/235/

25.
Ritorno in Francia e assassinio di Arnoux.
Gli ex soci: Joubert e Péquignol.

riprendo la storia di Arnus [Ri]Vendicata l’opinione dei Re Menilik in ciò che è giusto, debbo ora riprendere la storia del Signor Arnus, lasciato da noi alla costa colle sole notizie portateci in Scioha dal nostro Antinori, e dal caro Giovanni Chiarini [p. 650] Il povero Arnus, appena passato il fiume Awasce, come già si disse, ebbe la rivolta dei servi, capitanati dall’antico suo procuratore Walde Tekli, e dallo stesso Segretario-interprete Giuseppe. Lo stesso figlio di Abubeker Maometto, capo della carovana, era inteso coi rivoltosi; Arnus perciò, contariato da tutti perdette tutto il suo prestigio, e non fu più padrone che di semplice nome, quando si incontrò colla carovana che conduceva Antinori, Martini, e Chiarini, verso i confini dei Somauli. piano di Obok fallito Arnus nel partire da Scioha era inteso col Re Menilik di prendere la strada al Nord del Lago Salato per rendersi direttamente ad Obok posizione francese, onde schivare le dogane di Zeïla. Egli era inteso col Console francese di Aden, il quale aveva promesso di recarsi in Obok con un bastimento carico di proviste per la carovana, e per portare le merci direttamente in Aden, subito che Arnus l’avesse avertito del suo prossimo arrivo. Il piano avrebbe favorito lo stesso Capitano Martini, il quale si trovava in Italia per presentare lagnanze contro Abubeker Pascià governatore di Zeïla.

Arnus a Zeïla
[21.8.1876]
Ma la carovana dei deserti è come un bastimento in mare sotto gli ordini del Capitano, ed il Capitano della carovana era Maometto figlio di Abubeker, il quale già aveva preso tutte le sue misure, e diresse la carovana verso Zeïla, dove Arnus e Martini erano aspettati come nemici del Pascià Abubeker. Quando la carovana di Arnus fù arrivata in Zeïla cadde [p. 651] sotto la sorveglianza immediata della dogana egiziana. Il Signor Arnus, come era naturale, [si] oppose alla dogana dicendo, che le merci erano merci francesi venute dal regno di Scioha, col quale la Francia aveva trattati di commercio, e che perciò domandava solo un biglietto di transito per Alessandria, dove si sarebbe pagata la dogana, quando la questione sarebbe liquidata tra il Console generale francese /236/ ed il governo del Viceré. rivolta dei servi Come ognun vede, la risposta di Arnus non era poi tanto fuori di proposito, ma il Pascià Abu beker, schivando la questione del transito domandato da Arnus, sollevò la questione dei titoli di rappresentanza; voi non siete arbitro delle merci, disse, io tengo documenti dal Re Menilik, a norma dei quali l’arbitro è Ghebra Tekli; voi siete un cavaliere d’industria che volete rubare questo capitale a Menilik, epperciò dichiaro sequestrate tutte le merci in favore del Re, sino a nuove istruzioni che verranno da Menilik. Arnus è spogliato Così dicendo Pascià Abubeker presentò una lettera del Re Menilik, lettera che nessuno seppe leggere, fuori di lui, del Segretario Giuseppe, e di alcuni altri già da lui comprati.

