/226/

24.
Ricevimento della spedizione italiana.
Doni a Menelik e decorazione a Massaja.

il congresso convinto Quando il congresso ebbe sentito tutto questo, allora si diede per vinto. Senza di questo la povera Spedizione geografica italiana non so come l’avrebbe passata. [Antinori ad Ankober: 30.9-6.10.1876] Fu allora solamente che il Re ha risolto di riceverla con tutti gli onori dovuti a persone amiche; egli allora ordinò ai suoi Procuratori che la facessero partire da Aramba per Ankober, e quindi da Ankober in un giorno determinato fece la sua entrata solenne a Liccèe, dove fu ricevuta con gran festa collo sparo del cannone, e di molti fucili. Antinori si presenta al re
[7.10.1876; doni e lettere: 8.10.1876]
[risposta di Menelik al re d’Italia: 14.10.1876]
Quando Antinori coi suoi [p. 635] colleghi entrò alla presenza del Re Menilik, io ed il P. Prefetto Taurino eravamo seduti a lato del Re, e facevamo da dragomanno, Antinori fece i suoi regali e presentò le lettere del Re Vittorio Emmanuele, dei suoi ministri, e del Presidente della Società geografica. Il primo giorno fù un giorno di semplici complimenti; si lessero le lettere, e si presentarono i regali del Re d’Italia. In quanto alle lettere, se ne fece una traduzione in parole, ma poi il Re consegnò a me il piego, affinché ne facessi una traduzione in scritto da poterla leggere a suo commodo. Lo stile epistolare delle nostre lettere europee è difficile a riprodursi nella lingua abissina, una delle più antiche fra le semitiche, epperciò delle più laconiche ridotte a voci elementari. Il nostro stile europeo, massime epistolare è molto ampolloso, e non può essere tradotto che al senzo e non alla lettera. (1a)

osservazione sopra i regali Relativamente ai regali mandati dal Re d’Italia al Re Menilik debbo fare osservare una cosa che potrà essere utile in simili circostanze, occorren- /227/ do di spedire regali ai paesi semibarbari. I regali del Re d’Italia furono troppo belli, tutti capi lavori italiani, ma erano articoli troppo pellegrini all’uso ed all’industria del paese, epperció [non] furono, ne compresi, ne graditi; un bel buratino fa più impressione che una moneta d’oro ad un bimbo, ecco la ragione; buoni fucili, e buone sciabole arabe da loro conosciute, oppure altri oggetti sufficientemente conosciuti, ed in uso nel paese sarebbero stati [p. 636] molto più graditi e rispettati. Invece diventarono oggetti che il Re diede ben presto in regalo a persone ordinarie della corte. la commenda venuta a me
[e membro on. della Società: 18.4.1875]
Qui io debbo confessare una specie d’ingratitudine al Re Vittorio Emmanuele, e farmi in certo modo vedere come un vero barbaro da quei novelli forestieri italiani. Il Re Vittorio Emmanuele, non so per qual merito, forze perché lo conobbi e l’ho praticato molto in Moncalieri, [1836-1841] in tempo della sua educazione, volle spedirmi la commenda [dell’Ordine cavalleresco] di S. Maurizio e Lazzaro. Antinori che ne era il portatore, volle farmi una tale improvisata alla presenza dello stesso Re. Io ne feci nessun caso, perché [non] ho mai avuto nessuna passione di simili decorazioni, fatte non per gli ecclesiastici, ma per i secolari, anche nei nostri paesi medesimi. (1b)

