorreva, io sentiva le confessioni. Passato questo, si faceva una piccola scuola di lettura latina, alla quale io assisteva, e poscia da qualcheduno da me deputato si faceva un poco di scuola di lingua sacra del paese. Circa le ore dieci in una casa a parte si radunavano le persone di riguardo per l’udienza publica, nel quale tempo gli indigeni disputavano ed io ascoltava, facendo le mie osservazioni, e ciò sino all’ora del pranzo. Alle due dopo mezzo giorno incpmminciava di nuovo la scuola come la mattina, e questa durava sino alle cinque e mezza circa, e la giornata finiva colla preghiera, catechismo, e conferenza come la mattina. In tutti i giorni festivi si lasciava la scuola; la mattina dopo la Messa vi era la spiega[zione] del Vangelo: un giovane ne leggeva un capitolo in lingua del paese, e quindi io ne faceva la spiegazione. La sera si recitava il s. rosario, dopo il quale seguiva la lettura di un capo della S. Scrittura, da me fissato, e poi seguiva la spiegazione, come quella della mattina.

radunanza di capi delle chiese
[a Liccè: 21-22.9.1868]
Passati alcuni giorni dal mio arrivo a Fekerie Ghemb si radunarono un bel giorno molti alaca di diverse Chiese di Ankober e di diversi altri paesi; vennero pure molti professori, quasi tutti oracoli della Scuola di Devra Libanos. Il loro scopo era di conferire frà [di] loro sopra la ques- [p. 380] tione gelosissima di fare riconoscere dal Re il Vescovo cattolico. Erano da 15. a 20. di questi oracoli, e passarono due giorni in continue conferenze prima di presentare a me la questione, benché io sapessi tutto ciò che si passava. parlata del congresso a me Alla fine vennero da me in corpo, e prese la parola uno in nome di tutti. Io non riproduco qui il discorso, perché sarebbe troppo lungo, ma ciascuno può imaginarlo; essi finivano per dire che pensavano di fare la domanda al Re, il quale certamente non avrebbe mancato di ascoltargli, come cosa che egli non mancava di desiderare. Noi, dicevano essi, non domandiamo altro che il vostro consenso, tutto il resto lo faremo noi.

mia risposta generica Quando tutto il discorso fu terminato, e restava solo a me la parola. [Dissi:] Io vi ringrazio dell’onore che mi fate; niente [di] più facile che dare il mio consenso in una cosa che io naturalmente debbo desiderare, ma resta [d]a vedere se convenga, oppure non convenga; il pro e contro. una domanda fatta mal a proposito potrebbe produrre un’effetto tutto contrario a quanto io, voi, e forze il Re medesimo desidera. Fatta che sarà la domanda, il Re [non] potrà mai prudentemente darvi una risposta affermativa senza sottoporre la questione al consiglio trattandosi di una cosa che interessa il publico; voi potrete essere [p. 381] certi di non avere la risposta che desiderate, e non farete altro che armare l’opinione publica con pericolo di rendere impossibile ciò che desiderate. Un generale di /82/ armata suole riservare l’attacco diretto come l’ultima cosa per il caso disperato. Voi colla vostra domanda cercate di convertire il Re e tirarlo verso di voi per l’onore del vostro partito, ma io vi assicuro che il Re è già convertito. Supponete ancora che il Re ancor giovane, messa da una parte tutta la prudenza che si ricerca in una questione così delicata, egli vi dia una risposta affermativa, cosa guadagnate voi? cosa guadagno io? forze io guadagnerei qualche facoltà di più che non abbia? Per questo sappiate che io ho già tutte le facoltà dallo stesso Cristo. Forze che io otterrei qualche onore di più? Anche in ciò persuadetevi pure che io sono già troppo onorato dal Re.