Ghebra Tekli divenuto padrone Dopo tutta questa scena l’antico Procuratore del Signor Arnus, e servo suo, colla forza prese possesso della cassa dei denari dati dal Re Menilik per le spese di viaggio da Zeïla a Marsilia; diede circa mille talleri per la dogana, e diede a ciascuno dei servi una media di dieci talleri caduno. I servi erano circa 40., dei quali 30. gli ricevettero, e 10. gli rifiutarono, perché non vollero prendere parte alla rivolta, [p. 652] il nostro Re, dicevano questi ultimi, nel congedarci ci disse che avrebbe pensato egli al nostro mantenimento alla costa, e che noi dovevamo essere pagati al nostro ritorno in Scioha, e dicevano la semplice verità, perché il Re lo disse in presenza di tutti prima di partire per Warra Ilù. le merci in giro Arrivò intanto da Aden un piccolo batello a vapore stato nolegiato dal Console Francese per il trasporto delle merci in Aden, Pascià Abu beker avrebbe voluto trattenere le merci, ed anche il Signor Arnus sino alla risposta del Re Menilik, al quale si mandò un corriere ad insaputa di Arnus. Ma il vaporetto noleggiato non voleva ripartire senza le merci, ed aspettando doveva essere pagato a misura del ritardo. Come la dogana e stata pagata Pascià Abu beker non aveva più titolo di ritenere le merci, e risolvette di mandarle, e lasciò partire anche Arnus e Ghebra Tekli. Si fece un bacano in Aden. Il Console francese di Aden vedendo lettere e contro lettere, ordini e contro ordini dalla parte del Re Menilik, non ebbe coraggio di annullare una sentenza già data in Zeïla dal governo egiziano: lo stesso Arnus, vedutosi così disonorato, non volle più riprendere l’amministrazione, senza essere prima giustificato, e senza un controllo sopra l’integrità, e identità delle merci, perché molte cose si dicevano sul cangio dei denti di elefante grossi in piccoli.

passi fatti dal console In facia a tutto quel disordine di cose il console francese non lasciò sbarcare più le merci ed ordinò che ritornassero in Zeïla, lasciando [mallevadore di] ogni responsabilità il Pascià Abubeker. Cesare Tian /237/ [procuratori: Bonaventura Mass: 25.5.1869;
Cesare Tian: 1873]
negoziante di Marsilia, ed alcuni anni prima [p. 653] stato nominato Procuratore del Re Menilik presso il governo inglese di Aden, d’accordo col console francese spedirono un corriere in Scioha al Re informandolo di tutto l’avvenuto, e scrissero pure ogni cosa in Alessandria al Console generale francese, ed a Parigi al ministero del commercio, e la questione passò in diplomazia. Arnus
[al Cairo: 1.12.1876;
a Roma: giu 1878]
a Parigi
Il Signor Arnus spogliato di tutto, con tutti i suoi titoli diplomatici ricevuti dal Re Menilik, a spese del governo francese partì per l’Egitto e per Parigi per trattare la sua causa, la quale durò degli anni, e per la quale in seguito io fui consultato sopra la verità e realtà dei documenti avuti dal Re Menilik, e relativamente alla condotta di Arnus contro le accuse presentate da Pascià Abubeker, e da Ghebra Tekli.

Ritornando ora in Scioha, appena terminate le operazioni del ricevimento della Spedizione geografica, e ritornato io a Fekeriè Ghemb, arrivò il corriere di Zeïla mandato dal Pascià Abubeker, e poco dopo arrivò ancora il corriere spedito dal console francese di Aden e da Cesare Tian Procuratore del Re Menilik. Arrivarono in pari tempo innoltre le lettere del Capitano Martini, il quale era partito per l’Italia. il re Menilik nelle furie Ritornato io in Licce chiamato dal Re, l’ho trovato nelle furie per tutti i disordini arrivati in Zeïla. Io ho cercato di esaminare il Re Menilik rapporto ai titoli accordati a Ghebra Tekli, causa di tutti quei disordini, ma il Re Menilik mi giurò di non [p. 654] aver dato altro a Ghebra Tekli che una lettera di semplice raccomandazione, una lettera fatale del re nella quale io lo dichiarava come mio inviato in ajuto del Signor Arnus, e pregava le autorità di riconoscerlo come tale in ogni caso di morte del suo principale. Io conoscendo a fondo la moralità del re Menilik in simili casi, non ho dubitato delle sue proteste; ma poi conoscendo molto bene la latitudine colla quale erano eseguiti i suoi ordini in pratica, ho veduto subito cosa poteva essere. Ghebra Tekli, una volta ottenuta la parola del Re, assistito dai suoi amici, fece scrivere come volle dal Segretario, ed il Re senza esaminare, alla buona vi pose il sigillo. Io [non] ho mai veduto quella lettera, che fu la rovina del Signor Arnus, e del capitale di circa cento mille franchi (1a), che il Re aveva confidato al suddetto per l’aquisto di armi, e per l’impianto di una compagnia o società di europei che Arnus doveva condurre in Scioha. (2a)