non opportuna Ora fu una vera fatalità, lo stesso regalo che il Re Vittorio Emmanuele mandò a me, per mancanza di opportunità, dovette fare la stessa fine degli altri. Io dunque, veduto quell’oggetto l’ho messo da una parte senza dire una parola, perché sarebbe stata inopportuna e non compresa da tutta quella gran moltitudine di gente indigena. Io qui confesso che non era uno stoicismo quello che mi guidava in quel momento, ma aveva i miei fini superiori, dei quali sarebbe stato mal a proposito parlarne in quel momento. Fatto sta, ed è, che, finita la cerimonia del ricevimento, ognuno ritirandosi, io pure me ne sono partito senza neanche vedere quel prezioso oggetto. sua fine curiosa Il P. Prefetto, in quel momento già preconizzato Vescovo di Adramit, e mio [p. 637] Coadiutore nell’apostolato, conobbe tutto il linguagio del mio silenzio, e nel partire raccolse egli quell’oggetto prezioso, come un frutto straordinario fuori stagione che cade immaturo, e lo portò con se per non lasciarlo abbandonato come una margarita gettata ai porci. Egli non ne fece più parola a me, ed io, osservai rigoroso silenzio, e non se ne parlò più. Circa un’anno dopo, il Re Menilik fece un viaggio in Antotto, borgo dove restò molto /228/ tempo la corte dell’impero abissino, sino all’epoca di Gragn, e volle visitare la nostra missione di Finfinnì. Sapendo il Re che la mia croce di Commendatore si trovava nelle mani di Monsignore mio coadjutore, volle vederla, e non la restituì più. Alcuni giorni dopo quella decorazione fu veduta al collo di un piccolo ragazzino di corte, e non se ne seppe più nulla. Così in Abissinia ha finita la mia Commenda. In verità è stata quella una fine barbara; ma non la più barbara, perché si può dire semplicemente una cosa perduta, come non conosciuta in tutto il suo valore; non però disprezzata. Ne si dica che la causa è mia, perché io non l’ho amata, e non l’ho acettata, perché, appunto non l’ho amata, come cosa inopportuna, che sarebbe stata perduta nelle mie mani.

esame comparativo della questione Quando poi si volesse entrare nel merito della questione, si potrebbe domandare, se la Commenda spedita a me in Abissinia sia stata più mal capitata di altre moltissime state mandate dal Re a certi individui, o ebbrei, oppure mussulmani, le quali sono anche molte, state acettate, ma nel fondo [p. 638] disprezzata da chi l’ha ricevuta, come distintivo religioso conosciuto, e contrario alla propria religione (1c). le decorazioni cosa sono Nella sua origine la commenda è un grado di dignità proprio di un ordine religioso militare, il quale porta il nome di ordine cavalleresco, perché nel tempo della loro origine la milizia era quasi tutta a cavallo, come lo è ancora in Etiopia, dove in certi paesi la fanteria è quasi nulla, ed è riservata solo per i luoghi, dove il cavallo non può arrivare. Come ordine religioso fondato dai Papi, con un distintivo sacro per i cattolici, come è la croce di Cristo, sarebbe stato meno male lasciarlo da una parte, come tanti altri ordini religiosi stati soppressi dalla forza draconiana di alcuni governi, e formarsene un’altro, come lo speron d’oro, la mezza luna dei turchi, ed altri simili. In questo caso il distintivo di merito civile semplice potevano darlo a qualunque, anche ad una scimmia, oppure ad un cavallo.

loro doppio valore In simili decorazioni bisogna distinguere due cose, il valore semplicemente civile consistente in un segno esterno qualunque, col quale il governo intende [di] far conoscere al publico il merito puramente civile di una persona, e premiarla nel tempo stesso, onde incoraggirla al bene, e disporla sempre più all’obbedienza verso il suo governo. In secondo luogo deve considerarsi la natura particolare di un simile segno per se /229/ indifferente, oppure per se avente, o nella sua forma, oppure nella sua instituzione un significato [p. 639] per se inseparabile da una religione positiva qualunque. Di più in queste decorazioni deve considerarsi lo scopo della sua fondazione, o puramente civile, oppure per se stesso religioso; lo scopo cioè annesso alla decorazione stessa, nel suo principio; oppure inteso dal governo. natura dell’ordine cavalleresco Ciò tutto ben contemplato, lasciando ancora da una parte la croce, come segno esterno eminentemente cristiano, e considerato generalmente come sacro da tutta la società cristiana del mondo universo, il semplice ordine cavalleresco ha per se stesso una natura ed un’origine tutta ecclesiastica, instituita per incoraggire i fedeli nella guerra contro i nemici della fede, e come tale è stata ricevuta da tutti i governi cristiani, e fatta passare ad uno stato di decorazioni anche civili. Ora veniamo alla pratica: non è una cosa che ripugna vedere simili decorazioni al collo dei turchi contro i quali sono state instituite? [Di] Più, non ripugna vedere queste decorazioni date anche dai nostri governi per incoraggire la guerra contro la Chiesa di Cristo? Faciamo un passo ancora più avanti: il cristiano nell’acettare simili decorazioni, non sarebbe per esempio da scusarsi, se teme di rendersi colpevole di apostasia al suo Dio, ed alla sua religione al medesimo giurata?