dove sta la difficoltà Ora in ogni questione tutto sta nel conoscere dove sta la difficoltà, affermata questa siamo certi della vittoria. Ciò posto volete che vi dica il mio sentimento schietto? eccovelo in due parole: la questione che ci occupa non è col Re, ma con Dio; dal momento che Iddio sarà con noi, e noi saremmo sinceramente con lui, allora potremo essere certi della vittoria. Ma lasciamo le generalità, e discendiamo [p. 382] al particolare: Il Re Menilik non sarebbe contrario di riconoscere un Vescovo Cattolico, ma penza alle conseguenze. cattive conseguenze di un sistema cattolico legale Al nostro vescovo copto nulla importa che noi andiamo all’inferno oppure al paradiso; egli è venuto per godere degli onori e per farsi ricco, trovato questo, egli ha trovato il fatto suo e ci lascia fare come vogliamo: il vescovo cattolico all’opposto non la pensa così; egli si crede obligato in conscienza di fare ogni possibile suo per farci buoni cristiani e salvarci dall’inferno; prima verrà da me, e poi verrà da voi e dirà: mi avete riconosciuto come vostro Padre; dunque mettetevi in regola, e vivete da cristiano facendo il vostro matrimonio e la communione; se rifiutiamo lo disgusteremo e faremo cagnara con lui. Questa è la prima conseguenza, alla quale dobbiamo pensare.

compromette la pace La seconda conseguenza è quella della pace del paese, egli vi dirà. Supponete che il Re Menilik acconsenta alla vostra domanda, e riconosca un Vescovo Cattolico; posto ancora che questo vescovo cattolico possa convenire con voi, e che non nascano difficoltà riguardo alle nostre Chiese assuefatte a vivere a loro modo con molti usi più galla che cristiani. Supposto anche tutto questo, col tempo non mancherà di venire un vescovo copto, chiamato dal Tigrè, [p. 383] da Gondar, e dal Gogiam, come è l’uso fra noi; venuto questo vescovo, egli non riconoscerà il vescovo cattolico da noi riconosciuto, e cercherà di sollevare gli altri principi contro di noi per caciare il nostro vescovo; allora noi saremo obligati a fare la guerra coi tre quarti dell’Abissinia cristiana per difendere il nostro vescovo e la nostra fede, oppure tradire al vescovo ed alla /83/ fede. Per soprapiù noi dobbiamo calcolare che il regno di Scioha, nella sua parte cristiana, conta un terzo, se non più, che non è Devra Libanos, ma è Carra eutichiano fanatico, il quale non riconoscerà il nostro vescovo cattolico, ma seguirà il vescovo copto eretico.

un piano di Menelik In seguito a tutto ciò, io suppongo che il Re Menilik vi proporrà un terzo partito più pratico e più prudente. Sentite, egli vi dirà, io ho già pensato molto seriamente a ciò che voi domandate, e che è stato sempre il voto dei miei Padri, ma vi scorgo delle gravi difficoltà. Dopo la venuta di questi Padri io non gli ho perduto di vista, ho studiato il loro spirito, ed ho esplorato i loro piani di operazione (1b) ; vi assicuro che ho studiata la questione, e la studio continuamente per vedere ciò che conviene fare. Abba Messia nella lettera che mi scriveva prima di venire, egli protestava che non sarebbe rimasto qui, ma che domandava solo il passaggio per [raggiungere] le sue antiche missioni di Gudrù, di Ennerea e di Kafa, ed io rispondendogli [p. 384] gli aveva promesso che non l’avrei trattenuto, ma che l’avrei fatto passari; dopo la sua venuta egli non fa che ricordarmi la parola datagli; ha mandato già le sue lettere a tutte le sue missioni, e ne aspetta la risposta. Potrebbe darsi che mi sorta [con] la questione, ed allora io sarei obligato a mantenere la mia parola. È vero che ad ogni caso egli non acettando, quando le cose nostre fossero meglio organizzate, [egli non acettando] non mancherebbe di farci venire un’altro, ma prima di far questo dobbiamo pensarci per non fare poi una cattiva figura in facia ai paesi lontani che noi non conosciamo.