/238/ la casta dei mercanti contro gli europei La lettera suddetta però male letta, e più male interpretata servì di documento, ma non fu la sola causa movente. Maometto figlio di Abubeker, destinato capo della carovana, egli era un gran mercante della costa, e rappresentava il partito dei mercanti che formano in Scioha la casta detta Tagiurra, la quale da secoli ha avuto sempre il monopolio del commercio del regno di Scioha; egli, nemico a morte del commercio europeo da quelle parti, e molto famigliare alla corte del Re Menilik, benché non comparisse, pure nella sostanza fu quegli che sollevò tutto quel fermento contro il Signor Arnus, e preparò la rivolta, e raccolse le calunnie contro di lui, se pure non lavorò a preparare destramente il cuore del re stesso, e di molti della sua [p. 655] corte. calunie contro Arnus In fatti, quando il Signor Arnus disgustato della persecuzione sollevatasi contro, fuggì in casa mia, risolto di partirsene lasciando ogni cosa; allora avendo io lavorato per calmare le diverse passioni di persone, sollevatesi contro di lui, più per invidia che per altro, ho potuto conoscere molti misteri che spiegano l’origine delle calunnie contro il suddetto, ed il principio della rivolta del suo procuratore Ghebra Tekli, e del suo Segretario Giuseppe; allora fu che avendo [s]gridato i due antichi compagni Giobert e Piquignol per certe parole dette dai medesimi, questi mi confessarono d’averle dette academicamente, e senza fondamento provocati da alcuni mercanti arabi della costa. Epperciò il detto sopra non è una parola al vento, ma una verità che io scrivo ad istruzione dei nostri viaggiatori con una prudente riserva, perché sono sacerdote missionario.

carattere delle lettere Si fece intanto un congresso per giudicare dell’affare di Zeïla. Si lessero le lettere di Pascià Abubeker, quelle di Giuseppe già Secretario ed interprete di Arnus, quelle di Ghebra Tekli suo procuratore, e quelle di alcuni altri servi della lega dei suddetti, e capi della rivolta; tutte lettere dirette al Re. Non la finirei più se volessi e potessi qui riferire tutte le invenzioni e tutte le calunnie le più nere e le più insussistenti [ideate] contro il loro padrone antico Signor Arnus. In quelle lettere neanche si pensava di provare quello che essi dicevano, come se il Re e noi, fossimo persone straniere, e che non avessimo praticato Arnus più di un’anno e mezzo, e che non avessimo conosciuto anche gli scriventi che uomini erano, e come se il Re fosse stato un ragazzo [p. 656] incapace di distinguere il bianco dal nero, dopo avere vomitato tutte quelle calunnie senza provarle: Signore, essi dicevano al Re, ringraziate di avere dei servi fedeli, altrimenti tutta la roba vostra sarebbe già partita per le indie col ladro Arnus; noi le abbiamo salvate [le merci]. Il Re al leggere tutte quelle stravaganze era furioso; gli stessi amici dei rivoltosi scriventi /239/ che ne avevano preso le parti, non sapevano cosa rispondere, perché il giuoco era troppo chiaro.

lettere dirette a me Lette che furono le lettere dirette al Re, io lessi le lettere dirette a me: Padre nostro, mi dicevano, voi siete troppo buono, voi siete santo, noi abbiamo compassione di voi, perché siete stato ingannato; il vostro Arnus è stato un’ipocrita, e voi non l’avete conosciuto; egli dopo tante comunioni ricevute dalle vostre mani, è stato un Giuda, ma non sgomentatevi, perché ci siamo noi figli vostri, e servi fedeli del Re. Le lettere a me dirette erano poco presso tutte di questo carattere; non si meritano quindi che io aggiunga parola per approvarle o disapprovarle; basta il lettore di queste mie memorie per giudicarle.