Con ciò io credo di avere risposto a chi per avventura fosse stato scandalizzato da me, perché non ho degnato di un solo sguardo la decorazione suddetta statami spedita in Scioha dal Re Vittorio Emmanuele, ed a [26.1.1879; consegnata: 23.9.1880] quella statami spedita sei anni [p. 640] dopo dal governo che regnava in Roma col nome del suo figlio Umberto al mio ritorno in Patria nel 1880. In caso contrario io potrei ancora aggiungere una sola parola di esortazione al governo suddetto, di date a chi cerca, e a chi vi serve dare simili decorazioni a chi le cerca se vuole pretenderne riconoscenza. Io [non] ho mai cercato simili onori, anche nel tempo in cui simili decorazioni tenevano ancora il loro posto religioso cristiano. io non [la] cercava Quando ho lasciato l’Italia nel 1846. io [non] ho ricevuto nessuna missione dal governo di quel tempo, epperciò [non] aveva nessun diritto di pretenderla. La missione che ho avuto in Africa l’ho avuta da Cristo, coll’oracolo del suo rappresentante Gregorio XVI. a cui solo ho inteso di servire. La Croce, a cui io aveva qualche diritto, era quella del calvario pura e netta, della quale non sono stato degno. Se ho fatto qualche cosa per la Spedizione geografica italiana, l’ho fatto unicamente per obbedire al mio Dio, perché i signori della Spedizione erano miei fratelli ed anzi miei figli in quel paese del mio apostolato, e colà essi non avevano altri amici fuor di me: ciò che ho fatto lo farei ancora, in simile caso, ma non per servire il governo, ma solo per servire Iddio.

/230/ ricevimento cordiale Ciò detto una volta per sempre, facio ritorno alla storia della Spedizione geografica italiana suddetta. Essa fu ricevuta con onori e dimostrazioni molto maggiori di quelle prodigate a me, ed ai miei missionarii quando siamo arrivati. [p. 641] Il Re Menilik incomminciò a spogliarsi di tutti i pregiudizii concepiti contro la Spedizione geografica italiana; gli stessi suoi consiglieri furono per comprendere la natura puramente scientifica della Spedizione suddetta. Il Re prese per la medesima un vero interessamento, e andava spiegando ogni giorno più un’affezione sincera per quei signori. arrivo del bagaglio
[più di 1000 portatori]
Il trasporto di tutto il bagaglio da Aramba nei paesi bassi all’alto piano di Ankober e di Liccèe occupò parecchi centinaia di gabbar del Re per una settimana continua, ed il Re al vedere arrivare parecchi centinaja di casse e di involti concepiva ogni giorno più nuove speranze. I regali già ricevuti da lui nel ricevimento del primo giorno, erano per lui bagatelle, tanto più che, come già si è notato, erano quasi tutti oggetti di gran valore, ma poco compresi.

il deposito A misura che arrivavano le casse e gli involti venivano collocati dentro un gran deposito della casa stessa, dove dimorava il Signor Arnus. Il deposito aveva due ingressi, uno dalla parte interna dell’abitazione reale, e l’altro alla parte opposta nel gran cortile d’ingresso. Di quest’ultimo le chiavi stavano nelle mani di Antinori, il quale abitava ancora fuori del gran recinto, ma le chiavi dell’altro ingresso stavano nelle mani del Re. Il Re nella notte aveva modo di vedere tutto ciò che arrivava; egli possedeva un gran capitale [p. 642] di chiavi e di grimaldelli da poter aprire la maggior parte delle casse. questione dei fucili Una parte degli effetti componenti il bagaglio erano 200. fucili Ramenton con una corrispondente quantità di munizioni per i medesimi; quindi altri fucili scielti di nuove invenzioni: tutti oggetti che il Re amava molto. Antinori pensava di vendere detti fucili, i quali nel fondo formavano il capitale della Spedizione, unitamente ad altre mercanzie, molte delle quali erano state rubate in viaggio. Il Re di notte aveva potuto vedere una gran parte di tutto quello che era venuto, ma esisteva sempre ancora una gran quantità di casse inchiodate, oppure che non aveva potuto aprire senza commettere una bassezza. Egli era molto polito, ma sperava molto. Quando però fosse stato questione del solo Re, sarebbe stata ancora una questione facile ad aggiustarsi, ma erano centinaja di altri, molti anche potenti che speravano.