mia risposta al congresso Io conosco oggi il Re Menilik, come egli può conoscere tutto il fondo del mio cuore, perché ci siamo già praticati abbastanza, e quand’anche egli non avesse sentito molte cose da me, egli [le] ha potute sentire dal Signor Mekev, il quale ha veduto e sentito molte cose da me in cinque o sei mesi che passò con me in Aden, in Ambabo, ed in strada, dove si dormiva sempre vicini, e si passavano le serate in conferenze ed istruzioni. Il Re Menilik perciò vi sortirà [con] un terzo piano di conciliazione: Sentite, egli vi dirà; io conosco abbastanza lo spirito di questi preti: essi non sanno cosa fare di mondo, di interessi, e di onori; essi non cercano altro che la gloria di Dio, e la salute eterna delle anime nostre. Se dunque noi gli amiamo e siamo davvero risoluti di seguirli, un solo partito è quello che ci conviene, quello cioè di lasciargli /84/ [p. 385] liberi, di rispettargli, e di ajutargli in ciò che possiamo, e poi lasciargli fare. Le cose di Dio non dipendono, ne dal Re, ne da alcuna protezione del mondo, essi dicono, ma devono venire da Dio, e dipendere solo da Lui (1c). Non vedete voi ciò che io facio? gli onoro, gli venero, e gli lascio fare; ecco l’unico partito da prendere, se mi ascoltate, lasciategli fare, essi si occuperanno, dei vostri figli e gli istruiranno, essi avranno cura dei vostri poveri per quanto possono, si occuperanno anche dei vostri ammalati, e non desiderano altro che di essere liberi. Essi amano la pace, e non vogliono sollevare questioni, essi sanno compatirci se siamo deboli, ci consigliano se vogliamo sentirgli, e se saranno perseguitati sapranno anche aver pazienza, e sapranno anche morire nei caso. Gli volete? fatevi santi, seguiteli, ajutateli se potete; ecco il loro sistema; ecco il partito che dobbiamo prendere. Cari miei, ripresi io con tutta quella gente, ecco ciò che vi dirà il Re Menilik, il quale ci conosce abbastanza. Così finì la nostra conferenza, e se ne andarono.

[scuola e ministero] Io intanto nel poco tempo che sono rimasto in Fekerie Ghemb, ho continuato i miei catechismi, e la mia scuola. Sopra tutto ho cercato d’istruire l’Alaca Tekla Tsion, e coltivare in modo speciale una piccola quanti[tà] dei suoi alumni, quelli che vedeva meglio inclinati. Ho cercato d’insinuare dolcemente [p. 386] un poco di disciplina e di moralità a tutti quei giovani della sua scuola. Ho instituito là un piccolo catecumenato. In due mesi ho potuto amministrare in Fekerie Ghemb, il s. battesimo e [comunione e cresima: 4.4.1869] la cresima al piccolo Tessamà figlio del Signor Mekev, ed al piccolo Ayly, figlio di Mannayè capo, o direi Ministro d’industria e belle arti del regno, il quale pure già stava in casa da alcuni mesi. [2.4.1869] Sopratutto in Fekerie Ghemb ho battezzato secretamente e confermato due grandi uomini, uno Tekla Tsion, di cui si è già parlato, e l’altro un certo Saheli professore in Ankober in una gran chiesa detta Devra Mariam. (1d) Ho battezzato innoltre tre alumni di Tekla Tsion, i quali pas- /85/ sarono poi al mio seminario, e furono Tekla hamanot, Atmiè, e Walde Ghiorghis, tutti [e] tre nativi di Haramba città del primo fondatore della dinastia del Re Menilik, situata al Nord ai piedi della montagna di Fekerie Ghemb.