piego del console francese Lette che furono le lettere a me dirette, fu aperto il piego venuto dal Console Francese, il quale conteneva lettere proprie, al Re, ed a me, lettere dell’antico Procuratore di Menilik in Aden, lettere parimenti dirette ai Re, a me, ed a Monsignore Coadiutore; [p. 657] quindi conteneva lettere dei missionarii di Aden, e di altre persone, le quali prendevano parte interessata nella questione di cui è caso. contenuto di queste lettere Queste lettere erano tutte lettere gravi che non sapevano di partito e di passione, epperciò di tutt’altro carattere. In esse era un senso di compassione per il Re, come ingannato, e per il Signor Arnus, come persona oppressa, che dominava. Noi, dicevano quei signori, non siamo entrati nella questione perché non siamo stati cercati, e perché non potevamo conoscere gli ultimi documenti del Re stati prodotti dal governo egiziano di Zeïla, e non conoscevamo in detaglio le persone entrate in questa causa. Privi di titolo giustificativo non potevamo impedire, ne tanto meno annullare un’atto publico emanato dal tribunale egiziano di Zeïla. La questione è molto grave, [risolvibile] se non [che] in Egitto dal Console generale francese, e dal governo egiziano. Sappia V.[ostra] M.[aestà] che, stando ai registri del Signor Arnus e segnati dalla maestà V.[ostra], il capitale è un capitale [di] 20. mille scudi, e che non mancano negozianti disposti a comprarlo a questo prezzo. Ora questo capitale si trova in gran pericolo, e già si tratta di venderlo a undeci mille scudi, cioè poco più della metà del suo valore; mandi dunque presto qualche ordine per salvarlo.

Di questo carattere erano tutte le lettere di tutti gli amici del Re Menilik in Aden ed in Zeïla. Frattanto le merci non essendo state ricevute in Aden dal Console, lo stesso vapore dovette riportarle in Zeïla, dove furono consegnate al Governatore Pascià Abubeker. Il Re Menilik fù molto imbarazzato [p. 658] per le misure da prendersi. Per salvare l’o- /240/ un rimedio fallito nore del Re da una parte, e dall’altra parte il capitale ormai passato nelle mani dei ladri sarebbe stato il caso di tentare un colpo maestro. Come in Scioha la casta dei mercanti era quasi tutta composta di stretti parenti del Pascià Abubeker, ed una gran parte negoziavano per lui e coi suoi capitali; sul momento [si] doveva prendere due o tre capi di quei mercanti, e messi in stretta prigione, come solidarii della rivolta, pretendere che i due rivoltosi, Ghebra Tekli e Giuseppe fossero legati e portati in Scioha, e che le merci e denari fossero restituiti al Signor Arnus. Con questo unico mezzo il Re Menilik avrebbe rimediato a tutto. Ma il Re Menilik non è un’uomo di questa tempra, egli è dolce nelle sue cose, e difficilmente sa risolversi ad una durezza. Innoltre, egli è un leone che non ha idea della propria forza, epperciò teme la casta dei mercanti, ed è inclinato ad accarezzarla: io ho bisogno di questa gente, egli dice, epperciò gli teme; mentre non pensa che i mercanti hanno molto più bisogno di lui per vivere, e farebbero [di] tutto per non offenderlo.

mezze misure del re Il Re Menilik perciò era convinto che il Signor Arnus era un bravo uomo, egli lo amava molto, e nel congresso protestava di non aver dato nessun ordine contrario alla missione datagli; [per di] più egli confessava che tutto il fatto di Zeïla era una mera congiura dei mercanti, ed una vera ingiustizia di Ghebra Tekli, e di Giuseppe, ma intanto non sapeva risolversi [p. 659] di fare un passo risoluto contro di loro, e contro gli amici che avevano in corte, epperciò si contentò di temporeggiare, e di prendere mezze misure di conciliazione. Il Signor Arnus intanto, che conosceva il suo debole, lasciò tutto, e partì per l’Egitto, dove dovette subire un processo per le calunnie, dal quale però ne sortì trionfante; andò a Parigi per trattare la sua causa, dove pure fu conosciuta la sua innocenza. Menilik scrisse lettere giustificative in favore di Arnus, gli mandò in seguito 15. denti d’elefante per compensarlo, pregandolo caldamente di ritornare in Scioha, dove gli avrebbe fatto ragione di tutto.