un mio consiglio ad Antinori Conoscendo io da una parte tutte le speranze del Re, e di molti della sua corte, speranze che potevano equivalere a preterizioni, e sapendo per altra parte da Antinori medesimo, che i fucili, e le mercanzie erano /231/ un capitale di commercio destinato per le spese del viaggio e manutenzione della Spedizione, ho creduto bene [di] suggerirgli qualche mezzo termine di conciliazione: per questi vostri fucili, dissi, correte pericolo di farvi molti nemici, meglio dunque disfarvene al più presto, aggiustando ogni cosa [p. 643] collo stesso Re per chiudere la bocca a tutti. saggia decisione sua Antinori uomo di esperienza prese un partito che era l’unico, per finire ogni questione: quando tutto il bagaglio fu arrivato a Liccèe, il Re, avendo fatto una seconda radunanza di tutti i grandi, in presenza dei medesimi, a nome del Re Vittorio Emmanuele, e della Società geografica, Antinori aggiunse al Re Menilik 50. fucili [a] retrocarica del Ramenton, e [altri 50 fucili] fece un contratto di vendita di tutti gli altri al Re stesso, il quale ne fu contentissimo, e gli fece contare quasi sul momento il prezzo domandato. Così nella sostanza finì la questione dei fucili; rimanevano ancora alcuni fucili di ultima invenzione, per i quali Menilik, gran conoscitore, aveva una gran passione; questi, disse Antinori, sono di proprietà particolare di Martini, di Chiarini, ed anche mia, per i nostri bisogni personali; per quelli il Re non osò più replicare domanda.

le casse non ancora aperte La questione aveva già fatto molti passi verso la conciliazione, ma non era ancor finita, rimanendovi ancora quella delle mercanzie, cose di poca importanza per il Re: rimanevano ancora moltissime casse non ancora state aperte. Il Re Menilik non osava parlarne apertamente, ma parlavano per lui a destra, ed a sinistra molti della corte, i quali ancora speravano qualche cosa. Il Marchese Antinori non inclinava a lasciare vedere ogni cosa: sentite, [p. 644] dissi io, meglio far vedere ogni cosa, perché così con pochissimo costo aggiusterete ogni cosa, e vi libererete da infinite vessazioni in avvenire. Io venendo, non aveva un decimo di quello che avete voi, ma pure, per alcune casse non state aperte, ancora ho dei disturbi dopo quattro o cinque anni. si aprono le casse
[9-11.10.1876]
Il Marchese Antinori, al sentire questo, comprese subito la questione: si fecero venire le casse chiuse con chiave (già state secretamente vedute dal Re): la maggior parte di quelle, appena aperte, il Re le fece chiudere di nuovo, e passarono innosservate, perché erano di vesti europee, cose ridicole per gli indigeni. Si fecero aprire le casse inchiodate, e questa operazione costò un poco di fatica, ma intanto tutti si persuasero che non contenevano armi o munizioni da guerra, cose che avrebbero sollevato delle pretenzioni; invece la maggior parte contenevano oggetti spettanti la collezione di ucelli, animali, o insetti, tutte cose dagli indigeni non comprese. tutti son contenti Tutta la questione si risolvette ad alcune provviste di aquavite, di profumi, di piccoli coltelli, e simili. Di quelle cose Antinori poté fare piccoli regali a tutta quella gente, e così contentare tutto quel mondo, /232/ senza gran costo di spesa. [ultima udienza: 14.10.1876] In questo modo finì la sessione, e la Spedizione restò libera.

Fin qui ha parlato la storia del semplice fatto riguardante la Spedizione geografica sino all’arrivo della medesima in Scioha, compreso il ricevimento avuto dal Re Menilik. riflessioni in proposito Rimane ora la parte appreziativa della storia sopradetta, sia per la parte che riguarda la giustificazione, o lodi dovute alle persone [p. 645] che entrarono nella scena storica; sia ancora come semplice documento istruttivo per ogni caso di simile impresa avvenire. mie lettere al ministro, alla società
[18.12.1876;
lettere di Menelik al re d’Italia: 14.10.1876 ed alla società: 8.12.1876]
Nelle mie lettere di risposta al Ministro Venosta, ed al Presidente della Società geografica S. E. il Cavaliere Correnti, le quali, o sono state publicate, oppure si devono trovare nei rispettivi archivj, mi ricordo d’aver scritto poco presso queste parole = mi rincresce che questa Spedizione sia arrivata qui all’improvviso, perché altrimenti non avrei mancato di presentare tutte le difficoltà che rendono difficile la strada all’Equatore per la via di Scioha e di Kafa; nel caso, non avrei mancato di presentare un piano di viaggio per facilitarlo, e renderlo meno pericoloso = Mi ricordo anzi di avere nelle medesime mie lettere, [di avere] esposto le gravi ragioni che mi inducevano a così parlare; ragioni che avrebbero semplificato molto l’operazione, e l’avrebbero salvata da una totale rovina. Ma le mie lettere arrivarono troppo tardi. Comunque, il lettore di queste mie memorie, che bramasse istruirsi, le troverebbe negli annali della Società geografica, oppure negli archivi suddetti.