mio orto di Fekerie ghemb Nei due mesi che ho passato a Fekerie Ghemb i miei giovani di casa, nei momenti di libertà, dovendo occuparsi di lavori manuali, mi prepararono un bellissimo orto, dove ho seminato e piantato parecchi articoli portati con me dalla Francia. Prima di partire ho destinato qualcheduno a coltivarlo: io di quando in quando ritornerò per rivedere la piccola colonia cattolica, dissi, e seguiterò a coltivare la parte mistica e la parte materiale. [p. 387] Benché Fekerie Ghemb fosse ad’un’altezza sopra i tre mille mettri, dove tutti gli alberi erano con una barba bianca pendente della parentela dei liken, pure vedendo che non faceva gran freddo, mi lusingava che tutte le produzioni ortensi avrebbero vegetato; ho voluto tentare la vigna, ed alcuni altri semi venuti dalla nostra europa, e dei diversi paesi della nostra Italia bassa ed alta, marittima e centrale, ma mi sono sbagliato; fra gli ortensi, le patate, i cavoli gabusi, le lattughe, i scelleri, le carotte, le betrave, (1e) e simili del nostro piemonte fecero mirabilmente, ma i semi di Roma, e di Napoli non fecero fortuna; anche la vigna non fece fortuna. Nel mese di Genna[jo] e Febbrajo seguente, gli alumni di Tekla Tsion mi portarono a Liccè una testa di cavoli che pesava almeno da 12. a 15. libbre, un cavolo fiore bianco compatto di parecchie libre; così altri [altri] piccoli prodotti dei piani del Piemonte, i quali furono una vera meraviglia. Ciò sia detto per far conoscere di passaggio la posizione di Fekerie Ghemb, e la riuscita di certi prodotti nostri in quelle altezze etiopiche della zona torrida.


(1a) Ho già parlato [mar. 1855] altrove di alcuni ordinandi venuti dal Guraguè. E questo un’alto piano all’ovest di Scioha da 20. o 25. leghe lontano, al sud del lago Zuwaïe. Nel Guraguè si contano circa 50. Chiese con qualche culto cristiano, ma sono divenute tutte proprietà particolari con tutti i diritti annessi tanto spirituali, che temporali. I possessori delle medesime non conoscono altro dovere, che di presentarsi al Vescovo d’Abissinia per essere riconosciuti dal paese; ciò fatto possono impedire giuridicamente il ministero ad altro prete estraneo. [Torna al testo ]

(1b) Menilik alludeva a quanto io gli lasciai scritto nel piccolo libro già citato, che io chiamo il Telemaco. [Torna al testo ]

(1c) Metto in bocca del Re Menilik molti consigli del mio piccolo Telemaco, lasciato pochi mesi prima nelle sue mani. In quel piccolo libretto, io aveva in modo particolare sviluppata la questione della religione in contatto [contatto] col potere civile. Il Re, diceva io, deve assistere la religione, come un figlio assiste il suo Padre, ma non deve pretendere di giudicarla, fuori delle sue attinenze puramente civili; La religione è un corpo a parte che si amministra e giudica da se; essa dipende solo da Dio e dai superiori legittimi; il prete che cerca l’amicizia della corte è di vocazione sospetta: lasciate il prete che si occupi del fatto suo; e simili avvisi. [Torna al testo ]

(1d) Questi due soggetti in seguito furono tutti [e] due sacerdoti indigeni. Tekla Tsion gode la riputazione di gran professore, ed è forze il più gran oracolo ddl’Abissinia cristiana; è flemmatico e debole in pratica. Il secondo è meno dotto ma molto più forte nell’eloquenza, con un carattere tutto fuoco.
La conversione di questi due fece una grande impressione nel publico; essi fecero molto bene, ma scossero le passioni di molti. [Torna al testo ]

(1e) La bietola rossa, [è] detta in Francia betrave, ed in piemontè biarava; in Roma questa si chiama carotta, anche nei dttionarii della Crusca; mentre la carotta in Francia ed in Piemonte è un’altra pianta ortense, molto usata nelle cucine. La bietola rossa nel primo anno fù di una grossezza portentosa e tenerissima, ma negli anni seguenti divenne bastarda e quasi tutta lignea. Anche i cavoli si mantennero benissimo nel primo anno, ma poi in seguito, di tutte le specie se ne fece una specie sola; lo stesso cavolo fiore bianco e nero, si imparentò e non riuscì più. [Torna al testo ]