[ritorno a Obok: 23.6.1881] Intanto, per non ritornare sopra questo fatto, basti il dire, che il Signor Arnus alla fine acconsentì di ritornare in Scioha; ritornò in Obbok con una compagnia di negozianti francesi, coi quali aveva fatto un contratto d’accordo col governo. fine di Arnus, sua morte
[3.3.1882]
Se non erro sul principio dell’anno corrente 1883. mentre il Signor Arnus stava in Obbok aspettando gli ordini del Re Menilik, una trama dei mercanti arabi lo fece uccidere, e così finì per essere vittima come tanti altri. Ciò detto, per non lasciare a metà questa storia ritorno a Zeïla. fine di Ghebra Tekli Dopo l’andata del Signor Arnus, l’antico suo procuratore Ghebra Tekli si stabilì in Zeïla come Commissario Pro- /241/ curatore del Re Menilik con un’ordinario [= onorario] da Principe. Egli ha venduto tutte le merci del Signor Arnus ad un certo negoziante per noma Forer [p. 660] Agente consolare della Norvegia in Aden al prezzo già sopra indicato, di undeci mille scudi. Ghebra Tekli, come sogliono fare tutti i rivoltosi, sempre d’accordo per battersi contro il lupo per impadronirsi della preda, dopo si ricordano di essere cani e si amazzano sopra di essa, fece questione col Segretario Giuseppe, il quale nel [1877] 1867. venne in Scioha a giustificarsi presso il Re ed accusare il suo compagno. Il famoso Commissario Ghebra Tekli, chiamato dal Re, [non] disse mai di no; [feb. 1877] finì per mangiarsi i cento mille franchi delle merci vendute; aggiunse altri cinquanta mille presi [in] imprestito da Forer suddetto; ma alla fine cadde l’albero della cucagna, fece questione anche col suo creditore, ed arrivarono tutti [e] due in Scioha a presentare le note al Re Menilik, il quale fu ancora tanto bono di ricevergli cortesemente. Ma quando venne il caso di dover pagare ancora altri 50. mille franchi, allora il leone si risvegliò; il povero Re mi parlo di questo affare, e voleva radunare gli europei per giudicarlo, ma io ho dovuto partire esiliato dall’imperatore Giovanni, ed ho lasciato la questione vertente.

i due compagni di Arnus Per finire la questione di Arnus dovrei aggiungere qualche parola di Pascià Abubeker, e vi sarebbe di ché, perché Arnus è stato trucidato dai Denakil suoi [di Abubeker] parenti, ma questo signore è attualmente Governatore di Zeïla, e fin qui ha trattato sempre bene la mia missione, epperciò rispetto l’amico. Ma per non lasciare una laguna, debbo dire due parole dei due compagni di Arnus, lasciati da una parte per non complicare troppo la storia.

[p. 661] impresa di Giober Uno dei due socii di Arnus era un certo Filippo Giober, un’antico impiegato nelle fabriche della polvere [da sparo] del governo [francese]. Lasciato il suo impiego, aprì un negozio in Marsilia, dove fatto conoscenza con Arnus entrò in società con lui e vi rimase sino al suo arrivo in Scioha, dove si separò per speculare da se. Era un’uomo di spirito e di energia; fu costante nel sostenere gli impegni presi, a fronte di una persecuzione sorda per parte degli artisti del paese. In due anni circa arrivò a costruire una fabrica della polvere [da sparo] in Mahal Wanz vicino ad Ankober con una machina idraulica sufficiente [sufficiente] per un cilindro con dieci pistoni. Ciò che tu più ammirabile è la diversità dei lavori fatti quasi tutti colle sue mani, con pochissimo ajuto, e con imperfettissimi istromenti. Fece il canale dell’aqua, fece la fabbrica in massoneria, e fece tutti i lavori in legno, tutti lavori enormi.