il mio piano di viaggio Nel supposto che il governo mi avesse [mi avesse] prevenuto prima di fare la Spedizione, anche nel caso che il mio piano di viaggio per altra via non fosse stato approvato, io avrei certamente fatto un piano di viaggio più economico e meno eclattante, tenendo secreto anche, per quanto sarebbe stato possibile, tutto il piano d’operazione, per non mandare avanti di loro esaggerate notizie da allarmare i popoli inutilmente. sue conseguenze I signori della Spedizione [p. 646] poi, partiti come semplici privati con pochissime proviste, in seguito poi poco per volta avrebbero potuto far seguire tutte le proviste che volevano, col mezzo di mercanti fidi, e colle debite cautele. In questo modo, incomminciando da Zeïla sino ad Ankober avrebbero risparmiato tante avanie e perdite, ed arrivati in Scioha, nessuno avrebbe pensato a loro, ed ogni cosa sarebbe passata inosservata; lo stesso Re Menilik non avrebbe sperato di più di quanto abbia sperato da altri viaggiatori venuti in Scioha prima di loro, ai quali il Re stesso diede molto più di quanto abbia ricevuto. L’indigeno africano ha per lo più bisogni e passioni molto ristrette, e nessuno più di lui può sostenere grandi privazioni e miserie, ma è un’animale, al /233/ quale in presenza di un buon pranzo si dilata il ventre, e si spiega la fame. In questo modo sarebbero arrivati, non solo in Scioha, ma anche a Kafa senza tante spese, e con maggior sicurezza.

l’uomo è sempre lo stesso Ma non [è] solamente in Africa, ma in tutto il mondo l’uomo è sempre lo stesso; l’uomo grande e cosmopolitico conosce molto bene, come in tutto il mondo la debolezza, non solo nell’individuo, ma nei governi medesimi, e nelle nazioni, è madre della paura, e questa arma la mano e mostra i denti. Così parimenti in tutto il mondo la miseria e la richezza sogliono produrre lo stesso effetto. La prima converte il rame in oro nella bottega del cuore [p. 647] e sul mercato delle passioni umane, mentre la seconda cangia l’oro in rame. si risponde [ad] alcune critiche Alcuni troveranno di che dire sulle preterizioni del Re Menilik e sopra le misure politiche di Scioha e di altri governi africani. Ma siamo giusti, e colla bilancia del confronto pesiamo le cose: io voglio lasciare le misure politiche da una parte, come cose più difficili a giudicarsi; io stesso in Roma ho fatto venire un carico di caffè dalla mia cara Africa, ed a titolo solo di dogane ho pagato circa cento franchi. Ora cosa non avrebbero costato in Roma stessa duecento e più carichi di articoli stranieri, equivalenti ai prodotti coloniali in Etiopia? liberalità del re Menilik Da questo solo lato, considerato il caso nostro, possiamo già assicurare che il Re Menilik non ha ricevuto un decimo di quanto gli sarebbe stato dovuto a solo titolo di dogane, e questo decimo l’ha ricevuto a titolo di semplice regalia, e senza minacie, come fra noi.