/242/ sua collaudazione
[7.12.1876]
Terminato che fu il lavoro andò il Re, con tutto il treno della sua corte, per vedere e collodare l’opera. Fu una cosa che stupì tutto il mondo grande e piccolo vedendo, come, in poche ore che si fermò il Re, lavorò la machina, e sortì una gran quantità di polvere. Più degli indigeni, i pochi europei che si trovavano in Scioha, persone in caso di apprezzare il lavoro, fatto in un paese così scarzo di mezzi, dovettero prodigare elogi al Signor Giober. Nel paese ogni fuciliere usa di fabricarsi la polvere, pestando le materie dentro un mortajo di casa. Prima di Giober il Re aveva un’operajo che ne faceva per il Re solo e per le sue guardie una piccola quantità con un gran mortajo, e con [p. 662] [e con] un pistone tirato a mano da molti operai. appreziazione dell’opera Per l’Abissinia era già quello un gran portento d’industria, per il quale l’inventore si aveva guadagnato una specie di impiego, come di ministro delle arti. Ora la fabrica di Giober ha sepolto nella polvere tutto il merito di quell’invenzione indigena. Avrebbe bastato questo solo titolo per coronare di gloria il nostro artista marsiliese. Il Re conobbe tutto il suo merito, e l’avrebbe certamente onorato e rimunerato come si meritava. invidia degli indigeni Invece nell’aristocrazia del paese produsse un’effetto affatto opposto. Incomminciò allora una gelosia tale, che [de]generò in persecuzione sorda, principalmente fra gli artisti, da stancare il povero Giober. Il Re stesso per retribuirlo doveva farlo con una certa economia e prudenza. Il povero Giober, che già anelava il ritorno al suo paese, alla fine se ne ritornò in Francia. Dal suo arrivo sino alla sua partenza ricevette sempre ogni anno 300. scudi che mandava in Francia alla sua moglie, e prima di partire ricevette ancora circa mille scudi per la sua famiglia, e qualche dente di avorio. La grande opera sua appena partito egli andò in rovina.

signor Piquignol In questo modo finì il Signor Giober: dirò perciò ancora due parole del Signor Piquignol il secondo compagno di Arnus, il quale fu molto più giovane. Ques[to] era nativo di Parigi, e lasciò la sua patria [p. 663] dopo la caduta della Comune, e passò in Oriente, dove non fece gran fortuna: passò in Aden, dove si trovava come Segretario di una locanda quando arrivò là il Signor Arnus, ed entrò in società con lui. Arrivato in Scioha, come Giober si separò dal suo principale per alcune questioni personali. Per questa ragione dovette lottare qualche tempo per trovare di che vivere in Scioha. sue qualità Benché questo giovane avesse nel fondo un’educazione forze superiore a quella di Giober, ed avesse anche molta abilità come artista, pure fu meno fortunato di lui: dovette lottare circa un’anno per potere entrare nelle grazie del Re. Alla fine mi riuscì di farlo entrare dal Re, ed arrivò a godere di tutta la sua confidenza, ma non durò molto, sempre sordamente respinto da una sorda persecu- /243/ [Joubert e Péquignol partono da Farrè: 16.3.1879;
arrivano a Zeila: 1.5.1879]
zione, e forze anche un poco per colpa sua, perché mancava di esperienza. Tentò anche egli di mettersi a fare qualche lavoro, e diede anche saggio di grande abililtà, ma fu meno costante nelle sue imprese. Bisogna confessare però che anche questi ebbe sempre contro di se la setta degli artisti indigeni per poter arrivare a qualche risultato fra le molte cose incomminciate da lui. Alla fine risolvette di partirsene meno favorito di Giober.

miracoli dell’unione Se questi due operai fossero rimasti uniti al Signor Arnus forze avrebbero riuscito meglio, e la Società di Arnus non sarebbe stata rovinata dai due indigeni rivoltosi. Ma sgraziatamente anche essi dominati da una certa gelosia, invece di tenersi uniti per sostenere l’onore europeo, [invece in certo] [p. 664] [dominati da certa gelosia] anche essi si unirono piuttosto agli indigeni, e così rovinarono tutto. la disunione madre di tutti i mali Molte volte sono stato consultato da persone, anche di un certo quale riguardo, le quali progettavano di associarsi a certe società, oppure di stabilire compagnie per l’Etiopia o altri paesi simili; confesso che dietro la poca esperienza avuta, [non] ho mai potuto formarmi un criterio per consigliare in buona conscienza una persona a farlo, perché ho veduto sempre che simili società, in paesi, dove non esiste un governo, ed una forza coattiva; [perché ho veduto sempre che simili società] finiscono male, cioè finiscono per essere divorate dall’egoismo privato, con pericolo di disordini da compromettere il nostro onore cristiano, o se si vuole dire semplicemente nazionale. Se parlo [cosi] è perché io stesso ho dovuto affaticarmi più volte col mio religioso ascendente per mettervi la pace, molte volte anche con poco o nessun risultato. Dieci persone lavoreranno d’accordo per scavare un tesoro probabile in qualche luogo; dal momento che spunta un segnale di esistenza cessa l’accordo, e vi si gettano sopra come jene sopra un pezzo di carne. Abbiamo qui nel piccolo il caso delle rivoluzioni: la rivoluzione è una fino a tanto che si tratta di rovesciare un governo legittimo stabilito; dal momento che esso è caduto, se non salta in mezzo subito un Napoleone primo a governare colla forza brutale, i corifei della rivoluzione si mangieranno fra loro, come si vede oggi fra le nazioni della nostra povera razza latina.

esito delle società di Arnus Prima di chiudere la storia [la storia] di questa Società Arnus il lettore di queste mie memorie si ricordi del come ha incomminciato, e come io da principio, quando il Re Menilik mi parlò [p. 665] e mi fece vedere le lettere che [dic. 1872] il Signor Arnus gli scriveva da Massawah, io sono stato sempre alieno dal favorirla; venuta questa Società contro ogni mio consiglio, io ho cercato sempre di starne lontano, ma non mi fu possibile, anzi ho dovuto prenderne parte, ed anche entrare in molti detagli odio- /244/ si, costretto unicamente dal mio dovere di Padre verso tre individui tutti [e] tre forniti di eccellenti qualità, e che ho amato anche troppo. Nessuno dei tre ha fatto fortuna, e ciò unicamente per mancanza di unione. il missionario e la Chiesa Tanto io, che i miei compagni missionarii abbiamo fatto di tutto per riunirli, ma non abbiamo riuscito, perché la carità rimedio di tutti i mali, e figlia del solo Vangelo, ha fatto loro difetto. Io, mentre scrivo sono dolente, ma non scandalizzato, perché [trattandosi di] persone secolari lasciate a se, senza un timone in paesi stranieri e barbari, sarebbe un miracolo pretenderne l’unione. Il solo missionario cattolico può reggersi a differenza di secolari, perché esso viaggia portando con se la monarchia teocratica che lo governa. Egli, anche lontano, è sempre suddito fedele della Chiesa di Dio, e dei superiori stabiliti da essa. Ecco l’unica ragione per cui io sono stato contrario all’impresa di Arnus. Questa unica ragione è quella che rende omnipotente la Chiesa di Cristo, ed ammirabile anche nei nostri paesi a differenza di altre società del mondo.


(1a) Lettere di negozianti europei venute da Aden al Re Menilik, esibivano al Re venti mille scudi per le merci condotte da Arnus alla costa. [Torna al testo ]

(2a) Il Re Menilik con scrittura publica da lui scritta i[n] due lingue, abissina e francese, e munita del suo sigillo dava al Signor Arnus un terreno vastissimo per la società indicata, come sta scritto a suo luogo. [Torna al testo ]