detagli delle regalie Ma la liberalità del Re Menelik è andato molto più in là, se vogliamo calcolare le spese da lui fatte nel trasporto degli effetti del bagaglio dalla frontiera del regno sino a Liccèe; quindi i regali stati fatti ai signori della Spedizione, ed il mantenimento per anni intieri dei medesimi. Per il solo trasporto del bagaglio dalla frontiera alla città di Liccèe, distanza da dodeci a quindeci kilometri di paese tutto montagnoso e pieno di precipizii, il Re dovette occupare [per] circa otto giorni [più di 1000 portatori] almeno 200. tra Gabbar, servi, e schiavi. Certe casse occupavano otto persone ciascheduna; senza la generosità del Re Menilik un tale trasporto sarebbe stato impossibile, anche con milliaja [p. 648] di franchi, non facendosi simili trasporti che a spalla di uomini, o gabbar, (1d) oppure schiavi. Ma lasciamo da parte ancor questo, e ricordiamo altre liberalità di quel Re: cosa non avrebbero speso i signori della Spedizione per un mantenimento generoso e degno d’inviati governativi? Di ciò si veda ciò che già sta scritto nella storia del mio arrivo, e dell’arrivo del Signor Arnus, con accrescimento. Un trattamento simile non si trova senza una vasta casa di schiavi e di servi, oltre alla spesa viva del mercato quoti- /234/ diano. Il Re Menilik ha dato, non solo casa, ma schiavi in quantità per un servizio, e per un’accompagnamento degno di persone grandi. Vengono in fine i regali fatti da quel Re in bestiami per la cavalcatura, per i minuti trasporti, e per il macello quotidiano. Si noti che i muli e cavalli per la cavalcatura furono tutti con forniture in argento in uso delle persone più grandi del regno.

confronto coi nostri paesi Ciò detto, io facio ritorno all’argomento di confronto, e lascio al mio lettore la pena di fare il paragone tra il modo col quale sogliono riceversi fra noi gli stranieri, e quello sopra descritto avuto in Scioha dalla Spedizione geografica. Non è egli vero che fra noi lo straniero è una vera merce, sopra cui il governo suole calcolare nelle dogane, nei trasporti, negli alberghi, col mezzo d’infiniti tributi indiretti, in modo da poter affermare che egli suole [p. 649] pagare persino l’aria che respira? consigli di abba Michele
[12.6.1873]
Già si è parlato sopra di un certo Abba Michele stato spedito dal Re Menilik al Re d’Italia Vittorio Emmanuele II. Ora questo inviato, di ritorno dalla nostra Italia, e da Roma, interrogato da alcuni, i quali desideravano di vedere i Luoghi Santi di Gerusalemme, e di arrivare sino a Roma per venerare il Sepolcro degli apostoli Pietro e Paolo. Caro mio, soleva rispondere Abba Michele, io me la sono cavata come inviato del Re Menilik, e con qualche raccomandazione avuta da Abba Messias; altrimenti posso assicurarti, che appena sortito dal regno di Scioha non vi è altro mezzo, o farti schiavo e servo di qualche persona che ti mantenga, oppure aver sempre la borsa in mano per dare sempre, e sempre pagare ad ogni passo, senza di che non troverai neanche aqua da bere. Quindi soleva aggiungere una descrizione minuta dei piccoli tributi che si devono pagare al governo ogni momento, sia in Egitto che in Italia, da spaventare anche i più coraggiosi. [14.10.1876: Menelik ordina la restituzione dei talleri sottratti alla Spedizione] Ciò basti per rilevare l’opinione europea in favore del Re Menilik e di alcuni altri principi abissini, benché meno amici nostri, e di quelli stessi che per ignoranza mi sono stati nemici; perche l’uomo cristiano nel giudicare i suoi fratelli suole partire da Dio.


(1a) Chi si diverte a meditare la natura delle diverse lingue, trova un gran progresso nello sviluppo materiale delle lingue in proporzione che si sviluppano le idee. Le lingue semitiche sono più stazionarie, perché le idee dei figli di Sem sono più tarde a svilupparsi. Nelle mie traduzioni ho trovato sempre maggior facilità nel tradurre le lingue etiopiche in latino, che non in italiano o [in] francese; la ragione è, perché la stessa nostra lingua latina ha più del primitivo e si accosta più alle semitiche. [Torna al testo ]

(1b) I Papi medesimi, come veri Re, avevano anche i loro Ordini militari, ed usavano dare decorazioni ai secolari del loro regno, ed agli esteri, e si sapeva che erano molto gradite, forze più di quelle delle altre corti d’Europa. Ma per lo più i Papi stessi non usavano [di] darla ai Vescovi. Chi ha un poco di spirito deve saperne la ragione. [Torna al testo ]

(1c) Mentre scrivo mi ricordo di una conversazione sentita in oriente tra un nostro cattolico ed un turco decorato dai nostri Re; quel turco diceva che prima di mettersi la decorazione usava [di] sputargli sopra. Lo stesso si raccontava di un’israelita. [Torna al testo ]

(1d) [Manca la nota M.P.] [Torna al testo ]